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La Tragédie De Carmen: un’opera attuale e imprevedibile

L’opera torna al Teatro Concordia di Venaria Reale grazie alla collaborazione con la Compagnia Lirica Tamagno: un’impresa fondata nel 1992 attiva nei territori piemontesi per portare in scena opere liriche di tradizione e diffondere la cultura musicale ad un pubblico popolare, privilegiando teatri i cui cartelloni non prevedono una programmazione operistica.

Tutti conoscono la celeberrima opéra-comique di Bizet, Carmen, ma pochi conoscono l’adattamento di Peter Brook: La tragédie de Carmen, un progetto radicale che ridimensionò la partitura originale in un atto unico per orchestra da camera, spogliandola delle scene corali. Brook non si limitò solo a questo, ma accelerò il ritmo del racconto adeguando il tempo musicale e esplorò gli intricati legami tra i quattro personaggi principali: Carmen, Don José, Micaela, Escamillo.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Dopo il debutto a Savigliano, va in scena al teatro Concordia quest’opera controversa, con la nuova edizione del Circuito Lirico Piemontese guidata alla regia da Alberto Barbi, attore e regista torinese con una
formazione artistica eterogenea che va dal teatro di parola al teatro fisico, dal circo al musical. Barbi propone un’opera che si rifà all’idea di spazio vuoto teorizzata da Brook: il palco è una scatola bianca, chiusa su tre pareti, dove recitazione e canto si uniscono per far emergere solo i personaggi e i loro drammi attraverso un mescolamento di parlato e canto. Accanto alle arie in francese dei quattro personaggi principali, vi sono – al posto dei recitativi – momenti di prosa parlata in italiano; personaggi come il tenente Zuniga e il taverniere Lillas Pastia si esprimono con semplici parole declamate.

Si apre il sipario, dieci rintocchi di un timpano solo, la scena deserta con un solitario tavolo posizionato in verticale al centro del palco; tutto contribuisce a creare un’atmosfera funerea. Accovacciata e nascosta dietro di esso, Carmen indossa vestiti neri, un velo scuro sul volto e tiene tra le mani le carte, simbolo del tragico destino che la vita le riserva ed elemento fondamentale per la rappresentazione della sua personalità. Da questo momento Carmen, donna emancipata e indipendente, non abbandonerà praticamente mai la scena. Personaggio affidato a Irene Molinari, mezzosoprano laureatosi al Conservatorio di S. Cecilia di Roma e vincitrice di concorsi nazionali e internazionali, con la sua potenza vocale incanta il pubblico grazie alla sua capacità di passare da un registro grave ad uno più acuto con grande versatilità.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

La scena, spoglia di tutti quegli elementi considerati superficiali, presenta solo pochi oggetti: il tavolo, presente per tutto lo spettacolo e che assume diverse funzioni – come per esempio quella di prigione – e delle sedie che nel finale circondano Carmen e la imprigionano in un cerchio, simbolo del suo destino ormai segnato, e che rappresentano, forse, la solitudine nella quale ormai si trova; nessuno al suo fianco ma, a proscenio, la sua antagonista Micaela che sembra trasformarsi nello spirito di Carmen e non trova il coraggio di rivolgere lo sguardo verso il suo vero corpo. Altro elemento pregnante della scenografia sono le luci che virano dal blu al rosso passando per il verde: giochi di luci omogenee che talvolta creano ombre misteriose sulle pareti di grande effetto scenico.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Alcune scelte puntano ad attenuare il dinamismo che domina nell’opera di Bizet. L’habanera, una delle arie più famose dell’opera e che nella versione originale stimola grande fisicità, corporeità e imprevedibilità, viene trasformata da Barbi in una scena priva di danza e di movimento. I pochi gesti di Carmen appaiono rigidi e la scena immobile. Anche l’orchestra Bartolomeo Bruni, affidata al giovane Takahiro Maruyama, accoglie le novità proposte da Brook. I timbri si disgregano e i colori si disperdono nell’ambiente. Non solo, dunque, una scena priva di elementi decorativi ma anche l’ambiente sonoro viene spogliato e reso essenziale.

Brook decide di mettere in luce gli aspetti più crudi della vita e i conflitti tra i personaggi sacrificando, così, gli elementi più sensibili e romantici. L’aria “La fleur que tu m’avais jetée” viene, infatti, deliberatamente separata dal duetto tra José e Carmen per fare spazio ad una scena in cui emerge il lato più violento di José che uccide Zuniga e si scontra con Escamillo in una lotta posticcia a “colpi di navaja”.  L’atmosfera passionale del duetto viene pertanto bruscamente interrotta dal lato oscuro e cruento della storia. “La fleur”, ridotta ad una sola strofa, appare come un momento solitario: José solo in scena rivolge lo sguardo e il suo canto al pubblico. Carmen entra in scena in modo furtivo ma si mantiene a distanza per contemplare le parole proferite da José. Ignaro della presenza della sua amata, continua a cantare e, solo dopo la sua dichiarazione esplicita del suo amore con le parole “Carmen ti amo!”, si volta verso di lei come se avesse intuito la sua presenza. Perfino Micaela viene rappresentata come una donna a tratti violenta, che litiga con Carmen. Lei, donna spirituale che sin da subito dimostra la sua devozione nei confronti di un Dio, donna semplice portatrice del bacio materno a Don José, viene aizzata dalla donna seduttrice e passionale. Una lotta che diventa antitesi del finale: dopo l’uccisione di Carmen, Micaela piange disperata accanto ad un altarino. È proprio in questo momento che si tornano a sentire i rintocchi funebri del timpano che diventano eco di un viaggio umano che ha attraversato l’amore e la perdita portando lo spettatore a meditare sulle sfumature dell’animo e a riconoscere l’eterno divenire della vita.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Forse la regia, consapevole della complessità della storia, ha deciso di non inviare un messaggio univoco al pubblico, evitando di schierarsi esplicitamente dalla parte di Carmen o da quella di José. In questo spettacolo aperto a diverse interpretazioni, la storia di un femminicidio 800esco diventa specchio della tragica attualità nella quale ancora oggi siamo immersi.

