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Quando la musica si trasforma da gioco a talento. Porrovecchio e Consonni al Conservatorio di Torino

I grandi virtuosi dell’Ottocento riuscivano ad incantare le platee con il loro modo di stare sul palco. Oggi, 13 marzo 2023, a stregare il pubblico sul palco del Conservatorio «Verdi» di Torino non sono i grandi del passato ma due giovani musicisti che sin da piccoli hanno abbracciato la strada della musica come bambini-prodigio: Riccardo Porrovecchio e Martina Consonni, un violinista ed una pianista poco più che ventenni che si esibiscono per la De Sono con un repertorio intenso e di ardua esecuzione.

Porrovecchio ha tenuto in mano il suo primo strumento musicale a soli quattro anni, un violino giocattolo ma che presto si è trasformato in un violino Guadagnini del 1849. Il gioco trasformatosi in una vera passione, lo ha portato a studiare in molte città europee. Musicista acclamato in festival e in rassegne internazionali nonché vincitore di numerosi concorsi, si esibisce come solista e in formazioni cameristiche. 
Consonni, invece, si è avvicinata al pianoforte in maniera naturale all’età di sei anni diventando la più giovane vincitrice al concorso Premio Venezia, tappa e sogno di molti giovani pianisti. Ha suonato in tutto il mondo, ma continua a perfezionarsi a Berlino e a Kronberg.

Passando da un virtuosismo espressivo ed energico come quello di Paganini fino al virtuosismo più intimo di Chopin, il duo ha dimostrato la sua grande capacità di alternare momenti decisi ad altri più intimi e delicati, rimanendo sempre affiatati l’uno con l’altro. 
Con grande scioltezza e naturalezza Porrovecchio è riuscito a gestire i cambi di ritmo e di tecniche di produzione del suono passando da pizzicati con la mano destra a pizzicati con la mano sinistra, da un colpo d’arco legato ad uno saltellato, da un glissando ad uno staccato. Una grande abilità tecnica che il “diabolus in musica” Paganini richiede.

Foto di Francesca Cirilli

Paganini, Chopin e Liszt: tre musicisti capaci di trasformare i virtuosismi in emozioni, in sentimenti o in ritratti dettagliati di personaggi operistici. Esempio ne è la Parafrasi sul Rigoletto che ha dato conferma della grande abilità di Consonni di gestire fiumi di note, e di immedesimarsi nel personaggio divertendosi con esso.

Nel Gran duo concertant sur “Le marin” di Liszt, la corsa concertante tra violino e pianoforte ha creato continui giochi musicali lasciando a bocca aperta tutti gli spettatori che non riuscivano a togliere lo sguardo dai fluidi movimenti del duo. Attraverso un dialogo equilibrato tra i due strumenti, il tema principale si è trasformato in variazioni che hanno messo in evidenza l’energia lisztiana.

Consonni è riuscita ad entrare nei brani e ad immedesimarsi nei vari sentimenti espressi dalle melodie. Energica ma allo stesso tempo leggera, ha suonato muovendosi velocemente nell’ampio registro sonoro.
Entrambi, con semplicità, hanno suonato gli strumenti “ai limiti dell’umanamente possibile” proprio come l’estetica del virtuosismo romantico richiedeva.

Foto di Francesca Cirilli

Allontanandoci dalle città dei grandi musicisti, con un brano di Pablo De Sarasate il concerto ha assunto un tocco di esotismo. Il pubblico, trasportato in un mondo spagnoleggiante, ha ascoltato temi popolari fusi ad un virtuosismo spettacolare che il Duo ha dimostrato poter essere ricco di sentimento.

Come ha affermato la pianista Consonni durante la lezione concerto tenuta all’Università di Torino la mattina del concerto «Le accademie di perfezionamento italiane sono tutte private. Anche all’estero ci sono numerosi costi da sostenere». La De Sono, in questo senso, sta dando un grande supporto a molti giovani musicisti che vogliono studiare e vivere per e di musica. Per ringraziare l’impegno dell’Associazione, i due giovani talenti hanno concluso il concerto dedicando a Francesca Camerana, fondatrice della De Sono, un brano intimo e dolcissimo ma di grande potenza evocativa: l’Intermezzo dalla Cavalleria Rusticana.

