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Musica e letteratura al Salone del Libro di Torino: quarta giornata

Il Salone Internazionale del Libro di Torino offre ogni anno un ricco programma di incontri di ogni genere, pensati per soddisfare i gusti più diversi dei visitatori. Nonostante la letteratura sia il fulcro del Salone, anche altre forme d’arte trovano spazio tra gli eventi in calendario. Domenica 18 maggio, quarto e penultimo giorno della manifestazione, sono previsti appuntamenti che coinvolgono anche il mondo musicale. 

Nel pomeriggio, ad esempio, si segnalano numerosi incontri tra cui la presentazione di Michele Rossi con il suo libro Condotti da fragili desideri. Parole e liturgie dei CCCP- Fedeli alla linea, un’opera che esplora la storia e la poetica della celebre band italiana attraverso l’analisi di alcune delle loro canzoni più iconiche. Sempre nello stesso giorno, Francesco Lorenzi, autore del libro per l’infanzia La musica del bosco (Effatà), nonché cantante della band THE SUN, è protagonista di un incontro dedicato ai più piccoli. Infine, Ermal Meta presenta il suo nuovo romanzo Le camelie invernali edito da La nave di Teseo, portando la sua esperienza di artista a cavallo tra letteratura e musica.

Foto di Luciano Nervo

Michele Rossi presenta il suo nuovo libro con Condotti da fragili desideri. Parole e liturgie dei

CCCP – Fedeli alla linea, un canzoniere commentato che offre un’analisi approfondita e personale della celebre band punk italiana degli anni ’80. Nel volume, Rossi, biografo di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, fondatori del gruppo, racconta la storia dei CCCP attraverso la vita dei due componenti principali, la loro esperienza insieme e l’evoluzione della band, esaminando in dettaglio diciannove canzoni emblematiche.

Il libro non si limita a una semplice raccolta di testi, ma diventa un viaggio nel contesto storico, culturale e letterario che ha influenzato la band, con note che svelano il significato nascosto dietro ogni brano. Rossi sottolinea come Berlino rappresenti una città simbolo per la storia dei CCCP, teatro di alcune delle loro esibizioni più significative e luogo emblematico della loro identità punk e post-punk, in netto contrasto con Reggio Emilia, loro città natale.

Attraverso un’accurata ricostruzione, l’autore mostra come i CCCP abbiano incarnato l’ultima avanguardia italiana del Novecento. Dal punto di vista musicale, molto interessante è il loro accostamento tra il genere punk e il liscio, un tentativo di unire modernità e tradizione.

Dopo la presentazione del libro, Rossi prosegue l’incontro coinvolgendo il pubblico, invitandolo a proporre canzoni del gruppo emiliano da analizzare insieme sul momento. 

La presentazione di Francesco Lorenzi è moderata dal comico Gigi Cotichella, e dà  vita a un vero e proprio spettacolo. Lorenzi è il frontman dei THE SUN, un gruppo punk, pop e Christian rock nato nel Vicentino alla fine degli anni Novanta.

Lorenzi presenta il suo libro per bambini La musica del bosco, una storia in cui gli animali prendono spunto dalla vita dell’artista e della sua band, con la parola “sole” che ricorre costantemente, proprio come nel nome del gruppo. L’autore afferma che la decisione di scrivere un libro per più giovani è nata dalla presenza molto attiva di numerosi bambini a tutti i loro concerti.

Dopo la presentazione, il gruppo propone alcune canzoni per allietare il pubblico e rendere l’evento più dinamico. Come nel libro, anche nelle canzoni la parola “sole” è ricorrente, quasi come una firma distintiva.

Per concludere, Ermal Meta, cantautore di origini albanesi, presenta il suo secondo romanzo Le camelie invernali, pubblicato da La nave di Teseo, segnando il suo ritorno alla scrittura dopo il primo libro Domani e per sempre (2022).

Foto di Giulia Fasano

L’evento è stato organizzato per essere accessibile a un pubblico ampio, con la presenza di un traduttore LIS e sottotitoli, in modo da permettere anche ai non udenti di seguire la presentazione.

Nel romanzo, Ermal Meta si ispira alla sua infanzia in Albania, raccontando una storia di tensioni e conflitti tra due famiglie ricche di segreti, ambientata nell’Albania post-comunista durante il periodo delle grandi migrazioni verso l’Italia. La presentazione, pur parlando poco di musica, ha saputo coinvolgere il pubblico suscitando curiosità sul romanzo e i suoi temi profondi.

In sintesi, la giornata ha offerto un ricco panorama di incontri che hanno saputo unire musica, letteratura e cultura, coinvolgendo un pubblico variegato e appassionato attraverso storie, analisi e performance dal vivo.

Marta Miron

Hamlet in Musica: il fascino del Romanticismo francese a Torino

L’Anteprima Giovani del Teatro Regio di Torino rappresenta un’opportunità straordinaria per avvicinarsi all’opera, un genere che in queste occasioni dimostra di essere, più che mai, giovane e vivo.

