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De Sono 2025/2026: non solo una stagione concertistica

L’Associazione De Sono è pronta per iniziare un nuovo anno ricco di iniziative. Venerdì 3 ottobre al Palazzo Costa Carrù della Trinità, è stata presentata la stagione 2025/2026, iniziata con le parole del direttore artistico Andrea Malvano: «Parleremo anche di una stagione di concerti, che però in realtà sono solo la punta dell’iceberg di tutta l’attività che dedichiamo ai giovani in tante maniere diverse, valorizzando il talento ma non solo». Infatti, l’Associazione, fondata nel 1988 da Francesca Gentile Camerana, è nata con quattro obiettivi fondamentali: sostenere i giovani musicisti; l’istituzione di masterclasses e la promozione di progetti volti principalmente all’educazione all’ascolto; la pubblicazione delle migliori tesi di laurea o di dottorato discusse in ambito musicologico; una stagione concertistica come vetrina per i musicisti emergenti.

Missione principale della De Sono è sicuramente il sostegno ai giovani musicisti, in particolare con l’attribuzione di borse di studio. Il presidente Benedetto Camerana ha sottolineato il fatto che i due terzi dei borsisti De Sono hanno affermato che senza la borsa di studio non sarebbero riusciti a continuare la propria carriera – un supporto prezioso, dunque, quello che l’Associazione offre. 

Da qualche anno ormai la De Sono organizza iniziative finalizzate a sviluppare competenze «complementari», come la gestione del digitale, in particolare deisocial media. Il progetto De Skills è di fatto finalizzato a migliorare le competenze digitali dei giovani musicisti, che si trovano ad avere in mano strumenti potentissimi, utili per l’autopromozione, spesso però senza essere propriamente in grado di gestirli. Il progetto offre quindi dei workshop specifici sull’apprendimento e sull’approfondimento del mondo della comunicazione. 
Come afferma il direttore didattico Carlo Bertola: «Ogni volta che ci si presenta in pubblico è come subire un esame continuativo, quindi è importante sviluppare strumenti per fronteggiare la tensione», dunque è fondamentale sostenere i musicisti anche sotto l’aspetto dell’emotività. A tal proposito è stato presentato il progetto C# -See Sharp, ideato da Gloria Campanera, per aiutare i giovani musicisti ad elaborare le emozioni. Il nome, non a caso, è un gioco di parole che allude al Do diesis, la nota musicale, e all’inglese “vedere nitido”, dunque vedere in modo più chiaro il complesso groviglio di emozioni che il musicista deve imparare a gestire.

«Siamo costantemente circondati da musica che non attiviamo intenzionalmente con la volontà di ascoltare. Serve creare un ascolto attivo». Così Andrea Malvano ha ricordato un altro fondamentale obiettivo della De Sono: l’educazione all’ascolto. Per questo filone continua la collaborazione con le scuole, attraverso lezioni-concerto dedicate a temi di rilevanza socio-culturale, e con l’Università degli Studi di Torino, grazie al progetto del Coro del D.A.M.S., iniziativa utile per creare competenze di ascolto oltre che di pratica musicale.

Interessante il progetto di digitalizzazione delle partiture manoscritte conservate all’archivio della 𝐒𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥 𝐖𝐡𝐢𝐬𝐭 𝐝𝐢 𝐓𝐨𝐫𝐢𝐧𝐨, sostenuto dal PNRR-Next Generation EU per la transizione digitale – è disponibile il link per la consultazione.

Altra importante missione dell’Associazione De Sono è il sostegno ai giovani musicologi, in particolare attraverso la pubblicazione di tesi di laurea, di dottorato o di argomento filologico. Quest’anno è stata selezionata la tesi dottorale di Matteo Quattrocchi intitolata Nerone di Arrigo Boito. I materiali dautore e la ricostruzione di Arturo Toscanini, che verrà presentata nel mese di dicembre al Conservatorio G. Verdi. 

Ed eccoci finalmente alla “punta dell’iceberg” dell’Associazione De Sono di cui si parlava all’inizio: la stagione concertistica. All’interno del cartellone il direttore artistico cerca di proseguire la missione per il sostegno ai giovani musicisti inserendo, per quanto possibile, borsisti ed ex borsisti.
L’attenzione è focalizzata sul dialogo con le arti e le varie discipline. Ad esempio, inaugurerà la stagione il concerto-spettacolo «Canzoni popolari e della Resistenza», già presentato nell’ambito della rassegna Note Libere, che unisce alcuni passi del Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio ai brani del repertorio della Canzone della Resistenza.

A ricordare l’impegno della De Sono nei confronti dei giovani musicisti è sicuramente Classical Swing, concerto costruito intorno a David Alecsandru Irimescu, borsista di quest’anno. Il repertorio è al confine tra musica colta, jazz e pop. 

Infine, si festeggeranno due compleanni molto importanti: i cinquant’anni dall’arrivo in Italia del metodo Suzuki e i cento dalla nascita di György Kurtág. 
«Sono dell’idea che la musica contemporanea debba essere suonata nei posti giusti»: queste le parole del direttore artistico per presentare il centenario di Kurtág. Il ciclo di concerti a lui dedicati, infatti, sarà eseguito al Museo di Arte Contemporanea di Rivoli, luogo in cui già quest’anno durante la quinta giornata di MiTo SettembreMusica musica e arte contemporanea hanno iniziato a dialogare.

Continua, inoltre, la collaborazione con la Fondazione Renzo Giubergia. Quest’anno sono state nuovamente numerose le domande da tutto il mondo. La commissione – composta da Andrea Lucchesini, Alessandro Moccia, Francesco Dillon, Carlo Bertola e Andrea Malvano – ha selezionato quattro finalisti che si confronteranno in una diretta online. Chi vincerà si esibirà il 24 novembre al Conservatorio G. Verdi durante la premiazione.

Al termine, con molto orgoglio, sono stati presentati i vincitori della borsa di studio di quest’anno: Matteo Fabi, violoncellista che gode del sostegno della De Sono per il secondo anno; Alessandro Vaccarino, pianista che andrà a studiare presso l’accademia di Basilea; David Alecsandru Irimescu, pianista esempio di resilienza; e Davide Trolton, che nasce come percussionista ma è già indirizzato verso la direzione d’orchestra, approdo insolito per la sua giovane età. 
Matteo Fabi, presente alla conferenza stampa, ha contribuito con un piccolo intervento: «Ci tenevo a ringraziare a nome di tutti i borsisti l’Associazione De Sono per il sostegno psicologico ed economico. Avere questa sicurezza di fondo fa sentire meglio e permette di concentrarci sulla crescita musicale. Detto ciò, non sono qui per parlare, ma per suonare». E così è stato: la conferenza si è conclusa sulle note della Suite per violoncello solo in 3 movimenti dello spagnolo Gaspar Cassadò

Anche quest’anno, insomma, l’Associazione De Sono si riconferma al passo coi tempi, rimanendo sempre fedele al focus sui giovani musicisti e cercando l’attenzione dei giovani ascoltatori.

Roberta Durazzi

MiTo Settembre Musica, quattordicesima giornata

Lotta. Giustizia. Libertà. Resistenza. Orgoglio. Identità. Protesta. Ribellione.
Parole come detonatori; eppure non bastano per evocare l’anima del pensiero e della musica di Julius Eastman. Sono urla, gesti, temi che bruciano, azioni che scuotono: Eastman non ha avuto paura di impugnarle e trasformare in suono, in verità. Parlarne è un atto di resistenza.