A cura di Ottavia Salvadori

“La Rondine” di Puccini in un particolare omaggio al Teatro Regio

Al Teatro Regio continua il successo di anteprime per ragazzi under 30. Ancora una volta la sala è piena di giovani che vogliono avvicinarsi ad un mondo lontano da quello contemporaneo. 

Il 16 novembre 2023 è andata in scena La Rondine, commedia lirica poco conosciuta del celebre Giacomo Puccini. La direzione dell’orchestra è stata affidata a Francesco Lanzillotta, direttore d’orchestra e attento esperto del panorama operistico italiano contemporaneo. Lanzillotta ha dimostrato la sua grande abilità, riuscendo a comunicare la forza di quest’opera, che si muove a ritmi di danza tipici dell’epoca pucciniana, tra cui il tango, il one-step e soprattutto il valzer. Quest’ultimo è centrale in tutta la rappresentazione e dona momenti di sensualità e passione. 

Degna di nota è la regia di Pierre-Emmanuel Rousseau, che torna a Torino dopo l’inaugurazione della stagione scorsa. Il nuovo allestimento de La Rondine vuole essere un omaggio innanzitutto al Teatro Regio, ma anche agli anni Settanta francesi, anni di fermento successivi alle rivolte del Sessantotto. Rousseau ha collocato, quindi, l’azione in un anno ben preciso, il 1973, momento della riapertura del Teatro dopo la ricostruzione progettata dall’architetto Carlo Mollino, a seguito del tragico incendio del 1936. 

Il primo atto si svolge in un loft minimalista dell’alta borghesia francese durante un after party. La scena è arredata con piccole sculture che fanno riferimento a Mollino, mentre i colori si concentrano sul nero e sull’oro, alimentando l’idea di ricchezza dei personaggi coinvolti. Nel secondo atto si viene catapultati in una grande festa proprio nel foyer del Teatro Regio, ben rappresentato in ogni dettaglio. Infine, nel terzo atto ci si ritrova in Costa Azzurra, evocata dallo sfondo celeste, simile al colore del mare e, soprattutto, dagli abiti indossati dai protagonisti: costumi da bagno e camicie leggere.

L’esibizione corale del secondo atto è stata sicuramente la più coinvolgente: sembrava davvero di partecipare, insieme ai protagonisti, ad un party anni Settanta. Il coro, istruito dal maestro Ulisse Trabacchin, si è ben inserito nella scena e i ballerini, su coreografie di Carmine de Amicis, si sono esibiti in danze tra cui il vogueing. In questo quadro, oltre alla scenografia, un altro omaggio al Regio: i costumi di scena sono stati presi in prestito direttamente dal magazzino della sartoria teatrale. La performance è stata accolta molto positivamente da tutto il pubblico in sala, il quale ha espresso il suo consenso con un lungo e caloroso applauso.

I cantanti sono emersi bene durante tutta la rappresentazione, senza mai essere sopraffatti dall’impianto scenografico. In particolare, la protagonista Magda, interpretata dal soprano di origine russa Olga Peretyatko, che grazie alle sue capacità e alla grande estensione vocale, è riuscita a rendere leggeri e piacevoli acuti, senza mai mostrare fatica. 

Interessante la realizzazione del progetto Contrasti per questa serata. L’artista ospite è stato Marquis, giovane promettente che nell’ultimo anno ha collaborato alla composizione delle musiche per la colonna sonora della serie I leoni di Sicilia, tratta dall’omonimo romanzo di Stefania Auci. Come d’abitudine l’esibizione si è svolta nel Foyer del Toro, questa volta però non in conclusione della serata, ma come sottofondo durante gli intervalli, generando veri e propri “contrasti” all’atmosfera del teatro.

Dunque, ancora una volta il Regio è riuscito a incuriosire e avvicinare un pubblico giovane, contestando una visione elitaria del teatro lirico.

A cura di Roberta Durazzi

Al Teatro Regio Madama Butterfly: oggi come allora

Si conclude sabato 10 giugno, il ciclo “Anteprima giovani” del Teatro Regio con la messa in scena di Madama Butterfly. Lo spettacolo, con la regia di Damiano Michieletto e Dmitri Jurowski alla direzione d’orchestra e coro, è stato firmato dal regista stesso per il teatro torinese nel 2010 e questa è la terza ripresa dopo quelle del 2012 e del 2014. 

Madama Butterfly è l’eterna dicotomia tra la globalizzazione americana contro un Oriente che prova a tenere strette le proprie tradizioni; è una storia struggente di una donna (in questo caso ancora una bambina) sedotta e abbandonata; potrebbe essere uno dei numerosi casi di turismo sessuale (minorile) che continuano a verificarsi nella società odierna. Però Madama Butterfly, prima di ogni cosa, è un’opera in tre atti composta all’inizio del ‘900 da Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. E il fatto che continui ad essere ancora così contemporanea fa riflettere.

