Archivi categoria: MITO Settembre Musica

MiTo Settembre Musica, quattordicesima giornata

Lotta. Giustizia. Libertà. Resistenza. Orgoglio. Identità. Protesta. Ribellione.
Parole come detonatori; eppure non bastano per evocare l’anima del pensiero e della musica di Julius Eastman. Sono urla, gesti, temi che bruciano, azioni che scuotono: Eastman non ha avuto paura di impugnarle e trasformare in suono, in verità. Parlarne è un atto di resistenza.

Mentre la città si paralizza per una partita della Juve, c’è chi cerca tutt’altro: non il grido per un gol, ma per una rivoluzione fatta di musica, parole, identità. Altrove si corre dietro ad un pallone, alle Officine Caos si corre incontro ad una verità urgente e necessaria, seppur scomoda.

Without Blood There Is No Cause” è lo spettacolo che MiTo Settembre Musica, il 16 settembre, ha dedicato a Eastman: figura radicale e visionaria che ha trasformato la sua arte in atto politico.
Inizia a studiare pianoforte a quattordici anni e prosegue al Curtis Institute of Music di Philadelphia. Lui, nero e gay, con una musica minimalista e sperimentale fatta di suoni che mutano e degenerano (‘musica organica’), si fa strada tra l’élite musicale dell’epoca, bianca e benestante.

Foto di Simone Benso per Colibrì Vision

Fabio Cherstich, regista dello spettacolo, apre la performance recitando con voce profonda un testo che ripercorre la vita di Eastman, svelando alcune scelte drammaturgiche e il significato dei brani. Ad accompagnare il racconto, immagini storiche scattate al compositore e il suono ripetitivo di una tastiera, suonata da Oscar Pizzo.

Il viaggio musicale procede sulle note di Pizzo addentrandosi in “Turtle Dreams”, brano composto da Meredith Monk. È il sogno «lento e fragile» di una tartaruga – Neutron – che si aggira in una Manhattan fantasma. Il gruppo vocale SeiOttavi, che ha interpretato e rielaborato liberamente il pezzo, è accompagnato da un filmato: la tartaruga passeggia in ambienti naturali e sopra mappe del mondo, fino ad arrivare in una città desolata, senza vita. Si ascolta, non serve capire.

Versi stridenti, gutturali, profondi, stranianti evocano un canto recitato più che una melodia tradizionale. Attorno ad una lampadina calata dal soffitto, i performers fissano la luce in uno stato ipnotico, muovendosi in modo meccanico, quasi rituale, occupando lo spazio con una presenza (fisica e sonora) inquieta e totalizzante. Le voci alternate e spezzate sembrano procedere ciascuna per conto proprio, ma in realtà costituiscono un unico organismo sonoro, dissonante e coerente allo stesso tempo; un urlo compatto di resistenza. Il risultato è un paesaggio acustico disturbante e magnetico, dove la voce diventa corpo e il corpo diventa suono.

L’ingresso nel mondo sonoro di Eastman avviene subito con “Evil Nigger”, «un flusso ossessivo e implacabile». Quattro pianoforti, un unico suono: singole note martellate all’infinito, abbellite da leggerissime variazioni. Un ritmo incalzante cattura e ipnotizza. Il tempo sembra dilatarsi, eppure corre. Lo scorrere dei secondi sui monitor posizionati sopra i pianoforti detta la precisione chirurgica dei suoni. La concentrazione dei pianisti si fa palpabile: una sincronia perfetta tra musica e parole è fondamentale.
Alcune scritte compaiono e scompaiono sullo schermo tinto di rosso: «noi siamo ovunque e vogliamo una rivoluzione», «lotta», «resistenza», «protesta», «ribellione», «orgoglio».

Foto di Simone Benso per Colibrì Vision

Parole che graffiano, che raccontano la rabbia, la forza e la rivendicazione di chi rifiuta l’invisibilità. Temi urgenti: razzismo, identità di genere, orientamento sessuale e violenza sistemica.

Tra le parole anche numeri. Dati freddi, taglienti come lame: il 30% delle 13.000 persone uccise dalla polizia sono afroamericani; durante la presidenza di Trump, i crimini a sfondo razziale sono aumentati del 17%; nelle contee in cui si sono tenuti i suoi comizi, l’aumento è stato del 226%; in Italia, solo nell’ultimo anno, ci sono stati 1106 crimini d’odio. Numeri che non possono essere taciuti.

Eastman non accetta compromessi: «Voglio essere al massimo. Nero al massimo, musicista al massimo, omosessuale al massimo». L’ossessività della musica si intreccia, così, con un’altra forma di insistenza: quella dell’identità che rifiuta di essere silenziata, quella dei diritti che rivendicano la loro presenza.

La rivendicazione della propria identità compare con forza in “Gay Guerrilla”; la musica non chiede permesso, afferma la ‘presenza’ con determinazione: io sono qui e non me ne vado. Sullo sfondo, immagini di manifestazioni LGBTQ+ con cartelli alzati al cielo. In primo piano, la foto di una lapide anonima («a gay Vietnam veteran») dice: «when I was in the military they gave me a medal for killing two men and discharge for loving one». Immagini potenti non lontane da quelle che vediamo e viviamo oggi: all’orgoglio e alla protesta pacifica si affiancano gli scontri con la polizia.

Foto di Simone Benso per Colibrì Vision

Echeggia in “Stay on it” la dialettica tra passato e presente. Non ci si arrende di fronte all’ingiustizia, si ‘sta sul pezzo’. Cherstich pensa «alla lotta per le libertà: al popolo palestinese, all’Ucraina, al Sudan… e a tutti i popoli che vivono l’orrore, alle persone che subiscono discriminazioni, aggressioni, alla violenza maschile sulle donne». “Stay on it” diventa un invito urgente e necessario: restare svegli, coraggiosi, uniti e trasformare la voce in coro, l’indignazione in musica condivisa.
Il balafon e lo djembé di Mustapha Dembélé, griot del Mali, si fondono in un unico respiro con l’Happy Chorus Gospel Choir di Sondrio, il gruppo vocale SeiOttavi e i quattro pianisti. Una danza collettiva prende vita, potente e magnetica, fino e sfociare in un lungo applauso.

