Il Salone Internazionale del Libro di Torino offre ogni anno un ricco programma di incontri di ogni genere, pensati per soddisfare i gusti più diversi dei visitatori. Nonostante la letteratura sia il fulcro del Salone, anche altre forme d’arte trovano spazio tra gli eventi in calendario. Domenica 18 maggio, quarto e penultimo giorno della manifestazione, sono previsti appuntamenti che coinvolgono anche il mondo musicale.
Nel pomeriggio, ad esempio, si segnalano numerosi incontri tra cui la presentazione di Michele Rossi con il suo libro Condotti da fragili desideri. Parole e liturgie dei CCCP- Fedeli alla linea, un’opera che esplora la storia e la poetica della celebre band italiana attraverso l’analisi di alcune delle loro canzoni più iconiche. Sempre nello stesso giorno, Francesco Lorenzi, autore del libro per l’infanzia La musica del bosco (Effatà), nonché cantante della band THE SUN, è protagonista di un incontro dedicato ai più piccoli. Infine, Ermal Meta presenta il suo nuovo romanzo Le camelie invernali edito da La nave di Teseo, portando la sua esperienza di artista a cavallo tra letteratura e musica.
Foto di Luciano Nervo
Michele Rossi presenta il suo nuovo libro con Condotti da fragili desideri. Parole e liturgie dei
CCCP – Fedeli alla linea, un canzoniere commentato che offre un’analisi approfondita e personale della celebre band punk italiana degli anni ’80. Nel volume, Rossi, biografo di Giovanni Lindo Ferretti e Massimo Zamboni, fondatori del gruppo, racconta la storia dei CCCP attraverso la vita dei due componenti principali, la loro esperienza insieme e l’evoluzione della band, esaminando in dettaglio diciannove canzoni emblematiche.
Il libro non si limita a una semplice raccolta di testi, ma diventa un viaggio nel contesto storico, culturale e letterario che ha influenzato la band, con note che svelano il significato nascosto dietro ogni brano. Rossi sottolinea come Berlino rappresenti una città simbolo per la storia dei CCCP, teatro di alcune delle loro esibizioni più significative e luogo emblematico della loro identità punk e post-punk, in netto contrasto con Reggio Emilia, loro città natale.
Attraverso un’accurata ricostruzione, l’autore mostra come i CCCP abbiano incarnato l’ultima avanguardia italiana del Novecento. Dal punto di vista musicale, molto interessante è il loro accostamento tra il genere punk e il liscio, un tentativo di unire modernità e tradizione.
Dopo la presentazione del libro, Rossi prosegue l’incontro coinvolgendo il pubblico, invitandolo a proporre canzoni del gruppo emiliano da analizzare insieme sul momento.
La presentazione di Francesco Lorenzi è moderata dal comico Gigi Cotichella, e dà vita a un vero e proprio spettacolo. Lorenzi è il frontman dei THE SUN, un gruppo punk, pop e Christian rock nato nel Vicentino alla fine degli anni Novanta.
Lorenzi presenta il suo libro per bambini La musica del bosco, una storia in cui gli animali prendono spunto dalla vita dell’artista e della sua band, con la parola “sole” che ricorre costantemente, proprio come nel nome del gruppo. L’autore afferma che la decisione di scrivere un libro per più giovani è nata dalla presenza molto attiva di numerosi bambini a tutti i loro concerti.
Dopo la presentazione, il gruppo propone alcune canzoni per allietare il pubblico e rendere l’evento più dinamico. Come nel libro, anche nelle canzoni la parola “sole” è ricorrente, quasi come una firma distintiva.
Per concludere, Ermal Meta, cantautore di origini albanesi, presenta il suo secondo romanzo Le camelie invernali, pubblicato da La nave di Teseo, segnando il suo ritorno alla scrittura dopo il primo libro Domani e per sempre (2022).
Foto di Giulia Fasano
L’evento è stato organizzato per essere accessibile a un pubblico ampio, con la presenza di un traduttore LIS e sottotitoli, in modo da permettere anche ai non udenti di seguire la presentazione.
Nel romanzo, Ermal Meta si ispira alla sua infanzia in Albania, raccontando una storia di tensioni e conflitti tra due famiglie ricche di segreti, ambientata nell’Albania post-comunista durante il periodo delle grandi migrazioni verso l’Italia. La presentazione, pur parlando poco di musica, ha saputo coinvolgere il pubblico suscitando curiosità sul romanzo e i suoi temi profondi.
In sintesi, la giornata ha offerto un ricco panorama di incontri che hanno saputo unire musica, letteratura e cultura, coinvolgendo un pubblico variegato e appassionato attraverso storie, analisi e performance dal vivo.