In programma, il 13 maggio 2025, c’è Hamlet, opera composta nel 1868 dall’omonima tragedia di William Shakespeare con musiche di Ambroise Thomas e libretto di Michel Carré e Jules Barbier.  Cinque atti che sfidano l’adattamento di un testo tanto complesso e intenso, a cui la regia di Jacopo Spirei offre una risposta brillante.

All’arrivo in sala, prima dell’inizio dello spettacolo, il sipario è già alzato, alcuni figuranti leggono appassionatamente un libro – presumibilmente l’omonima opera shakespeariana. Pian piano il palco si riempie di lettori e finalmente le luci si spengono. L’Orchestra del Teatro Regio, diretta da Jérémie Rhorer, comincia a suonare dopo essere stata annunciata da un rullo di timpani. Il preludio, inizialmente cupo e malinconico, si intensifica diventando una marcia reale: è proprio in un’ambientazione nobiliare ma decadente che la storia di Hamlet ha inizio.

Foto da cartella stampa Teatro Regio Torino, foto di Daniele Gatti e Mattia Gaido

Il Coro del Teatro Regio rompe il predominio orchestrale con un canto solenne, rappresentando lo sfarzo delle nozze tra Gertrude e Claudius, rispettivamente Re e Regina di Danimarca. 

I protagonisti dell’opera, Hamlet e Ophélie sono rispettivamente interpretati dal tenore John Osborn, e dal soprano Sara Blanch. Si presentano in un duetto dove la voce tenorile di Hamlet e quella sopranile di Ophélie si fondono esprimendo tutta la spensieratezza della gioventù dei giovani innamorati, che purtroppo avrà breve durata.

Laerte, il fratello di Ophélie, entra in scena subito dopo, (l’interpretazione del personaggio si deve a Julien Henric), seguito poco dopo dai due amici di Hamlet, Horatio (Tomislav Lavoie) e Marcellus (Alexander Marev), che si presentano dando ad Hamlet la sconvolgente notizia di aver avvistato lo spettro del padre deceduto.

Un’orchestrina dietro al palco e dei rintocchi di campana annunciano la comparsa dello Spettro, interpretato dal basso Alastair Miles, sempre accompagnato da due bambini, presumibilmente Hamlet e Ophélie da piccoli. Il fantasma parla con un declamato su una nota fissa  per tutto il discorso, variando raramente, per esempio durante la ripetizione di «Venge-moi! Venge-moi!» dove il canto si alza leggermente per sottolineare l’urgenza del messaggio.

Foto da cartella stampa Teatro Regio Torino, foto di Daniele Gatti e Mattia Gaido

La Regina Gertrude è interpretata dal mezzosoprano Clémentine Margaine, dalla  voce calda e potente che contrasta con quella leggera e cristallina di Ophélie, dimostrando eccellentemente la differenza d’età tra i due personaggi. Analogo è il rapporto tra le voci di Claudius, interpretato dal basso Riccardo Zanellato, dalla voce piena e profonda, e quella tenorile di Hamlet, più acuta e giovanile.

Gli ultimi personaggi a comparire sono i due becchini, interpretati da Janusz Nosek e Maciej Kwaśniewski che  in questa versione assumono le sembianze di medici legali in un obitorio umido e squallido.

Di grande effetto sono le scelte registiche, come l’uso delle luci, spesso impiegate come riflettori cinematografici. Le scenografie, realizzate da Gary McCann, hanno contribuito a rendere Hamlet un’esperienza visiva di forte impatto: edifici sontuosi ma decadenti, con pareti dall’intonaco scrostato, un evidente contrasto tra presente e passato. Particolarmente suggestiva è la messa in scena dello spettacolo L’assassinio di Gonzago da parte di Hamlet e degli istrioni, durante il banchetto di nozze: grazie all’utilizzo di tre marionette giganti che occupano quasi interamente il palcoscenico, la rappresentazione assume un carattere fortemente spettacolare e coinvolgente.

Foto da cartella stampa Teatro Regio Torino, foto di Daniele Gatti e Mattia Gaido

Prima dell’inizio di quest’ultima scena un delicato assolo di sassofono soprano rompe il silenzio della sala, regalando un momento di grande suggestione. Questo intervento è degno di nota perché, al tempo in cui l’opera fu composta, il sax era uno strumento appena inventato e poco diffuso. L’effetto  sorpresa che suscitò allora si rinnova ancora oggi poiché lo strumento rimane una presenza rara e inaspettata nel repertorio operistico.

Il quarto atto si distacca dal resto dell’opera, creando un ambiente a parte, molto cupo, probabilmente una soffitta con molti mobili sullo sfondo coperti da teli. Ophélie ne è la protagonista indiscussa. La scena, per come è strutturata, può ricordare l’“Atto in bianco” del balletto romantico per eccellenza, Giselle, da cui il regista sembra prendere ispirazione per le ambientazioni e i costumi, grazie alla presenza di tante donne vestite in abito da sposa. Ophélie percorre la scena, apparendo fragile e sofferente, ma allo stesso tempo travolta dalla follia, come se cercasse di persuadersi della propria felicità inesistente. Il canto, ricco di sforzati e glissati, richiama l’aria della bambola meccanica “ Les oiseaux dans la charmille” dall’opera fantastica Les contes d’Hoffmann. Sara Blanch interpreta il personaggio magistralmente, con una voce agile ed espressiva, donando un punto di vista introspettivo e innocente della giovane ragazza.