Dalla cartella stampa del Teatro Regio (ph Andrea Macchia)

Niente abiti tradizionali o la consueta, idilliaca ambientazione ottocentesca: il pubblico è catapultato di fronte a una metropoli asiatica come tante, con cartelloni pubblicitari, insegne al neon, food truck, vestiti moderni e una lussuosissima macchina bianca − al posto della nave − che sta ad indicare lo status symbol di Pinkerton (Matteo Lippi nei suoi panni). Non una tipica casa di legno giapponese con il tatami e le porte scorrevoli, ma una teca in plexiglass − proprio come quelle in cui si tengono le farfalle − piena di peluche e giocattoli, ma anche «pochi oggetti da donna…» che Cio Cio San (per l’occasione interpretata da Barno Ismatullaeva) chiede il permesso al neo-marito di possedere. Anche questi a simboleggiare una dicotomia di una bambina chiamata a crescere troppo in fretta, forse senza neanche volerlo davvero e la donna che sarebbe potuta diventare. E infatti, dopo tre anni in cui è persa nella sua ingenuità, è costretta ad avere la sua metamorfosi (da bambina a donna), in una notte sola, quando, finalmente consapevole di quello che le è successo, si punta una pistola alla tempia −anche in questo caso, non un pugnale, non un coltello, ma una pistola − e pone fine alle sue sofferenze. 

dalla cartella stampa del Teatro Regio (Ph Andrea Macchia)

Il tutto è svuotato da qualsiasi sfumatura fiabesca o da quell’esotismo che ha sempre caratterizzato l’opera: la storia si svolge tra il completo cinismo di Pinkerton, che è solo avido di addentare la sua preda e la sua spietata moglie americana pronta a strappare il bene più prezioso di una madre (ovvero la creatura che ha messo al mondo); l’opportunismo di una donna che vende una figlia in cambio di becero denaro; l’indifferenza degli altri protagonisti tra cui Sharpless (Damiano Salerno) di fronte alla realtà dei fatti. Un girotondo intorno ad una Butterfly che, purtroppo ancora oggi, impersona la storia di tante altre farfalle a cui sono state spezzate le ali.

Gli attori sono perfettamente calati nei loro ruoli: coinvolgenti e persuasivi rendono la drammaticità del racconto che, anche grazie alla loro interpretazione, arriva ancora di più agli spettatori in sala. La scelta dell’ambientazione non convenzionale (così come per Il Flauto Magico), esempio di grande coraggio da parte di un regista già conosciuto per il suo spirito provocatorio, viene premiata dal pubblico che, alla fine della rappresentazione, scoppia in un forte e caloroso applauso. Soprattutto, in questo modo, è più facile leggere la vicenda in chiave contemporanea e capire che non è una storia poi così lontana dalla nostra quotidianità. E questo è importante.

a cura di Alessia Sabetta

Passaggi d’estate: gioie musicali nella corte del cielo

Otto concerti, dall’8 al 22 luglio, un repertorio pensato per un pubblico differenziato messo a punto dal Direttore artistico Cristiano Sandri. Protagonisti l’Orchestra Teatro Regio Torino, i Solisti del Regio Ensemble e il Coro di voci bianche del Teatro Regio.

«È un clima positivo motivo di grande orgoglio quello che si respira al Teatro Regio» afferma il Sindaco Stefano Lo Russo in apertura di conferenza stampa il 26 maggio per la presentazione del programma. Dopo i ringraziamenti alla Direttrice dei Musei Reali di Torino Enrica Pagella, il Sovrintendente Mathieu Jouvin sottolinea il clima di accoglienza che caratterizza l’iniziativa. Oltre ai cittadini e ai turisti, l’attenzione sarà rivolta ai giovani con un biglietto ridotto dedicato agli Under30, proseguendo sull’onda di Anteprima Giovani progetto particolarmente riuscito in quest’ultima Stagione 2022-2023. Giovani sono anche i protagonisti scelti dal direttore artistico Cristiano Sandri, i Solisti del Regio Ensemble e il maestro Riccardo Bisatti, interpreti di un repertorio classico apprezzabile da un pubblico non necessariamente di specialisti.

Nella foto: Mathieu Jouvin, Stefano Lo Russo e Cristiano Sandri durante la presentazione a Palazzo Reale. Foto dal comunicato stampa del Teatro Regio.

Ad inaugurare l’evento una selezione di arie d’opera tratte dalla grande tradizione italiana dell’800, con un primo appuntamento previsto per sabato 8 luglio,e interpretato dalle voci dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzo soprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giannandrea Agnoletto. Domenica 9 luglio, condotti dal maestro Claudio Fenoglio, il Coro di Voci bianche e i Solisti del Regio Ensemble Irina Bogdanova (soprano) e Ksenia Chubunova (mezzo soprano) eseguiranno un repertorio di generi e stili diversi, passando da brani del passato a compositori contemporanei. Martedì 11 luglio dirige l’Orchestra del Regio Riccardo Bisatti, in un concerto interamente dedicato al repertorio mozartiano. Sabato 15 e domenica 16 due i protagonisti, Mozart e Schubert, eseguiti dall’Orchestra diretta sempre da Bisatti. Martedì 18 luglio sarà la volta dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzosoprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giulio Lugazzi, si cimenteranno con i compositori della tradizione mitteleuropea. In chiusura gli appuntamenti di giovedì 20 e sabato 22 luglio, con l’Overture da Le nozze di Figaro di Mozart, la Sinfonia in sol maggiore n.88 di Haydn e la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Beethoven. Sul podio ancora una volta Bisatti.