Sabato 17 maggio 2025, il Salone Internazionale del Libro di Torino ha vissuto una delle sue giornate più intense e partecipate. Come ogni anno, il Lingotto Fiere ha accolto ospiti e visitatori da tutta Italia, con incontri che hanno spaziato dalla letteratura alla musica, dalla psicologia alla cultura pop.
Come primo evento della giornata al quale abbiamo partecipato, si è svolta la presentazione della nuova edizione di “Storia del Jazz. Una prospettiva globale”, di Stefano Zenni, introdotto da Jacopo Tomatis e da un intervento al contrabbasso di Furio Di Castri. Il talk ha proposto una visione aperta e critica del genere musicale oggetto del libro. A partire dal libro “I segreti del jazz” (2008), Zenni ha riflettuto sul jazz come un’etichetta fluida che ha abbracciato e definito diverse tipologie di musica. Negli anni ’20 era un termine inclusivo, ma già negli anni ’50-’60 artisti come Sinatra, il cui lavoro presenta arrangiamenti jazz evidenti, venivano esclusi dalla definizione. Oggi il jazz sopravvive come linguaggio che attraversa generi, lasciando tracce anche dove non lo si nomina.
Di Castri ha sottolineato come la storia del jazz, inizialmente lineare, si apra a molteplici influenze nel secondo Novecento. Da qui l’approccio di Zenni: una narrazione che non solo racconta gli sviluppi musicali, ma riflette su cosa includere, su come si costruisce una storia. Centrale è il tema del gender gap: Zenni recupera figure femminili straordinarie, non come eccezioni ma come protagoniste alla pari, integrandole nella storia del jazz senza ghettizzazioni.
Una delle conversazioni più attese si è svolta nel primo pomeriggio, ed è stata l’incontro tra il rapper Salmo e lo psicoterapeuta Matteo Lancini, curatore della nuova sezione tematica “Crescere”. L’evento, ispirato al primo libro di Salmo, l’autobiografia “Sottopelle”, ha offerto al pubblico una riflessione sincera sulle emozioni che accompagnano la crescita personale. Salmo ha condiviso esperienze legate alla rabbia, alla tristezza e alla paura, sottolineando come queste emozioni, spesso legate ai suoi traumi familiari, siano state fondamentali nel suo percorso artistico e umano, dapprima nel writing e nei graffiti per poi sfociare nel rap e oggi anche nel cinema. Lancini, insieme alle ragazze del gruppo Tutto annodato, un collettivo composto da giovani che si occupa di sensibilizzare sulla salute mentale, ha guidato la conversazione, evidenziando l’importanza di riconoscere e affrontare le proprie fragilità.
In conclusione, il Salone del Libro di Torino ha dimostrato come la cultura possa essere uno strumento potente per esplorare sé stessi e il mondo che ci circonda, non solo come una vetrina editoriale, ma come un luogo di crescita personale e un’occasione per toccare con mano i mondi che accompagnano il nostro tempo libero. In un’epoca in cui il dialogo e l’ascolto sono più che mai necessari, eventi come questi ci ricordano l’importanza di fermarsi, riflettere e condividere esperienze.
La musica si fa parola e la parola diventa musica. L’edizione 2025 del Salone del Libro ha dimostrato come letteratura, storia e musica possano intrecciarsi e fondersi in un’unica esperienza.
Il 16 maggio, quattro incontri diversi tra loro hanno seguito un filo rosso comune, dando voce a temi ricorrenti e parole che, come un’eco, si sono ripetute cambiando forma.
L’IO E IL NOI: LUCIANO LIGABUE E MATTEO ZUPPI
Chi lo avrebbe mai detto che un rocker di Correggio e un cardinale avrebbero formato un duo irresistibile? Eppure, Luciano Ligabue e Matteo Zuppi hanno regalato all’auditorium del Lingotto, colmo di persone, una conversazione densa di riflessioni sulla vita, sulla musica, sulla necessità di raccontarsi, ma anche di sorrisi e risate.
«Per vivere la Storia, con la S maiuscola, bisogna ascoltare e leggere tante storie per capire quanto sia importante passare dall’Io al Noi». Da questa riflessione di Gigio Rancilio è cominciato il dialogo tra queste due figure unite dal bisogno di raccontare e condividere storie. Ligabue, abituato a vivere i palchi, ha svelato quanto la parola cantata abbia un peso ben diverso da quella detta, «può essere più leggera o più pesante e profonda»; il cardinale ha ricordato che «chi canta prega due volte… la musica permette di raccontare ciò che non si riesce a dire. Mettere in circolo, è l’unico modo per relativizzare l’Io». Il potere della parola è infatti tema centrale nell’edizione 2025 del Salone che ha come slogan “Le parole tra noi leggere”.