Mentre la città si paralizza per una partita della Juve, c’è chi cerca tutt’altro: non il grido per un gol, ma per una rivoluzione fatta di musica, parole, identità. Altrove si corre dietro ad un pallone, alle Officine Caos si corre incontro ad una verità urgente e necessaria, seppur scomoda.

Without Blood There Is No Cause” è lo spettacolo che MiTo Settembre Musica, il 16 settembre, ha dedicato a Eastman: figura radicale e visionaria che ha trasformato la sua arte in atto politico.
Inizia a studiare pianoforte a quattordici anni e prosegue al Curtis Institute of Music di Philadelphia. Lui, nero e gay, con una musica minimalista e sperimentale fatta di suoni che mutano e degenerano (‘musica organica’), si fa strada tra l’élite musicale dell’epoca, bianca e benestante.

Foto di Simone Benso per Colibrì Vision

Fabio Cherstich, regista dello spettacolo, apre la performance recitando con voce profonda un testo che ripercorre la vita di Eastman, svelando alcune scelte drammaturgiche e il significato dei brani. Ad accompagnare il racconto, immagini storiche scattate al compositore e il suono ripetitivo di una tastiera, suonata da Oscar Pizzo.

Il viaggio musicale procede sulle note di Pizzo addentrandosi in “Turtle Dreams”, brano composto da Meredith Monk. È il sogno «lento e fragile» di una tartaruga – Neutron – che si aggira in una Manhattan fantasma. Il gruppo vocale SeiOttavi, che ha interpretato e rielaborato liberamente il pezzo, è accompagnato da un filmato: la tartaruga passeggia in ambienti naturali e sopra mappe del mondo, fino ad arrivare in una città desolata, senza vita. Si ascolta, non serve capire.

Versi stridenti, gutturali, profondi, stranianti evocano un canto recitato più che una melodia tradizionale. Attorno ad una lampadina calata dal soffitto, i performers fissano la luce in uno stato ipnotico, muovendosi in modo meccanico, quasi rituale, occupando lo spazio con una presenza (fisica e sonora) inquieta e totalizzante. Le voci alternate e spezzate sembrano procedere ciascuna per conto proprio, ma in realtà costituiscono un unico organismo sonoro, dissonante e coerente allo stesso tempo; un urlo compatto di resistenza. Il risultato è un paesaggio acustico disturbante e magnetico, dove la voce diventa corpo e il corpo diventa suono.

L’ingresso nel mondo sonoro di Eastman avviene subito con “Evil Nigger”, «un flusso ossessivo e implacabile». Quattro pianoforti, un unico suono: singole note martellate all’infinito, abbellite da leggerissime variazioni. Un ritmo incalzante cattura e ipnotizza. Il tempo sembra dilatarsi, eppure corre. Lo scorrere dei secondi sui monitor posizionati sopra i pianoforti detta la precisione chirurgica dei suoni. La concentrazione dei pianisti si fa palpabile: una sincronia perfetta tra musica e parole è fondamentale.
Alcune scritte compaiono e scompaiono sullo schermo tinto di rosso: «noi siamo ovunque e vogliamo una rivoluzione», «lotta», «resistenza», «protesta», «ribellione», «orgoglio».

Foto di Simone Benso per Colibrì Vision

Parole che graffiano, che raccontano la rabbia, la forza e la rivendicazione di chi rifiuta l’invisibilità. Temi urgenti: razzismo, identità di genere, orientamento sessuale e violenza sistemica.

Tra le parole anche numeri. Dati freddi, taglienti come lame: il 30% delle 13.000 persone uccise dalla polizia sono afroamericani; durante la presidenza di Trump, i crimini a sfondo razziale sono aumentati del 17%; nelle contee in cui si sono tenuti i suoi comizi, l’aumento è stato del 226%; in Italia, solo nell’ultimo anno, ci sono stati 1106 crimini d’odio. Numeri che non possono essere taciuti.

Eastman non accetta compromessi: «Voglio essere al massimo. Nero al massimo, musicista al massimo, omosessuale al massimo». L’ossessività della musica si intreccia, così, con un’altra forma di insistenza: quella dell’identità che rifiuta di essere silenziata, quella dei diritti che rivendicano la loro presenza.

La rivendicazione della propria identità compare con forza in “Gay Guerrilla”; la musica non chiede permesso, afferma la ‘presenza’ con determinazione: io sono qui e non me ne vado. Sullo sfondo, immagini di manifestazioni LGBTQ+ con cartelli alzati al cielo. In primo piano, la foto di una lapide anonima («a gay Vietnam veteran») dice: «when I was in the military they gave me a medal for killing two men and discharge for loving one». Immagini potenti non lontane da quelle che vediamo e viviamo oggi: all’orgoglio e alla protesta pacifica si affiancano gli scontri con la polizia.

Foto di Simone Benso per Colibrì Vision

Echeggia in “Stay on it” la dialettica tra passato e presente. Non ci si arrende di fronte all’ingiustizia, si ‘sta sul pezzo’. Cherstich pensa «alla lotta per le libertà: al popolo palestinese, all’Ucraina, al Sudan… e a tutti i popoli che vivono l’orrore, alle persone che subiscono discriminazioni, aggressioni, alla violenza maschile sulle donne». “Stay on it” diventa un invito urgente e necessario: restare svegli, coraggiosi, uniti e trasformare la voce in coro, l’indignazione in musica condivisa.
Il balafon e lo djembé di Mustapha Dembélé, griot del Mali, si fondono in un unico respiro con l’Happy Chorus Gospel Choir di Sondrio, il gruppo vocale SeiOttavi e i quattro pianisti. Una danza collettiva prende vita, potente e magnetica, fino e sfociare in un lungo applauso.

Da quell’onda di emozione, si leva un ultimo grido dal pubblico: «Free, free Palestine!».
«Senza giustizia non avremo alcuna pace»: è questo l’urlo cantato dalla musica.

Ottavia Salvadori

MiTo Settembre Musica, undicesima giornata

Entrare al Teatro Vittoria è sempre un gesto d’amore verso sé stessi: una coccola per il cuore e una carezza per l’udito. Nella sua sala intima e priva di barriere tra palco e platea, il suono riesce ad abbracciare lo spettatore con calore ed energia.
Il 13 settembre, nell’ambito di MiTo Settembre Musica, il teatro ha registrato il sold out – almeno sulla carta: qualche poltrona vuota è rimasta, ma questo non ha intaccato la magia della serata.

Protagonista dell’evento l’Eliot Quartett, approdato a Torino per concludere il viaggio musicale attraverso i quindici quartetti di Šostakovič: un percorso iniziato con tre appuntamenti a Milano e proseguito con tre giornate nella nostra città.

L’Eliot Quartett, fondato nel 2014, si è rapidamente affermato come una delle formazioni cameristiche più significative del panorama internazionale. Vanta numerosi riconoscimenti ed è spesso ospite di importanti sale da concerto in Europa. L’esecuzione integrale dei quartetti di Šostakovič è stata un traguardo e un sogno raggiunto nella stagione 2024-2025 con date in Germania, in Austria, in Canada e oggi anche in Italia.

