Tutti gli articoli di Chiara Vecchiato

Amour Toujours: presentata la stagione 2024 del Teatro Regio

La nuova Stagione del Teatro Regio ha compiuto il passo prefissato nella precedente: “Amour Toujours” è il titolo della produzione 2023/2024, dedicata in particolar modo a Giacomo Puccini, per festeggiarne il centenario. A spiegare il perché di questa scelta e a presentare le quattordici opere della Stagione, ci hanno pensato nella mattinata del 7 giugno il sindaco Stefano Lo Russo, il sovrintendente Mathieu Jouvin e il nuovo direttore artistico Cristiano Sandri, protagonisti della conferenza tenutasi nel Foyer del Toro. 

Dal 21 settembre 2023 al 4 luglio 2024 il Teatro Regio ospiterà allestimenti importanti – otto sono i nuovi – ma vedrà anche il ritorno di interpreti che abbiamo già conosciuto durante la Stagione 2022/2023, (come Mariangela Sicilia, Donna Elvira e Riccardo Zanellato, Il Commendatore, dal Don Giovanni). Altro grande ritorno sul palcoscenico del Regio, questa volta con Un ballo in maschera, sarà anche quello del direttore Riccardo Muti. A fianco di titoli già conosciuti, come La bohème (con il contributo di Reale Mutua), ci saranno quelli più ‘di nicchia’, come La rondine (con il sostegno di Italgas; direttore d’orchestra Francesco Lanzillotta, già presente alla Norma nella scorsa stagione), e persino prime esecuzioni a Torino – con Un mari à la porte, di  Jacques Offenbach (operetta in un atto) – e in Italia – con The tender Land, di Aaron Copland (opera in tre atti). Entrambi gli allestimenti saranno presentati in lingua originale, così come lo sarà anche Der fliegende Holländer (L’Olandese volante), di Richard Wagner

dalla Cartella Stampa del Teatro Regio, il nuovo logo

Il Regio non perde occasione di mantenere gli impegni presi nell’anno di piena pandemia da Covid-19, tanto che Mathieu Jouvin precisa che nella nuova Stagione sarà presente anche un titolo che doveva essere allestito in precedenza: Don Pasquale, di Gaetano Donizetti. Non manca lo sguardo rivolto al balletto: tra le produzioni anche La bella addormentata, di Marcia Haydeé – balletto in tre atti basato sulla fiaba di Perrault, con musica di Čajkovskij – che vedrà sul palco solisti e corpo di ballo del Balletto Nazionale di Praga; Don Chisciotte, su libretto di Marius Petipa – balletto in tre atti, tratto dall’omonimo libro di Cervantes –, con il corpo di ballo del Balletto dell’Opera di Kiev; e Le villi, su libretto di Ferdinando Fontana, a richiamare un’altra opera, Giselle. Ad aprire la stagione del balletto nel nuovo anno, però, sarà Roberto Bolle and Friends, a gennaio 2024. 

La prima e l’ultima produzione sono, tuttavia, le più particolari: ad aprire la Stagione 2024 sarà La Juive (l’ebrea), di Halévy Scribe, con regia di Stefano Poda, già scritturato per Turandot nell’allestimento 2021/2022 – partner di quest’anno sarà Intesa San Paolo –, mentre a chiuderla sarà il trittico Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, a suggellare questo cartellone all’insegna dell’amore. Stagione che, come detto poc’anzi, si aprirà con un’opera francese, così come lo è il titolo della stessa: “Amour Toujours”, a riprendere – parole di Jouvin – la canzone di Gigi d’Agostino, il dj torinese che (paradossalmente) ha dato l’idea di un’unione tra due paesi, l’Italia e la Francia.

Il nuovo inizio del Teatro Regio è dimostrato anche dal logo che, in occasione del cinquantenario, coglie lo spunto per rinnovarsi. Infatti, il toro – che la faceva da padrone – ora condivide il posto con una musa, che a sua volta tiene una lira tra le mani come simbolo del legame tra la città di Torino e la musica. I tre elementi sembrano protrarsi in avanti, in una corsa verso il futuro, che richiama sempre e comunque al passato: il disegno è stato realizzato da Undesign Agency a partire da un bozzetto originale e inedito di Carlo Mollino, originariamente pensato per il pavimento del Teatro. 