Non è un caso che Ligabue abbia ripercorso la sua carriera parlando di responsabilità: «Quando ho cominciato non volevo lavorare… volevo esercitare una passione, volevo cantare. Ma quando ti rendi conto che ci sono persone che si tatuano una tua frase, vuol dire che non lo puoi più fare in maniera così leggera: si alza, per fortuna, un livello di responsabilità. Capisci che puoi essere utile, essere un sostegno e un supporto soprattutto per chi sta passando un momento difficile».
Come ha ricordato il cantautore, la musica ha cambiato forma e potenza: se una volta si cantava per il bisogno di dire qualcosa, questo bisogno oggi rischia e viene sopraffatto dalla necessità di apparire.
Foto di Giulia Fasano, da cartella stampa Salone del Libro
Il senso di comunità, quel Noi che per Zuppi è fondamentale per il benessere dell’Io, Ligabue lo ritrova nel legame con il suo pubblico: una fiducia incondizionata che i fan ripongono nel cantautore e che merita, in cambio, un’apertura emotiva autentica. Nella sua autobiografia, Unastoria, Ligabue apre il suo cuore e la sua vita ai lettori, condividendo anche il dolore più grande: la perdita del figlio appena nato.
«In pandemia, quando c’era una totale incertezza del futuro, e il presente era un limbo, non si poteva fare altro che guardare al passato. Ho capito che quella poteva essere l’occasione per fare chiarezza sulle emozioni che mi hanno accompagnato. Questo libro è l’atto più estremo di svelamento di me stesso».
Il dolore, per Zuppi, è difficile da classificare. Inizia da qui una riflessione su temi attuali che hanno toccato profondamente tutti.
«Come si fa a controllare il dolore quando i bambini muoiono di freddo? E quando muoiono nella Striscia di Gaza? Questa cosa ci deve fare paura! La guerra è la più grande paura. Oggi si parla di riarmo, si tracciano confini… è una follia. La paura deve diventare consapevolezza e speranza. L’individualismo non fa bene e il sovranismo non ha futuro».
Foto di Giulia Fasano, da cartella stampa Salone del Libro
“Chissà se Dio si sente solo”, brano del 2023, esplora le paure, quelle che ci rendono soli e che ci fanno perdere il senso del Noi, lasciandoci smarriti. Ligabue riflette su un decennio segnato da eventi drammatici, per citarne solo alcuni: la pandemia, la guerra in Ucraina, il conflitto a Gaza, gli effetti devastanti del cambiamento climatico. Seppur laico, il cantautore esprime un profondo bisogno di spiritualità e ricerca e, nel tentativo di umanizzare Dio, si chiede «e se anche Dio si sentisse abbandonato da noi?». Un pensiero che va al di là della religione e che si lega alla necessità di ritrovare una dimensione collettiva, una comunità che restituisca speranza.
La pace e la speranza sono state cantate nel 1999 da Ligabue, insieme a Piero Pelù e Jovanotti, nel brano “Il mio nome è mai più”. «Oggi – afferma il cantautore – è più difficile far arrivare le canzoni: escono tantissime canzoni che mediamente hanno una vita più breve e, forse, non lasciano una traccia profonda. Quando ho iniziato guardavo a Francesco (Guccini) e a Fabrizio (De André)… cantare era un atto istintivo, cantare era una conseguenza dello scrivere». Il brano, che denuncia la guerra, nasce dopo richieste esplicite da parte di figure politiche – presidente del consiglio e segretari di partito – che sollecitavano i musicisti a fare qualcosa. Ma Ligabue e i suoi colleghi hanno risposto chiaramente: «Non è la musica a dover fare qualcosa, ma è la politica che deve agire!».
Tuttavia il senso di responsabilità ha prevalso: hanno prodotto il brano e abbracciato la causa di Emergency, riuscendo a finanziare la costruzione di due ospedali in Afghanistan. È un chiaro segnale che dimostra come la musica possa essere qualcosa di più di un mero intrattenimento, può diventare un atto di protesta, di presa di coscienza, di speranza ma che purtroppo non può sostituirsi alla politica: può evidenziare i problemi, farli risuonare nelle menti e nei cuori, creare opportunità e nutrire l’anima ma, alla fine, è la politica l’unica ad avere il potere di prendere decisioni e di agire concretamente.
UNA RIVOLUZIONE MUSICALE: STEFANO PISTOLINI E ODERSO RUBINI
Nel libro Qual è quello che canta? Resoconto di una band minore, Stefano Pistolini ci porta in un’epoca in cui la musica non era solo un mezzo di intrattenimento, ma un atto di resistenza culturale, una vera e propria esperienza collettiva. Negli anni ’70 e ’80 nacque un fermento musicale che si opponeva alle logiche dei cantautori: il punk e la new wave trasformavano il suono in un manifesto di ribellione e appartenenza.