Sarà inoltre possibile per i possessori del biglietto accedere, a partire da un’ora prima dall’inizio dei concerti, al Giardino Ducale per godere di una passeggiata esclusiva in uno dei luoghi simbolo della città di Torino. Per consultare il programma completo e acquistare i biglietti: https://www.teatroregio.torino.it/passaggi-destate

A cura di Alessandra Mariani

Il gioco della serietà: La fille du Régiment al Teatro Regio

Cosa mette di buon umore più della Figlia del reggimento? Quest’opera che ci fa danzare davanti agli occhi soldatini colorati, che mette in scena amori giocosi e ingenui, che usa la musica per creare un mondo dove il Male semplicemente non esiste, è la cura infallibile contro la depressione. Con quest’opera il Teatro diventa quel che è in Fanny e Alexander: gioco di cartone, volo di fantasia, magia che vince il duello con la realtà. Nulla nella Figlia del Reggimento è reale: la Guerra, l’Esercito, la Nobiltà, l’Amore, il Dolore, la Separazione sono tutte figurine in miniatura nelle mani di un bambino. Ma come ogni gioco che si rispetti, va giocato con estrema serietà (i bambini questo lo sanno bene).

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Dunque in un momento triste, come può esserlo l’aria di Marie alla fine del primo atto, Donizetti vuole che tu pianga, e ti fa piangere; e in un momento di gioia, come quando i tre protagonisti si riuniscono nel secondo atto, vuole che la gioia sia incontenibile, e ti folgora con un ritmo offenbachiano perché devi aver voglia di alzarti in piedi e danzare.
È commovente pensare che queste opere non le ha scritte un bambino vero, un piccolo Mozart: le ha scritte un adulto, uno che è nato nella miseria, che a quarant’anni ha perso i genitori e la moglie e i figli, e che ha finito i suoi giorni pazzo: uno, insomma, che ha conosciuto il dolore. L’esilità di certe sue marcette, valzerini o minuetti sembra un rimpicciolirsi davanti al gran caos del mondo, un ritirarsi nel sottosuolo, in una tana dove asciugarsi le lacrime e poter tornare a giocare ai soldatini. Perciò questa musica così fragile è anche quella dove più spesso la malinconia affiora, trascolora e si riassopisce: soltanto in Schubert abbiamo una successione così cangiante di modi maggiore e minore nello spazio di poche battute. Il comico come superamento del tragico di cui è fatta la vita è teorizzato e messo in pratica nelle melodie donizettiane.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Il Teatro come gioco, dunque, e la creazione artistica come luogo per espungere il Male dal mondo sono gli ingredienti delle opere comiche di Donizetti. Guai al regista che davanti alla Figlia del reggimento punti al realismo, alla verosimiglianza, o quel che è peggio a parlare di noi, parlare del presente, parlare del mondo in cui viviamo: no, no, no, sembra dire quest’opera, viva il mondo in cui non viviamo.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Nello spettacolo andato in scena al Teatro Regio, i registi Barbe & Doucet hanno seguito questo principio e hanno ricollocato l’opera sul comò di un’anziana signora, tra scatole di medicine, la statuina di una Madonna alta sei metri e una abat-jour di cui non si vede la sommità: davvero un mondo di soldatini, di figurette di cartone. Né si perde l’ambientazione svizzera, poiché sul comò è anche collocato un orologio a cucù a forma di chalet e sul fondo il dipinto di un paesaggio alpino. Il resto, come potete immaginare, viene da sé, ed è meraviglioso. Tanto più che questi due sono dotati della dote più rara tra i registi: l’umorismo, cosa ben diversa dalla caciara o dalla stupidità con cui altri credono di far regie divertenti. L’ambientazione insolita è introdotta da un piccolo film proiettato durante l’Ouverture, dove si vede l’anziana signora, i suoi nipotini, la casa di riposo, il comò e gli oggetti dei ricordi riposti su di esso: la vita trascorsa, probabilmente passata per la guerra, viene delibata nella memoria e trasformata, per chi durante la guerra era bambina, in una favola colorata: cosa c’è di più malinconico e dolce insieme, di più profondamente donizettiano?

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Guidati dai due registi e dalla bacchetta di Evelino Pidò, molto analitica coi timbri dell’orchestra, gli interpreti hanno dato prove ottime e nel canto e nella recitazione, questa assai più difficile da padroneggiare in un’opera che richiede di parlare e non solo di cantare, dunque bravi due volte. Fuoriclasse assoluto Arturo Brachetti nei panni della Duchessa di Crakentorp: come nella migliore tradizione dell’operetta (si pensi al ricevimento nel secondo atto del Pipistrello), si è esibito in un numero extra che combinava al trasformismo la canzone “Ciribiribin”: per un attimo l’immenso Paolo Poli è tornato tra noi.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

A cura di Luca Siri

Il Flauto Magico in un allestimento che strizza l’occhio all’impressionismo cinematografico in scena al Regio

Die Zauberflöte, IlFlauto magico, Singspiel di Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder, è tra le dieci opere più rappresentate al mondo e dal 31 marzo (dal 30 con anteprima giovani) al 14 aprile, sarà in scena al Teatro Regio di Torino, con regia di Tobias Ribitzki, animazioni di Paul Barritt ideate da «1927», la squadra supervisionata da Suzanne Andrade e dallo stesso Paul Barritt. Alla direzione d’orchestra Sesto Quatrini e Andrea Secchi alla guida del coro, completando i nomi dietro questa produzione.

La trama, ambientata in un favoloso Egitto, racconta la storia d’amore tra Tamino (interpretato da Joel Prieto e Giovanni Sala) e Pamina (Ekaterina Bakanova e Gabriela Legun) e il viaggio dell’eroe che lui deve intraprendere per liberare l’amata aiutato dal fedele Papageno, anch’esso alla ricerca di “ein Mädchen oder Weibchen” (una ragazza o una donna). 