A completare la Stagione i concerti 2023/2024: dodici appuntamenti, otto con l’Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Regio e quattro con la Filarmonica TRT, che nel 2024 compirà vent’anni. Ad aprire la Stagione sarà il direttore russo Timur Zangiev; a seguire, salirà sul podio dell’orchestra Nathalie Stutzmann, per il concerto del 25 novembre. Il periodo pasquale vedrà protagonisti il Salve Regina e lo Stabat Mater, diretti da Claudio Fenoglio, e Vetrate di chiesa e Requiem (di Cherubini), diretti da Diego Ceretta. Agli appuntamenti con la Filarmonica TRT saranno presenti il direttore Felix Mildenberg, con la Sinfonia n. 4 di Gustav Mahler, Yutaka Sado, a dirigere la Sinfonia n. 4 di Anton Bruckner e la direttrice sudcoreana Kim Eun-sun, che si cimenterà con Johannes Brahms. Non mancherà nemmeno il consueto appuntamento con il cinema e le colonne sonore, affidate a Timothy Brock: in programma la proiezione con colonna sonora eseguita dal vivo di The Great Dictator, con regia di Charlie Chaplin

A cura di Chiara Vecchiato

La sinfonia del silenzio racconta Beethoven

Il 2 maggio, nello Studium Lab di Palazzo Nuovo, si è tenuta la prima rappresentazione di Beethoven: La sinfonia del silenzio, spettacolo teatrale scritto e diretto da Milena Sanfilippo (sono cinque le repliche organizzate in Università). Al suo fianco, Matteo Chenna e Simone Manzotti nel ruolo di Ludwig van Beethoven. I tre attori decidono di collaborare per mettere in scena quello che è – a tutti gli effetti – uno scorcio di vita di uno dei più grandi compositori della storia musicale. 

Beethoven
Beethoven (Simone Mazzotti) e “l’amata immortale” (Milena Sanfilippo), foto di Ludovica Gaetini

La scenografia è composta da pochi e semplici elementi: una scrivania, un pianoforte, un letto e qualche elemento decorativo. La vera forza motrice di questa storia sono gli interpreti che, incalzati dalla musica e dalle luci – abilmente manovrati da Ludovica Gaetini – trasportano lo spettatore all’interno della mente di Ludwig van Beethoven. Quante persone si sono mai chieste chi fosse veramente il «Maestro», come lo chiama il suo copista Holz (Matteo Chenna)? Quanti suoi ascoltatori hanno pensato a quali potessero essere i suoi affetti? Beethoven: La sinfonia del silenzio ci prende per mano, accompagnandoci nella tanto agognata composizione della Decima (rimasta incompiuta), nel legame con il nipote Karl e in quello con la sua “amata immortale” (interpretata da Milena Sanfilippo); o meglio, del ricordo che il compositore ha di lei. Senza tralasciare il rapporto con il principe Lichnowsky, figura decisiva per il sostegno economico di Ludwig e quello con il padre, Johann van Beethoven (Matteo Chenna), uomo anaffettivo e poco presente. 

Il viaggio verso il lato umano di Beethoven non è solo visivo, ma passa anche e soprattutto per la musica. I brani scelti vengono legati attentamente con momenti particolari della sua vita (come durante la lettura della corrispondenza con Karl), invitando lo spettatore ad ascoltare, oltre che vedere. Che la musica sia parte fondamentale delle giornate e degli anni di Ludwig è chiaro sin da subito: le pareti della stanza sono ricoperte di spartiti, note, chiavi di violino. «Queste pareti sono il riflesso della follia nella mia testa» commenta amareggiato Beethoven poco prima della lettura del testamento quando abbatte la quarta parete e, guardandoci negli occhi, parla con noi. «Tra queste pareti, Voi, Maestro, avete toccato l’infinito»: così, invece, lo saluterà Holz. 