A cura di Ottavia Salvadori

Il regista de L’Esorcista questa volta parla di un celebre amore: Aida torna al Regio

Continua la stagione del Teatro Regio con le anteprime delle opere rivolte ai giovani under 30. Il programma che vuole avvicinare i ragazzi al mondo dell’opera funziona molto bene: biglietti sold out in quattro giorni. Ancora una volta i giovani si vedono avvicinati ad una realtà che sembra a loro distante e inaccessibile ma che viene sfruttata come occasione di crescita.

Torino il 24 febbraio 2023 ospita nuovamente l’Aida di Giuseppe Verdi, questa volta diretta da Michele Gamba, un giovane direttore d’orchestra attivo in ambito sinfonico e con un interesse per la musica contemporanea. Creando brevi interventi tra un cambio di scena e l’altro e rivolgendosi al pubblico con un linguaggio diretto, semplice e comprensibile, Gamba ha aderito pienamente alla proposta del Regio.

Riccardo Fracchia decide di riprendere la regia di William Friedkin, regista Premio Oscar di cui si ricorda il celebre film L’Esorcista, che curò l’allestimento dell’Aida nella stagione 2005-2006: una scelta particolare per un regista dedito alla cinematografia horror e thriller.

Foto dal link https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/aida-anteprima-giovani

Un’introduzione all’opera è stata offerta nel foyer del toro dall’attrice Chiara Buratti sostenuta al pianoforte da Giulio Laguzzi, direttore musicale del palcoscenico del Regio. Con grande dimestichezza e a mo’ di “jukebox”, Laguzzi ha suonato al pianoforte alcuni dei temi principali dell’opera e, con voce soave, ha riprodotto il canto del soprano Aida trasportando gli spettatori nel clima e nella disperazione della protagonista. Il pubblico, tra cui pochi neofiti, attraverso il racconto della vicenda e piccole curiosità su Verdi, ha avuto la possibilità di entrare nella trama di Aida, di conoscerla e ammirare dal suo interno elementi fondamentali per la sua lettura. L’idea che il melodramma sia uno spettacolo polveroso sta forse pian piano sparendo dalle menti dei giovani? Come dice il direttore d’orchestra Gamba «L’opera non è un cumulo di cenere, è qualcosa di rilevante per noi…parla di noi e dell’oggi».

«L’opera lirica è l’unione di quasi tutte le forme d’arte di cui l’uomo è capace, è l’unione della musica, del canto, del recitativo, della poesia, della scenografia, dei trucchi, dei balli…» ha detto Buratti, e Verdi, uomo di teatro, ci dimostra la sua capacità di utilizzare tutti questi elementi per creare uno spettacolo che colpisce per la sua grandezza. Un’opera, dunque, maestosa ma allo stesso tempo intima, in cui le fragilità vengono affrontate con forza. Grandi masse vocali che hanno travolto il pubblico con potenza, si contrapponevano a frasi sottili, in pianissimo e ancora più piano trasportando la mente in un sogno onirico, quello della pace tra i popoli. La dinamica è una caratteristica fondamentale delle composizioni verdiane, ma talvolta è stata trascurata in funzione di altri aspetti della scrittura musicale. Durante i suoi interventi il direttore d’orchestra ha affermato che «…la musica ci evoca qualcosa… l’evocazione di un’atmosfera è più di una semplice pittura di paesaggi…» gli spettatori, infatti, hanno condiviso insieme ai personaggi le vicende e le emozioni. La musica ha rievocato ambienti a noi estranei, mai vissuti. Eppure, tutto sembrava essere così familiare.

Anna Nechaeva (Aida), Gaston Rivero (Radamès) e Silvia Beltrami (Amneris)
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Musiche che risuonavano lontane alla vista ricreavano una spazializzazione e un’ambientazione che riprendeva le maestose architetture visibili sul palco. Statici e imponenti edifici si stagliavano sulla scena, rendendo i personaggi piccoli e quasi impotenti. Nonostante questo, con grande abilità i cantanti sono riusciti ad emergere dalla possente scenografia. In particolare il soprano Anna Nechaeva che con grande capacità e poco preavviso ha sostituito Angela Meade nel ruolo di Aida: con la sua performance, è riuscita a trasmettere abilmente al pubblico le emozioni e il dolore della protagonista.