Impossibile non trovare punti di contatto con il dialogo tra Ligabue e Zuppi: la musica è cambiata, il modo di produrla è cambiato e anche il rapporto tra musica e società. Se negli anni ’70 e ’80 la musica si faceva per il piacere di farla, oggi – come sottolinea Pistolini– si tende a cercare la via più veloce per ottenere il successo. Afferma l’autore: «Fare musica era un’esperienza collettiva, i suoni avevano un valore trasgressivo, dissacrante e innovativo».
Pistolini ci porta in un’Italia di fine anni ’70, in particolare nella città di Bologna dove prende forma una scena musicale che mescola creatività, politica e sperimentazione. In quel periodo Oderso Rubini diventò un catalizzatore della rivoluzione musicale che stava nascendo (è interessante anche ricordare come in quegli anni al Conservatorio di Bologna sia nato il primo corso di musica elettronica). Rubini diede vita, insieme ad alcuni compagni di corso, ad un piccolo studio di registrazione in Via S. Felice che poi si trasformerà nella cooperativa Harpo’s Bazaar. Grazie alla produzione di una cassetta degli Skiantos, la cooperativa entrò in contatto con Gianni Sassi (capo della Cramps Records). Successivamente, la direzione artistica della Ricordi propose a Rubini un contratto che permise alla Harpo’s Bazar di diventare una vera casa discografica. Dopo il successo del Bologna Rock, evento musicale organizzato nel 1979 che riunì gruppi allora sconosciuti e radunò seimila persone, Rubini fondò la Italian Records.
Il libro dipinge il ritratto di un’epoca che le nuove generazioni non hanno vissuto e probabilmente non avranno modo di sperimentare. Oggi la musica è sempre più accessibile, è presente ovunque e l’esperienza che un tempo accompagnava la creazione e la fruizione di musica, sembra dissolversi.
MUSICA E GIUSTIZIA IN DE ANDRÈ: FABRIZIO BARTELLONI
Esistono artisti che si limitano a raccontare il mondo, ma ci sono anche quelli che il mondo lo ribaltano, lo smontano, lo ricostruiscono guardandolo da un’altra prospettiva. Fabrizio De André appartiene a questa ultima categoria: è – come lo definisce Fabrizio Bartelloni – il più grande insinuatore di domande e non un dispensatore di certezze. La sua musica invita a liberarsi dalle proprie maschere e strutture sociali per poter indossare i panni altrui, a comprendere e non giudicare.
Fabrizio Bartelloni, avvocato e scrittore, ha pubblicato in concomitanza con il Salone del Libro Al vostro posto non ci so stare: un testo che ripercorre la carriera del cantautore genovese, De André, con una particolare attenzione alla visione dell’artista sul tema della giustizia e sul suo rifiuto di mettersi nella posizione di chi giudica. La Camera Penale di Pisa ha patrocinato il libro riconoscendo nella poetica di De André e nel testo di Bartelloni un potente veicolo di riflessione sulla giustizia e sulla pena.
Il cantautore, negli anni ’60, fu una figura rivoluzionaria e dirompente per l’epoca, tanto da essere spesso censurato. I temi dell’illegalità – come ricorda Bartelloni – erano stati sfiorati da altri autori come Fred Buscaglione, ma De André, ispirandosi al cantautorato francese di George Brassens, fu tra i primi a raccontare storie di personaggi marginali e marginalizzati. L’ossessione per la giustizia, l’emarginazione e la condizione umana è stata il filo conduttore della sua esistenza.
“Il pescatore”, secondo Bartelloni, è il brano in cui traspare maggiormente l’essenza della sua idea di giustizia: De Andrè/il pescatore rifiuta di prendere la posizione di giudice e accoglie l’essere umano per quello che è («versò il vino e spezzò il pane//per chi diceva ho sete ho fame»), saranno i gendarmi «in sella e con le armi» a giudicare la colpevolezza o l’innocenza dell’assassino che aveva «due occhi grandi da bambino//due occhi enormi di paura». De Andrè non riduce l’uomo al singolo gesto compiuto perché ritiene che il comportamento umano, attuato in un determinato momento, possa essere generato da mille ragioni. Il cantautore cerca di capire l’essere umano e il perché delle sue scelte.
Esiste una sproporzione tra il gesto e la punizione associata al punto da trasformare le carceri in luoghi di anime già morte. La società finisce per dimenticare coloro che stanno in carcere, relegando i detenuti a una condizione di abbandono. Invece di essere un luogo di rieducazione e reinserimento, diventa un limbo sociale, dove chi ha commesso un errore viene stigmatizzato. “La Ballata del Miché” ne è un esempio: Michele Aiello, uomo dall’identità incerta trasferitosi a Genova dal sud dell’Italia, ha ucciso un uomo per salvare la sua amata, viene condannato a venti anni di carcere ma si toglie la vita per ottenere la libertà. Persino la sua morte viene disprezzata: «Nella fossa comune cadrà//senza il prete e la messa//perché di un suicida non hanno pietà». Per De André negare un funerale e una degna sepoltura è l’ultimo impietoso atto di una giustizia cieca.