Con la prima data torinese, sabato, il quartetto ha portato sul palco il Quartetto n° 4, il Quartetto n° 13 e il Quartetto n° 9, offrendo al pubblico un percorso musicale denso di contrasti. Troppo spesso entriamo in sala, leggiamo il programma (se ci spinge la curiosità) e usciamo senza mai sentire la voce dei musicisti. Il secondo violino Alexander Sachs, invece, ha scelto di rompere il silenzio e di introdurre i pezzi, sottolineando la profonda diversità che caratterizza i quartetti. Composti da Šostakovič in periodi differenti della sua vita, ciascuno riflette un contesto storico e personale differente. È difficile, infatti, separare le scelte musicali dalle tensioni politiche che lo circondavano.

Foto di Simone Queirolo per Colibrì Vision

A quarantatré anni Šostakovič compose il Quartetto n° 4 in un clima di forte repressione culturale, consapevole che la sua musica sarebbe rimasta inascoltata a causa della censura del regime sovietico. Il compositore sapeva che il nuovo pezzo – che conteneva citazioni dirette della musica popolare ebraica – non avrebbe potuto essere eseguito almeno fino alla morte di Stalin, ma decise di comporlo ugualmente come atto di resistenza ‘silenziosa’ e testimonianza artistica.

Ai quattro musicisti è bastato uno sguardo per dare avvio al primo movimento che, con il suo impasto sonoro che richiama una cornamusa, ha trasportato subito il pubblico in un paesaggio remoto. Era come se l’intreccio di violini e viola, sostenuti dal bordone del violoncello, stesse dichiarando l’intento del concerto: non una semplice esecuzione, ma un’immersione nell’anima di Šostakovič.
Un gusto orientaleggiante è affiorato lentamente, insinuandosi tra dissonanze che non hanno generato mai conflitti ma piuttosto tensioni emotive. I violini di Maryana Osipova e Alexander Sachs, pur essendo due voci distinte e contrapposte, hanno dialogato senza farsi la guerra, come due anime che si sfiorano senza mai scontrarsi. Il tono dolce e malinconico ha saputo mescolarsi alla perfezione con note profonde, gravi, a tratti dissonanti.
È però nel quarto movimento che il pezzo ha raggiunto il suo apice emotivo: una danza macabra, straziante, i cui motivi ebraici si sono intrecciati a ritmi agitati e vorticosi che hanno animato il suono, rendendolo denso e coeso.

La potenza sonora creata dal quartetto è riuscita a materializzare timbricamente un’intera orchestra: non più dunque quattro strumenti, ma un intero organico. La danza vorticosa improvvisamente ha lasciato il suo posto a pizzicati in pp che sembravano voler insinuare dubbi e domande nell’ascoltatore.

Foto di Simone Queirolo per Colibrì Vision

Mentre il silenzio si faceva sacro e l’arco di Dmitry Hahalin (alla viola) era pronto a dare vita al Quartetto n° 13, una notifica squillante (anzi, due notifiche consecutive) – inequivocabilmente Samsung – ha rovinato il rituale. Hahalin, pronto in posizione per iniziare, ha reagito con un gesto potente che ha mostrato il suo disappunto: ha abbassato la viola staccandola dalla spalla e dal mento, l’ha appoggiata sulle sue gambe, e poi ha atteso fermo, con lo sguardo abbassato, finché la sala non ha ritrovato silenzio e concentrazione. Un giorno, forse, assisteremo ad un concerto in cui nessun telefono squillerà, nessuna notifica ad alto volume interromperà il flusso armonico della musica, e nessun cellulare scivolerà dalle poltrone. Ma evidentemente quel giorno, il 13 settembre, non era ancora arrivato.

Le condizioni di salute di Šostakovič erano tutt’altro che stabili quando compose il tredicesimo quartetto, completato nel 1970 dopo diversi ricoveri. Ogni nota sembra, infatti, portare il peso di una vita vissuta sul filo, tra fragilità interiori e una traiettoria esistenziale troppo ‘rivoluzionaria’ rispetto al contesto storico. Attendere il silenzio non è stato solo un gesto di rispetto nei confronti dei musicisti stessi e della musica del compositore, ma un tributo alla vita di Šostakovič, per non dimenticare la sua storia e le difficoltà che ha incontrato lungo il percorso.

La malattia si sente sin dalle prime note che con leggerezza, ma tragicità, si addentrano con passo felpato in una storia drammatica che vuole, forse, evocare l’imminenza della morte. Il violoncello di Michael Preuß, con le sue note gravi, ha dialogato con quelle acutissime e taglienti dei violini, creando un paesaggio desolato ma vibrante. Sforzati-piano dei violini nel registro acuto, staccati fortissimi omoritmici, continue dissonanze, colpi secchi d’archetto sul legno degli strumenti – che, come frustate sonore, hanno risvegliato lo spettatore – e il nervosismo crescente hanno saputo rendere palpabile la sofferenza, il dolore e la malattia. L’atonalità ha dominato la scena, ma senza soffocare la melodia, che è rimasta centrale.

Nonostante la potenza e la capacità del quartetto di ipnotizzare il pubblico – soprattutto i più giovani, sempre troppo pochi nelle sale –, qualche testa brizzolata e qualche palpebra hanno ceduto alla forza di gravità. Per un pubblico poco avvezzo a suoni ‘rivoluzionari’ e alle tensioni imprevedibili che questi generano, anche solo ascoltare il Quartetto di Šostakovič può diventare una sfida contro sé stessi. Il magnetismo dell’Eliot Quartett ha però incantato tutti coloro che hanno avuto il coraggio di lasciarsi attraversare da questa rivoluzione sonora.

Il tormento di quest’ultimo pezzo ha lasciato poi spazio alla spensieratezza del Quartetto n° 9, che cita apertamente l’overture del Guillaume Tell di Rossini. Un galoppo senza fine verso la libertà, che sembra essere non solo musicale ma anche emotiva. Dopo aver attraversato l’oscurità, l’Eliot Quartett ci ha invitato a correre insieme, verso un futuro – forse – migliore.

Foto di Simone Queirolo per Colibrì Vision

Il quartetto ha saputo restituire la complessità di queste pagine con un equilibrio perfetto fra melodie dubbiose e malinconiche, poi nervose, e infine allegre e libertine. Il dialogo tra strumenti non è stato soltanto udito ma è stato anche visibile: le espressioni dei volti dei quattro musicisti hanno fatto trasparire una profonda immedesimazione, come se ogni nota fosse vissuta ancor prima di essere suonata. Occhi chiusi, sopracciglia tese e respiri profondi: tutti i loro gesti hanno parlato, trasformando il dialogo musicale in narrazione visiva.

L’Eliot Quartett ha dato voce a Šostakovič, trasformando ogni nota in testimonianza e ogni gesto in racconto.