La scenografia e la regia ci sono parse troppo statiche nonostante i cambi di scena abbiano continuamente variato le dimensioni del palco. Hanno trovato comunque modo di alleggerirsi con momenti coreografici eleganti che, con la raffinatezza e leggerezza del corpo di ballo, hanno donato movimento e dinamicità all’opera. Pochi colori hanno contraddistinto il palcoscenico. Luci calde gialle e rosse si alternavano a luci fredde sulle tonalità del blu per donare una particolare atmosfera ai diversi quadri. In particolare la scena del trionfo ha visto contrapposti il bianco delle tuniche dei sacerdoti e il grigio della pietra ad uno sfondo blu acceso, poco funzionale alla vicenda, e alle luci calde che hanno creato un’ambientazione fedele all’Antico Egitto, ma un clima poco maestoso. Una marcia trionfale, più efficace nella scenografia che nella musica, ha accompagnato l’ingresso vincitore di Radamès nella città di Tebe. Con stendardi e trombe ai lati del quadro, la scena è risultata infatti di grande impatto visivo, con una geometria e simmetria che probabilmente vuole ricordare anche il grande interesse di Verdi per l’architettura non solo musicale ma anche legata allo spazio.

Baobab! e gli Atlante
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Come da programma, la serata si è conclusa con Contrasti, format che vede unire drammi del passato a protagonisti della scena Torinese. Ospiti in questa serata gli Atlante e Baobab! che, con pochi brani, hanno commosso molti dei presenti con canzoni che hanno visto unire voce, chitarra acustica ed elettrica, basso, pianoforte e sintetizzatori.

Ancora una volta il Regio ottiene un grande successo permettendo ai giovani di vivere il teatro e di farlo vivere.

A cura di Ottavia Salvadori e Roberta Durazzi

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Dillon e Torquati: un duo pieno di energia alla ricerca di melodie dimenticate

Passione ed espressività sono le due parole con le quali si può descrivere l’interpretazione del Duo Dillon-Torquati.
Con un programma originale che vuole far riscoprire brani dimenticati il Duo, invitato dall’Unione Musicale, ottiene un grande successo al teatro Vittoria il 19 febbraio 2023.

I due musicisti, insieme dal 2007, girano il mondo portando in scena non solo i grandi lavori cameristici ma anche brani poco celebrati. A teatro accanto ad ensemble prestigiose e sulle frequenze radiofoniche, incantano ormai da più di quindici anni il pubblico internazionale.

Con questo spettacolo il Duo ci ha dimostrato come sia possibile accostare brani di repertorio a brani di raro ascolto. Brasile, Francia, Repubblica Ceca e Russia si uniscono in un concerto che ipnotizza gli ascoltatori.
Pensando a questi quattro paesi ci si aspetterebbe repertori molto differenti tra loro, eppure il programma ha dato prova di come procedimenti compositivi che sembrano distanti tra loro, risultino in realtà molto simili.
I quattro compositori ci rivelano come sia possibile unire elementi giocosi e popolari ad elementi più classici, inquieti e rigidi. Esempio lampante Pohádka di Janáček e la Sonata di Prokof’ev: il primo presenta una dimensione fiabesca e una ritmica pungente, il secondo melodie infantili e un tema marziale. A ben guardare, dunque, entrambi i compositori seppur appartenenti a canoni differenti, condividono temi analoghi.

Come richiesto dalle partiture, Dillon è riuscito con grande abilità a sfruttare a pieno le capacità sonore del violoncello utilizzandolo ora come chitarra, ora come strumento percussivo.
La sua energia si è abbattuta sull’archetto che durante l’esibizione ha visto rompersi molti crini, ma questo non lo ha fermato anzi, gli ha dato ancora più energia per continuare a suonare con espressività.

La musica è diventata per il Duo fonte di energia e di divertimento. Nonostante il grande impegno e capacità tecnica richiesta dai brani in programma, i due musicisti hanno trovato il modo di farli propri al punto di riuscire a giocare e a divertirsi su e con essi. Il concerto è
risultato essere un continuo dialogo tra Dillon, Torquati e i loro strumenti, che attraverso gesti e sguardi sono riusciti a comunicare tra loro in maniera affascinante.

I due musicisti con la loro simpatia e gesti teatrali hanno incantato gli spettatori che a gran voce hanno richiesto un bis. Il Duo ha quindi deciso di esibirsi con la Romanza di Skrjabin, donando così al concerto un tocco di lirismo.