«Il carcere negli anni ’60 è un luogo dove la vita finiva» ha affermato Bartelloni «questo è un messaggio rivoluzionario per gli anni ’60, ma lo è anche oggi nel 2025… e forse è questo il vero problema». Negli anni ’90 De André visitò un carcere in Sardegna, e riconsiderò la sua posizione: il carcere, se pensato in modo diverso, può trasformarsi in un ambiente di reinserimento educativo. Il problema resta il sovraffollamento che impedisce agli strumenti di operare nell’ottica della risocializzazione.
In “Don Raffaè” il cantautore denuncia non solo le condizioni disumane delle carceri ma anche il vuoto lasciato dallo Stato nei territori in cui la criminalità organizzata diventa l’unica alternativa. Un tema attuale che riecheggia nelle parole di Ligabue quando afferma che la musica può evidenziare i problemi ma non può sostituirsi allo Stato.
Ancora una volta, anche con questa conferenza si evidenzia come le storie raccontate attraverso la musica si trasformino in un atto di denuncia e in una forma di presa di coscienza.
RACCONTI RESISTENTI: MODENA CITY RAMBLERS
Alzare il volume della musica dei Modena City Ramblers era quasi un rito in molte case: musica trascinante, sempre presente e che – diciamolo – faceva storcere il naso di qualche vicino… ma chi può lamentarsi di un po’ di sana musica folk-rock che racconta la lotta e la libertà? Se dobbiamo disturbare, meglio farlo con stile!
Generazioni intere si sono ritrovate, volenti o nolenti, a canticchiare le loro canzoni, a ballare sui ritmi trascinanti che mescolano tradizione e ribellione. È difficile toglierseli dalla testa e dalle orecchie e, forse, è giusto così perché certe storie vanno raccontate e tramandate. Anche ad anni di distanza, le loro musiche risuonano forti perché la Resistenza non è solo quella di ieri ma anche quella di oggi.
Al Salone del Libro, però, le parole hanno preso il posto delle note. In occasione dell’80° anniversario della liberazione dell’Italia e il 20° anniversario dell’album Appunti Partigiani, i MCR hanno deciso di assumere le vesti di scrittori (anche se lo sono sempre stati – ricordiamo la frase citata sopra: «cantare era una conseguenza dello scrivere»). Hanno scritto un libro intitolato Nati per la libertà. Racconti resistenti: un’opera corale letteraria che unisce fantasia e memoria.
Presentati da Carlo Greppi, storico e scrittore torinese, Davide (Dudu) Morandi, Franco D’Aniello, Francesco (Fry) Monetti, Leonardo Sgavetti e Massimo Ghiacci hanno raccontato la genesi del libro, rivelando piccoli squarci delle storie che lo compongono.
Foto di Fabrizio Fiore, da cartella stampa Salone del Libro
Il progetto ha preso forma in modo spontaneo, gli autori non hanno concordato preventivamente i contenuti specifici: ciascuno ha scritto con il proprio stile senza influenzare gli altri in alcun modo, dando vita, così, ad un’opera che riflette la diversità di approcci ma che mantiene – secondo Greppi e gli autori – una straordinaria coerenza narrativa. Proprio come accade quando compongono le loro canzoni: idee diverse che alla fine convergono in un unico racconto. Questa armonia nella diversità è una delle cose che rende il libro affascinante. La scelta di non firmare i racconti singolarmente, lasciando solo un riferimento nei titoli di coda, rafforza il senso comunitario del progetto; unisce la voci degli autori creando un’opera scritta da dieci mani ma con un’unica penna.
La profonda ricerca che ha accompagnato la scrittura dei racconti ha fatto riferimento alla Resistenza emiliana recuperando non solo documenti storici, ma anche testimonianze familiari e racconti tramandati oralmente.
Carlo Greppi ha evidenziato come la partecipazione di stranieri alla Resistenza italiana, sia stata spesso trascurata da molti storici e non. Il libro e i MCR, al contrario, hanno messo in luce figure che per anni sono rimaste ai margini della narrazione ufficiale perché «anche l’Italia ha avuto i suoi “Che Guevara”». Prigionieri di guerra evasi, combattenti scozzesi, il comandante Vladimiro… uomini venuti dall’estero ma che hanno combattuto per la libertà. «La libertà non ha colore, non ha appartenenza politica… è al di sopra di tutto. Si lotta per la libertà ovunque. Lontano da casa tu lotti per la libertà anche a casa tua» ha affermato Dudu, perché la lotta per la libertà non ha confini.
