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Un quartetto jazz in mille luoghi: il Buster Williams Quartet per il Torino Jazz Festival

Il 16 giugno 2022 si è tenuto, presso le Officine Grandi Riparazioni, il concerto dal titolo “Something more”, per il Torino Jazz Festival; a suonare era il Buster Williams Quartet, con Buster Williams (contrabbasso) alla guida del gruppo composto da Steve Wilson (sassofono alto e tenore), George Colligan (pianoforte) e Lenny White (batteria). Due figure centrali, quelle di Williams e White, che per tutto il concerto hanno intrattenuto il pubblico modulando il ritmo musicale a seconda delle emozioni che volevano suscitare in quel momento, o che forse loro stessi stavano provando.   

Foto: Chiara Vecchiato

Dopo le presentazioni, i musicisti iniziano a suonare, portando sin da subito una ventata di freschezza e leggera allegria. Una tranquillità che durerà per poco: in un attimo, infatti, si viene trasportati all’interno della complicità del quartetto e tra uno scambio di sorrisi e l’altro, ci si sente pervasi dalla voglia di alzarsi e ballare su quelle note vivaci. Qualcuno si limita a dondolare il piede o scuotere leggermente la testa, qualcun altro non si osa ma vorrebbe. Già al termine del primo brano il pubblico si sbilancia in un grande applauso. 

Una brevissima pausa, il tempo di un respiro, e si ricomincia. Un’atmosfera nuova, sembra di stare tra le nuvole: tutto diventa effimero, sfuggente. Gli effetti scenografici, con un’illuminazione dietro ai musicisti e il fumo sul palco, dà allo spettatore l’impressione di essere avvolto in uno spazio indefinito, ma presto tutto viene rovesciato e il brano si carica di vivacità; batterista e pianista si danno uno sguardo d’intesa  facendosi trasportare dalla linea melodica del contrabbasso: Colligan si anima e sembra ballare con le dita sul pianoforte, mentre White accenna sorrisi, agita testa e busto. Wilson – quando non suona – riprende fiato chiudendo gli occhi, rapito lui stesso dall’emozione. Williams rimane al centro, immobile, accarezzando le corde del contrabbasso con le dita segnate dalla sua lunga storia, una carriera che lo ha visto comparire in dischi storici di Herbie Hancock, Art Blakey, Herbie Mann, McCoy Tyner, Dexter Gordon, Roy Ayers, o come sensibile accompagnatore di voci quali Bobby McFerrin, Sarah Vaughan, Nancy Wilson e Betty Carter.

Il tempo corre e poco dopo non siamo più sulle nuvole o in un raffinato locale di New York a bere un Dirty Martini, l’impressione è quella di assistere all’inizio di un concerto rock o di essere su una spiaggia a osservare le onde del mare agitarsi e poi trovare pace. Ciò che si ascolterà ad un concerto jazz non è mai scontato, così come le emozioni che quella serata lascerà, perché come recita la scritta sugli schermi all’interno della Sala Fucine: «Il jazz è ordinato? Un brano ha un inizio e una fine. Nel mezzo è imprevedibile». 

    A cura di Chiara Vecchiato

Take care, take care, take care: la musica torinese in festa per il Sermig

Domenica 12 giugno. L’estate, alle porte della Falchera, viene inaugurata con una fervida serata all’insegna della musica, ospiti ben quattro complessi torinesi. Al Barrio va in scena Take care, take care, take care, un vero e proprio festival di beneficenza di ispirazione post-rock, i cui proventi sono stati destinati per intero al Sermig di Torino. L’atmosfera calza a pennello con le alte temperature: i musicisti, già conosciuti e ben affermati nel panorama cittadino, accendono un pubblico di età abbastanza variegata, tutt’uno nella voglia di divertirsi e godere dell’evento all’interno del locale.

Narratore Urbano sul palco del Barrio. All credits: Martina Caratozzolo

Intorno alle 21 apre le danze il Narratore Urbano, lasciando da subito la sua impronta personale, indicata con la calzante definizione di cantautorap. La poderosa carica del suo gruppo – assolutamente da segnalare la base ritmica – sposa testi densi e graffianti, tra immagini tenere dal fondo amaro (come in “Granchietti”) e la schietta denuncia sociale di “Sei, in un paese meraviglioso”. Una voce che urla al mondo, ottima tenuta di palco, presenti scatenati.

Post-Kruger.