A cura di Chiara Vecchiato

Uno sguardo attuale del passato: l’anteprima del Don Giovanni al Teatro Regio

Per la nuova stagione teatrale, il Teatro Regio ha davvero deciso di avvicinare i giovani al pubblico: agli under 30 sono dedicate le anteprime delle opere; un’esperienza che dà la possibilità, anche ai ragazzi che non hanno mai avuto occasione di avvicinarsi a questo mondo, di godersi lo spettacolo a un prezzo ridotto. Novità inizialmente pensata per gennaio 2023, ma già avviata con la fine della stagione teatrale 2022, in accordo con Riccardo e Chiara Muti, per la nuova produzione del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart. Per desiderio del direttore e del Sovrintendente Mathieu Jouvin, il Teatro Regio ha devoluto l’incasso della prova generale del 16 novembre alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus di Candiolo.

Riccardo Muti torna dunque al Teatro Regio per dirigere il dramma giocoso, salutando il pubblico e specialmente «i 650 giovani che sono con noi questa sera». Li invita a rimanere vicini al teatro, perché dà loro la possibilità di crescere; si chiede come mai, durante la sua gioventù, la musica non fosse importante quanto l’arte: «Perché nelle scuole non si studiava, ad esempio, Monteverdi?». Il discorso si conclude con l’applauso di un pubblico che è d’accordo con le sue parole e che si trova a teatro proprio perché crede nelle potenzialità del melodramma italiano.
La regia è firmata dalla figlia del direttore, Chiara Muti, che decide di scavare in profondità nei personaggi dell’opera, trattandoli come vere e proprie marionette: l’ingresso in scena di ciascuno di loro è anticipato dalla discesa, sul palco, dell’abito che andranno ad indossare. Questo vale per tutti, tranne che per Don Giovanni, perché: «L’archetipo che rappresenta l’ha liberato dai fili a cui sono ancorati tutti gli altri» tiene a precisare la stessa Chiara Muti.

La scenografia è d’impatto: uno scorcio di strada indefinito sullo sfondo, un palazzo come collassato su se stesso al centro del palco, che di fatto è composto da una pedana rotante che verrà utilizzata al suo massimo solo nel II atto. Nessun riferimento temporale, se non i vestiti che indossano i personaggi. L’ambiguo, il velato, non esiste qui: Don Giovanni (Luca Micheletti, oltre che attore anche regista stabile e responsabile artistico della Compagnia Teatrale I Guitti) è attuale, così come lo sono Zerlina (Francesca Di Sauro) e Masetto (Leon Košavić), che vengono presentati direttamente in una situazione allusiva; Donna Anna (Jacquelyn Wagner) e il suo futuro sposo, Don Ottavio (Giovanni Sala), assomigliano ad una coppia artificiosa dei giorni nostri, dove il non detto pesa e divide. Donna Elvira (Mariangela Sicilia) e il Commendatore (Riccardo Zanellato), passato e futuro di Don Giovanni, tentativo di salvezza da un lato e condanna dall’altro, sono il fil rouge dell’esistenza del “cavaliere”.

Il Don Giovanni è pur sempre un dramma, sì, ma giocoso: l’aspetto comico c’è e non si ferma solo alle parole del libretto, la gestualità collabora con la musica per esprimerne il carattere ludico. Leporello (Alessandro Luongo) in questo è certamente il maestro e le risate del pubblico durante l’aria «Madamina, il catalogo è questo» lo confermano. Si ritorna così al discorso delle marionette, capaci di divertire grazie a qualcuno che dà loro una personificazione: i protagonisti del Don Giovanni, alla fine del II atto, si spoglieranno dei loro vestiti, per tornare ad essere semplici pezzi di legno senza identità e senza caratterizzazione. E forse questo è il riferimento più grande alla società odierna: vuota e con la necessità che qualcuno tiri i fili per lei.