Foto di Fabrizio Fiore, da cartella stampa Salone del Libro
Raccontare la guerra è difficile; raccontare la morte, la distruzione, storie di bambini uccisi e storie di bambini e ragazzi che imbracciano le armi lo è ancora di più. Per trovare una voce adatta a queste storie, gli autori hanno sperimentato soluzioni narrative diverse: dare voce ai morti, agli oggetti e agli animali.
«Non riuscivo a mettermi nei panni degli uomini e donne che vivono e hanno vissuto queste cose. Ho scelto di immedesimarmi in un cane, solo così sono riuscito a raccontare questa cosa. È una cosa attuale, che vediamo anche in questi giorni e non capisco come non si possa provare empatia. Se oggi dovessi parlare di Gaza, lo farei fare ad un cane».
Ciò che più ferisce gli autori è il dolore nel vedere l’infanzia e l’adolescenza negata, la mancanza di empatia nei confronti dei bambini perché «i potenti che governano sanno che i loro figli non andranno mai a fare la guerra, ed è più facile mandare a morire gli altri». Franco ribadisce un pensiero comune «Se il mondo, nel 2025, pensasse di più ai bambini, non ci sarebbero guerre».
E così, tra parole, memoria e attualità, il Salone del Libro ha confermato che la musica e i musicisti da sempre lanciano gridi di protesta, ci costringono a sentire e ad aprire gli occhi, a riflettere e ad avere coraggio di prendere una posizione. La musica e la parola sono strumenti di libertà, fili invisibili che intrecciano storie e che si faranno per sempre interpreti di emozioni e sentimenti e, soprattutto, terranno viva la Resistenza.
«Fare pop vuol dire essere se stessi». Le parole di Francesca Michielin durante la presentazione del suo primo romanzo Il cuore è un organo, edito da Mondadori, al Salone del libro di Torinocolpiscono per la loro convinzione. La cantautrice, scardinando il luogo comune dell’artista “commerciale”, vede il suo genere di riferimento come una celebrazione della diversità, lontano dalle forzature canoniche di altri generi musicali. É dalla radicalità di questa affermazione che si sviluppa il suo racconto.
L’incontro, moderato dalla giornalista Simonetta Sciandivasci, si è aperto con la performance piano e voce di tre brani: “Io non abito al mare”, “L’amore esiste” e “Nessun grado di separazione”. I fan si sono riversati davanti al palco live del Salone del Libro nonostante il sole battente di mezza giornata, accompagnando Michielin sottovoce e tuttavia con passione. Sciandivasci ha poi esordito rimarcando la somiglianza tra il titolo del romanzo, lo slogan del Salone “Cuori Selvaggi” e l’illustrazione in copertina: una ragazza che tiene in mano il suo stesso cuore.
Francesca Michielin e Simonetta Sciandivasci durante l’incontro (Foto: Ramona Bustiuc)
Il cuore è un organo narra dello scontro tra il razionale e il caso (o “caos”, come vuole sottolineare l’autrice), impersonato dalle due protagoniste: Verde, cantautrice e control freak, e Anna, ragazza scapestrata. Grazie alla natura metatestuale del romanzo e alla sua forte accezione emotiva, durante l’incontro Michielin è riuscita ad approfondire diverse tematiche: una relazione romantica ci fa scoprire chi siamo o ci frammenta? E se ci distrugge, è giusto o sbagliato? Fare musica è qualcosa che si fa per se stessi o per la piacevole attenzione che ne deriva?
«Coraggio deriva da cor, cordis» puntualizza Michielin, rivendicando i suoi anni liceali. L’intera chiave di lettura del suo lavoro (a detta sua più “libero” rispetto alla stesura di un testo per un brano) è quindi la ricerca di un coraggio necessario a vivere in modo più autentico, a seguire il cuore, ad abbandonarsi, ogni tanto, all’irrazionalità: «É nella contraddizione che cresciamo e troviamo un senso alle cose. Cambiare idea è fondamentale per la costruzione della nostra persona, non è da incoerenti».
Durante gli ultimi minuti dell’incontro, lasciati alle domande del pubblico, è intervenuto anche Eugenio Cesaro, voce degli Eugenio in Via Di Gioia, scambiando sguardi e sorrisi d’intesa con Michielin. La band e la cantante hanno infatti sorpreso il pubblico con l’esibizione di “In cima”, brano tratto dal nuovo album Amore e rivoluzione del gruppo torinese. Si è concluso così, tra applausi e sorrisi, l’incontro (con tanto di scherzoso stop alle domande per riuscire a vedere in tempo la Formula 1, di cui Michielin è appassionata).