Da quell’onda di emozione, si leva un ultimo grido dal pubblico: «Free, free Palestine!».
«Senza giustizia non avremo alcuna pace»: è questo l’urlo cantato dalla musica.

Ottavia Salvadori

MiTo Settembre Musica, undicesima giornata

Entrare al Teatro Vittoria è sempre un gesto d’amore verso sé stessi: una coccola per il cuore e una carezza per l’udito. Nella sua sala intima e priva di barriere tra palco e platea, il suono riesce ad abbracciare lo spettatore con calore ed energia.
Il 13 settembre, nell’ambito di MiTo Settembre Musica, il teatro ha registrato il sold out – almeno sulla carta: qualche poltrona vuota è rimasta, ma questo non ha intaccato la magia della serata.

Protagonista dell’evento l’Eliot Quartett, approdato a Torino per concludere il viaggio musicale attraverso i quindici quartetti di Šostakovič: un percorso iniziato con tre appuntamenti a Milano e proseguito con tre giornate nella nostra città.

L’Eliot Quartett, fondato nel 2014, si è rapidamente affermato come una delle formazioni cameristiche più significative del panorama internazionale. Vanta numerosi riconoscimenti ed è spesso ospite di importanti sale da concerto in Europa. L’esecuzione integrale dei quartetti di Šostakovič è stata un traguardo e un sogno raggiunto nella stagione 2024-2025 con date in Germania, in Austria, in Canada e oggi anche in Italia.

Con la prima data torinese, sabato, il quartetto ha portato sul palco il Quartetto n° 4, il Quartetto n° 13 e il Quartetto n° 9, offrendo al pubblico un percorso musicale denso di contrasti. Troppo spesso entriamo in sala, leggiamo il programma (se ci spinge la curiosità) e usciamo senza mai sentire la voce dei musicisti. Il secondo violino Alexander Sachs, invece, ha scelto di rompere il silenzio e di introdurre i pezzi, sottolineando la profonda diversità che caratterizza i quartetti. Composti da Šostakovič in periodi differenti della sua vita, ciascuno riflette un contesto storico e personale differente. È difficile, infatti, separare le scelte musicali dalle tensioni politiche che lo circondavano.

Foto di Simone Queirolo per Colibrì Vision

A quarantatré anni Šostakovič compose il Quartetto n° 4 in un clima di forte repressione culturale, consapevole che la sua musica sarebbe rimasta inascoltata a causa della censura del regime sovietico. Il compositore sapeva che il nuovo pezzo – che conteneva citazioni dirette della musica popolare ebraica – non avrebbe potuto essere eseguito almeno fino alla morte di Stalin, ma decise di comporlo ugualmente come atto di resistenza ‘silenziosa’ e testimonianza artistica.

Ai quattro musicisti è bastato uno sguardo per dare avvio al primo movimento che, con il suo impasto sonoro che richiama una cornamusa, ha trasportato subito il pubblico in un paesaggio remoto. Era come se l’intreccio di violini e viola, sostenuti dal bordone del violoncello, stesse dichiarando l’intento del concerto: non una semplice esecuzione, ma un’immersione nell’anima di Šostakovič.
Un gusto orientaleggiante è affiorato lentamente, insinuandosi tra dissonanze che non hanno generato mai conflitti ma piuttosto tensioni emotive. I violini di Maryana Osipova e Alexander Sachs, pur essendo due voci distinte e contrapposte, hanno dialogato senza farsi la guerra, come due anime che si sfiorano senza mai scontrarsi. Il tono dolce e malinconico ha saputo mescolarsi alla perfezione con note profonde, gravi, a tratti dissonanti.
È però nel quarto movimento che il pezzo ha raggiunto il suo apice emotivo: una danza macabra, straziante, i cui motivi ebraici si sono intrecciati a ritmi agitati e vorticosi che hanno animato il suono, rendendolo denso e coeso.

La potenza sonora creata dal quartetto è riuscita a materializzare timbricamente un’intera orchestra: non più dunque quattro strumenti, ma un intero organico. La danza vorticosa improvvisamente ha lasciato il suo posto a pizzicati in pp che sembravano voler insinuare dubbi e domande nell’ascoltatore.

Foto di Simone Queirolo per Colibrì Vision

Mentre il silenzio si faceva sacro e l’arco di Dmitry Hahalin (alla viola) era pronto a dare vita al Quartetto n° 13, una notifica squillante (anzi, due notifiche consecutive) – inequivocabilmente Samsung – ha rovinato il rituale. Hahalin, pronto in posizione per iniziare, ha reagito con un gesto potente che ha mostrato il suo disappunto: ha abbassato la viola staccandola dalla spalla e dal mento, l’ha appoggiata sulle sue gambe, e poi ha atteso fermo, con lo sguardo abbassato, finché la sala non ha ritrovato silenzio e concentrazione. Un giorno, forse, assisteremo ad un concerto in cui nessun telefono squillerà, nessuna notifica ad alto volume interromperà il flusso armonico della musica, e nessun cellulare scivolerà dalle poltrone. Ma evidentemente quel giorno, il 13 settembre, non era ancora arrivato.

Le condizioni di salute di Šostakovič erano tutt’altro che stabili quando compose il tredicesimo quartetto, completato nel 1970 dopo diversi ricoveri. Ogni nota sembra, infatti, portare il peso di una vita vissuta sul filo, tra fragilità interiori e una traiettoria esistenziale troppo ‘rivoluzionaria’ rispetto al contesto storico. Attendere il silenzio non è stato solo un gesto di rispetto nei confronti dei musicisti stessi e della musica del compositore, ma un tributo alla vita di Šostakovič, per non dimenticare la sua storia e le difficoltà che ha incontrato lungo il percorso.