A cura di Chiara Vecchiato

Quattro esibizioni in un solo concerto: Irama @ Stupinigi Sonic Park

Ci sono concerti che vengono ricordati come adrenalinici, altri come commoventi, e poi ci sono artisti come Irama, che è riuscito a portare sul palco del Stupinigi Sonic Park un turbinio di emozioni che difficilmente può essere descritto. Filippo Maria Fanti, in arte Irama, inizia a farsi notare nel panorama televisivo e musicale partecipando nel 2016 a Sanremo nella categoria Nuove Proposte e poi nel 2018 al talent show Amici di Maria De Filippi risultando vincitore della categoria Canto, per poi tornare a Sanremo nel 2019, 2021 e 2022 – classificandosi secondo nella categoria Campioni con “Ovunque Sarai”.

Ad aprire la serata del 16 luglio 2022 alla Palazzina di Caccia di Stupinigi è Giorgia Li Vecchi – in arte Giøve – cantautrice torinese classe ‘99. A luglio 2021 ha preso parte all’Altamarea Festival e ad ottobre 2021 ha vinto il premio al miglior testo al Premio Bianca D’Aponte, competizione riservata alle cantautrici. Prima volta di fronte a così tanti spettatori, Giøve non nasconde l’emozione, ma cerca sin da subito di coinvolgere il pubblico chiedendo di battere le mani all’unisono. Molti sono gli spettatori che la sentono cantare per la prima volta, altri sono già suoi grandi fan: nasce un vero e proprio tifo, con cartelloni, urla e Instagram stories con le lacrime agli occhi. 

Giorgia Li Vecchi (Giøve) sul palco del Stupinigi Sonic Park (foto: Chiara Vecchiato)

Pochi minuti di pausa, un bambino in braccio al genitore che chiede a gran voce «Ma quando arriva Irama?!», ed ecco che sale sul palco Epoque, nome d’arte di Janine Tshela Nzua, cantante e rapper di origine congolese, nata a Torino e cresciuta tra Parigi e Bruxelles. Tra i singoli che porta davanti al pubblico c’è “Boss (io & te)”. brano che mischia italiano, lingala e francese e che l’ha portata al successo; tornerà poi più avanti nella serata, al fianco di Irama, per cantare con lui il featuring “Moncherie”.  Più volte ripete «Nichelino, ci sei?», attirando l’attenzione non solo con la sua voce ma anche con un atteggiamento sicuro sulla scena. 

Irama ed Epoque sul palco del Stupinigi Sonic Park (foto: Chiara Vecchiato)

È la volta del tanto atteso Irama, che compare sul palco tra le note di “Mediterranea”, mentre il pubblico esplode in un grido di gioia. Si alternano singoli più conosciuti come “Arrogante” ed il nuovo “PAMPAMPAMPAMPAMPAMPAMPAM”; altri che «vediamo quanti la conoscono»: “È la Luna”. Nel buio della notte, il cantante chiede ai fan di accendere le torce del telefono, per cantare tutti insieme il brano che «dopo stasera» porterà «sempre nel cuore»: “Ovunque sarai”. Al suo fianco durante la serata è presente anche Fré Monti – Francesco Monti –, per cantare insieme il singolo “Milano”. 

Irama e Francesco Monti (Fré Monti) sul palco del Stupinigi Sonic Park (foto: Chiara Vecchiato)

Un’esibizione all’insegna dell’eterogeneità musicale: a cominciare dalla cantautrice Giøve, passando per il rap cosmopolita di Epoque e arrivando al pop di Irama, accompagnato dalla voce di Fré Monti. Generi diversi e artisti differenti, ognuno con il proprio percorso, che hanno saputo unirsi in un unico obiettivo: quello di lasciare ai propri fan, e non solo, un’emozione, da portarsi dietro fino al prossimo concerto. 