Ottavia Salvadori

MiTo Settembre Musica, quinta giornata 

All’interno della sua programmazione, MiTo Settembre Musica ha creato dei percorsi tematici per agevolare il proprio pubblico. Il concerto di domenica 7 settembre al Museo di Arte Contemporanea del Castello di Rivoli è rientrato nel percorso «Ascoltare con gli occhi», dedicato alla multisensorialità e alle esperienze che vanno oltre al concerto classico. Questo titolo sembra un errore, una cosa quasi impossibile da realizzare, poiché ovviamente si ascolta con le orecchie e si osserva con gli occhi. Alberto Navarra, però, con il suono del suo flauto traverso, ha fatto capire agli spettatori quanto l’udito e la vista siano due sensi complementari e come la musica e l’arte contemporanea possano creare un dialogo tra loro e con il pubblico.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Il flautista piemontese, nonostante la giovane età, può già vantare numerosi riconoscimenti, tra cui il titolo di «Alumno más sobresaliente», conferitogli dalla Regina di Spagna nel 2019 a Madrid, e il primo posto alla Carl Nielsen International Flute Competition del 2022. Da questo stesso anno si è unito ai Berliner Philharmoniker come membro della Karajan-Akademie, grazie alla quale si sta perfezionando sotto la supervisione di Emmanuel Pahud e Sébastian Jacot.

Il programma scelto ha cercato di seguire con coerenza le sale dell’esposizione permanente del Castello di Rivoli, come fosse una vera e propria visita guidata. Infatti, il concerto è iniziato dall’androne della galleria con Syrinx, brano per flauto solo composto nel 1913 da Claude Debussy. Un inizio inaspettato: il pubblico, abituato alla tradizionale sala da concerto, probabilmente non si immaginava di ascoltare la composizione in parte seduto, in parte in piedi sulle scale. 
Poi finalmente l’interazione vera e propria: aiutato anche dalla disposizione della sala dedicata a Piero Gilardi, il pubblico si è ritrovato circondato dalle installazioni ad ascoltare la Sonata appassionata op. 140 di Sigfrid Karg-Elert. Il brano solistico, in un unico movimento, è molto breve e indaga le potenzialità espressive e tecniche del flauto. Si alternano momenti in pp e in mf, dando sfogo a virtuosismi e momenti più intimi dell’interprete. 
Nella sala seguente, dedicata a Panels and Tower with Colours and Scribbles di Sol Lewitt, è continuata l’esplorazione delle potenzialità dello strumento. Qui il flautista ha eseguito Sequenza per flauto solo di Luciano Berio, composizione che spinge il flauto oltre i limiti convenzionali e tradizionali, trasformandolo, in alcuni momenti, da strumento a fiato in strumento a percussione.
Continuando il percorso ci si è ritrovati nella sala de Larchitettura dello specchio di Michelangelo Pistoletto, per il momento probabilmente più interessante del concerto. Alberto Navarra, infatti, ha eseguito Soliloquy op. 44 di Lowell Liebermann suonando davanti all’installazione, composta da quattro enormi specchi, dando, così, le spalle al proprio pubblico. Questo per rimanere coerente con il significato dell’opera di Pistoletto: il flautista è diventato esso stesso arte, creando quasi un quadro di sé stesso attraverso il riflesso dello specchio. Durante l’esecuzione ha cercato spesso l’attenzione del pubblico, osservandolo da un punto di vista particolare.
Proseguendo, musica e arte sono diventate un tutt’uno, grazie anche all’installazione HellYeahWeFuckDie di Hito Steyerl. Navarra, in questa sala, si è ritrovato circondato dalle persone e dalle note di Density 21.5 di Edgard Varèse. Infatti, le scritte tridimensionali che sono parte dell’installazione e occupano l’intera sala hanno fatto da sedute per gli spettatori, rendendo difficile per il musicista riservarsi uno spazio distante dal pubblico. Il titolo del brano allude alla densità fisica del platino, materiale di cui può essere fatto il flauto traverso, e alla consistenza del suono che esso può generare. Infatti, nonostante la sua brevità, Density 21.5 è ricco di cambi di registro ed esplora l’intera estensione dello strumento, alternando note molto acute a note molto gravi.
In ultimo, il momento più spiazzante: la Partita in la minore per flauto solo BWV 1013 di Johann Sebastian Bach eseguita sotto l’installazione Novecento di Maurizio Cattelan. Chissà se il compositore barocco avrebbe apprezzato questa esecuzione – considerando la sua indole sperimentatrice, è possibile –, ma di sicuro il pubblico è rimasto colpito e inaspettatamente affascinato. Non sono mancati lunghi applausi e commenti molto positivi da parte degli spettatori.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Il pubblico si è ritrovato, insomma, catapultato in una modalità insolita, un concerto itinerante tra le sale di una galleria d’arte contemporanea, dove Alberto Navarra era al tempo stesso musicista e cicerone. I tempi erano quelli di una classica visita al museo, dove le opere venivano spiegate non più a parole ma attraverso la musica. Nonostante non fossero abituati a questa modalità, i partecipanti non si sono fermati davanti ad alcun pregiudizio, anzi erano incuriositi e molto attenti. Il rispetto per la musica e per l’arte hanno fatto da padrone, i visitatori si invitavano al silenzio a vicenda pur di ricreare ad ogni cambio di sala la giusta atmosfera. Forse avremmo bisogno di più «guide turistiche» di questo genere. 

L’esperimento creato grazie alla collaborazione dell’associazione De Sono e di MiTo Settembre Musica è stato sicuramente un successo. La speranza, uscendo da questo concerto, è che non rimanga solamente un momento di sperimentazione fine a sé stesso, ma che si continui a far entrare le arti sempre più in dialogo tra di loro, creando sempre più occasioni di incontro ed eliminando il più possibile le distanze.

Roberta Durazzi

Terza giornata MiTo Settembre Musica

Prosegue con slancio la programmazione di Mito Settembre Musica nell’ambito del progetto Mitjia e gli altri, dedicato all’universo musicale di Šostakovič.
Dopo il sold out al Teatro alla Scala il 4 settembre, il giorno seguente il pianista Seong-Jin Cho e la London Symphony Orchestra, diretta da Sir Antonio Pappano, sono saliti sul palco del Lingotto, accolti da un pubblico trepidante di attesa e meraviglia.

Il programma ha tracciato un arco musicale ricco di contrasti: dall’eleganza della “Overture” tratta da Semiramide di Rossini, alla poesia romantica del Concerto n° 2 di Chopin. Protagonista della seconda parte del concerto è stata la Sinfonia n° 9 di Šostakovič, anticonvenzionale e specchio di una rivoluzione novecentesca; infine, un inno impetuoso e giovanile in forma di poema sinfonico: Juventus di Victor de Sabata.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Appena varcata la soglia della sala, la presenza imponente dei violini, disposti simmetricamente ai lati del direttore d’orchestra, ha stupito il pubblico. Un impatto visivo potente che si è presto trasformato in un’esperienza sonora coinvolgente.

Si potrebbe dire che il crescendo sia stato il filo conduttore di tutto il concerto, non solo nella “Overture” di Rossini, ma come principio che ha attraversato ogni brano. La London Symphony Orchestra, diretta dall’espressività di Pappano, ha creato uno slancio orchestrale raro: ogni composizione ha rivelato al suo interno una progressiva espansione sonora. Ma ciò che ha colpito è stata la trasformazione complessiva dell’orchestra lungo l’intero concerto: dall’attacco brillante del primo brano sino all’impeto finale di Juventus, l’orchestra ha mostrato una crescita di potenza e compattezza sonora, come se ogni pezzo avesse alimentato il successivo in un progressivo accumulo di energia. La forza espressiva dell’orchestra ha pian piano raggiunto il suo apice, avvolgendo interamente il pubblico.