Foto da cartella stampa Teatro Regio Torino, foto di Daniele Gatti e Mattia Gaido

Il finale mette in scena la morte di Claudius e l’incoronazione di Hamlet come nuovo re. Il coro enuncia solennemente «Vive Hamlet, vive notre Roi!» ma il protagonista appare profondamente triste: abbraccia la salma di Ophélie mentre si dondola su un cavalluccio a dondolo: un’immagine carica di malinconia.

Al termine dell’opera, il pubblico esplode in un lungo applauso, particolarmente caloroso per il Coro, diretto da Ulisse Trabacchin, e per le interpretazioni di Claudius, Gertrude e Ophélie che hanno profondamente commosso gli spettatori.

Questa messa in scena di Hamlet ha portato a Torino l’opera romantica francese, un repertorio poco noto nel nostro paese, ma che vale davvero la pena riscoprire e far conoscere meglio.

Marta Miron

Blowin’ in the wind: jazz e pace al TJF

“Blowin’in the wind”, una delle canzoni più famose di Bob Dylan, è uscita nel 1962 diventando immediatamente un inno internazionale per la pace.
Furio Di Castri, figura di spicco del jazz italiano e direttore del Dipartimento Jazz del Conservatorio di Torino, in occasione del Torino Jazz Festival ha ideato un concerto con quel  titolo, concepito come un messaggio esplicito a favore della pace. Per questo progetto, Di Castri ha formato l’ensemble Furio Di Castri 8 riunendo sette musicisti di altissimo livello con cui ha collaborato nel corso della sua lunga carriera: Mauro Negri al clarinetto, Giovanni Falzone alla tromba, Federico Pierantoni al trombone, Nguyen Le alla chitarra, Andrea Dulbecco al vibrafono, Fabio Giachino alle tastiere e Mattia Barbieri alla batteria.

Foto dalla cartella stampa del Torino Jazz Festival

Il concerto si è sviluppato come un vero e proprio viaggio musicale, il cui filo conduttore sono stati i conflitti che hanno segnato gli ultimi settant’anni, un arco temporale che coincide con l’età di Di Castri.

Il percorso sonoro è partito dal Vietnam, evocato da una ricca varietà di suoni e melodie eteree che ricorda le colonne sonore cinematografiche, per poi spostarsi in Irlanda con i ritmi allegri di una giga. Il viaggio è proseguito in Sud America, in Argentina e in Cile, dove la musica assume un carattere passionale. La band, verso il finale di questo brano, è riuscito anche a coinvolgere un pubblico inizialmente incerto in un canto di una semplice melodia.

Da lì siamo passati alla Bosnia, con i suoi ritmi incalzanti tipici dei Balcani, per poi arrivare in Palestina, dove emerge chiaramente l’influenza del sistema modale arabo. Di Castri ha specificato che ha conosciuto quest’ultimo brano durante un workshop a Gaza anni prima.

Foto dalla cartella stampa del Torino Jazz Festival

Le composizioni finali si sono distaccate leggermente da questa linea, portando l’ascoltatore in Europa con un Requiem dedicato al tribunale dell’Aia e infine in Cina.

Il concerto è stato un’esperienza sonora estremamente interessante e ben riuscita. I musicisti hanno dato il meglio di sé, eseguendo soli virtuosistici di grande varietà e mostrando una notevole capacità di adattamento alle diverse tradizioni musicali attraversate. Hanno evidenziato la versatilità degli strumenti che, pur essendo strutturati per seguire le “regole” europee, riservano sorprese sonore inaspettate grazie alla bravura degli strumentisti. La tromba tramite diverse sordine ha prodotto suoni gracchianti e strozzati, il vibrafono suonato con archetti in sostituzione delle bacchette ha creato suoni stridenti e risonanti.

Foto dalla cartella stampa del Torino Jazz Festival

La batteria ha dato sfogo a tantissime possibilità sonore, è stata suonata con bacchette morbide per simulare il suono dei timpani, o usata per produrre rumori naturali come l’effetto dell’acqua che scorre, grazie all’utilizzo delle spazzole.

Il contrabbasso, base ritmica onnipresente, ha tenuto il concerto ancorato al jazz, elemento fondamentale del festival torinese.

Il finale è arrivato a sorpresa: le melodie precedenti sono state rielaborate nel ritornello di “Blowin’ in the Wind”, creando un effetto conclusivo di grande impatto e profondità, richiamando così una riflessione sulle guerre e i conflitti umani.

Foto dalla cartella stampa del Torino Jazz Festival

Il pubblico non si è risparmiato negli applausi, che hanno portato  l’ensemble a dedicarci un fuoriprogramma. Prima di andar via, la band ha fatto cantare al pubblico la melodia sudamericana eseguita in precedenza creando un momento di condivisione e gioia che ha fatto uscire tutti dal teatro con un sorriso sul volto. 