A cura di Chiara Vecchiato

Leggerezza e adrenalina: Novelo e gli Psicologi @ Flowers Festival

Migliaia di corpi, emozioni e pensieri che diventano una cosa sola nel momento in cui l’artista inizia a cantare: è possibile? Bisognerebbe chiederlo a Novelo e agli Psicologi che sabato 2 luglio, presso il Parco della Certosa Reale di Collegno, si sono esibiti all’interno del cartellone del Flowers Festival, organizzato da Hiroshima Mon Amour

Andrea Leone – Novelo (foto: Chiara Vecchiato)

Andrea Leone – in arte Novelo – è un cantante italiano che esordisce nel 2018 nel panorama napoletano. È lui ad aprire la serata: occhiali da sole, t-shirt, microfono in mano e sicurezza da vendere; così il cantante saluta il suo pubblico. L’interazione tra i giovani e l’artista è tanta, in poco tempo si battono le mani a ritmo di musica. Nonostante il caldo qualcuno esce dalla zona d’ombra per unirsi al coro, mentre qualcun altro ne approfitta per le ultime risate con gli amici. In poco tempo si crea come un caos ordinato, e le persone sotto il palco aumentano. L’adrenalina sale, mentre la luce del sole lascia il posto alle luci del palco. 

Gli Psicologi – i cantanti Marco De Cesaris, sulla destra, e Alessio Aresu, al centro (foto: Chiara Vecchiato)

«Quanto fate casino Torino?!»: la frase d’ingresso degli Psicologi (duo composto da Marco De Cesaris, in arte Draft, e Alessio Aresu, conosciuto come Lil Kvneki) è anche una sfida per i fan, che da quel momento iniziano a farsi sentire sempre di più. 

La loro scaletta è una salita progressiva verso l’apice, verso il momento in cui viene chiesto al pubblico di saltare, per poi proseguire verso la fine del concerto con singoli più malinconici come “Spensieratezza”. Il duo non perde l’occasione di rivolgere uno sguardo anche al sociale, invitando tutti a dare uno sguardo allo stand di Fridays for Future (movimento ambientalista internazionale di protesta, composto da alunni e studenti), presente durante la serata. 

Gli Psicologi con, al centro del palco, sull’asta del microfono, la bandiera arcobaleno (foto: Chiara Vecchiato)

I più audaci salutano gli Psicologi con cartelloni oppure urlando dalle prime file, nella speranza di ricevere qualche risposta. C’è anche chi osa di più e preferisce lasciare ai due qualcosa di decisamente più personale: un reggiseno. Lil Kvneki unisce le mani, accenna un inchino e mette il regalo al sicuro sul palco. Non saranno solo i fan a portarsi a casa un ricordo.  

A cura di Chiara Vecchiato

Un concerto “Insuperabile”: Rkomi per il Flowers Festival

Rkomi @ Flowers Festival – Foto: Ramona Bustiuc

Giovedì 30 giugno 2022 presso il Parco della Certosa Reale di Collegno si è tenuto il concerto di Rkomi all’interno del cartellone del Flowers Festival, organizzato da Hiroshima Mon Amour. Il cantante si era già fatto conoscere collaborando con artisti come Elodie, Elisa e Irama e partecipando nel 2022 al Festival di Sanremo.

Rkomi @ Flowers Festival – Foto: Ramona Bustiuc

L’atmosfera è da subito concitata: ci sono maturandi che non vedono l’ora di festeggiare, giovani coppie, genitori con figli e anche qualche solitario che coglie l’occasione per fare nuove amicizie. I fan fremono e l’ansia dell’attesa è palpabile; più volte iniziano cori per chiamare l’artista sul palco: «Mirko! Mirko!» (nome di battesimo del cantante). Nel frattempo, come riscaldamento per il vero e proprio concerto, qualcuno inizia ad accennare i primi movimenti di testa e bacino con la musica che risuona dalle casse sul palco; i genitori cominciano a spruzzare i bambini con l’antizanzare e a prenderli sulle spalle.