Michielin e gli Eugenio in Via Di Gioia cantano “In cima” (Foto: Ramona Bustiuc)
Mentre Francesca Michielin si preparava per il firma copie, le sensazioni tra il pubblico erano di grande stima e soddisfazione. Il suo intervento al Salone del Libro 2022 ha confermato la cantautrice bassanese come una voce stimolante, capace di comunicare ansie, ossessioni e passioni dei giovani con grande umiltà e naturalezza.
Domenica 22 maggio al Salone del LibroErmal Meta ha presentato il suo libro Domani e per sempre, pubblicato il 19 maggio dalla casa editrice La nave di Teseo. Dopo una carriera dedicata alla musica, la penna del cantautore e polistrumentista albanese si è prestata alla stesura di un romanzo che narra una storia in parte autobiografica.
All’inizio della conferenza – moderata da Michela Mantovan – Ermal Meta ha affermato che fino a qualche anno non avrebbe mai pensato di scrivere un libro, in quanto per lui «fare lo scrittore è una cosa seria». Tuttavia, il tempo di riflessione avuto a disposizione durante la pandemia ha cambiato le carte in gioco e la scrittura gli è servita come valvola di sfogo. Il cantautore ha infatti sentito un’urgenza dettata dalla voglia di narrare una storia ambientata nella sua terra d’origine: l’Albania.
Ermal Meta al Salone del Libro [credit foto: Martina Caratozzolo]
Domani e per sempre ha come protagonista Kajan, un bambino albanese che vive gli anni bui della Seconda guerra mondiale con una passione che lo accompagna: il pianoforte. Kajan è mosso da due emozioni: la speranza e la paura, che lo portano a buttare il cuore oltre l’ostacolo in più occasioni e a compiere azioni impensabili nel corso della sua tenera età. La copertina arancione del romanzo mette in primo piano un adulto che tiene per mano un bambino, quasi nel tentativo di guidarlo verso una meta. Tuttavia, la trama non è stata del tutto svelata per invitare i lettori a scoprirla pagina dopo pagina durante la lettura.
Tramite questo romanzo Ermal Meta ha ricordato il dramma vissuto dal popolo albanese durante la dittatura di Enver Hoxha, un periodo che il cantautore ha dovuto subire prima del suo sbarco in Italia all’età di 13 anni. L’ispirazione è stata infatti dettata dai suoi primi anni di vita, in cui viveva costantemente in una situazione di terrore, spesso nascosto nei bunker sotto i palazzi per sfuggire ai bombardamenti.
Il cantautore ha voluto inoltre condividere il suo primo ricordo legato alla musica, per risaltare l’importanza che la cultura può avere anche nei momenti più drammatici: il primo ascolto di “Thriller” di Michael Jackson, che lo sorprese e gli fece affermare «da grande voglio fare il musicista».
Ermal Meta al Salone del Libro [credit foto: Martina Caratozzolo]
Domani e per sempre è senza dubbio un romanzo che è costato uno sforzo emotivo all’autore: i ricordi passati hanno fatto tornare in mente a Meta il senso di colpa vissuto per essersi lasciato alle spalle la sua patria all’improvviso, senza riuscire a salutare chi gli stava più a cuore. Il motore che lo ha spinto nella fase di scrittura è stato il voler andare a fondo nella sofferenza vissuta dal suo popolo, per far conoscere una storia che spesso viene ignorata.
L’atmosfera che si respirava all’interno della sala in cui si è tenuto l’incontro lasciava trapelare l’ammirazione del pubblico per il cantautore albanese, che si è messo a nudo per presentare il suo romanzo. I fan hanno poi avuto l’occasione di scambiare qualche chiacchiera durante il firmacopie.
La fine dell’incontro è solo un arrivederci, poiché presto Ermal Meta partirà in tour estivo: in Piemonte i fan potranno rivederlo il 16 luglio ad Asti al festival AstiMusica, accompagnato dalla sua band.
Domenica 22 maggio il Palco Live del Salone del Libro di Torino ha visto performance e conferenze di importanti figure della musica italiana, una fra tutti Pacifico, nome d’arte di Gino de Crescenzo. Autore e cantante di spicco, penna per Celentano, Nannini, Venditti (fra gli altri), nel 2022 Pacifico ha fatto il suo esordio nella narrativa autobiografica con il romanzo Io e la mia famiglia di Barbari, edito da La Nave di Teseo e presentato durante un incontro che ha visto intrecciarsi musica e riflessioni incentrate soprattutto sulla migrazione interna in Italia del secondo dopoguerra.