Marta Miron


 Disobbedire Sempre: viaggio musicale tra regole infrante e libertà

“Disobbedire è l’unico modo per crescere”: così Fausto Ferraiuolo presenta il concerto “Disobbedire sempre”, un percorso musicale che ci riporta all’infanzia e al percorso di crescita di ciascuno di noi.
L’evento è nel programma del Torino Jazz Festival.

Ferraiuolo compositore e pianista, insieme al clarinettista Gabriele Mirabassi danno vita a un concerto capace di riportarci indietro nel tempo e infonderci sentimenti di pace e libertà.

Il concerto comincia e i suoni dei due strumenti si intrecciano sin da subito.
Ferraiuolo accompagna il clarinetto al pianoforte, tenendo allo stesso tempo una lieve linea melodica con la mano sinistra.

Foto dal profilo Facebook @Gabriele Mirabassi

Ogni clarinettista sa quanti anni e quante ore di studio servono per produrre il suono “perfetto”, ma Mirabassi disobbedisce alla tecnica classica producendo note ariose e gracchianti. Giocando con i passaggi da suoni caldi ad altri taglienti, fa vibrare le corde vocali mentre emette il fiato per produrre una melodia roca in contrasto con il timbro pulito del pianoforte e quello caldo tipico del clarinetto classico, in un’interpretazione ricca di glissati che riporta subito alla celeberrima introduzione della Rhapsody in Blue di Gershwin. Mirabassi mostra la sua bravura tecnica riempiendo la sua interpretazione di virtuosismi, scale e arpeggi velocissimi di una pulizia sorprendente. Nella ninna nanna riesce a eseguire metà brano in pianissimissimo senza mai lasciare che il suono si perda tra il fruscio del fiato a dimostrare la sua capacità di gestire sia i momenti di forte che di piano.

Foto dal profilo Facebook @Fausto Ferraiuolo music

Intanto il pianoforte funge d’accompagnamento, suona all’unisono o si dedica a soli virtuosistici; spesso riprende le frasi del clarinetto con la mano destra, mentre con la sinistra rilancia l’accompagnamento che offriva prima. La melodia pulita del pianoforte spesso viene esasperata in sforzati e suoni estremamente risonanti che danno idea di libertà. 

Ferraiuolo nelle sue composizioni crea melodie libere da barriere che trasmettono immagini naturali dal carattere giocoso e spensierato, varie nella dinamica e con continui passaggi dall’adagio all’allegro, che ci riportano con i pensieri ai giochi che facevamo da bambini.

Il pubblico entusiasta riempie la sala di applausi in ogni momento di silenzio. Alla fine del concerto il calore del pubblico è tale  che i musicisti offrono un fuori programma inizialmente più calmo e lento ma che ha sviluppato un crescendo ideale per un finale grandioso.

“Disobbedire Sempre” si rivela una metafora illuminante per descrivere l’essenza stessa del jazz: un genere che, proprio come l’infanzia, fiorisce dalla libertà di rompere gli schemi, di sovvertire le regole classiche per creare qualcosa di nuovo e inaspettato.

Marta Miron


AleLoi & The Toxic Jazz Factory: Il Jazz rivive al Blah Blah

Il jazz, spesso etichettato come genere “vecchio” o fuori moda, dimostra di avere ancora molto da dire anche alle nuove generazioni. A testimoniarlo è la serata di giovedì 17 aprile al Blah Blah di Torino, con uno degli eventi gratuiti che anticipano il Torino Jazz Festival.

Appena AleLoi & The Toxic Jazz Factory salgono sul palco del piccolo club, infatti, la sala interna si riempie in un attimo, tanto che per i piú piccoli di statura diventa difficile provare a farsi strada per vedere qualcosa. Il suono degli strumenti si diffonde sotto i portici di via Po e, schiacciati in mezzo alla folla, si percepisce chiaramente una cosa: il jazz non è affatto passato di moda. Anzi, è più vivo che mai.

AleLoi & The Toxic Jazz Factory è un ensemble guidato da Alessandro Loi, bassista e compositore, che porta sul palco del Blah Blah il suo disco d’esordio It Smells Funny, dove il jazz, il blues, il gospel e il funk coesistono, creando un jazz raffinato e moderno allo stesso tempo.
Loi è accompagnato da un ensemble musicale composto da Simone Garino ai sassofoni, Alberto Borio al trombone, Nicola Meloni alla tastiera e Giulio Arfinengo alla batteria.

Foto dal profilo Facebook @AleLoi

Le sezioni d’insieme, energiche e coinvolgenti sono intervallate da assoli strumentali che mettono in luce la bravura di tutti i componenti del gruppo.
L’uso del basso elettrico fretless a 5 corde garantisce una maggiore flessibilità espressiva, particolarmente evidente nel brano inedito “Last Beer with Friends”, dove il timbro dello strumento viene ulteriormente arricchito da un distorsore.

Nota di merito anche  per il sassofonista e il trombonista che, nei momenti collettivi, rivelano con una tale sintonia da far percepire in certi istanti un suono unico, nonostante la notevole differenza timbrica tra i due strumenti.