Subito dopo è il turno dei Post-Kruger, che nell’affiatamento generale raccolgono il testimone con grande grinta. Le sonorità, spesso vagamente elettroniche, si snodano attraverso riff incisivi: dal tiro ribollente di “Kintsugi”, singolo fresco di uscita che mette voglia di saltare a tempo, all’accattivante passo di “Acufene”, un rock ricco di sfumature eterogenee valorizza testi impregnati di immagini oniriche, a volte crude, e una voce che non ha paura di osare su registri alti.

Gli Alberi.

Gli Alberi sono il terzo gruppo della serata. La voce femminile, delicata e melodica, e la controparte maschile, potente e a tratti abrasiva nel suo growl, la fanno da padrone. Sono pezzi che, pur sviluppando la traccia post-rock con interessanti tematiche ambientali, si addentrano volentieri in meandri dal sapore metal: non per nulla il nome del loro progetto venturo sarà Now Heavier. Pubblico sospeso tra l’incanto e il pogo sfrenato, colto inoltre di sorpresa da un featuring con lo stesso Narratore Urbano.

CIJAN.

A chiudere l’evento sono i CIJAN. Il loro repertorio forse meglio ricalca l’accezione più dura e pura del genere portante, combinata con elementi di forte originalità sonora e compositiva. Spazio limitato per le voci, sapiente cocktail di momenti immersivi e saturazioni strumentali: la scena la tiene quasi tutta la musica. Degni di nota “Mercurial” e “Homecoming”, tanto per citarne un paio. L’atmosfera di un sogno ad occhi aperti regala ai presenti il miglior modo di concludere una serata ben organizzata e con musica di alto livello.

Impossibile, dulcis in fundo, non citare Giovanni Bersani, organizzatore della serata e denominatore comune di tutte e quattro le band. Il polistrumentista si destreggia magistralmente tra tastiere, percussioni e chitarre: un eclettico tuttofare, capace di suonare praticamente senza soluzione di continuità per tutta la durata dell’evento. Una serata di quelle che verranno ricordate a lungo sulla scena di Torino.

A cura di Carlo Cerrato

Il trionfo dell’Itpop a Torino: Gazzelle

Domenica 5 giugno il Pala Alpitour ha ospitato l’ultima tappa del tour di Gazzelle, inizialmente previsto per i mesi di gennaio e febbraio 2022 e poi spostato a causa della pandemia da Covid-19.

Ad aprire il concerto è Centomilacarie, artista di Maciste Dischi (stessa etichetta discografica di Gazzelle) classe 2004 che si presenta sul palco con una chitarra acustica e un look sobrio e pulito. L’ansia è sovrana e si vede, tanto che il cantante comincia a suonare senza rendersi conto che lo strumento non è ancora attaccato all’amplificatore. Il pubblico lo sostiene e lo incita a dare il meglio di sé, forse intenerito dalla sua giovane età, e Centomilacarie si esibisce con un paio di brani inediti e una cover di “Diploma” degli Psicologi: – «Spero che questa canzone mi porti fortuna, dato che il prossimo anno mi devo appunto diplomare» –.

L’ultimo brano decide invece di dedicarlo «al vero me stesso», ossia a Simone, nome di battesimo dell’artista. Nonostante qualche imprecisione vocale (causata probabilmente dall’emozione), Centomilacarie lascia il palco con uno scroscio di applausi e urla di approvazione, segno che forse avremo modo di sentirlo presto in un concerto tutto suo.

Dopo mezz’ora le luci si abbassano nuovamente e una band composta da archi (Guendalina Pulcinelli al violino, Elena Bianchetti al violoncello), pianoforte (Ettore Mirabilia), basso (Gabriele Roia), chitarra (Claudio Bruno) e batteria (Claudio Laguardia) fa il suo ingresso, seguita da Gazzelle, vero headliner della serata.

Foto: Ramona Bustiuc

Dopo qualche canzone Flavio Bruno Pardini – vero nome del cantante si fa portare un gin tonic e ringrazia la platea, euforica come se le ore passate in coda sotto al sole cocente, le ustioni sulla schiena e la disidratazione fossero improvvisamente sparite.

(Anche in quest’occasione è lecito domandarsi se le norme di accesso alle sale da concerto non dovrebbero essere riviste, dato che i tappi delle bottiglie d’acqua vengono buttati mentre oggetti più grandi e potenzialmente pericolosi possono passare).