La “Overture” è iniziata con un crescendo rapido, presto culminato in tre accordi in ff che hanno concluso con energia la prima sezione. Con una melodia sognante, solenne, i corni hanno dato voce alla cantabilità dell’Andantino, esaltando la padronanza dell’orchestra anche per le sezioni melodiche. Come un piccolo concentrato dei temi principali della Semiramide, la “Overture” ha dipinto un quadro vivido, drammatico ma energico e gioioso. Dalla direzione di Pappano è trasparito con forza il suo profondo legame con l’opera italiana, un amore che si traduce in una lettura capace di travolgere con energia e allo stesso tempo di commuovere l’ascoltatore.

È poi arrivato il momento del giovane pianista Seong-Jin Cho: classe 1994, nel 2015 ha vinto il Concorso Internazionale Chopin di Varsavia e ha poi collaborato con diverse orchestre in tutto il mondo consolidando la propria fama internazionale.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

I Concerti chopiniani sono stati, in passato, oggetto di critiche da parte di musicisti e studiosi che hanno evidenziato una certa trascuratezza nell’orchestrazione. L’orchestra, infatti, assume prevalentemente il ruolo di sostegno, fungendo da cornice sonora al protagonista: il pianoforte.

La tecnica impeccabile e il controllo assoluto di Seong-Jin Cho hanno rivelato, tra le pieghe della perfezione formale, una sottile assenza: quella della vibrazione emotiva capace di raggiungere le corde più profonde dell’ascoltatore. Nonostante questo, Cho si è mosso con naturalezza sulla tastiera, generando un vortice infinito di note, come un fiume impetuoso che scorre senza tregua. Orchestra e pianoforte sono diventati l’uno l’estensione dell’altro: dove l’orchestra non riusciva ad arrivare, giungeva il pianoforte; dove il pianoforte si fermava, l’orchestra prendeva il testimone e proseguiva il discorso musicale. Erano due organismi complementari che non potevano fare a meno l’uno dell’altro. E così, ciò che un tempo veniva considerato un limite dell’orchestrazione chopiniana si è trasformato in una risorsa che ha creato equilibri. Da semplice sfondo sonoro, la London Symphony Orchestra è diventata voce attiva nel dialogo ora dolce e malinconico, ora frenetico ed energico.

Il concerto è poi proseguito con la Sinfonia n° 9 di Šostakovič. Quando la compose, Šostakovič sovvertì le aspettative del regime sovietico che si prefigurava un’opera celebrativa e patriottica a completamento della “Trilogia bellica” (inaugurata con la Settima sinfonia e proseguita con l’Ottava). Il compositore, tuttavia,compose una sinfonia che di monumentale ha ben poco, se non nella finezza della scrittura. Costruita su un umorismo sarcastico, la Sinfonia sembra deridere il conformismo borghese, e forse lo stesso regime.

Il carattere ironico e leggero è stato ben espresso nel primo dei cinque movimenti (Allegro): l’ottavino, che si è ritagliato uno spazio ampio e sembrava commentare con sarcasmo la scena, ha suonato una melodia vivace, brillante e quasi caricaturale, basata su note brevi e sincopate che ricordavano la musica da circo. A questo intervento sono seguiti colpi secchi del rullante, quasi militareschi, e due note del trombone nel registro grave.
La melodia nel corso del primo movimento è stata ripresa e trasformata dall’orchestra: il tema è passato in un registro più grave e l’atmosfera è cambiata, diventando cupa e a tratti tragica. La London Symphony Orchestra è riuscita ad esprimere al meglio questi cambi repentini di umore e toni, controllando timbri e dinamiche alla perfezione e permettendo agli interventi solistici (dei fiati) di emergere in tutta la loro potenza espressiva.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Il secondo movimento, dal tono più lirico e meditativo, ha sorpreso lo spettatore con un’improvvisa immersione in una melodia delicata, malinconica e introspettiva. Il clarinetto solo ha aperto il movimento con un canto sospeso, trasformato poi dal flauto traverso in una melodia dal carattere misterioso e interrogativo. Gli archi, con frasi brevi e ascendenti, hanno amplificato questa tensione, come alla ricerca di qualcosa di irraggiungibile.
La carica energica, frenetica e brillante è tornata ben presto nel terzo e nel quinto movimento. Solo il Largo (quarto movimento) ha introdotto una pausa di riflessione che sembrava evocare le ferite della guerra. Il carattere drammatico, funebre, si è trasformato poi in un Allegretto vivace che con un crescendo giocoso ha chiuso la sinfonia.

A concludere il concerto è stato Juventus, un poema sinfonico che intreccia la brillantezza della “gioventù” con temi romantici e pensosi. L’energia non è mai venuta meno: la potenza sonora dell’orchestra ha travolto con forza il pubblico.
Come inatteso omaggio, il pubblico torinese ha ricevuto infine un «piccolissimo regalo» da Sir Antonio Pappano e dalla London Symphony Orchestra: la “Prima danza ungherese” di Brahms, eseguita con leggerezza ed entusiasmo.

A differenza del concerto inaugurale del Festival, Pappano ha deciso di offrire al pubblico un’esperienza senza silenzi contemplativi, ma ricca di vibrazioni. La musica ha parlato senza interruzioni e con intensità.

Ottavia Salvadori

Inaugurazione MiTo Settembre Musica 2025

Per molti torinesi e milanesi l’unico motivo per desiderare che l’estate finisca in fretta è l’arrivo di MiTo Settembre Musica, il festival che da diciannove edizioni segna il passaggio dalla spensieratezza estiva alla routine autunnale.
Dopo mesi di attesa e un’estate che ha faticato a mostrarsi tale, si torna alla quotidianità: tra chi riprende gli studi, chi rientra al lavoro e chi sceglie di salutare il caldo immergendosi nell’ascolto di musica ‘rivoluzionaria’ (Rivoluzioni è il tema scelto da Giorgio Battistelli per identificare una musica capace di creare nuove prospettive).

Il 3 settembre, a Torino, si è aperto il sipario sull’edizione 2025 di MiTo. L’auditorium Lingotto è tornato nuovamente a vibrare di musica e dell’energia di un pubblico affezionato, capace di stupirsi ed emozionarsi.

Foto di Gianluca Platania

Ad accompagnarci nel viaggio musicale tra le musiche russe di tre compositori che hanno fatto la Storia – Šostakovič, Rachmaninov e Čajkovskij – è stata l’orchestra Filarmonica della Scala guidata da Myung-Whun Chung. A completare il quadro, il ventiseienne Mao Fujita, pianista pluripremiato che nel 2019 ha ricevuto la medaglia d’argento al Concorso Čajkovskij di Mosca.

Myung-Whun Chung, che presto vedremo al Teatro alla Scala in qualità di direttore musicale, sembrava dirigere l’orchestra ancor prima di salire sul podio: non ha voluto lasciare il tempo agli applausi di concludersi per dare subito il primo attacco del “Valzer n. 2” di Šostakovič. Un gesto fulmineo, una scarica di energia e l’orchestra ha preso il volo: Chung infatti, dopo qualche movimento, si è appoggiato al pianoforte e ha lasciato l’orchestra dirigersi da sola per qualche battuta, per poi riprendere le redini con la sua direzione sobria ma intensa. Quel “Valzer” che per alcuni è stato il primo passo incerto nel mondo della musica, tra i leggii traballanti e gli spartiti sgualciti di un’orchestrina scolastica, nelle mani della Filarmonica della Scala è diventato un turbine di emozioni e di potenza che ha travolto il pubblico. La sua leggerezza e spensieratezza danzabile si è contrapposta in maniera quasi teatrale ai due brani successivi –  il Concerto n° 2 di Rachmaninov e la Sinfonia “Patetica”di Čajkovskij – entrambi drammatici e di struggente profondità.