La malattia si sente sin dalle prime note che con leggerezza, ma tragicità, si addentrano con passo felpato in una storia drammatica che vuole, forse, evocare l’imminenza della morte. Il violoncello di Michael Preuß, con le sue note gravi, ha dialogato con quelle acutissime e taglienti dei violini, creando un paesaggio desolato ma vibrante. Sforzati-piano dei violini nel registro acuto, staccati fortissimi omoritmici, continue dissonanze, colpi secchi d’archetto sul legno degli strumenti – che, come frustate sonore, hanno risvegliato lo spettatore – e il nervosismo crescente hanno saputo rendere palpabile la sofferenza, il dolore e la malattia. L’atonalità ha dominato la scena, ma senza soffocare la melodia, che è rimasta centrale.

Nonostante la potenza e la capacità del quartetto di ipnotizzare il pubblico – soprattutto i più giovani, sempre troppo pochi nelle sale –, qualche testa brizzolata e qualche palpebra hanno ceduto alla forza di gravità. Per un pubblico poco avvezzo a suoni ‘rivoluzionari’ e alle tensioni imprevedibili che questi generano, anche solo ascoltare il Quartetto di Šostakovič può diventare una sfida contro sé stessi. Il magnetismo dell’Eliot Quartett ha però incantato tutti coloro che hanno avuto il coraggio di lasciarsi attraversare da questa rivoluzione sonora.

Il tormento di quest’ultimo pezzo ha lasciato poi spazio alla spensieratezza del Quartetto n° 9, che cita apertamente l’overture del Guillaume Tell di Rossini. Un galoppo senza fine verso la libertà, che sembra essere non solo musicale ma anche emotiva. Dopo aver attraversato l’oscurità, l’Eliot Quartett ci ha invitato a correre insieme, verso un futuro – forse – migliore.

Foto di Simone Queirolo per Colibrì Vision

Il quartetto ha saputo restituire la complessità di queste pagine con un equilibrio perfetto fra melodie dubbiose e malinconiche, poi nervose, e infine allegre e libertine. Il dialogo tra strumenti non è stato soltanto udito ma è stato anche visibile: le espressioni dei volti dei quattro musicisti hanno fatto trasparire una profonda immedesimazione, come se ogni nota fosse vissuta ancor prima di essere suonata. Occhi chiusi, sopracciglia tese e respiri profondi: tutti i loro gesti hanno parlato, trasformando il dialogo musicale in narrazione visiva.

L’Eliot Quartett ha dato voce a Šostakovič, trasformando ogni nota in testimonianza e ogni gesto in racconto.

Ottavia Salvadori

MiTo Settembre Musica, quinta giornata 

All’interno della sua programmazione, MiTo Settembre Musica ha creato dei percorsi tematici per agevolare il proprio pubblico. Il concerto di domenica 7 settembre al Museo di Arte Contemporanea del Castello di Rivoli è rientrato nel percorso «Ascoltare con gli occhi», dedicato alla multisensorialità e alle esperienze che vanno oltre al concerto classico. Questo titolo sembra un errore, una cosa quasi impossibile da realizzare, poiché ovviamente si ascolta con le orecchie e si osserva con gli occhi. Alberto Navarra, però, con il suono del suo flauto traverso, ha fatto capire agli spettatori quanto l’udito e la vista siano due sensi complementari e come la musica e l’arte contemporanea possano creare un dialogo tra loro e con il pubblico.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Il flautista piemontese, nonostante la giovane età, può già vantare numerosi riconoscimenti, tra cui il titolo di «Alumno más sobresaliente», conferitogli dalla Regina di Spagna nel 2019 a Madrid, e il primo posto alla Carl Nielsen International Flute Competition del 2022. Da questo stesso anno si è unito ai Berliner Philharmoniker come membro della Karajan-Akademie, grazie alla quale si sta perfezionando sotto la supervisione di Emmanuel Pahud e Sébastian Jacot.

Il programma scelto ha cercato di seguire con coerenza le sale dell’esposizione permanente del Castello di Rivoli, come fosse una vera e propria visita guidata. Infatti, il concerto è iniziato dall’androne della galleria con Syrinx, brano per flauto solo composto nel 1913 da Claude Debussy. Un inizio inaspettato: il pubblico, abituato alla tradizionale sala da concerto, probabilmente non si immaginava di ascoltare la composizione in parte seduto, in parte in piedi sulle scale. 
Poi finalmente l’interazione vera e propria: aiutato anche dalla disposizione della sala dedicata a Piero Gilardi, il pubblico si è ritrovato circondato dalle installazioni ad ascoltare la Sonata appassionata op. 140 di Sigfrid Karg-Elert. Il brano solistico, in un unico movimento, è molto breve e indaga le potenzialità espressive e tecniche del flauto. Si alternano momenti in pp e in mf, dando sfogo a virtuosismi e momenti più intimi dell’interprete. 
Nella sala seguente, dedicata a Panels and Tower with Colours and Scribbles di Sol Lewitt, è continuata l’esplorazione delle potenzialità dello strumento. Qui il flautista ha eseguito Sequenza per flauto solo di Luciano Berio, composizione che spinge il flauto oltre i limiti convenzionali e tradizionali, trasformandolo, in alcuni momenti, da strumento a fiato in strumento a percussione.
Continuando il percorso ci si è ritrovati nella sala de Larchitettura dello specchio di Michelangelo Pistoletto, per il momento probabilmente più interessante del concerto. Alberto Navarra, infatti, ha eseguito Soliloquy op. 44 di Lowell Liebermann suonando davanti all’installazione, composta da quattro enormi specchi, dando, così, le spalle al proprio pubblico. Questo per rimanere coerente con il significato dell’opera di Pistoletto: il flautista è diventato esso stesso arte, creando quasi un quadro di sé stesso attraverso il riflesso dello specchio. Durante l’esecuzione ha cercato spesso l’attenzione del pubblico, osservandolo da un punto di vista particolare.
Proseguendo, musica e arte sono diventate un tutt’uno, grazie anche all’installazione HellYeahWeFuckDie di Hito Steyerl. Navarra, in questa sala, si è ritrovato circondato dalle persone e dalle note di Density 21.5 di Edgard Varèse. Infatti, le scritte tridimensionali che sono parte dell’installazione e occupano l’intera sala hanno fatto da sedute per gli spettatori, rendendo difficile per il musicista riservarsi uno spazio distante dal pubblico. Il titolo del brano allude alla densità fisica del platino, materiale di cui può essere fatto il flauto traverso, e alla consistenza del suono che esso può generare. Infatti, nonostante la sua brevità, Density 21.5 è ricco di cambi di registro ed esplora l’intera estensione dello strumento, alternando note molto acute a note molto gravi.
In ultimo, il momento più spiazzante: la Partita in la minore per flauto solo BWV 1013 di Johann Sebastian Bach eseguita sotto l’installazione Novecento di Maurizio Cattelan. Chissà se il compositore barocco avrebbe apprezzato questa esecuzione – considerando la sua indole sperimentatrice, è possibile –, ma di sicuro il pubblico è rimasto colpito e inaspettatamente affascinato. Non sono mancati lunghi applausi e commenti molto positivi da parte degli spettatori.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Il pubblico si è ritrovato, insomma, catapultato in una modalità insolita, un concerto itinerante tra le sale di una galleria d’arte contemporanea, dove Alberto Navarra era al tempo stesso musicista e cicerone. I tempi erano quelli di una classica visita al museo, dove le opere venivano spiegate non più a parole ma attraverso la musica. Nonostante non fossero abituati a questa modalità, i partecipanti non si sono fermati davanti ad alcun pregiudizio, anzi erano incuriositi e molto attenti. Il rispetto per la musica e per l’arte hanno fatto da padrone, i visitatori si invitavano al silenzio a vicenda pur di ricreare ad ogni cambio di sala la giusta atmosfera. Forse avremmo bisogno di più «guide turistiche» di questo genere. 