Il concerto è durato circa un’ora: forse troppo corto per gli appassionati, ma perfetto per chi desidera avvicinarsi al jazz in modo leggero, passando una piacevole serata tra drink, chiacchiere tra amici e buona musica. Un evento piacevole e ben riuscito, che mette il jazz al centro, ma che non ne “impone” l’ascolto attento prolungato.

Marta Miron

Senegal: i 65 anni d’Indipendenza a ritmo di musica

Rispettare l’orario d’entrata previsto per un concerto può risultare una scelta azzardata e a volte anche noiosa. Nelle lunghe attese si può rischiare di incollare gli occhi al piccolo schermo che ci troviamo sempre in tasca e perderci totalmente ma, se si resiste alla tentazione, l’arrivo in anticipo può trasformarsi in un’occasione per osservare le persone che entrano nel locale. Infatti, tra i coloratissimi vestiti tradizionali senegalesi e piccolissimi bambini che correvano a destra e sinistra, la serata all’Hiroshima Mon Amour di Torino il 4 aprile si è aperta con tanta allegria. L’evento ha avuto il sapore di una vera festa, organizzata per celebrare il 65° anniversario dell’indipendenza del Senegal dal colonialismo francese, durato oltre tre secoli.

Per l’occasione, l’Associazione Africaqui e l’Associazione Culturale Tamra, in collaborazione con Hiroshima Mon Amour, hanno dato vita a un evento musicale che vuole essere anche simbolo di cooperazione tra Torino e Louga, città senegalese nel Nord-Est del paese, gemellate ufficialmente nel 2024.
La serata è iniziata con gli Afrodream, gruppo afrobeat, seguito dalla cantautrice senegalese Mariaa Siga. Subito dopo, l’esibizione dell’Orchestra dell’Africa Subsahariana e un dj set a cura di Dj Noname per chiudere.

Foto dal profilo Instagram @afrodream_ foto didi Lorenzo Gianmario Galli

Alle 22 circa la musica ha iniziato a risuonare in tutta la sala dell’Hiroshima con ritmi incalzanti che hanno fatto ballare anche gli spettatori meno avvezzi al movimento. Gli Afrodream sono nati a Torino, e il loro cantante e percussionista Abdou Samb ha origini senegalesi. Grazie alla fusione tra musica europea e senegalese hanno creato un ambiente accogliente per tutti. C’è stata una piccola interruzione dovuta alla corda del basso che si è rotta proprio in mezzo alla performance ma, oltre a questo piccolo intoppo, tutto è filato liscio come l’olio.
La band ha ottenuto un grande successo da parte del pubblico ma l’affluenza in sala ha subito un calo significativo con l’arrivo di Mariaa Siga, artista meno conosciuta rispetto agli Afrodream. Cantautrice dalle straordinarie doti vocali, Mariaa incanta con una voce potente e al tempo stesso delicata, capace di spaziare su un’estensione vocale notevole. Ha dedicato le sue canzoni principalmente a coloro che hanno sofferto, come i molti dispersi in mare nella speranza di raggiungere una vita più dignitosa in Europa e non solo. Una dedica speciale è stata fatta alle donne, in una giornata in cui, in Piazza Castello, in centro a Torino, si è svolta la manifestazione organizzata in risposta ai recenti femminicidi, tra cui quelli di Ilaria Sula e Chiara Campanella.
Finale con una canzone in onore della  sua madrepatria, il Senegal, con un pubblico finalmente molto più acceso.

Foto dal profilo Instagram @mariaasiga

L’Orchestra dell’Africa Subsahariana ha dato di nuovo il via alle danze, scatenando tutta la sala. La loro scelta strumentale è particolarmente interessante poiché combinano strumenti tradizionali del Centro Africa, come la kora e il djembe, con una varietà di percussioni, elettronica e un sax, che si fonde perfettamente con gli altri elementi.
Tra le parti cantate sono emersi momenti virtuosistici dei percussionisti e soprattutto del suonatore di kora. Sul palco sono stati fatti entrare anche di tanto in tanto dei ballerini che hanno creato uno spettacolo veramente esaltante.
Per il gran finale, l’Orchestra dell’Africa Subsahariana ha invitato sul palco Mariaa Siga e alcuni membri di Afrodream per eseguire insieme “Fatou yo”, un brano senegalese per bambini che sembra assumere un significato profondo per tutti: un finale sia maestoso che commovente, anche per chi non conosce pienamente la cultura del paese festeggiato.
Il dj set conclusivo ha permesso chi aveva ancora energia di continuare a ballare. 

Una festa indimenticabile che ha saputo intrecciare tradizione e modernità, regalando a tutti i presenti un’esperienza unica.

Marta Miron

Capolavori riscoperti: Čajkovskij ed Elgar all’Auditorium Rai

“Puzzolente” non è l’aggettivo più comune per descrivere una composizione musicale, ma fu proprio così che il celebre musicologo Eduard Hanslick descrisse il Concerto in re maggiore per violino e orchestra op.35 di Pëtr Il’ič Čajkovskij (1878) dopo aver assistito alla prima esecuzione viennese nel 1881. L’opera in questione ha inaugurato la serata del 20 marzo 2025 all’Auditorium “Arturo Toscanini” di Torino: sul palco a dirigere l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai, per la terza volta quest’anno, Robert Treviño e, al violino solista, un entusiasmante Augustin Hadelich. A seguire l’orchestra ha eseguito la Sinfonia n°2 in mi♭ maggiore, op.63 di Edward Elgar: sinfonia composta nel 1911 ma non molto conosciuta, tanto che l’Orchestra Rai (allora ancora Orchestra Sinfonica di Torino della Radio Italiana) non la eseguiva dal lontano 22 maggio 1953.