Seguono due ore intense, fatte di momenti tristi – come il breve discorso di Gazzelle sui danni psicologici che le persone hanno subito negli ultimi due anni a causa del Covid –, momenti emozionanti – il pubblico che intona “Scintille” mentre il cantante lo ascolta in silenzio –, momenti di ballo e divertimento a ritmo di “Sopra” e “Destri”. 25 canzoni si susseguono velocemente in un tempo che sembra passare velocissimo, protagonista il trentaduenne romano che in pochi anni ha raggiunto la vetta delle classifiche dei singoli e dei dischi più venduti in Italia.

Foto: Ramona Bustiuc

Non mancano i ringraziamenti alla casa discografica, all’opening act Centomilacarie, all’organizzatore del concerto, ai musicisti che lo hanno accompagnato in questo tour; dato che era il compleanno del pianista, intonare “Tanti auguri” è stato d’obbligo.

Il finale con “Non sei tu” è un momento di pura emozione e commozione tra Gazzelle e i suoi fan, che vengono inquadrati dalle telecamere e proiettati sullo schermo dietro al palco: il cantante è rivolto verso di loro e li saluta, fino a quando anche le ultime note della canzone si dissolvono.

Foto: Ramona Bustiuc

A questo punto probabilmente il pubblico sarebbe uscito dal Pala Alpitour accompagnato da un senso di nostalgia e malinconia, ma la scelta di far partire “Song 2” dei Blur ha immediatamente impedito che qualsiasi emozione negativa potesse manifestarsi.

Così si è concluso il tour nei palazzetti di Gazzelle, che quest’estate si esibirà al Milano Summer Festival (17 luglio), al Rock in Roma (22 luglio) e al Teatro Antico di Taormina (24 luglio).

REGIO OPERA FESTIVAL 2022: il teatro dà appuntamento su Tinder

Mercoledì 1° giugno preso l’Aula Magna di Palazzo dell’Arsenale si è tenuta la conferenza stampa per la presentazione del Regio Opera Festival 2022. In questa seconda edizione, che prevede opere, concerti e balletti dal 7 giugno al 17 settembre, si riconferma come location l’imponente cortile di Palazzo dell’Arsenale, sede del Comando per la formazione e Scuola di Applicazione dell’Esercito di Torino.

I partecipanti alla conferenza [credit: pagina Facebook Teatro Regio Torino]

«Un modo diverso di andare a spettacolo e fare di questo festival un evento popolare», questo il leitmotiv di coloro che sono intervenuti durante la conferenza stampa per dare voce a questa edizione del Regio
Opera Festival. Un’edizione ricca di novità e particolarmente orientata verso i giovani.

La grande innovazione di questa stagione consiste nella campagna digitale in collaborazione con IED – Istituto Europeo di Design, al fine di riuscire a coinvolgere anche i Millennialse la Generazione Z. Il Regio Opera Festival sarà presente, oltre che sui social media tradizionali come Facebook e Instagram, anche su Tinder. Ebbene sì, sono stati aperti dei veri e propri profili per i principali protagonisti delle opere sulla nota app di dating – Carmen, Turiddu, Tosca etc. – con cui gli utenti della piattaforma potranno interagire e chattare avvicinandosi al mondo dell’opera lirica e del balletto in un modo nuovo. L’intento è quello di uscire dagli schemi per incontrare il linguaggio contemporaneo dei giovani, invogliandoli a scoprire una realtà che spesso percepiscono come inaccessibile (link al video presentazione campagna digitale https://youtu.be/sRjM-06jSV0).

Profilo Tinder di Turiddu [credits: pagina Facebook Teatro Regio Torino]

L’intuizione di portare la musica nel cortile di Palazzo dell’Arsenale nasce, come sottolinea il Sindaco di Torino Stefano Lo Russo, dalla volontà di rendere la musica un veicolo per la promozione del territorio. Dopo i ringraziamenti al Generale di Divisione Marco D’Ubaldi per la collaborazione, il primo cittadino afferma che la vocazione del Regio Opera Festival è portare i torinesi a vivere al meglio gli spazi della città, sull’onda di esperienze pregresse come Regio metropolitano ed Eurovision Village.

Il cortile di Palazzo dell’Arsenale [credit: foto ufficiali Regio Opera Festival]

Una grande platea all’aperto pronta a ritrovare una relazione con il pubblico, spiega il Sovrintendente del Teatro Regio Mathieu Jouvin, insistendo sull’idea di un festival popolare che avvicini giovani e tutti
coloro che non hanno mai vissuto l’esperienza del Regio. Popolare nei prezzi – dalla vendita delle card a prezzi ridotti, agli ingressi per under 30 particolarmente convenienti – e popolare anche nelle scelte del repertorio.