L’esperimento creato grazie alla collaborazione dell’associazione De Sono e di MiTo Settembre Musica è stato sicuramente un successo. La speranza, uscendo da questo concerto, è che non rimanga solamente un momento di sperimentazione fine a sé stesso, ma che si continui a far entrare le arti sempre più in dialogo tra di loro, creando sempre più occasioni di incontro ed eliminando il più possibile le distanze.

Roberta Durazzi

Terza giornata MiTo Settembre Musica

Prosegue con slancio la programmazione di Mito Settembre Musica nell’ambito del progetto Mitjia e gli altri, dedicato all’universo musicale di Šostakovič.
Dopo il sold out al Teatro alla Scala il 4 settembre, il giorno seguente il pianista Seong-Jin Cho e la London Symphony Orchestra, diretta da Sir Antonio Pappano, sono saliti sul palco del Lingotto, accolti da un pubblico trepidante di attesa e meraviglia.

Il programma ha tracciato un arco musicale ricco di contrasti: dall’eleganza della “Overture” tratta da Semiramide di Rossini, alla poesia romantica del Concerto n° 2 di Chopin. Protagonista della seconda parte del concerto è stata la Sinfonia n° 9 di Šostakovič, anticonvenzionale e specchio di una rivoluzione novecentesca; infine, un inno impetuoso e giovanile in forma di poema sinfonico: Juventus di Victor de Sabata.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Appena varcata la soglia della sala, la presenza imponente dei violini, disposti simmetricamente ai lati del direttore d’orchestra, ha stupito il pubblico. Un impatto visivo potente che si è presto trasformato in un’esperienza sonora coinvolgente.

Si potrebbe dire che il crescendo sia stato il filo conduttore di tutto il concerto, non solo nella “Overture” di Rossini, ma come principio che ha attraversato ogni brano. La London Symphony Orchestra, diretta dall’espressività di Pappano, ha creato uno slancio orchestrale raro: ogni composizione ha rivelato al suo interno una progressiva espansione sonora. Ma ciò che ha colpito è stata la trasformazione complessiva dell’orchestra lungo l’intero concerto: dall’attacco brillante del primo brano sino all’impeto finale di Juventus, l’orchestra ha mostrato una crescita di potenza e compattezza sonora, come se ogni pezzo avesse alimentato il successivo in un progressivo accumulo di energia. La forza espressiva dell’orchestra ha pian piano raggiunto il suo apice, avvolgendo interamente il pubblico.

La “Overture” è iniziata con un crescendo rapido, presto culminato in tre accordi in ff che hanno concluso con energia la prima sezione. Con una melodia sognante, solenne, i corni hanno dato voce alla cantabilità dell’Andantino, esaltando la padronanza dell’orchestra anche per le sezioni melodiche. Come un piccolo concentrato dei temi principali della Semiramide, la “Overture” ha dipinto un quadro vivido, drammatico ma energico e gioioso. Dalla direzione di Pappano è trasparito con forza il suo profondo legame con l’opera italiana, un amore che si traduce in una lettura capace di travolgere con energia e allo stesso tempo di commuovere l’ascoltatore.

È poi arrivato il momento del giovane pianista Seong-Jin Cho: classe 1994, nel 2015 ha vinto il Concorso Internazionale Chopin di Varsavia e ha poi collaborato con diverse orchestre in tutto il mondo consolidando la propria fama internazionale.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

I Concerti chopiniani sono stati, in passato, oggetto di critiche da parte di musicisti e studiosi che hanno evidenziato una certa trascuratezza nell’orchestrazione. L’orchestra, infatti, assume prevalentemente il ruolo di sostegno, fungendo da cornice sonora al protagonista: il pianoforte.

La tecnica impeccabile e il controllo assoluto di Seong-Jin Cho hanno rivelato, tra le pieghe della perfezione formale, una sottile assenza: quella della vibrazione emotiva capace di raggiungere le corde più profonde dell’ascoltatore. Nonostante questo, Cho si è mosso con naturalezza sulla tastiera, generando un vortice infinito di note, come un fiume impetuoso che scorre senza tregua. Orchestra e pianoforte sono diventati l’uno l’estensione dell’altro: dove l’orchestra non riusciva ad arrivare, giungeva il pianoforte; dove il pianoforte si fermava, l’orchestra prendeva il testimone e proseguiva il discorso musicale. Erano due organismi complementari che non potevano fare a meno l’uno dell’altro. E così, ciò che un tempo veniva considerato un limite dell’orchestrazione chopiniana si è trasformato in una risorsa che ha creato equilibri. Da semplice sfondo sonoro, la London Symphony Orchestra è diventata voce attiva nel dialogo ora dolce e malinconico, ora frenetico ed energico.