Rkomi @ Flowers Festival – Foto: Ramona Bustiuc

Entra Rkomi sul palco – «Ciao Torino!» – e il pubblico smette di fare qualsiasi cosa, cominciando ad applaudire ed esultare. Si sollevano i primi cartelloni e le prime urla, i fan – principalmente di sesso femminile – sono in visibilio. Si apre il concerto e il cielo comincia a lampeggiare proprio mentre Rkomi solleva il microfono verso gli spettatori, che stanno cantando a squarciagola: per un attimo tutto sembra fermarsi e sono loro i protagonisti della serata. I bassi arrivano a vibrare dritti nel petto, aumentando l’adrenalina; nelle canzoni più romantiche scatta qualche bacio.

Rkomi @ Flowers Festival – Foto: Ramona Bustiuc
Rkomi @ Flowers Festival – Foto: Ramona Bustiuc

Si conclude con “Luna piena” e scendono le prime gocce di pioggia. Nessuno si ripara, sta per iniziare il pezzo successivo, ma basta una folata di vento – che di lì a presto diventerà bufera – per fare cambiare idea alle 4000 persone che si trovano di fronte al palco; in un attimo Rkomi e i suoi musicisti capiscono che non possono continuare. «Ci rivedremo presto» comunica tristemente sui social, e per i fan questa sarà un’avventura da raccontare.

A cura di Chiara Vecchiato

N.B. Per venire incontro al pubblico di Rkomi, (che ha potuto godere soltanto di un concerto a metà) il Flowers Festival ha deciso di far valere il biglietto dello stesso concerto (in formato digitale o cartaceo) per uno dei seguenti spettacoli:

5/07: Carmen Consoli/Casadilego
6/07: Gemitaiz
7/07: Manuel Agnelli
10/07: Ernia
11/07: Noyz Narcos/Rancore/Gemello/Rico Mendossa
13/07: Margherita Vicario/Ditonellapiaga/Caffellatte
14/07: Yann Tiersen
15/07: Eugenio in Via di Gioia/Rovere
16/07: Ariete

Un quartetto jazz in mille luoghi: il Buster Williams Quartet per il Torino Jazz Festival

Il 16 giugno 2022 si è tenuto, presso le Officine Grandi Riparazioni, il concerto dal titolo “Something more”, per il Torino Jazz Festival; a suonare era il Buster Williams Quartet, con Buster Williams (contrabbasso) alla guida del gruppo composto da Steve Wilson (sassofono alto e tenore), George Colligan (pianoforte) e Lenny White (batteria). Due figure centrali, quelle di Williams e White, che per tutto il concerto hanno intrattenuto il pubblico modulando il ritmo musicale a seconda delle emozioni che volevano suscitare in quel momento, o che forse loro stessi stavano provando.   

Foto: Chiara Vecchiato

Dopo le presentazioni, i musicisti iniziano a suonare, portando sin da subito una ventata di freschezza e leggera allegria. Una tranquillità che durerà per poco: in un attimo, infatti, si viene trasportati all’interno della complicità del quartetto e tra uno scambio di sorrisi e l’altro, ci si sente pervasi dalla voglia di alzarsi e ballare su quelle note vivaci. Qualcuno si limita a dondolare il piede o scuotere leggermente la testa, qualcun altro non si osa ma vorrebbe. Già al termine del primo brano il pubblico si sbilancia in un grande applauso. 

Una brevissima pausa, il tempo di un respiro, e si ricomincia. Un’atmosfera nuova, sembra di stare tra le nuvole: tutto diventa effimero, sfuggente. Gli effetti scenografici, con un’illuminazione dietro ai musicisti e il fumo sul palco, dà allo spettatore l’impressione di essere avvolto in uno spazio indefinito, ma presto tutto viene rovesciato e il brano si carica di vivacità; batterista e pianista si danno uno sguardo d’intesa  facendosi trasportare dalla linea melodica del contrabbasso: Colligan si anima e sembra ballare con le dita sul pianoforte, mentre White accenna sorrisi, agita testa e busto. Wilson – quando non suona – riprende fiato chiudendo gli occhi, rapito lui stesso dall’emozione. Williams rimane al centro, immobile, accarezzando le corde del contrabbasso con le dita segnate dalla sua lunga storia, una carriera che lo ha visto comparire in dischi storici di Herbie Hancock, Art Blakey, Herbie Mann, McCoy Tyner, Dexter Gordon, Roy Ayers, o come sensibile accompagnatore di voci quali Bobby McFerrin, Sarah Vaughan, Nancy Wilson e Betty Carter.