A tal proposito a prendere la parola è il Direttore Artistico Sebastian F. Schwarz, il quale ha presentato il programma composto da ventuno appuntamenti di vario tipo ed un repertorio di opera lirica che si muove
nell’arco di cinquant’anni: in ordine di esecuzione Cavalleria Rusticana di Mascagni (7-9-11 giugno), Carmen di Bizet (21-23-26 giugno), Tosca di Puccini (5-7-10 luglio) e Don Checco di De Gioiosa (26-28- 30 luglio).

Non ci resta che fare match e goderci la stagione estiva.

A cura di Alessandra Mariani

Pacifico: incontro al Salone Del Libro 2022

Domenica 22 maggio il Palco Live del Salone del Libro di Torino ha visto performance e conferenze di importanti figure della musica italiana, una fra tutti Pacifico, nome d’arte di Gino de Crescenzo. Autore e cantante di spicco, penna per Celentano, Nannini, Venditti (fra gli altri), nel 2022 Pacifico ha fatto il suo esordio nella narrativa autobiografica con il romanzo Io e la mia famiglia di Barbari, edito da La Nave di Teseo e presentato durante un incontro che ha visto intrecciarsi musica e riflessioni incentrate soprattutto sulla migrazione interna in Italia del secondo dopoguerra.

Dopo un breve set per chitarra e voce accompagnato alla viola da Antonio Leofreddi, il moderatore e scrittore napoletano Alessio Forgione chiede a Pacifico di leggere un breve estratto dal romanzo, che vuole «disinnescare la povertà con la fantasia». Come molte famiglie agli inizi degli anni ’60, anche quella dell’autore decide di emigrare da Napoli a Milano in cerca di altre opportunità. Non c’è pietismo nel racconto di De Crescenzo, non c’è autoassoluzione e spesso è la stessa fantasia a prendere il sopravvento. Il nucleo fondamentale è costituito da persone-personaggi, quasi tutte provviste di un soprannome evocativo del loro carattere: “Il sultano”, “La Sciamana”, “La carabiniera”. Questa scelta è dovuta all’estrema pudicizia della famiglia di Pacifico, cresciuto da una madre con un’infanzia vissuta in orfanotrofio.

Foto: Martina Caratozzolo

Dopo una riflessione su come nei romanzi degli scrittori meridionali spesso le donne si trovino al centro della narrazione – mentre al contrario gli uomini sono «soffusi, distanti» –, Forgione chiede al cantautore di approfondire la relazione fra i genitori – due dei pochi personaggi che invece vengono chiamati con il loro nome, Pia e Guido –. Pacifico sorride nel definire l’amore fra i due un «amore sovietico»: non mostravano mai alcun segno di cedimento, insieme erano unitissimi, una fortezza; il sentimento continua a durare nonostante la vedovanza della madre, che ogni tanto vede ancora il marito girare per casa: «”Quando vieni ci parli tu”, mi dice. E allora le chiedo “Ma perché non lo fai tu?” “Perché io ho paura”. Sa che è un fantasma, ma è troppo abituata alla sua presenza.»

Sempre a proposito della madre, De Crescenzo racconta che è stata lei ad avvicinarlo alla musica, ma con suo estremo disappunto ha abbandonato il pianoforte per la chitarra, compratagli dal padre nonostante il costo esorbitante; è un gesto da cui Pacifico sembra ancora essere commosso, essendo sempre stato cresciuto con la filosofia del «Prima il dovere e poi il piacere».

Fra risate complici e scambi di battute con il pubblico numeroso l’incontro finisce, non prima che Pacifico si esibisca con un altro brano – questa volta al pianoforte, forse per accontentare in qualche modo anche Mammà –.

Immagine in evidenza: Martina Caratozzolo

A cura di Ramona Bustiuc

Torino esoterica: Messa + Ponte del Diavolo

Chi abita a Torino sa del suo particolare legame con la magia bianca e nera, essendo essa il punto condiviso tra i due triangoli formati rispettivamente con Praga e Lione per la prima, mentre per la seconda troviamo Londra e San Francisco. Questa manichea opposizione che idealmente divide bene e male troverebbe nella città una sorta di equilibrio in cui queste due forze coesistono pacificamente. Ora, volendo compiere un salto logico abbastanza articolato e astratto, persino forzato se vogliamo, ritroviamo questa contrapposizione anche in campo artistico: l’esempio recente più evidente della scorsa settimana. Infatti, mentre il capoluogo piemontese era sotto i riflettori internazionali dalle luci sgargianti, colorate e gaie dell’Eurovision, altrove – e nello specifico al Bunker – è andata in scena l’oscura e pagana esibizione dei veneti Messa e dei torinesi Ponte del Diavolo.