Il concerto è poi proseguito con la Sinfonia n° 9 di Šostakovič. Quando la compose, Šostakovič sovvertì le aspettative del regime sovietico che si prefigurava un’opera celebrativa e patriottica a completamento della “Trilogia bellica” (inaugurata con la Settima sinfonia e proseguita con l’Ottava). Il compositore, tuttavia,compose una sinfonia che di monumentale ha ben poco, se non nella finezza della scrittura. Costruita su un umorismo sarcastico, la Sinfonia sembra deridere il conformismo borghese, e forse lo stesso regime.

Il carattere ironico e leggero è stato ben espresso nel primo dei cinque movimenti (Allegro): l’ottavino, che si è ritagliato uno spazio ampio e sembrava commentare con sarcasmo la scena, ha suonato una melodia vivace, brillante e quasi caricaturale, basata su note brevi e sincopate che ricordavano la musica da circo. A questo intervento sono seguiti colpi secchi del rullante, quasi militareschi, e due note del trombone nel registro grave.
La melodia nel corso del primo movimento è stata ripresa e trasformata dall’orchestra: il tema è passato in un registro più grave e l’atmosfera è cambiata, diventando cupa e a tratti tragica. La London Symphony Orchestra è riuscita ad esprimere al meglio questi cambi repentini di umore e toni, controllando timbri e dinamiche alla perfezione e permettendo agli interventi solistici (dei fiati) di emergere in tutta la loro potenza espressiva.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Il secondo movimento, dal tono più lirico e meditativo, ha sorpreso lo spettatore con un’improvvisa immersione in una melodia delicata, malinconica e introspettiva. Il clarinetto solo ha aperto il movimento con un canto sospeso, trasformato poi dal flauto traverso in una melodia dal carattere misterioso e interrogativo. Gli archi, con frasi brevi e ascendenti, hanno amplificato questa tensione, come alla ricerca di qualcosa di irraggiungibile.
La carica energica, frenetica e brillante è tornata ben presto nel terzo e nel quinto movimento. Solo il Largo (quarto movimento) ha introdotto una pausa di riflessione che sembrava evocare le ferite della guerra. Il carattere drammatico, funebre, si è trasformato poi in un Allegretto vivace che con un crescendo giocoso ha chiuso la sinfonia.

A concludere il concerto è stato Juventus, un poema sinfonico che intreccia la brillantezza della “gioventù” con temi romantici e pensosi. L’energia non è mai venuta meno: la potenza sonora dell’orchestra ha travolto con forza il pubblico.
Come inatteso omaggio, il pubblico torinese ha ricevuto infine un «piccolissimo regalo» da Sir Antonio Pappano e dalla London Symphony Orchestra: la “Prima danza ungherese” di Brahms, eseguita con leggerezza ed entusiasmo.

A differenza del concerto inaugurale del Festival, Pappano ha deciso di offrire al pubblico un’esperienza senza silenzi contemplativi, ma ricca di vibrazioni. La musica ha parlato senza interruzioni e con intensità.

Ottavia Salvadori

Inaugurazione MiTo Settembre Musica 2025

Per molti torinesi e milanesi l’unico motivo per desiderare che l’estate finisca in fretta è l’arrivo di MiTo Settembre Musica, il festival che da diciannove edizioni segna il passaggio dalla spensieratezza estiva alla routine autunnale.
Dopo mesi di attesa e un’estate che ha faticato a mostrarsi tale, si torna alla quotidianità: tra chi riprende gli studi, chi rientra al lavoro e chi sceglie di salutare il caldo immergendosi nell’ascolto di musica ‘rivoluzionaria’ (Rivoluzioni è il tema scelto da Giorgio Battistelli per identificare una musica capace di creare nuove prospettive).

Il 3 settembre, a Torino, si è aperto il sipario sull’edizione 2025 di MiTo. L’auditorium Lingotto è tornato nuovamente a vibrare di musica e dell’energia di un pubblico affezionato, capace di stupirsi ed emozionarsi.

Foto di Gianluca Platania

Ad accompagnarci nel viaggio musicale tra le musiche russe di tre compositori che hanno fatto la Storia – Šostakovič, Rachmaninov e Čajkovskij – è stata l’orchestra Filarmonica della Scala guidata da Myung-Whun Chung. A completare il quadro, il ventiseienne Mao Fujita, pianista pluripremiato che nel 2019 ha ricevuto la medaglia d’argento al Concorso Čajkovskij di Mosca.

Myung-Whun Chung, che presto vedremo al Teatro alla Scala in qualità di direttore musicale, sembrava dirigere l’orchestra ancor prima di salire sul podio: non ha voluto lasciare il tempo agli applausi di concludersi per dare subito il primo attacco del “Valzer n. 2” di Šostakovič. Un gesto fulmineo, una scarica di energia e l’orchestra ha preso il volo: Chung infatti, dopo qualche movimento, si è appoggiato al pianoforte e ha lasciato l’orchestra dirigersi da sola per qualche battuta, per poi riprendere le redini con la sua direzione sobria ma intensa. Quel “Valzer” che per alcuni è stato il primo passo incerto nel mondo della musica, tra i leggii traballanti e gli spartiti sgualciti di un’orchestrina scolastica, nelle mani della Filarmonica della Scala è diventato un turbine di emozioni e di potenza che ha travolto il pubblico. La sua leggerezza e spensieratezza danzabile si è contrapposta in maniera quasi teatrale ai due brani successivi –  il Concerto n° 2 di Rachmaninov e la Sinfonia “Patetica”di Čajkovskij – entrambi drammatici e di struggente profondità.