Foto di Gianluca Platania

Il concerto della Filarmonica è stato un vero viaggio esistenziale attraverso le sfumature dell’animo umano: dalla serenità luminosa del “Valzer”, alla morte sussurrata in pppp dai contrabbassi (in sordina) nel finale della “Patetica”. Ma la vita non è mai lineare, e così non lo è stato il percorso che ci ha portato alla chiusura di questo viaggio musicale: si sono alternati dialoghi e scontri, tensioni e abbandoni, in un continuo passaggio da toni tragici a melodie dolci e malinconiche.

Il Concerto di Rachmaninov è stato il primo brano che ha affondato le sue radici nei temi tragici, pur lasciando spazio a melodie serene ma nostalgiche. La morte si è fatta sentire fin dai rintocchi funebri iniziali, ma presto ha ceduto il passo ad una dolce malinconia, nel secondo movimento, che ha evocato chiaramente la Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven: una melodia sognante che sembrava nascondere qualcosa di sospeso tra sogno e inquietudine. Un trillo nervoso del pianoforte e il pizzicato dei violoncelli hanno introdotto una crepa nell’incanto, una minaccia in agguato, forse un riferimento alla morte come presenza silenziosa. Rachmaninov gioca con la ripetizione di cellule melodiche, creando un effetto di loop emotivo, dove ogni variazione di tonalità si trasforma in una nuova sfumatura dell’animo umano: Fujita e la Filarmonica sono diventati un unico organismo che è riuscito a trasformare le note musicali in tensioni emotive.

A concludere il Concerto è stato il terzo movimento (Allegro scherzando), un finale energico e brillante, che con ironia sembrava prendersi gioco del clima triste e malinconico dei primi due movimenti. Nonostante il carattere scherzoso, sono emersi echi di melodie cantabili e nostalgiche. L’orchestra, sotto la direzione di Chung, ha saputo creare un equilibrio magico tra leggerezza e profondità. In particolare nei momenti più travolgenti, il suono ha raggiunto la platea come aprendo una breccia capace di risvegliare emozioni sopite.

Fujita, curvo sulla tastiera del pianoforte, con lo sguardo fisso sulle mani, sembrava intensamente coinvolto nel turbine di sentimenti raccontati dalla musica. Ogni nota era eseguita con perfezione tecnica, ma la sua forza espressiva risultava attenuata dalla difficoltà di emergere e contrastare il suono pieno dell’orchestra. La fragilità sonora ha trasformato il pianoforte in un punto focale su cui focalizzare l’attenzione. Il suono delicato ma allo stesso tempo incisivo ha incarnato la riservatezza del pianista, che ha accolto gli applausi del pubblico con le spalle chiuse e quasi con esitazione.

Foto di Gianluca Platania

A differenza dell’inizio improvviso del “Valzer”, Chung ha scelto di vivere il silenzio prima di immergersi nella Sinfonia di Čajkovskij: un minuto intero di immobilità in cui il pubblico ha trattenuto a fatica il respiro. Un piccolo rito di ingresso che è stato anticipatore del lento e ‘lamentoso’ addentrarsi nelle melodie più liriche e agitate.
Con un continuo gioco di risposte e di melodie ripetute, l’orchestra si è dimostrata straordinariamente coesa. Nel terzo movimento il pubblico non ha saputo trattenere un applauso che ha rotto l’incantesimo: si sa che i momenti chiusi da un grande finale a piena orchestra attirano maggiormente il consenso, e così è stato anche questa volta, con la piccola marcia allegra in fff, scandita da timpani e piatti.

Dopo tre movimenti allegri, nell’ultimo – insolito e struggente – il cerchio apertosi sulle note gravi del fagotto e dai contrabbassi vibrati si è chiuso tornando alla calma iniziale, con un andamento lento e cupo. Un finale che non vuole dare risposte ma lasciare sospesi. Una dissolvenza nel silenzio che non chiede di essere capita ma contemplata. Chung, infatti, immobile nel suo ultimo gesto ha atteso: non ha permesso che il fragore degli applausi rompesse il respiro silenzioso della musica, ma ha lasciato che l’eco dei contrabbassi si sedimentasse nei corpi dei presenti. Solo dopo qualche secondo gli applausi sono arrivati come un’onda.

Il concerto è stato solo il primo di tanti che si susseguiranno nei prossimi giorni: non vediamo l’ora di scoprirli, e immergerci in altri mondi e rivoluzioni.

Ottavia Salvadori

Presentato MiTo Settembre Musica 2025: Rivoluzioni

Torino e Milano si preparano ad accogliere la 19a edizione di MiTo Settembre Musica, il festival internazionale che dal 3 al 18 settembre celebrerà la musica attraverso il tema “Rivoluzioni”.

Durante la conferenza stampa del 20 maggio, in collegamento tra le due città coinvolte, l’Assessora alla Cultura di Torino, Rosanna Purchia, ha affermato che MiTo rappresenta non solo un appuntamento musicale, ma un vero e proprio dovere civile, culturale e sociale. Il Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha invece evidenziato il valore della collaborazione tra le due città, sottolineando che l’internazionalità del festival rispecchia l’identità e le aspirazioni di Milano.

Alla sua ultima edizione come direttore artistico, Giorgio Battistelli ha messo in luce la necessità di rinnovare il concetto stesso di programmazione musicale. «Non si porta la cultura, si sollecita un’azione culturale» ha affermato, rimarcando la volontà di resistere all’omologazione e stimolare nuove connessioni.

I quattro perimetri su cui si sviluppa il programma sono: Mitjia e gli altri (per omaggiare Šostakovič nel cinquantenario dalla scomparsa), Berio e le avanguardie (con un omaggio al compositore nel centenario dalla nascita), Rivoluzioni – tempi di guerra, tempi di pace, e infine Ascoltare con gli occhi – la musica si intreccia con immagini e danza per creare un’esperienza multisensoriale.

Con 67 eventi in programma, MiTo porterà sui palchi artisti e orchestre di grande rilievo. Ad inaugurare il festival, il 3 settembre all’Auditorium del Lingotto di Torino, ci sarà la Filarmonica della Scala guidata dal futuro nuovo direttore musicale del Teatro, Myung-Whun Chung: in programma musiche di Šostakovič, Rachmaninov e Čajkovskij.

A seguire, il 4 settembre al Teatro alla Scala, Antonio Pappano dirigerà la London Symphony Orchestra in brani di Bernstein, Prokof’ev e Copland.

All’interno del programma dedicato a Šostakovič, sarà di rilievo l’esecuzione della Sinfonia n° 10 al Teatro Dal Verme con l’Orchestra Sinfonica di Lucerna diretta da Michael Sanderling, accompagnata dalla proiezione dell’artista William Kentridge: un suggestivo dialogo tra musica e immagini.
Significativa sarà anche l’esecuzione integrale dei quartetti per archi di Šostakovič, proposta in sei giornate dal Quartetto Eliot.