Dopo un breve set per chitarra e voce accompagnato alla viola da Antonio Leofreddi, il moderatore e scrittore napoletano Alessio Forgione chiede a Pacifico di leggere un breve estratto dal romanzo, che vuole «disinnescare la povertà con la fantasia». Come molte famiglie agli inizi degli anni ’60, anche quella dell’autore decide di emigrare da Napoli a Milano in cerca di altre opportunità. Non c’è pietismo nel racconto di De Crescenzo, non c’è autoassoluzione e spesso è la stessa fantasia a prendere il sopravvento. Il nucleo fondamentale è costituito da persone-personaggi, quasi tutte provviste di un soprannome evocativo del loro carattere: “Il sultano”, “La Sciamana”, “La carabiniera”. Questa scelta è dovuta all’estrema pudicizia della famiglia di Pacifico, cresciuto da una madre con un’infanzia vissuta in orfanotrofio.
Foto: Martina Caratozzolo
Dopo una riflessione su come nei romanzi degli scrittori meridionali spesso le donne si trovino al centro della narrazione – mentre al contrario gli uomini sono «soffusi, distanti» –, Forgione chiede al cantautore di approfondire la relazione fra i genitori – due dei pochi personaggi che invece vengono chiamati con il loro nome, Pia e Guido –. Pacifico sorride nel definire l’amore fra i due un «amore sovietico»: non mostravano mai alcun segno di cedimento, insieme erano unitissimi, una fortezza; il sentimento continua a durare nonostante la vedovanza della madre, che ogni tanto vede ancora il marito girare per casa: «”Quando vieni ci parli tu”, mi dice. E allora le chiedo “Ma perché non lo fai tu?” “Perché io ho paura”. Sa che è un fantasma, ma è troppo abituata alla sua presenza.»
Sempre a proposito della madre, De Crescenzo racconta che è stata lei ad avvicinarlo alla musica, ma con suo estremo disappunto ha abbandonato il pianoforte per la chitarra, compratagli dal padre nonostante il costo esorbitante; è un gesto da cui Pacifico sembra ancora essere commosso, essendo sempre stato cresciuto con la filosofia del «Prima il dovere e poi il piacere».
Fra risate complici e scambi di battute con il pubblico numeroso l’incontro finisce, non prima che Pacifico si esibisca con un altro brano – questa volta al pianoforte, forse per accontentare in qualche modo anche Mammà –.
Un giorno nuovo è il titolo del libro di Marina Rei, uscito lo scorso 28 aprile per la casa editrice La Corte. Il 22 maggio l’autrice ha presentato il suo romanzo al Salone del Libro di Torino, dialogando con Gianni La Corte, autore e fondatore della casa editrice.
Marina Rei, cantautrice e percussionista, ha deciso di raccontare una storia che intreccia luoghi, valori e cose a lei molto care. Scrivere un libro non era in realtà il fine, ha spiegato durante l’incontro: dopo un periodo difficile, ha scelto di utilizzare la scrittura in prosa come mezzo per far defluire i pensieri e le sensazioni in un appuntamento con carta e penna, diventato fisso. C’erano un tempo e un luogo per la scrittura, come fosse un rituale.
Un giorno nuovo racconta la fine di una storia d’amore complicata e di una donna che si dimostra sensibile ma anche estremamente coraggiosa, capace di fare qualcosa di importante grazie alla sua passione: dare vita ad una onlus in cui insegna a suonare uno strumento musicale a bambini che diversamente non ne avrebbero l’opportunità. La musica è importante per la protagonista del libro, quanto per la stessa autrice, che ne ha fatto una professione e ne conosce il potere salvifico.
Foto: Alessia Sabetta
Scrivere un libro o scrivere una canzone ha secondo Rei un punto di partenza in comune: l’intuizione. Esiste un momento creativo in cui si è ispirati, si prende il ritmo e si scrive senza riuscire a fermarsi. La differenza sta nel fatto che in una canzone si è costretti alla ritmica e alle strutture, a differenza del libro in cui (anche se ci sono dei passaggi importanti da fare) si è più liberi.
Anche il punto d’arrivo è comune. Se una canzone ha un riscontro immediato da parte del pubblico che la ascolta dal vivo, per il libro il riscontro è invece più lento. Questa “attesa” però non turba l’autrice, perché sa che ogni cosa deve fare il suo decorso. Motivo per cui sia nel caso delle canzoni, che nel caso del libro, ha deciso di “lasciar andare”, aspettando la chiusura del ciclo.
Un ciclo che con il libro si è concluso nel momento in cui tante persone le hanno detto che leggendolo hanno avuto l’impressione di star ascoltando una sua canzone: «Sapere questo è una cosa bella per me. Mi fa pensare all’esistenza di una continuità».
a cura di Alessia Sabetta
La webzine musicale del DAMS di Torino
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