Foto di Gianluca Platania

Il concerto della Filarmonica è stato un vero viaggio esistenziale attraverso le sfumature dell’animo umano: dalla serenità luminosa del “Valzer”, alla morte sussurrata in pppp dai contrabbassi (in sordina) nel finale della “Patetica”. Ma la vita non è mai lineare, e così non lo è stato il percorso che ci ha portato alla chiusura di questo viaggio musicale: si sono alternati dialoghi e scontri, tensioni e abbandoni, in un continuo passaggio da toni tragici a melodie dolci e malinconiche.

Il Concerto di Rachmaninov è stato il primo brano che ha affondato le sue radici nei temi tragici, pur lasciando spazio a melodie serene ma nostalgiche. La morte si è fatta sentire fin dai rintocchi funebri iniziali, ma presto ha ceduto il passo ad una dolce malinconia, nel secondo movimento, che ha evocato chiaramente la Sonata al Chiaro di Luna di Beethoven: una melodia sognante che sembrava nascondere qualcosa di sospeso tra sogno e inquietudine. Un trillo nervoso del pianoforte e il pizzicato dei violoncelli hanno introdotto una crepa nell’incanto, una minaccia in agguato, forse un riferimento alla morte come presenza silenziosa. Rachmaninov gioca con la ripetizione di cellule melodiche, creando un effetto di loop emotivo, dove ogni variazione di tonalità si trasforma in una nuova sfumatura dell’animo umano: Fujita e la Filarmonica sono diventati un unico organismo che è riuscito a trasformare le note musicali in tensioni emotive.

A concludere il Concerto è stato il terzo movimento (Allegro scherzando), un finale energico e brillante, che con ironia sembrava prendersi gioco del clima triste e malinconico dei primi due movimenti. Nonostante il carattere scherzoso, sono emersi echi di melodie cantabili e nostalgiche. L’orchestra, sotto la direzione di Chung, ha saputo creare un equilibrio magico tra leggerezza e profondità. In particolare nei momenti più travolgenti, il suono ha raggiunto la platea come aprendo una breccia capace di risvegliare emozioni sopite.

Fujita, curvo sulla tastiera del pianoforte, con lo sguardo fisso sulle mani, sembrava intensamente coinvolto nel turbine di sentimenti raccontati dalla musica. Ogni nota era eseguita con perfezione tecnica, ma la sua forza espressiva risultava attenuata dalla difficoltà di emergere e contrastare il suono pieno dell’orchestra. La fragilità sonora ha trasformato il pianoforte in un punto focale su cui focalizzare l’attenzione. Il suono delicato ma allo stesso tempo incisivo ha incarnato la riservatezza del pianista, che ha accolto gli applausi del pubblico con le spalle chiuse e quasi con esitazione.

Foto di Gianluca Platania

A differenza dell’inizio improvviso del “Valzer”, Chung ha scelto di vivere il silenzio prima di immergersi nella Sinfonia di Čajkovskij: un minuto intero di immobilità in cui il pubblico ha trattenuto a fatica il respiro. Un piccolo rito di ingresso che è stato anticipatore del lento e ‘lamentoso’ addentrarsi nelle melodie più liriche e agitate.
Con un continuo gioco di risposte e di melodie ripetute, l’orchestra si è dimostrata straordinariamente coesa. Nel terzo movimento il pubblico non ha saputo trattenere un applauso che ha rotto l’incantesimo: si sa che i momenti chiusi da un grande finale a piena orchestra attirano maggiormente il consenso, e così è stato anche questa volta, con la piccola marcia allegra in fff, scandita da timpani e piatti.

Dopo tre movimenti allegri, nell’ultimo – insolito e struggente – il cerchio apertosi sulle note gravi del fagotto e dai contrabbassi vibrati si è chiuso tornando alla calma iniziale, con un andamento lento e cupo. Un finale che non vuole dare risposte ma lasciare sospesi. Una dissolvenza nel silenzio che non chiede di essere capita ma contemplata. Chung, infatti, immobile nel suo ultimo gesto ha atteso: non ha permesso che il fragore degli applausi rompesse il respiro silenzioso della musica, ma ha lasciato che l’eco dei contrabbassi si sedimentasse nei corpi dei presenti. Solo dopo qualche secondo gli applausi sono arrivati come un’onda.

Il concerto è stato solo il primo di tanti che si susseguiranno nei prossimi giorni: non vediamo l’ora di scoprirli, e immergerci in altri mondi e rivoluzioni.

Ottavia Salvadori

Presentato MiTo Settembre Musica 2025: Rivoluzioni

Torino e Milano si preparano ad accogliere la 19a edizione di MiTo Settembre Musica, il festival internazionale che dal 3 al 18 settembre celebrerà la musica attraverso il tema “Rivoluzioni”.

Durante la conferenza stampa del 20 maggio, in collegamento tra le due città coinvolte, l’Assessora alla Cultura di Torino, Rosanna Purchia, ha affermato che MiTo rappresenta non solo un appuntamento musicale, ma un vero e proprio dovere civile, culturale e sociale. Il Sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha invece evidenziato il valore della collaborazione tra le due città, sottolineando che l’internazionalità del festival rispecchia l’identità e le aspirazioni di Milano.

Alla sua ultima edizione come direttore artistico, Giorgio Battistelli ha messo in luce la necessità di rinnovare il concetto stesso di programmazione musicale. «Non si porta la cultura, si sollecita un’azione culturale» ha affermato, rimarcando la volontà di resistere all’omologazione e stimolare nuove connessioni.

I quattro perimetri su cui si sviluppa il programma sono: Mitjia e gli altri (per omaggiare Šostakovič nel cinquantenario dalla scomparsa), Berio e le avanguardie (con un omaggio al compositore nel centenario dalla nascita), Rivoluzioni – tempi di guerra, tempi di pace, e infine Ascoltare con gli occhi – la musica si intreccia con immagini e danza per creare un’esperienza multisensoriale.