Il Concerto in re maggiore op.35, è l’unico concerto per violino e orchestra di Čajkovskij. Questa composizione non ebbe un facile lancio: stroncata dai critici appunto come Hanslick, la consideravano musica rozza, vede il violino quasi provare a contorcersi per esprimere emozioni intense attraverso suoni non prettamente puri e puliti. Oggi questa caratteristica, tanto criticata all’epoca, viene considerata proprio come un tratto distintivo e di grande interesse dell’opera. Oltre a problemi con la critica, il compositore russo ebbe difficoltà a trovare un interprete solista che accettasse il lavoro. Dopo molti rifiuti da parte di grandi violinisti del calibro di Josif Kotek, Čajkovskij riuscì, nel 1881, a fare eseguire la composizione da un giovane Adol’f Brodskij. 

Foto di DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Se i rifiuti da parte di molti violinisti dell’epoca furono dovuti anche alla difficoltà tecnica del concerto, Hadelich non ne è sembrato per nulla intimidito: ci ha regalato, anzi, un’interpretazione magistrale, con tecnica impeccabile e un suono ammaliante. Alla fine dell’esecuzione, la sua bravura ha scatenato uno scroscio di applausi entusiasti. E così Hadelich ha imbracciato nuovamente lo strumento per eseguire, fuori programma, “Por una Cabeza”, un tango di Carlos Gardel in una versione per violino solo che ha realizzato lui stesso. 

Dopo la pausa il concerto riprende con la Seconda di Elgar (1911): meno celebre della sua Prima sinfonia, si articola in quattro movimenti (Allegro vivace e nobilmente, Larghetto, Rondò, Moderato e maestoso) che cercano un equilibrio tra tradizione e innovazione. La sinfonia si sviluppa così in un arco espressivo ampio, che viaggia dal romanticismo alle sperimentazioni novecentesche trasmettendo sbalzi emotivi e sentimenti profondi, ma con i suoi 53 minuti può talvolta risultare alquanto impegnativo per l’ascoltatore. L’interpretazione di Robert Treviño ne enfatizza la complessità, restituendo i contrasti tra lirismo e drammaticità tipici del compositore.

Foto di DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Il concerto ha insomma unito capolavori riscoperti e talenti contemporanei, dimostrando come la musica possa ribaltare i giudizi del passato. Per chi se lo fosse perso, è stato registrato e trasmesso in diretta su Rai Radio 3 per Il Cartellone di Radio 3 Suite, quindi è disponibile su RaiPlay Sound. Inoltre la serata è stata ripresa per Rai Cultura e sarà trasmessa il 22 maggio 2025 su Rai 5.

Marta Miron

Stefano Bollani e Valentina Cenni: ospiti speciali per la serata finale del Premio Gianmaria Testa

Il 9 marzo 2025, al Teatro Fonderie Limone di Moncalieri, la musica d’autore ha trovato il suo palcoscenico ideale con la serata finale della Quinta edizione del Premio Testa – Parole e Musica. Un evento intenso e ricco di emozioni, che ha visto giovani talenti omaggiare l’indimenticabile cantautore Gianmaria Testa, attraverso esibizioni originali e reinterpretazioni vibranti, sotto lo sguardo attento di una giuria prestigiosa e accompagnati da ospiti d’eccezione: Stefano Bollani e Valentina Cenni.
La serata prevedeva la consegna di due premi: il premio Testa per la miglior canzone inedita e il premio per la miglior esecuzione di un brano di Testa selezionata da una giuria autorevole diretta da Eugenio Bennato.

A dare inizio alle esibizioni è stato Manuel Apice, cantautore ligure già vincitore di premi come il Fabrizio De André o il Bindi. Per inaugurare la serata ci presenta prima una cover del brano “Biancaluna” di Testa che dà il via alle esibizioni.
A seguire Alessandro Sipolo, artista lombardo spesso in viaggio per il mondo, fa riemergere uno stile musicale che ci trasporta nel continente americano da nord a sud: un vero e proprio viaggio musicale estremamente coinvolgente.
ll terzo cantautore presentato è Fabio Schember, classe ‘98, ci presenta delle interpretazioni tipicamente Mediterranee. Con l’uso di strumenti come l’oud turco o i tamburi muti propone una fusione tra la musica delle sponde nord del mediterraneo con quelle del sud-est, ricreando sonorità veramente interessanti.
Alessio Alì, cantautore calabrese, è il più giovane tra i candidati e predilige la semplicità rispetto alla ricerca musicale presente nei cantautori precedenti, caratteristica che lo accomuna con l’ultimo candidato: Mizio Vilardi, unico artista ad esibirsi senza band, accompagnato solo dalla sua chitarra. Omaggia le sue origini pugliesi cantando metà in italiano e metà in dialetto molfettese.