Il motivo per cui i Messa stanno ottenendo così tanti consensi da pubblico e critica nostrana ed estera è presto detto. Questi quattro ragazzi hanno tutto: atmosfera, potenza, carica emotiva, gusto nella composizione e soprattutto hanno le canzoni, elemento imprescindibile che però molto spesso viene messo in secondo piano per privilegiare – a torto – altri fattori secondari come l’immagine o il gossip. Ecco, con i Messa tutto ciò non avviene e anzi, la musica è davvero la protagonista di un flusso sia fisico che mentale capace di trasportare in luoghi remoti sia geografici che dell’anima. Il loro doom metal è infatti di difficile classificazione e si può ben dire che è solo una componente di uno stile ben più composito e ricercato che ingloba suggestioni dark jazz e lunghe divagazioni strumentali orientaleggianti. C’è un senso rituale, spirituale, trascendentale ed ipnotico nei momenti in cui la musica si fa esclusivamente strumentale, ma anche una componente estremamente d’impatto che fa capolino ogni qual volta la band spinge sulla distorsione e i riff pachidermici. L’atteggiamento sul palco dei musicisti è attitudinalmente vicino allo shoegaze, con i singoli membri concentrati sui rispettivi strumenti ed effetti, ma ciò non toglie che la performance complessiva sia tanto impeccabile tecnicamente quanto sudata e fisica.

Discorso a parte per Sara Bianchin, la cantante, autrice di una performance di altissimo livello pur rimanendo praticamente ferma innanzi al microfono a occhi chiusi, totalmente concentrata e assorta nell’interpretazione dei brani. Bianchin ha una grande potenza, tecnica e un timbro che a tratti ricorda le grandi interpreti femminili di certa black music, che immersa in questo contesto estremo impreziosisce i brani addolcendoli e dando loro un’ulteriore eleganza. Quando non canta, sa mettersi in disparte, accovacciandosi tra le due spie in mezzo al palco per bere e far riposare le corde vocali, lasciando lo spazio ai suoi sodali di portare avanti la liturgia doom. Il paradosso, nonché peculiarità diffusa tra molti metallari è che, se da un lato la cantante mostra un evidente talento, carisma da vendere e una voce notevole e penetrante, dall’altro sembra essere altrettanto timida, specialmente quando mormora i titoli dei brani al microfono. Eppure al pubblico questo sembra quasi non importare tanto è assorto dalla musica. Tolte le giuste ovazioni tributate tra una canzone l’altra, il Bunker cala in un silenzio innaturale, concentrandosi nell’ascolto dei Messa come se fosse in trance. Insomma, se non c’eravate, vi siete realmente persi qualcosa.

Una menzione d’onore va sicuramente ai Ponte del Diavolo, che avevano il difficile compito di scaldare la platea. Missione che può dirsi compiuta in virtù dell’interessante miscellanea metal derivata dall’improbabile, ma azzeccata, unione di doom e black metal, voci femminili e scorie grunge: in altre parole una vera e propria riscoperta degli anni novanta aggiornata in chiave moderna. L’aspetto più interessante del gruppo è senz’altro la presenza di ben due bassisti in formazione votati a sovvertire il più rassicurante dominio della doppia chitarra. Una scommessa vinta perché le frequenze dei due bassi non si sovrappongono e l’equalizzazione dei rispettivi strumenti, uniti all’unica chitarra ritmica presente nel quintetto, crea un muro sonoro di tutto rispetto dalla pasta densa, plumbea, asfittica. L’esecuzione dei brani – tutti estratti dei due EP Mystery of Mystery (2020) e Sancta Mentuis (2022) – ha il giusto tiro e trasporto e sopperisce una presenza scenica a tratti un po’ statica, ma che nel complesso ha intrattenuto a dovere il pubblico fungendo da ottimo antipasto prima della portata principale.