Con 67 eventi in programma, MiTo porterà sui palchi artisti e orchestre di grande rilievo. Ad inaugurare il festival, il 3 settembre all’Auditorium del Lingotto di Torino, ci sarà la Filarmonica della Scala guidata dal futuro nuovo direttore musicale del Teatro, Myung-Whun Chung: in programma musiche di Šostakovič, Rachmaninov e Čajkovskij.

A seguire, il 4 settembre al Teatro alla Scala, Antonio Pappano dirigerà la London Symphony Orchestra in brani di Bernstein, Prokof’ev e Copland.

All’interno del programma dedicato a Šostakovič, sarà di rilievo l’esecuzione della Sinfonia n° 10 al Teatro Dal Verme con l’Orchestra Sinfonica di Lucerna diretta da Michael Sanderling, accompagnata dalla proiezione dell’artista William Kentridge: un suggestivo dialogo tra musica e immagini.
Significativa sarà anche l’esecuzione integrale dei quartetti per archi di Šostakovič, proposta in sei giornate dal Quartetto Eliot.

Accanto alle esibizioni di grandi nomi, il festival conferma il suo impegno nella valorizzazione di talenti emergenti con il progetto Milano Mito d’Europa che offrirà spazio a giovani musicisti e compositori. In questo ambito, il 6 settembre al Teatro Alfieri di Torino, la Scuola di Perfezionamento Musicale di Saluzzo presenterà un’orchestra di giovani musicisti sotto la direzione di Donato Renzetti in un programma dedicato a Bernstein, Gershwin e John Williams.

Battistelli ha voluto sottolineare come MiTo sia un festival che resiste all’immobilità, abbracciando il cambiamento: «Più passa il tempo, più non so quale sia la musica contemporanea. La musica è un experimentum mundi». L’iniziativa si pone dunque come una riflessione sulla trasformazione culturale e sulle nuove modalità di ascolto e partecipazione.

MiTo si conferma una realtà dinamica capace di intrecciare tradizione e innovazione, di rivoluzionare la musica e la fruizione musicale.

Ottavia Salvadori

Le sfumature dell’amore: orchestra e coro dell’Opéra de Lyon

Che cosa, se non l’amore, ha il potere di elevare l’animo umano verso paradisi incontaminati, dove il tempo si sospende e la realtà diventa sogno? L’amore, con le sue gioie e sofferenze, è da sempre musa ispiratrice dei compositori di ogni epoca e, il 14 settembre 2024, MiTo Settembre Musica ha scelto questo sentimento come filo conduttore della serata, proponendo un viaggio sonoro e immaginifico. Un doppio concerto, all’Auditorium Giovanni Agnelli, che vedeva come protagonista – e artefice della scoperta delle più sottili sfumature sonore ed emotive – l’orchestra dell’Opéra de Lyon diretta da Daniele Rustioni, interprete acclamato dai principali teatri d’opera internazionali.

Foto di Ottavia Salvadori

Cina e Francia (in prima serata) e Grecia (in seconda serata) sono i luoghi da cui provengono le tre storie che stimolano la creatività dei compositori, i cui brani sono stati eseguiti magistralmente e con un’intensità emotiva che spinge verso i limiti dell’immaginazione.

La leggenda cinese del dio del cielo e della dea delle nuvole, narrata nel poema sinfonico Les eaux célestes da Camille Pépin, è una storia d’amore dipinta in quattro piccoli, ma intensi, quadri: i primi movimenti armoniosi degli archi, sembrano subito aprire una porta che fa accedere ad un mondo incantato e naturale. Un tappeto sonoro tessuto da archi e fiati dapprima è caratterizzato da suoni impalpabili e sfumati che fanno emergere progressivamente le note acute dei flauti traversi e, infine, si trasforma in un movimento meccanico, vorticoso, con note reiterate. Scelta musicale che ha radici dirette nella leggenda: un preannuncio all’arrivo degli uccelli, gli unici che attraverso la costruzione di un ponte permetteranno ai due amanti di ritrovarsi e la rappresentazione sonora dell’orditura e tessitura delle nuvole.
Un brano caratterizzato da un climax sonoro crescente che segue l’andamento della storia. La tensione cresce, la densità sonora aumenta, gli archi si fanno più agitati, i colori sembrano sempre oscillare tra scuri e limpidi, dando l’impressione che il mondo fantastico sia sempre un posto felice, sicuro e tranquillo anche nel momento del dolore.

Foto di Ottavia Salvadori

Di tutt’altro colore è il poema sinfonico di Schönberg, più oscuro e malinconico. Pelleas und Melisande è una storia d’amore tragica, un dramma che ha stimolato diversi compositori, tra cui Debussy che ne trae un’opera lirica e lo stesso Schönberg che, al contrario, propone un poema sinfonico per orchestra, lasciando spazio ai soli strumenti di rappresentare i sentimenti e il tormento d’amore che porta alla morte. Un giovane compositore, Schönberg, che ancora non ha sviluppato a pieno le tecniche dodecafoniche, ma che crea un’opera intensa e complessa, dove i suoni si intrecciano e scontrano.
Il palco si riempie di strumenti, l’organico si amplia soprattutto nella sezione dei fiati con tromboni, trombe, corni inglesi, clarinetto basso, oboi, fagotti e molti altri.
Alle orecchie del pubblico, l’opera appare come una narrazione fluida che attraversa diversi stati emotivi passando dalla calma melodica – ma sempre incerta – a momenti di massima tensione tragica con cambi rapidi di intensità e motivi dissonanti ricchi di passaggi contrappuntistici. Ogni personaggio sembra avere il suo tratto caratteristico e questo porta ad un continuo mescolamento di motivi differenti per atmosfera e nuance.