Il tempo corre e poco dopo non siamo più sulle nuvole o in un raffinato locale di New York a bere un Dirty Martini, l’impressione è quella di assistere all’inizio di un concerto rock o di essere su una spiaggia a osservare le onde del mare agitarsi e poi trovare pace. Ciò che si ascolterà ad un concerto jazz non è mai scontato, così come le emozioni che quella serata lascerà, perché come recita la scritta sugli schermi all’interno della Sala Fucine: «Il jazz è ordinato? Un brano ha un inizio e una fine. Nel mezzo è imprevedibile». 

    A cura di Chiara Vecchiato

Emozioni al teatro regio: Le 8 stagioni

Il Teatro Regio, in collaborazione con il socio fondatore Iren prosegue con il ciclo In famiglia, il cartellone dedicato a bambini e ragazzi. Sabato 9 aprile 2022 si è tenuto il concerto Le 8 stagioni, con l’Orchestra d’Archi del Teatro Regio e, in veste di maestro concertatore e violino solista, Sergey Galaktionov: primo violino dell’Orchestra del Teatro Regio, già vincitore di numerosi concorsi tra cui il Concorso Internazionale Viotti, ha collaborato con le principali orchestre internazionali ed affermati direttori della scena musicale contemporanea.

Il programma prevedeva l’esecuzione alternata de Le Stagioni di Antonio Vivaldi (1678-1741) e Las cuatro estaciones porteñas – conosciute anche come Le quattro stagioni di Buenos Aires – di Astor Piazzolla (1921-1992).

Due compositori divisi da due secoli e mezzo e undicimila chilometri, che hanno saputo catturare l’attenzione anche dei più piccoli, seduti sulle poltrone del Teatro Regio. Il concerto si apre con La Primavera di Vivaldi, seguita dal Verano porteño di Piazzolla: mentre nella prima l’Orchestra e Galaktionov sembrano sbocciare, proprio come fiori nella stagione (si intravede anche qualche sorriso, nascosto sotto la mascherina, tra i violini), con l’estate ci si sente quasi ingannati, tutto sembra fuorché la stagione del sole. Il ritmo sincopato strizza l’occhio al tango, e sin dalle prime note ci si immagina due ballerini sul palco, intenti a danzare accompagnati dall’Orchestra; eppure, sono presenti solo i musicisti. Galaktionov è totalmente nella parte, suonando riesce a trasmettere tutto ciò che prova in quel momento: la sua è un’emozione talmente forte che un crine del suo archetto si rompe, ma lui continua la sua performance e, in un attimo di pausa, stacca via il crine come se avesse appena concluso un passo di danza difficilissimo e stesse prendendo fiato prima del prossimo.

È impossibile confondere il virtuosismo di Vivaldi con la musica astratta di Piazzolla, e una bambina seduta in terza fila sembrava saperlo bene. Su quella sedia rossa, tra la mamma e la nonna, con la custodia del violino davanti alla gambe, dondolava la mano a tempo dell’Otoño porteño; proprio come Sergey accennava piccole oscillazioni con il corpo durante l’intervento solistico del violoncello. Quella bambina non era l’unica ad essere incantata dall’atmosfera creatasi: al termine del concerto, dopo molti applausi, mille emozioni, e gli inchini dell’Orchestra e di Galaktionov, il maestro concertatore ringrazia il pubblico per essere stato lì e chiede «Vivaldi o Piazzolla?». In un istante, l’inimmaginabile a teatro: un bambino, dal fondo della platea, grida «Piazzolla!» e, in quel momento, tutti hanno capito l’importanza della musica, capace di far riflettere ed emozionare i più grandi e, allo stesso tempo, sognare i più piccini.

In evidenza: Sergey Galaktionov e l’Orchestra d’archi (credits: comunicato stampa Teatro Regio)

a cura di Chiara Vecchiato