Foto dal profilo Instagram @premiogianmariatesta , foto di Elisabetta Canavero

Dopo le esibizioni dei finalisti, la giuria si è riunita per decretare i vincitori, mentre il pubblico attendeva con trepidazione. A intrattenere gli spettatori è arrivato Stefano Bollani (che ha collaborato con Gianmaria Testa nel celebre spettacolo Guarda che luna) accompagnato dalla sua compagna Valentina Cenni. La loro performance ha preso avvio riprendendo lo stile della trasmissione Via dei matti n. 0, presentando reinterpretazioni di canzoni di Testa e altri brani internazionali, tutti legati alla sua vita.
Le esibizioni di Bollani, intervallate da momenti di pura improvvisazione pianistica jazz, hanno messo in luce la sua straordinaria abilità al pianoforte, permettendo al musicista di esprimersi liberamente. Per concludere, Bollani e Cenni hanno omaggiato le origini piemontesi di Gianmaria Testa con “La mia mama a veul ch’i fila”, una canzone ironica che ha suscitato ilarità e applausi entusiasti dal pubblico.

La serata finale del Premio Testa si è conclusa in un’atmosfera di festa e celebrazione, con i vincitori che hanno portato a casa il riconoscimento per il loro talento e la loro creatività. Mizio Vilardi, con la sua originale interpretazione di “Nuovo” tradotta per metà in dialetto molfettese, ha conquistato il premio per la miglior cover, mentre Alessio Alì ha brillato con la sua canzone inedita, “Paura di cambiare”, aggiudicandosi il premio principale.

Foto dal profilo Instagram @premiogianmariatesta , foto di Elisabetta Canavero


Il presidente di giuria, Eugenio Bennato, ha chiuso l’evento con due brani che hanno riempito il teatro di energia e ritmo con “Il mondo corre” e il celeberrimo “Ritmo di contrabbando”, salutando il pubblico a ritmo di taranta.
Questa edizione del Premio Gianmaria Testa non solo ha messo in luce nuovi talenti, ma ha anche reso omaggio a un grande artista che continua a ispirare generazioni. La serata si è rivelata un successo, promettendo un futuro luminoso per la musica d’autore italiana.

A cura di Marta Miron

Marimba e computer: il mondo sonoro di Daniele Di Gregorio al Teatro Vittoria

La marimba, strumento dai suoi suoni caldi ed esotici, e il computer, sono stati uniti in un’insolita combinazione per il concerto “Il mio mondo sonoro” di Daniele Di Gregorio. L’evento, organizzato da Unione Musicale, si è tenuto il 25 febbraio 2025 al Teatro Vittoria di Torino.

Daniele Di Gregorio, percussionista di grande esperienza, ha un background che spazia dalla musica classica al jazz. La sua carriera include collaborazioni con l’Orchestra Giovanile Italiana diretta da Claudio Abbado e il Rossini Festival. Durante i suoi studi jazz, Di Gregorio si è innamorato della marimba, attratto dal calore del suo suono ligneo.

Di Gregorio ha utilizzato il computer non per la sintesi elettronica, ma per riprodurre basi pre-registrate. Questa è una pratica comune tra i musicisti delle ultime generazioni per lo studio, anche se spesso molto criticata.
L’artista afferma infatti di voler mettere in contrasto il calore espressivo della marimba con il rigore freddo del computer.
Strutturando l’evento come una lezione-concerto, Di Gregorio ha creato un’atmosfera familiare, alternando l’esecuzione dei brani con spiegazioni sulla marimba e le sue potenzialità.

Il concerto inizia, Di Gregorio entra in sala e comincia immediatamente a suonare senza i consueti inchini e formalità.
Finito il primo brano prende il microfono in mano e comincia la presentazione.
Il brano intitolato “Quando vuoi” è una composizione per due marimbe, con una parte preregistrata riprodotta dal computer.
I brani includono “Viaggio”, un’improvvisazione su un loop ritmico in 7/4, che ha creato un movimento circolare tipico del jazz. “Esercizio in forma di concerto è stato eseguito come brano fuori programma; ha dimostrato come la marimba possa riprodurre l’intera estensione di un’orchestra, dalle note più gravi ai suoni più acuti.
Altri pezzi erano “Gaslini Song, dedicato al suo maestro di improvvisazione jazz, “Stella by Starlight”, un classico jazz adattato per marimba e pianoforte e “Sequenza fast”, una composizione estemporanea per trio su loop ritmico basato su una scala ottotonica.

Un brano particolarmente toccante è stato “La leggenda del campo dei fiori”, ispirato alla storia d’amore di Paolo ed Elena, due partigiani attivi durante la Seconda Guerra Mondiale ma che, terminato il conflitto, si lasciano per riprendere ognuno le proprie vite. Di Gregorio crea un’atmosfera malinconica e introspettiva, grazie all’utilizzo di bacchette morbide non tipicamente usate per la marimba .

Il concerto si è concluso con “Tra Occidente e Oriente”, un brano che contrappone la tranquillità della natura alla frenesia urbana, utilizzando la marimba e una base di pianoforte per rappresentare questi temi contrastanti.