A cura di Ottavia Salvadori e Roberta Durazzi

“Quel che resta” degli Elephant Brain alle OGR

Uno stage pieno di catene di pedali per chitarre e basso, una band di amici che sa come divertirsi, un pubblico prontissimo a pogare come per ogni degno concerto punk che si rispetti. È la ricetta perfetta per trascorrere una serata divertente all’insegna di buona musica e fiumi di birra. Sembra la descrizione di un videoclip musicale ambientato in un concerto e, per certi versi, quello degli Elephant Brain appare proprio così. La band − formata da Vincenzo Garofalo (voce, chitarra elettrica), Andrea Mancini (chitarra elettrica, cori), Emilio Balducci (chitarra elettrica), Roberto Duca (basso) e Giacomo Ricci (batteria, cori) si è esibita nella Sala Duomo delle OGR il 19 febbraio.

Foto: Elisabetta Ghignone

L’apertura del concerto è affidata al cantautore romano Amalfitano, che prova a farci ritornare agli anni ’70 con le sonorità della musica leggera italiana combinate a suoni più moderni e quell’ironia pungente tipica di alcuni cantautori dell’epoca. L’artista riesce a creare una bella atmosfera: nonostante il pubblico non conosca le sue canzoni, si guadagna l’attenzione di tutte le persone in sala in attesa dell’arrivo degli Elephant.

La band perugina sta affrontando il primo vero tour, Canzoni da odiare, titolo dell’omonimo album uscito nel novembre 2022 e quella di Torino è una delle prime date. Il gruppo è figlio della pandemia, la stessa che ormai ci sembra solo un lontanissimo ricordo. Canzoni da odiare è nato mentre il mondo sembrava essere congelato ed è stato mixato da Jacopo Gigliotti, componente dei Fast Animals and Slow Kids (di cui si ritrovano alcune sonorità). Il fatto che si tratti, per l’appunto, di una band consolidatasi durante il lockdown, che sta affrontando la nuova esperienza del tour (facendo lo slalom tra le serate da rockstar e i «veri lavori» che impongono orari ben precisi) non ferma i cinque amici: già dal primo accordo dimostrano di essere in grado di impadronirsi del palco − nonostante non ci sia un vero palco nella sala – e catalizzare l’attenzione del pubblico sulle canzoni dal sapore doloroso e del desiderio di rivalsa.

Foto: Elisabetta Ghignone

L’intero spettacolo è frutto di una miscela esplosiva (sarebbe difficile descriverlo diversamente): in live funzionano ancora meglio rispetto alle registrazioni in studio − in cui risultano comunque essere molto bravi. Si vede che i ragazzi, prima di ogni cosa, si divertono e questa spensieratezza sembra spazzare via qualsiasi insicurezza. Creano un’immediata connessione con il pubblico, Garofalo e Mancini diverse volte si mischiano tra la folla e quest’ultimo sale sulla cassa che gli fa da rialzo per potersi tuffare sui fan pronti a reggerlo.

Foto: Elisabetta Ghignone

Rimane tanta adrenalina e la voglia di ascoltarli ancora e ancora. 

a cura di Alessia Sabetta

Il Trio Eidos: una scoperta sorprendente

Entrando a un concerto della De Sono, e in particolare al concerto che si è tenuto in Conservatorio il 14 novembre, l’impressione che ha il viandante musicofilo è quello di essersi ritrovato in mezzo a una festa di famiglia: la De Sono effettivamente lo è, nel modo in cui adotta giovani musicisti a cui offrire sostegno economico, morale e un luogo dove esibirsi, senza perderli poi di vista nello sviluppo delle loro carriere internazionali. Ma lo è anche perché aveva una Mamma, Francesca Gentile Camerana, che ne è stata la fondatrice e l’anima per più di trent’anni: scomparsa nel corso di questa estate 2022, la sua figura è stata ricordata prima del concerto a tutti i presenti, membri della famiglia De Sono e outsider che, in un modo o nell’altro, hanno avuto a che fare con lei: e chiedendo perdono al lettore per l’autoreferenzialità, devo rammentare che persino noi, che pure non meritiamo niente, abbiamo avuto la fortuna di godere della straordinaria generosità di Francesca: è giusto che, nel nostro piccolo, la ricordiamo qui.

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