Immagine in evidenza: Sergio Bertani de Lama

A cura di Stefano Paparesta

Moor Mother in concerto al Bunker di Torino

Un viaggio attraverso scenari alternativi realizzati con lo scopo di fare luce su una nuova identità nera, lontana da un passato di schiavitù e di discriminazioni razziali, un’epopea che a partire dalla musica di Sun Ra e di George Clinton prosegue fino ai giorni nostri unendo l’iconografia africana, la fantascienza e l’avanguardia: un’odissea in un’Africa 2.0 che comprende l’esposizione di copertine di album tratti dalla storia della musica afroamericana.

Ecco cosa è stato proposto durante la mostra con aperitivo Visioni Soniche. Cover Afrofuturiste a cura di Juanita Apráez Murillo, tenutasi sabato 7 maggio dalle 18:00 presso i locali nell’area Jigeenyi del Bunker come preludio al concerto di Moor Mother per la seconda anteprima di Jazz is Dead festival.

Le danze iniziano alle 22:00 con il gruppo di apertura SabaSaba; il pubblico affluisce timidamente e, dopo qualche minuto, la sala si riempie. Il sound che vede come protagonisti il mellotron, campioni di suoni rielaborati attraverso filtri e la batteria, si basa sulla riproduzione di rumori, atmosfere distorte e repentini sbalzi di volume che simulano bene l’ira della natura in grado di generare maremoti, esplosioni vulcaniche, scontri tra placche.

Foto: Eleonora Iamonte

E se il viaggio dei SabaSaba termina con un terremoto, è con il cinguettio degli uccellini, simulati dai fischietti del percussionista Dudù Kouate, che comincia quello di Moor Mother. La voce calda della poetessa sembra sostituirsi a quella della coscienza dei presenti, mentre gli slogan da lei pronunciati riecheggiano nella mente anche nei giorni a seguire. Oltre all’elemento etnico proposto da Dudù con i suoi strumenti a percussione tipici della tradizione afroamericana si affianca quello sperimentale e futuristico di Camae Ayewa – vero nome di Moor Mother –, che grazie all’ausilio di un tablet e di un computer seleziona campioni di rumori e di suoni elettronici. È una musica che si potrebbe ascoltare anche senza il senso dell’udito: il giro di basso attivato riesce ad entrare dritto nel petto dell’ascoltatore fino a sostituirsi al battito cardiaco e in un attimo sembra che tutti i cuori presenti nella sala battano allo stesso tempo. Un evento ipnotico, onirico, avvolto dal mistero; una sorta di rituale, forse una lode alla vita – come suggerisce il simbolo egiziano Ankh stampato sulla sua camicia –.

Foto: Eleonora Iamonte

Dopo circa un’ora e mezza, il silenzio di fine concerto viene interrotto dagli applausi di un pubblico rapito che richiamano sul palco l’artista. Moor Mother ora si dirige verso gli spettatori, li guarda negli occhi, tocca le persone nelle prime file mentre interpreta l’ultimo brano, l’unico fra quelli proposti ad avvicinarsi alla forma canzone, forse al genere hip hop, ma che rimane ancora una volta impossibile da etichettare.

La serata si conclude con i dj set di Stefania Vos, DOPS e Sense Fracture aka Birsa.

A cura di Eleonora Iamonte

Motta alle OGR: il racconto del live

Lo scorso 19 aprile Motta ha radunato alle OGR un pubblico che non si è lasciato fermare dai festeggiamenti di Pasquetta del giorno precedente, ma che, al contrario, era prontissimo a scatenarsi ad un concerto.

Il cantautore toscano sta girando l’Italia in tour, fresco della pubblicazione del nuovo singolo “Caro fottutissimo amico” – canzone nata dalla collaborazione con gli Zen Circus -. Il fatto che il suo ultimo album Semplice sia uscito circa un anno fa permette a Motta di sperimentare e spaziare tra la sua discografia, portando al pubblico brani che non suonava live da tempo.

All’apertura dei cancelli i fan di Motta si sono diretti di corsa verso la transenna per ottenere un posto tra le prime file. Una volta giunti sottopalco gli spettatori aspettano con trepidazione l’inizio del live. Le luci si tingono di rosso, il cantautore sale sul palco e l’atmosfera inizia a scaldarsi.