L’atmosfera informale della lezione-concerto ha permesso al pubblico di scoprire le molteplici sfaccettature della marimba, uno strumento noto ma spesso sottovalutato, catturando l’interesse del pubblico e suscitando in molti il desiderio di sperimentare personalmente la marimba.  Il concerto ha quindi offerto non solo un’esperienza musicale coinvolgente, ma anche un’opportunità di apprendimento e di scoperta.

A cura di Marta Miron


Sinfonia n. 9 di Mahler : un viaggio emotivo all’Auditorium Rai

La superstizione secondo cui il nove sia il numero massimo di sinfonie componibili, si diffuse dopo Beethoven e fu alimentata dalla morte di compositori come Shubert e Dvořák. Questa credenza, nota nel periodo tardo-romantico come la “Maledizione della Nona”, instillò il timore che la composizione di una nona sinfonia potesse presagire la morte del compositore.

Gustav Mahler, che ne era consapevole, provò a superare il limite componendo la decima, ma morì prima di poterla completare.
La Sinfonia n° 9 in re maggiore, composta tra il 1909 e il 1910, rimane l’ultima sinfonia che Mahler riuscì a terminare, ma non ebbe mai l’opportunità di ascoltarla eseguita.
Il 14 febbraio 2025 , all’Auditorium RAI Arturo Toscanini di Torino, è stata eseguita dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, per l’appunto, la Nona sinfonia di Mahler, diretta dal maestro Robert Treviño.

Credits: Rai Cultura

La sinfonia, suddivisa in quattro movimenti, riflette su temi legati alla morte ed è uno specchio dell’interiorità del compositore durante un periodo tragico della sua vita.
Molti la interpretano come una premonizione della sua scomparsa e del declino socio-politico europeo, ma queste rimangono interpretazioni personali. Innegabile però è il suo stile che, per le tematiche affrontate, la avvicina al post-romanticismo e al decadentismo.

Composta per la maggior parte durante un periodo di pausa estiva dall’attività di direttore, il primo movimento in re maggiore (Andante comodo, Con Rabbia, Allegro risoluto, Appassionato, Tempo I Andante) si distingue per le sonorità malinconiche evocatrici di immagini campestri e di una felicità ormai perduta. Treviño esalta questi sentimenti con un’interpretazione emotiva capace di toccare l’animo degli spettatori.

Nel secondo movimento in do maggiore (in tempo di un tranquillo Ländler, un po’ goffo e molto rude), avviene un cambiamento: la musica diventa più danzante e allegra, riprendendo lo stile del Ländler, una danza popolare austriaca, ma in modo deformato e ironico. Questo movimento si anima grazie a veri e propri dialoghi tra strumenti. L’Orchestra RAI ne propone un’esecuzione precisa e raffinata, preservando l’idea mahleriana ma senza cadere in un’esecuzione grossolana. Il movimento dimostra un senso ironico e satirico che si prolunga anche durante il terzo movimento in la minore (Rondò-Burleska, Allegro assai, Molto ostinato-Adagio) più brusco del precedente, che evoca sensazioni di ansia e irrequietezza che riflettono il caos e la frenesia della vita urbana. L’orchestra dimostra tutta la sua potenza che ci riporta nella consapevolezza del periodo storico degli inizi del Novecento, con uno stile meno romantico ed un utilizzo audace della polifonia con un effetto di caos controllato, un’immagine un po’ alla Tempi Moderni di Charlie Chaplin.

Il quarto, nonché l’ultimo movimento, in re♭ maggiore (Adagio. Molto lento e ancora ritenuto) riprende un po’ l’immagine e le tematiche del primo ma con l’abbassamento della tonalità di un semitono, rendendo l’atmosfera ancora più malinconica. Il costante calare d’intensità porta la sinfonia verso un graduale spegnimento. Dopo un’ora di dinamiche variabili ma tendenti al forte o fortissimo, la sinfonia si chiude con un intero movimento dalle intensità moderate, che simboleggiano la resa dell’uomo di fronte alla morte.

Treviño porta l’orchestra, dopo un movimento delicato ed emozionante, a sfociare in un ppp che va ad assottigliarsi fondendosi con il silenzio della sala con un ultimo soffio vitale delle viole. Il direttore non abbassa le braccia e la sala rimane nel silenzio per 40 interminabili secondi. La tensione accumulata durante la precedente ora e venti rimane in sospeso, finché Treviño rilassa le braccia lungo i fianchi. A quel punto il silenzio si rompe con uno scroscio di applausi che riportano il pubblico alla realtà.

Credits: Rai Cultura

La Sinfonia n°9 di Mahler è dunque un’opera potente e profondamente introspettiva. Un vero e proprio viaggio emotivo. L’interpretazione di Robert Treviño con l’Orchestra RAI ha saputo catturare a pieno l’essenza, donandoci un’esecuzione memorabile.

Per chi avesse perso l’evento, la replica del 13 Febbraio è stata trasmessa in diretta su Rai Radio 3, ed è pertanto disponibile su Rai Play Sound a questo link.

A cura di Marta Miron