In realtà, parlare in questo modo dell’intreccio alla base del Flauto magico è molto riduttivo: l’opera è eclettica, contraddittoria, ricca di significati e forse, proprio per tale motivo, tanto apprezzata dal pubblico. Il rischio che si corre per questo genere di messinscena è di raccontare la vicenda in modo razionale non risultando all’altezza di un racconto che ha il surrealismo come caratteristica principale: le menti creatrici dell’allestimento hanno compreso molto bene questo aspetto. Lasciandosi ispirare dal cinema muto (in particolare quello impressionista), dai fumetti e da altre numerose influenze, hanno ideato una scenografia che sembra prendere vite grazie alle animazioni proiettate sulle quinte del palco.

In un flusso di immagini animate che dialogano costantemente con gli attori sul palco, lo spettatore si ritrova all’interno di un’esperienza immersiva e deve fare i conti con una nuova concezione di opera. Proprio questa necessità di rivalutazione sembra turbare il pubblico dei giovani torinesi presenti all’anteprima. Così come molti alla fine dello spettacolo sembrano entusiasti di vedere finalmente la ricerca di uno “svecchiamento”, molti altri sembrano sbigottiti. Tra i commenti più sostenuti c’è il fatto che un’opera classica debba rimanere tale anche nell’apparato scenico e che un allestimento del genere risulti addirittura troppo azzardato per il maestro del classicismo viennese. 

Ma lo spettacolo, nato a Berlino nel 2012, ha già festeggiato il suo decennale riscuotendo successo tra Europa, Usa e Cina nonostante la sua peculiarità provocatoria. Motivo per cui questo allestimento è sintomatico di tantissimo coraggio da parte di coloro che hanno deciso di sfidare le convenzioni sociali: già solo per questo merita una possibilità.

Come dopo ogni anteprima lo spettacolo si è spostato nel foyer del teatro per la rassegna Contrasti. La scelta per questa data è ricaduta su Napoleone (cantautore di origini campane, ormai stabile a Torino) è stato presentato sui social del format come portatore di magia grazie al dialetto campano e la tradizione del funk partenopeo. L’artista già noto ai più grazie a un duetto con Guè, durante la sua esibizione ha presentato in anteprima il suo nuovo singolo “Il giardino di Maddalena”, insieme a Kaze, in uscita a mezzanotte. A differenza del Flauto magico il cantautore ha ottenuto il consenso di tutte le persone presenti, concludendo degnamente uno spettacolo che lascerà parlare ancora molti.

A cura di Alessia Sabetta

Tra scandali, frivolezze e cipria: Powder Her Face per la prima volta a Torino

L’opera permette di raccontare storie che ancora oggi possono essere attuali. A dimostrarcelo è uno spettacolo inconsueto che con soli cinque interpreti e più di diciassette personaggi, per la prima volta a Torino, va in scena al Piccolo Regio Puccini il 10 marzo 2023: Powder Her Face. Prima opera lirica di Thomas Adès, compositore classe 1971, direttore e pianista della nuova generazione che spazia dalla musica da camera al teatro musicale cantato, dall’atonalità alla musica barocca, dal blues alla musica per cinema. Un artista poliedrico la cui musica viene eseguita in tutto il mondo.

Attraverso il gioco erotico, il gioco di ruoli e un climax di tensioni, Powder Her Face racconta la storia di una donna paladina della libertà ma vittima della sua stessa società: Margaret Campbell, la cui vita fece scalpore nell’Inghilterra degli anni Sessanta a causa dei suoi comportamenti sessuali disinibiti, vede il suo matrimonio e la sua vita andare lentamente in rovina.
Una storia raccontata attraverso flashback: artificio temporale particolarmente difficile da mettere in scena a teatro ma che la regia di Paolo Vettori è riuscita a rendere in modo molto efficace con cambi a vista di cartelli riportanti l’anno della vicenda.

Foto di Andrea Macchia

Musica e canto sembrano essere indipendenti l’una dall’altro ma, in realtà, si fondono in un unico grande spettacolo che trasporta il pubblico in una storia inusuale ma estremamente coinvolgente.

L’ensemble del Regio, costituito da quindici esecutori, è riuscito con grande abilità a sfruttare tutte le capacità degli strumenti. Tra i timbri più inconsueti lo swanee whistle (flauto a pistone), il mulinello di una canna da pesca, rottami di ferro o l’uso di microfoni che sfregano la membrana del rullante o l’archetto che viene fatto rimbalzare sulle corde. Questi colori insoliti hanno suscitato grande curiosità nel pubblico che faticava a cogliere l’origine dei suoni. Un’orchestra impeccabile che è riuscita a modulare in maniera raffinata anche le dinamiche: suoni leggerissimi e quasi impercettibili si sono contrapposti a sonorità sempre più energiche.
Impossibile non lodare il giovanissimo direttore d’orchestra, il ventiduenne Riccardo Bisatti, le cui abilità sono state confermate da questo spettacolo che propone enormi sfide tecniche. Una partitura che sembra essere un luogo in cui nulla è proibito: tango, swing, jazz, sonorità contemporanee e le deformazioni di temi romantici creano una massa strumentale attraverso intrecci di timbri e colori mutevoli.

Non solo la ricerca di una sonorità pregnante ma anche un lavoro sulla timbrica vocale dei quattro interpreti attraverso un continuo alternarsi di momenti di lirismo a momenti di canto parlato, in stile Sprechgesang, e una sostanziale attenzione per i cambi di registro. Particolarmente esteso è il registro di Lorenzo Mazzucchelli, nelle vesti del Direttore dell’hotel, la cui voce risuonava potente in tutta la sala.
Irina Bodganova, soprano che già ottenne un grande successo al Regio nei panni di Berta nel Barbiere di Siviglia, questa volta ha ricoperto il ruolo principale della Duchessa. Unico personaggio sempre al centro dell’azione e che resta sé stessa fino all’ultimo; al contrario, gli altri interpreti, mutano e si spogliano dei loro abiti per entrare in vesti altrui.