Accanto alle esibizioni di grandi nomi, il festival conferma il suo impegno nella valorizzazione di talenti emergenti con il progetto Milano Mito d’Europa che offrirà spazio a giovani musicisti e compositori. In questo ambito, il 6 settembre al Teatro Alfieri di Torino, la Scuola di Perfezionamento Musicale di Saluzzo presenterà un’orchestra di giovani musicisti sotto la direzione di Donato Renzetti in un programma dedicato a Bernstein, Gershwin e John Williams.

Battistelli ha voluto sottolineare come MiTo sia un festival che resiste all’immobilità, abbracciando il cambiamento: «Più passa il tempo, più non so quale sia la musica contemporanea. La musica è un experimentum mundi». L’iniziativa si pone dunque come una riflessione sulla trasformazione culturale e sulle nuove modalità di ascolto e partecipazione.

MiTo si conferma una realtà dinamica capace di intrecciare tradizione e innovazione, di rivoluzionare la musica e la fruizione musicale.

Ottavia Salvadori

In missione per conto di Chopin

Un pianoforte, un compositore e tre interpreti per quattro concerti.

La rassegna, organizzata da Unione Musicale, si intitola Festival Chopin, ed è ovviamente dedicata al compositore polacco. A interpretare le sue pagine sono tre giovani musicisti: Matteo Buonanoce, Maria José Palla, David Irimescu, tutti formati presso il Conservatorio di Torino. Siamo stati al Teatro Vittoria per il concerto pomeridiano del 28 maggio per sentire questi talenti nascenti confrontarsi con un repertorio variegato e complesso. 

Il primo ad esibirsi è Matteo Buonanoce, torinese classe 2005, che propone i Due notturni op. 48. La sua esecuzione è coinvolgente, il pianista si muove sulla panca, si avvicina col busto alla tastiera o alza lentamente le spalle alla ricerca continua di una precisa espressività. Soprattutto nei momenti di maggior frammentazione del dettato, in cui si susseguono cellule melodiche diverse, Buonanoce riesce a dare una visione intensa della musica di Chopin.

Foto da cartella stampa di Unione Musicale

Dopo è il turno di Maria José Palla, che esegue Quattro mazurke op. 30 e il Valzer op. 64 n° 3, due composizioni caratterizzate da raffinatezza e rimandi alla musica popolare polacca. La pianista ondeggia dolcemente, il suo tocco sulla tastiera è sempre costante, senza esitazioni, dimostrando buona capacità interpretativa e anche comprensione emotiva di una musica energica e appassionata ma anche nostalgica ed evocativa. Nel Valzer si insegue uno stato di gioia, non frivola, ma cosciente delle ansie e dei tormenti: la pianista lo esegue con lucidità, senza eccedere in superflui compiacimenti malinconici.

Foto di Marco Carino

Conclude David Irimescu, pianista italo-rumeno, con il Notturno op. 37 n° 1, i Valzer op. 34 nn. 2-3 e la Ballata n° 2 op. 38, che costituiscono la seconda metà del concerto. Il musicista entra in sala con passo deciso e si prende il tempo di trovare la giusta concentrazione prima di iniziare. L’aspetto interpretativo è ancora più rilevante, qui, trattandosi di brani dai caratteri diversi. David cambia stile con agilità: nel primo brano dilata il lento come a voler cullare chi ascolta, ma sottolineando molto gli abbellimenti, mentre negli altri due è molto più vivace, facendo emergere i forti contrasti ad esempio tra i due temi della Ballata, che vengono contrapposti in modo efficace e con attenzione alla dinamica. 

Foto di Luigi De Palma

Il pubblico applaude con entusiasmo i tre artisti, che alla fine del concerto si inchinano tutti insieme. Tre visioni personali e originali di un compositore la cui musica oggi è molto nota e presente a tutti, ma che spesso diventa un sottofondo o una posa intellettuale, invece sentire un’esecuzione dal vivo può essere un’esperienza più significativa. Tutta l’iniziativa ha avuto un buon riscontro di pubblico che, attratto in primo luogo dal repertorio in programma, ha avuto modo di scoprire e apprezzare nuovi interpreti.

Alessandro Camiolo

Tre epoche, un dialogo: Yuki Serino e Martin Nöbauer 

Il 10 maggio al Teatro Vittoria si è conclusa la rassegna “Note tra di noi” dell’Unione Musicale con due giovanissimi e talentuosi musicisti: la violinista Yuki Serino e il pianista Martin Nöbauer. Lei nel 2024 si è aggiudicata il primo premio al Concorso Città di Cremona, lui nel 2023 è stato finalista al Concorso Internazionale Chopin su strumenti d’epoca di Varsavia. 

Quando, dopo il saluto del direttore artistico della rassegna, sono entrati i due musicisti, entrambi con un grande sorriso sulle labbra, si è respirato un piacevole senso di leggerezza (fra l’altro, parte del pubblico ha preso posto su alcune sedie posizionate sul palco per abbattere le barriere tra platea e artisti). 

Il primo brano che hanno scelto per questa serata è stata la Sonata in sol maggiore K. 379 di W. A. Mozart, che si apre con un “adagio” intimo e profondo introdotto dal pianoforte; il violino entra poco dopo, con un accordo pieno in imitazione delle prime note del pianoforte. Sono bastate poche battute per capire che davanti a noi avevamo degli autentici talenti nonostante la giovane età: questo inizio perfetto ci ha fatto subito entrare nel loro mondo. Il secondo movimento “allegro” cambia il carattere della sonata, con un gioco di imitazioni tra i due strumenti molto deciso e accattivante, mentre l’ultimo, “andantino cantabile”, contiene variazioni sul tema. Entrambi i musicisti hanno onorato la sonata mozartiana: se Yuki è riuscita a coinvolgere il pubblico con il suo modo unico di suonare, Martin non è stato da meno, e insieme hanno costruito un intreccio di colori e dinamiche che ha colpito gli ascoltatori. 

foto da Unione Musicale

Il programma è proseguito poi con le Tre romanze op. 22 di Clara Schumann. Il primo di questi vellutati quadri sonori è stato particolarmente suggestivo: calibrando ogni nota, i musicisti sono riusciti a trasmettere qualcosa del carattere appassionato della compositrice. Nel secondo, siamo entrati più in profondità nel racconto: con il suo vibrato e la precisione assoluta nei passaggi, era come se la violinista avesse assorbito lo spazio intorno a lei: impossibile distogliere lo sguardo!

foto da Unione Musicale

In chiusura del concerto è stata eseguita la Sonata in la maggiore op. 13 di Gabriel Fauré. (Molto raffinata l’idea dei due musicisti di farci attraversare tre periodi diversi con composizioni che rappresentano a meraviglia il carattere musicale e stilistico dei rispettivi autori!). Nel primo movimento di Fauré, Martin Nöbauer ha brillato in particolare per un crescendo perfetto, eseguito con naturalezza e un’irresistibile tensione. Un momento che ha sicuramente lasciato una forte impressione è stato il climax creato dalle ottave del violino e dagli arpeggi del pianoforte: sono stati impeccabili, raggiungendo il secondo tema con una dolcezza inaspettata, fuori dagli schemi. In tutto il brano sono riusciti a dimostrare una padronanza notevole, combinando destrezza tecnica e sincera espressività emotiva, frutto indubbiamente di un duro lavoro in fase di studio.