Motta e Francesco Chimenti (bassista) [© Martina Caratozzolo]

Motta stupisce aprendo il live con “Prenditi quello che vuoi”, uno dei brani meno noti dell’album di debutto La Fine Dei Vent’anni (2016). Il polistrumentista si mostra di poche parole tra un pezzo e l’altro, ma avvisa i presenti che il concerto durerà a lungo: «Le facciamo tutte, sarà un sequestro di persona», afferma tra le risate generali. I fan gioiscono per le numerose canzoni che si susseguono e apprezzano il sound alternative rock, a tratti elettronico, dei musicisti che lo accompagnano.

Motta [ © Martina Caratozzolo]

Motta è un animale da palcoscenico: salta da una parte all’altra, scuote la chioma riccia mentre percuote i tamburi con le bacchette, incita il pubblico a cantare ancora più forte, si inginocchia per lasciarsi andare durante le parti strumentali dei brani. Ogni centimetro di palco viene calpestato dal cantautore, che, quando non si scatena, imbraccia la chitarra e suona in acustico, creando un’atmosfera raccolta, impreziosita dai testi introspettivi delle sue canzoni. Due dei momenti più memorabili del live sono quando invita i fan a sedersi per terra per ascoltare con ancora più trasporto il brano “La Fine Dei Vent’anni” e quando sorprende con “Fango”, un brano dei Criminal Jokers, la sua band precedente all’esperienza solista, che solo i fan più affezionati ricordano.

Il pubblico alle OGR durante il live di Motta [© Martina Caratozzolo]

A concerto finito, un emozionato Motta ringrazia e promette al pubblico torinese di tornare presto, lasciando intendere ai più attenti che potrebbe annunciare a breve un tour estivo. Il cantautore lascia il palco tra gli applausi degli spettatori, che escono dal locale con il passo lento di chi vorrebbe che il live ricominciasse da capo per rivivere ogni emozione.

A cura di Martina Caratozzolo

Emozioni al teatro regio: Le 8 stagioni

Il Teatro Regio, in collaborazione con il socio fondatore Iren prosegue con il ciclo In famiglia, il cartellone dedicato a bambini e ragazzi. Sabato 9 aprile 2022 si è tenuto il concerto Le 8 stagioni, con l’Orchestra d’Archi del Teatro Regio e, in veste di maestro concertatore e violino solista, Sergey Galaktionov: primo violino dell’Orchestra del Teatro Regio, già vincitore di numerosi concorsi tra cui il Concorso Internazionale Viotti, ha collaborato con le principali orchestre internazionali ed affermati direttori della scena musicale contemporanea.

Il programma prevedeva l’esecuzione alternata de Le Stagioni di Antonio Vivaldi (1678-1741) e Las cuatro estaciones porteñas – conosciute anche come Le quattro stagioni di Buenos Aires – di Astor Piazzolla (1921-1992).

Due compositori divisi da due secoli e mezzo e undicimila chilometri, che hanno saputo catturare l’attenzione anche dei più piccoli, seduti sulle poltrone del Teatro Regio. Il concerto si apre con La Primavera di Vivaldi, seguita dal Verano porteño di Piazzolla: mentre nella prima l’Orchestra e Galaktionov sembrano sbocciare, proprio come fiori nella stagione (si intravede anche qualche sorriso, nascosto sotto la mascherina, tra i violini), con l’estate ci si sente quasi ingannati, tutto sembra fuorché la stagione del sole. Il ritmo sincopato strizza l’occhio al tango, e sin dalle prime note ci si immagina due ballerini sul palco, intenti a danzare accompagnati dall’Orchestra; eppure, sono presenti solo i musicisti. Galaktionov è totalmente nella parte, suonando riesce a trasmettere tutto ciò che prova in quel momento: la sua è un’emozione talmente forte che un crine del suo archetto si rompe, ma lui continua la sua performance e, in un attimo di pausa, stacca via il crine come se avesse appena concluso un passo di danza difficilissimo e stesse prendendo fiato prima del prossimo.

È impossibile confondere il virtuosismo di Vivaldi con la musica astratta di Piazzolla, e una bambina seduta in terza fila sembrava saperlo bene. Su quella sedia rossa, tra la mamma e la nonna, con la custodia del violino davanti alla gambe, dondolava la mano a tempo dell’Otoño porteño; proprio come Sergey accennava piccole oscillazioni con il corpo durante l’intervento solistico del violoncello. Quella bambina non era l’unica ad essere incantata dall’atmosfera creatasi: al termine del concerto, dopo molti applausi, mille emozioni, e gli inchini dell’Orchestra e di Galaktionov, il maestro concertatore ringrazia il pubblico per essere stato lì e chiede «Vivaldi o Piazzolla?». In un istante, l’inimmaginabile a teatro: un bambino, dal fondo della platea, grida «Piazzolla!» e, in quel momento, tutti hanno capito l’importanza della musica, capace di far riflettere ed emozionare i più grandi e, allo stesso tempo, sognare i più piccini.