Foto di Andrea Macchia

Mescolando lo stile camp – che rimanda a un carattere grottesco – al tema tragico della Duchessa di Argyll, l’opera risulta molto contemporanea: oltre a raccontarci di una società borghese della quale ci si può fare beffe, ci fa assistere ad una rappresentazione attuale della nostra società dimostrandoci la falla che c’è in essa: l’incapacità di resistere alla tentazione di «spiare dal buco della serratura» – come afferma il regista Vettori – e di giudicare l’altro.

L’erotismo, realizzato dalla regia con grande maestria, non è mai risultato volgare. Anche le scene più scabrose sono apparse eleganti e spiritose, e hanno generato spesso una risata negli spettatori. Con un omaggio alle polaroid di Mollino, perfino le fotografie della moglie del Duca in pose seducenti, esibite nel finale del primo atto sulle pareti grigie, si sono integrate perfettamente nella scenografia.
Lo spazio scenico ricordava un manicomio ma in stile déco, con oggetti di una vita ricca e prosperosa. Un allestimento dunque equilibrato, semplice e d’effetto. Il letto in posizione centrale è diventato l’elemento privilegiato: luogo in cui si consumano le scene erotiche della Duchessa, ma anche luogo del giudizio (un tribunale). L’oggetto della passione è finito dunque per rivelarsi anche l’inizio della sua rovina sociale e finanziaria.

Foto di Andrea Macchia

Al contrario del Don Giovanni che può sfoggiare il suo “catalogo”, la Duchessa viene punita dalla società per i suoi comportamenti. Al centro della storia, dunque, c’è una donna emancipata e ribelle la cui vita viene osservata e giudicata senza pietà.

A cura di Ottavia Salvadori

Il regista de L’Esorcista questa volta parla di un celebre amore: Aida torna al Regio

Continua la stagione del Teatro Regio con le anteprime delle opere rivolte ai giovani under 30. Il programma che vuole avvicinare i ragazzi al mondo dell’opera funziona molto bene: biglietti sold out in quattro giorni. Ancora una volta i giovani si vedono avvicinati ad una realtà che sembra a loro distante e inaccessibile ma che viene sfruttata come occasione di crescita.

Torino il 24 febbraio 2023 ospita nuovamente l’Aida di Giuseppe Verdi, questa volta diretta da Michele Gamba, un giovane direttore d’orchestra attivo in ambito sinfonico e con un interesse per la musica contemporanea. Creando brevi interventi tra un cambio di scena e l’altro e rivolgendosi al pubblico con un linguaggio diretto, semplice e comprensibile, Gamba ha aderito pienamente alla proposta del Regio.

Riccardo Fracchia decide di riprendere la regia di William Friedkin, regista Premio Oscar di cui si ricorda il celebre film L’Esorcista, che curò l’allestimento dell’Aida nella stagione 2005-2006: una scelta particolare per un regista dedito alla cinematografia horror e thriller.

Foto dal link https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/aida-anteprima-giovani

Un’introduzione all’opera è stata offerta nel foyer del toro dall’attrice Chiara Buratti sostenuta al pianoforte da Giulio Laguzzi, direttore musicale del palcoscenico del Regio. Con grande dimestichezza e a mo’ di “jukebox”, Laguzzi ha suonato al pianoforte alcuni dei temi principali dell’opera e, con voce soave, ha riprodotto il canto del soprano Aida trasportando gli spettatori nel clima e nella disperazione della protagonista. Il pubblico, tra cui pochi neofiti, attraverso il racconto della vicenda e piccole curiosità su Verdi, ha avuto la possibilità di entrare nella trama di Aida, di conoscerla e ammirare dal suo interno elementi fondamentali per la sua lettura. L’idea che il melodramma sia uno spettacolo polveroso sta forse pian piano sparendo dalle menti dei giovani? Come dice il direttore d’orchestra Gamba «L’opera non è un cumulo di cenere, è qualcosa di rilevante per noi…parla di noi e dell’oggi».

«L’opera lirica è l’unione di quasi tutte le forme d’arte di cui l’uomo è capace, è l’unione della musica, del canto, del recitativo, della poesia, della scenografia, dei trucchi, dei balli…» ha detto Buratti, e Verdi, uomo di teatro, ci dimostra la sua capacità di utilizzare tutti questi elementi per creare uno spettacolo che colpisce per la sua grandezza. Un’opera, dunque, maestosa ma allo stesso tempo intima, in cui le fragilità vengono affrontate con forza. Grandi masse vocali che hanno travolto il pubblico con potenza, si contrapponevano a frasi sottili, in pianissimo e ancora più piano trasportando la mente in un sogno onirico, quello della pace tra i popoli. La dinamica è una caratteristica fondamentale delle composizioni verdiane, ma talvolta è stata trascurata in funzione di altri aspetti della scrittura musicale. Durante i suoi interventi il direttore d’orchestra ha affermato che «…la musica ci evoca qualcosa… l’evocazione di un’atmosfera è più di una semplice pittura di paesaggi…» gli spettatori, infatti, hanno condiviso insieme ai personaggi le vicende e le emozioni. La musica ha rievocato ambienti a noi estranei, mai vissuti. Eppure, tutto sembrava essere così familiare.

Anna Nechaeva (Aida), Gaston Rivero (Radamès) e Silvia Beltrami (Amneris)
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Musiche che risuonavano lontane alla vista ricreavano una spazializzazione e un’ambientazione che riprendeva le maestose architetture visibili sul palco. Statici e imponenti edifici si stagliavano sulla scena, rendendo i personaggi piccoli e quasi impotenti. Nonostante questo, con grande abilità i cantanti sono riusciti ad emergere dalla possente scenografia. In particolare il soprano Anna Nechaeva che con grande capacità e poco preavviso ha sostituito Angela Meade nel ruolo di Aida: con la sua performance, è riuscita a trasmettere abilmente al pubblico le emozioni e il dolore della protagonista.