Le reazioni del pubblico sono state molto positive: i due musicisti, stanchi ma visibilmente appagati, sono stati acclamati con calorosi applausi (e pazienza se i battimani avevano interrotto le sonate dove il rito concertistico non lo prevede: i musicisti non hanno perso né la concentrazione, né il sorriso!). 

Francesca Modoni

Presentata la nuova stagione 2025-2026 del Teatro Regio di Torino: “ROSSO”

Torino accoglie con entusiasmo la presentazione della nuova stagione del Teatro Regio che prevede un cartellone che combina tradizione e innovazione.

Il 6 maggio al Foyer del Toro, in apertura della conferenza stampa, il sovrintendente Jouvin ricorda due grandi figure del teatro lirico che sono venute a mancare in questi giorni: Pierre Audi, direttore del Festival d’Aix-en-Provence e il baritono Alberto Mastromarino. Poche parole, molto sentite, in ricordo di due persone che lasceranno un grande vuoto.

Il titolo scelto per la stagione, Rosso, nasce da un’attenta riflessione collettiva. Il colore, simbolo di passione e desiderio, nasconde anche un lato oscuro: quello della violenza e del sangue. Jouvin cita un passaggio di La scrittura o la vita di Jorge Semprùn: «Cerco la regione cruciale dell’anima in cui il Male assoluto si oppone alla fratellanza», una frase che riflette sul dualismo insito nell’essere umano. E proprio da questo tema prende vita il cartellone della nuova stagione: conflitti tra bene e male che raccontano la duplicità dell’animo in continua lotta tra amore e odio.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino

Ad inaugurare il nuovo anno operistico sarà Francesca da Rimini¸ opera di Zandonai nata nel 1914 per la città di Torino. Diretta da Andrea Battistoni, l’opera è un esempio di literaturoper basata sulla tragedia di D’Annunzio e rappresenta un viaggio tra influenze italiane, della scuola di Mascagni, e suggestioni da Debussy, Ravel e Strauss.
Il direttore artistico Cristiano Sandri sottolinea l’importanza dell’equilibrio tra opere di repertorio e titoli meno noti che vogliono essere riscoperti e riportati in vita. In questa visione si inserisce Francesca da Rimini affidata alla regia di Andrea Berna, giovane regista vincitore del Premio Abbiati nel 2024.

Più volte, nel corso della conferenza, viene enfatizzata la fiducia che gli artisti nutrono nei confronti del Teatro Regio, riconosciuto come ambiente accogliente in cui tornano sempre con entusiasmo. Prova ne è l’opera di apertura, che ha visto il Teatro riunire un cast di attori-cantanti di prestigio disposti ad accettare anche i ruoli minori, brevi nella loro durata ma estremamente impegnativi dal punto di vista vocale; tra questi vi sono i due fratelli di Francesca, Samaritana e Ostasio, interpretati rispettivamente da Valentina Boi e Devid Cecconi.
Tra gli interpreti si evidenzia la presenza di Roberto Alagna, nel ruolo di Paolo, che torna a Torino dopo 20 anni, e la giovane Barno Ismatullaeva che ha lasciato il segno nel 2023 nella Madama Butterfly.

La stagione inizia già ad ammorbidire i toni con Il Ratto del Serraglio, diretto da Gianluca Capuano e la regia di Michel Fau. Il Singspiel di Mozart mescola serietà e comicità lasciando un messaggio di speranza che scava approfonditamente nelle passioni dei personaggi.
L’allestimento dello spettacolo viene dall’Opéra Royal de Versailles e preannuncia una produzione evocativa e colorata capace di trasportare il pubblico nei paesaggi turchi e nel palazzo del Pascià Selim.

Dicembre sarà il mese dedicato ai balletti e vedrà il grande ritorno di Roberto Bolle, che accende gli animi degli appassionati. Quest’anno, sul palco del Regio, Bolle non porterà il consueto gala “Bolle and Friends”, ma presenterà uno spettacolo intitolato “Caravaggio” su musica di Bruno Moretti.
L’anno si concluderà con altri due titoli importanti e due compagnie estere: la Compagnia di Balletto del Teatro Nazionale di Praga che porterà sul palco Romeo e Giulietta, e il Balletto Nazionale della Lettonia di Riga, per la prima volta ospite a Torino con Il lago dei Cigni.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino

Come afferma Jouvin, dopo le festività natalizie e il freddo del mese di dicembre è necessario riscaldare i cuori con un titolo più leggero e sognante. A gennaio, con l’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino e la regia di Manu Lalli, andrà in scena La Cenerentola di Rossini. La produzione vuole recuperare la fiaba di Perrault per divertire il pubblico e farlo tornare un po’ bambino, una coccola prima del grande ritorno del maestro Riccardo Muti con la cupa riflessione proposta da Macbeth.

Tratta dalla tragedia di Shakespeare, l’opera scava nell’animo umano per meditare sulle tematiche del male, del potere, del destino e della colpa: un esempio lampante di come la musica e il teatro permettano di comprendere, o quantomeno interrogarsi, sulla profondità delle emozioni. Ad affiancare il direttore d’orchestra, tornerà la regia di Chiara Muti e un cast di interpreti fedeli al maestro Muti, tra cui Luca Micheletti (Macbeth) e Giovanni Sala (Macduff).

L’unico titolo di cui, durante la conferenza, viene raccontata brevemente la trama è Dialoghi delle Carmelitane: per la prima volta a Torino verrà raccontato il tragico episodio della Rivoluzione Francese. L’allestimento proviene dal Dutch National Opera & Ballet, da una produzione che ha debuttato nel 1997 ad Amsterdam, e a dirigere l’orchestra ci sarà Yves Abel.

La stagione continuerà con uno titolo belliniano, I Puritani, affidato a Francesco Lanzillotta e Pierre-Emmanuel Rousseau, duo artistico che aveva collaborato nel 2023 per la produzione de La Rondine.

In chiusura dia stagione, tornerà sul podio Andrea Battistoni con un caposaldo del repertorio operistico: Tosca di Puccini, definita dal direttore un «thriller musicale ante litteram». Tosca, opera che ha accompagnato Battistoni in diversi debutti in prestigiosi teatri internazionali, sarà diretta dal maestro per la prima volta in Italia proprio sul palco del Teatro di Torino.
La regia è affidata a Stefano Poda, che torna dopo il premio Abbiati per il miglior spettacolo del 2023 (Juive), e il cast vede il ritorno del baritono Roberto Frontali nel ruolo di Vitellio Scarpia, dopo il successo nel ruolo di Gianni Schicchi. A interpretare Tosca e Cavaradossi, saranno  Chiara Isotton e Martin Muehle.

Per concludere la conferenza, vengono presentati i progetti e le attività dedicate a famiglie, giovani e scuole. «Il pubblico giovane è il nostro futuro» afferma il sovrintendente, ribadendo l’impegno del Regio nei confronti delle nuove generazioni con sconti per gli Under30, la creazione di una Card Under16 e la prosecuzione della campagna “Il Regio è di tutti”.
Tra le iniziative al Piccolo Regio figurano Hänsel e Gretel, Pierino e il Lupo, Brundibàr, Il Piccolo Principe e la riduzione di La Cenerentola, proposta con una drammaturgia ad hoc per avvicinare bambini, giovani e adulti al mondo del teatro operistico.

La stagione 2025-2026 preannuncia un anno intenso, capace di emozionare e incantare il pubblico.

Ottavia Salvadori