In evidenza: Sergey Galaktionov e l’Orchestra d’archi (credits: comunicato stampa Teatro Regio)

a cura di Chiara Vecchiato

I Cara calma portano il rock a spazio 211: recensione DEL LIVE e videointervista

Sabato 2 aprile 2022 la rock band bresciana Cara Calma ha presentato il suo terzo album GOSSIP! a Spazio211. La tappa di Torino è stata la prima di un tour che li vedrà suonare anche a Bologna, Brescia, Roma e Milano.

I Cara Calma a Spazio211 (© Martina Caratozzolo)

Il gruppo ha radunato nel locale torinese un pubblico appassionato e carico per essere tornato ad un live senza posti a sedere, ma in piedi, dove si è cantato e ballato come ai vecchi tempi.

I fan, prima di prendere posto sottopalco, hanno rispettato il rito fatto di birra e chiacchiere sulla scaletta che si sarebbero apprestati ad ascoltare. Chi è arrivato in anticipo al locale non si è certo annoiato nell’attesa: in apertura ha infatti suonato il duo rock torinese The Unikorni, formato dal cantante e chitarrista Fabrizio Pan e dalla batterista Giorgia Capatti. Il sound sporco e distorto, la voce graffiata e i rumorosi colpi di batteria hanno scaldato gli spettatori, generando entusiasmo. I più attenti si sono segnati il nome del gruppo, promettendo di dedicargli qualche attento ascolto in memoria dei tempi in cui erano in fissa per il grunge.

Tra l’emozione generale, la band sale sul palco e il pubblico si avvicina. Le luci si tingono di fucsia per riprendere il colore del logo proiettato sul fondo: un bacio stilizzato smorzato da una zip, ovvero la copertina di GOSSIP!, uscito lo scorso 14 gennaio. Il concerto si apre con “Balla sui tetti”: l’invito perfetto per iniziare a scatenarsi. I fan dimostrano sin dal primo brano di aver dedicato all’ultimo lavoro dei Cara Calma ascolti su ascolti, in quanto cantano a squarciagola ogni parola delle tante canzoni presentate dal vivo in anteprima assoluta.

Il bassista Gianluca Molinari e il batterista Fabiano Bolzoni (© Martina Caratozzolo)

Nel corso del concerto sul palco salgono anche due ospiti del panorama torinese: Giorgieness e Claudio Lo Russo della band Atlante. La cantautrice e il frontman hanno portato la loro energia in due featuring vincenti, rispettivamente con le canzoni “Universo” e “Rodica”, tratte dal secondo album dei Cara Calma, Souvenir.

Uno dei momenti da ricordare è sicuramente quello in cui il chitarrista Cesare Madrigali abbandona momentaneamente la sua Stratocaster per accompagnare alla tastiera “Kernel”, probabilmente il pezzo più introspettivo di GOSSIP!, ipnotizzando il pubblico, che si placa per qualche istante. Gli spettatori si sono poi ricaricati con altri riff incalzanti, soprattutto durante “Rispettare i centimetri” e “VMDV”, che hanno letteralmente spettinato i presenti.  

Claudio Lo Russo sul palco con i Cara Calma (in foto Riccardo Taffelli, frontman e chitarrista, e Cesare Madrigali, chitarrista) [© Martina Caratozzolo]

Il gruppo conclude il concerto sulle note di “Altalene”, uno dei singoli più apprezzati. Dopo averlo suonato con ogni briciola di energia rimasta, i Cara Calma hanno posato gli strumenti e intonato ancora una volta il ritornello insieme ai fan, in conclusione di un concerto decisamente memorabile.

A Spazio211 i Cara Calma non potevano iniziare meglio il loro tour. Siamo certi che Torino sia stata in grado di farli sentire a casa, perché un calore di questo tipo si dedica solo alle band per cui si ha una grande stima. Il loro live ci ha fatto ricordare il senso più bello dell’andare ad un concerto: sentirsi parte di un tutto che vede nella musica la forma d’arte più bella che ci sia.

Noi di MusiDams abbiamo avuto il piacere di fare qualche domanda alla band prima del live. Ecco il video dell’intervista.

a cura di Martina Caratozzolo