La scenografia e la regia ci sono parse troppo statiche nonostante i cambi di scena abbiano continuamente variato le dimensioni del palco. Hanno trovato comunque modo di alleggerirsi con momenti coreografici eleganti che, con la raffinatezza e leggerezza del corpo di ballo, hanno donato movimento e dinamicità all’opera. Pochi colori hanno contraddistinto il palcoscenico. Luci calde gialle e rosse si alternavano a luci fredde sulle tonalità del blu per donare una particolare atmosfera ai diversi quadri. In particolare la scena del trionfo ha visto contrapposti il bianco delle tuniche dei sacerdoti e il grigio della pietra ad uno sfondo blu acceso, poco funzionale alla vicenda, e alle luci calde che hanno creato un’ambientazione fedele all’Antico Egitto, ma un clima poco maestoso. Una marcia trionfale, più efficace nella scenografia che nella musica, ha accompagnato l’ingresso vincitore di Radamès nella città di Tebe. Con stendardi e trombe ai lati del quadro, la scena è risultata infatti di grande impatto visivo, con una geometria e simmetria che probabilmente vuole ricordare anche il grande interesse di Verdi per l’architettura non solo musicale ma anche legata allo spazio.

Baobab! e gli Atlante
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Come da programma, la serata si è conclusa con Contrasti, format che vede unire drammi del passato a protagonisti della scena Torinese. Ospiti in questa serata gli Atlante e Baobab! che, con pochi brani, hanno commosso molti dei presenti con canzoni che hanno visto unire voce, chitarra acustica ed elettrica, basso, pianoforte e sintetizzatori.

Ancora una volta il Regio ottiene un grande successo permettendo ai giovani di vivere il teatro e di farlo vivere.

A cura di Ottavia Salvadori e Roberta Durazzi

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Uno sguardo attuale del passato: l’anteprima del Don Giovanni al Teatro Regio

Per la nuova stagione teatrale, il Teatro Regio ha davvero deciso di avvicinare i giovani al pubblico: agli under 30 sono dedicate le anteprime delle opere; un’esperienza che dà la possibilità, anche ai ragazzi che non hanno mai avuto occasione di avvicinarsi a questo mondo, di godersi lo spettacolo a un prezzo ridotto. Novità inizialmente pensata per gennaio 2023, ma già avviata con la fine della stagione teatrale 2022, in accordo con Riccardo e Chiara Muti, per la nuova produzione del Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart. Per desiderio del direttore e del Sovrintendente Mathieu Jouvin, il Teatro Regio ha devoluto l’incasso della prova generale del 16 novembre alla Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro Onlus di Candiolo.

Riccardo Muti torna dunque al Teatro Regio per dirigere il dramma giocoso, salutando il pubblico e specialmente «i 650 giovani che sono con noi questa sera». Li invita a rimanere vicini al teatro, perché dà loro la possibilità di crescere; si chiede come mai, durante la sua gioventù, la musica non fosse importante quanto l’arte: «Perché nelle scuole non si studiava, ad esempio, Monteverdi?». Il discorso si conclude con l’applauso di un pubblico che è d’accordo con le sue parole e che si trova a teatro proprio perché crede nelle potenzialità del melodramma italiano.
La regia è firmata dalla figlia del direttore, Chiara Muti, che decide di scavare in profondità nei personaggi dell’opera, trattandoli come vere e proprie marionette: l’ingresso in scena di ciascuno di loro è anticipato dalla discesa, sul palco, dell’abito che andranno ad indossare. Questo vale per tutti, tranne che per Don Giovanni, perché: «L’archetipo che rappresenta l’ha liberato dai fili a cui sono ancorati tutti gli altri» tiene a precisare la stessa Chiara Muti.

La scenografia è d’impatto: uno scorcio di strada indefinito sullo sfondo, un palazzo come collassato su se stesso al centro del palco, che di fatto è composto da una pedana rotante che verrà utilizzata al suo massimo solo nel II atto. Nessun riferimento temporale, se non i vestiti che indossano i personaggi. L’ambiguo, il velato, non esiste qui: Don Giovanni (Luca Micheletti, oltre che attore anche regista stabile e responsabile artistico della Compagnia Teatrale I Guitti) è attuale, così come lo sono Zerlina (Francesca Di Sauro) e Masetto (Leon Košavić), che vengono presentati direttamente in una situazione allusiva; Donna Anna (Jacquelyn Wagner) e il suo futuro sposo, Don Ottavio (Giovanni Sala), assomigliano ad una coppia artificiosa dei giorni nostri, dove il non detto pesa e divide. Donna Elvira (Mariangela Sicilia) e il Commendatore (Riccardo Zanellato), passato e futuro di Don Giovanni, tentativo di salvezza da un lato e condanna dall’altro, sono il fil rouge dell’esistenza del “cavaliere”.

Il Don Giovanni è pur sempre un dramma, sì, ma giocoso: l’aspetto comico c’è e non si ferma solo alle parole del libretto, la gestualità collabora con la musica per esprimerne il carattere ludico. Leporello (Alessandro Luongo) in questo è certamente il maestro e le risate del pubblico durante l’aria «Madamina, il catalogo è questo» lo confermano. Si ritorna così al discorso delle marionette, capaci di divertire grazie a qualcuno che dà loro una personificazione: i protagonisti del Don Giovanni, alla fine del II atto, si spoglieranno dei loro vestiti, per tornare ad essere semplici pezzi di legno senza identità e senza caratterizzazione. E forse questo è il riferimento più grande alla società odierna: vuota e con la necessità che qualcuno tiri i fili per lei.

A cura di Chiara Vecchiato

Teatro Regio: presentata la stagione 2023

Poche produzioni, ma molto meditate, per la nuova stagione del Teatro Regio di Torino. Con artisti del panorama internazionale e nazionale che danno una nuova luce alle grandi opere del repertorio. Alla conferenza stampa del 28 ottobre, presso il Foyer del Toro, a riempire la moltitudine di sedie troviamo non solo giornalisti con le loro telecamere e microfoni, ma anche abbonati pronti a conoscere tutte le novità della prossima stagione intitolata “Passaggi”.

Al tavolo dei relatori il sindaco della città Stefano Lo Russo, il sovrintendente Mathieu Jouvin e il direttore artistico Sebastian F. Schwarz che a breve cederà la sua carica a Cristiano Sandri, attualmente responsabile della programmazione artistica del Festival Verdi e del Teatro Regio di Parma. “Passaggi”, il titolo appunto della nuova stagione, deriva dal francese antico passage, un insieme di tanti significati che è simbolo di cambiamento, apertura e espansione. Dopo le chiusure per la pandemia e la ristrutturazione, si avverte una forte voglia di ripresa. Sul libretto della stagione appare la giovane fotografa Deka Mohamed Osman che ha potuto ritrarre, secondo una sua personale visione, l’architettura di Carlo Mollino.

Nel suo intervento il direttore artistico si concentra sulle particolarità delle produzioni che uniscono nazioni estere, come Francia e Germania, non dimenticando personalità russe e ucraine per poi ritornare alla centralità del panorama italiano. Il programma spazia dal 1768 al 1995, con una scelta di cantanti studiata minuziosamente secondo le capacità di repertorio.

In foto Ex Sovrintendente Mathieu Jouvin, Sindaco Stefano Lo Russo, Direttore artistico Sebastian F. Schwarz durante la conferenza. Foto di Chiara Vecchiato

La stagione si apre il 24 gennaio con Il barbiere di Siviglia nella versione colorata di Pierre Emmauel Rousseau; a dirigere è Diego Fasolis, grande esperto del Settecento e primo Ottocento, con un cast ricco di giovani cantanti. L’allestimento è in coproduzione con l’Opéra de Rouen.
Dal 25 febbraio all’8 marzo andrà in scena Aida, nella versione delpremio oscar William Friedkin, con la direzione del giovane Michele Gamba alla testa di un cast di rinomati interpreti verdiani: Angela Meade e Erika Grimaldi  che si alterneranno nel ruolo di Aida, Silvia Beltrami e Stefano La Colla  nei ruoli di Amneris e Radamès.
Dal 31 marzo al 14 aprile il Flauto magico di W. A. Mozart nella versione del regista operistico del teatro di Berlino Barrie Kosky e Suzanne Andrade: il libretto resta in lingua tedesca, ma i dialoghi saranno sostituiti da proiezioni ispirate al cinema muto, con le quali gli interpreti interagiranno. Il direttore d’orchestra sarà Sesto Quatrini con un cast giovane e internazionale.
Dal 13 al 23 maggio, in coproduzione con il Teatro la Fenice di Venezia, andrà in scena La figlia del reggimento di Gaetano Donizetti, opera ricca di marce sfavillanti e virtuosismi vocali che sin dalla sua scrittura, nel 1840, conquista i cuori del popolo francese. Sul podio Evelino Pidò con un cast specialista del repertorio: Giuliana Gianfaldoni, John Osborn, Manuela Custer e Roberto de Candia.
L’ultimo titolo (dal 13 al 27 giugno) a prendere posto in forma scenica nella sala grande del Regio è Madama Butterfly di Puccini, nell’allestimento di Damiano Michieletto, un’opera non certo sconosciuta, ma che in quanto grande classico potrà di certo essere una grande occasione per i giovani che ancora non hanno avuto modo di goderne la fruizione.

Negli spazi del Piccolo Regio Puccini, che prende vita a seguito di una grande opera di ristrutturazione, avremo due prime esecuzioni per la città di Torino; Powder Her Face (di Thomas Adès) che si presenta come un’opera da camera (dal 10 al 18 marzo) e La Sposa dello Zar (26 e 28 aprile), in versione da concerto, titolo del grande repertorio russo diretto da Valentin Uryupin (ex direttore del teatro di Mosca che a seguito della sua opposizione al regime venne esonerato dall’incarico).

La stagione dei concerti (dall’8 gennaio al 21 giugno) dell’Orchestra e coro del Teatro Regio e della Filarmonica Teatro Regio Torino, sarà aperta dalla Messa da Requiem di Verdi diretta da Andrea Battistoni.

Tra le novità rivolte ai giovani, che diventano di primo interesse per l’amministrazione, si segnala la possibilità di assistere a una delle due prove generali delle opere, che saranno riservate al pubblico under 30 per un costo di 10€. Per i nati tra il 1988 e il 2005 ci sarà la possibilità di fare la Regio Card Giovani 18-35 che darà accesso a promozioni e anteprime; per la community ci saranno sconti dedicati, tariffe speciali per i concerti e per i giovani under 30, biglietti last minute al costo di 10€. Per tutti gli spettatori, inoltre, sarà possibile richiedere la Regio Card che dà diritto a sconti del 10% sui biglietti.

Sono molte le iniziative che il Regio offre al suo pubblico, vuole concentrarsi sui giovani per uno sguardo al futuro, consigliando produzioni che non spiccano per l’innovazione nei titoli, ma di certo nella messa in scena.

L’invito è quindi a teatro con la scoperta delle grandi opere storiche e dei grandi artisti contemporanei.

A cura di Milena Sanfilippo