Il pubblico, curioso di riascoltare nuovamente l’orchestra, non si è lasciato sfuggire l’opportunità di assistere anche al secondo concerto in programma. Dopo un momento di convivialità, tra cibo e bevande, è il momento di tornare nel luogo dove tutto ha avuto inizio: la sala dell’auditorium che ha rivisto occupate tutte le sue sedute.
Procede dunque la serata; questa volta sul palco anche il coro dell’Opéra de Lyon, composto da una quarantina di elementi, per eseguire Daphnis et Chloe di Ravel: “sinfonia coreografica” – come la definisce lo stessocompositore – che accompagna il pubblico attraverso la storia tragica, ma a lieto fine, del pastore Dafni e della sua amata Cloe.
L’orchestra amplia nuovamente il suo organico con la macchina del vento e nuovi strumenti a percussione, tra cui xilofono e campanelli. Violoncelli prima, e arpe poi catapultano nuovamente il pubblico in un mondo onirico, con note in pppp quasi impercettibili;si aggiungono poi i corni che introducono la linea melodica, proseguita dal flauto traverso. Una melodia intima e serena, ma che porta con sé sin dall’inizio un velo di inquietudine che viene ulteriormente giustificato dalla presenza del coro. La voce, che dà vita ad un canto senza parole, è utilizzata come un vero e proprio strumento musicale che si amalgama e intreccia con l’orchestra. La tensione man mano cresce, così come l’intensità dei suoni che riverberano nella sala arrivando a toccare le corde più intime di ciascuno. La partitura, soprattutto nel secondo quadro, prevede un continuo alternarsi di momenti di calma spirituale a momenti tragici ed energici e la continua mutazione dei temi rende la composizione ricca e mai noiosa.

Foto di Ottavia Salvadori

Daniele Rustioni ha diretto in maniera straordinaria l’orchestra; l’intensità emotiva dei brani non solo si poteva fruire con le orecchie ma anche con gli occhi: i movimenti del direttore, l’energia e la passione espressa dal suo volto hanno dimostrato quanto la musica riesca ad entrare e toccare l’animo di ciascuno. L’orchestra di Lione, così come il coro, è riuscita perfettamente a trasmettere la dolcezza e la tragicità dei brani e i sentimenti, modulando i suoni con grande maestria ma risultando sempre delicati anche nei momenti più intensi.

Due concerti che hanno trasformato la sala dell’auditorium in un teatro d’opera o, per gli appassionati di film, in una sala cinema: uno spettacolo senza immagini e senza attori ma con una musica che è capace di creare reazioni sinestetiche di grande potenza.

A cura di Ottavia Salvadori

Presentata la 18ª edizione di MiTo Settembre Musica

«È difficile scrivere musica in un momento in cui ci sono tante incertezze e paure; la musica non può cambiare il mondo ma la funzione di un operatore culturale, come un festival, è di far riflettere, mettere in comunicazione e suggerire connessioni»

Con queste parole Giorgio Battistelli – nuovo direttore artistico del biennio 2024-2025 – apre la conferenza stampa del festival MiTo Settembre Musica, tenutasi il 27 marzo presso il museo Rai della radio e della televisione. Un festival che dal 6 al 22 settembre connette le città di Milano e Torino: storie urbane diverse che cercano dialogo e mescolano le loro identità. Uno dei temi è proprio quello dei “MOTI”: gioco di parole per trasformare MiTo in elemento provocatorio che muove le menti, le scuote e le porta alla riflessione. MiTo crea relazioni tra città e connette musica e vita quotidiana.

Il 6 settembre si inaugura a Torino la diciottesima edizione in Piazza San Carlo con la Nona Sinfonia di Beethoven eseguita da orchestra e coro del Teatro Regio. La rassegna continua poi con altri trentaquattro appuntamenti che mescolano musica contemporanea e musica classica in un programma ricco e differenziato tra le due città – come nelle prime edizioni – per creare un palcoscenico condiviso e permettere uno scambio di idee e creare relazioni. Cinque sono i filoni tematici su cui si sviluppa il cartellone. Quest’anno grande punto fermo della programmazione sono le orchestre, non poteva dunque mancare il format “Mitologie Orchestrali” che porta sui palchi alcune grandi formazioni come la Filarmonica della Scala, l’orchestra dell’Opéra de Lyon e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Nella sezione “Artistiche Imprese” Stefano Massini racconterà con due monologhi la storia di due aziende storiche di Milano e Torino.
Il rapporto con la contemporaneità, dice Battistelli, è spesso problematico ma con “Ascoltare con gli occhi” si vuole dimostrare che è possibile far convivere queste apparenti dissonanze attraverso una proposta di ascolto che transita verso l’aspetto visuale e immaginifico.
Entrambe le città hanno una grande storia calcistica; pertanto sembrava doveroso, a 75 anni dalla tragedia di Superga, omaggiare questo tipo di cultura con “Musica su due piedi”.  Un altro anniversario caratterizza il 2024, il centenario dalla morte di Puccini, e “Puccini, la musica, il mondo” vuole proprio rendere omaggio a questo grande operista con tredici incontri: anche Toni Servillo interverrà con una narrazione degli aspetti più intimi di Giacomo Puccini.

Sarà un festival intenso e vario, che guarda al presente, al passato e al futuro creando legami ma anche scuotendo gli animi.

Per maggiori informazioni cliccare qui

A cura di Ottavia Salvadori

La musica classica riparta da Piazza San Carlo

L’OSN Rai e Stefano Bollani per MiTo Settembre Musica 2023

MiTo SettembreMusica è la dimostrazione che la musica sinfonica piace ancora, ma deve essere a un prezzo accessibile. Nella serata di sabato 9 settembre, oltre 5000 persone si sono riunite in Piazza San Carlo per New York, New York, concerto il cui programma ruotava proprio intorno agli ambienti e alle atmosfere della Grande Mela. 

L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Juraj Valčuha – attualmente direttore d’orchestra della statunitense Houston Simphony – ha fatto vivere al pubblico molto diversificato un’esperienza di ascolto riservata ormai ai pochi habitué della musica classica, suscitando grandi applausi ed espressioni meravigliate anche fra i numerosi bambini e adolescenti presenti. 

Sabato 9 settembre 2023 Piazza San Carlo MITO SettembreMusica TO -NEW YORK, NEW YORK Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Juraj Valčuha, direttore Stefano Bollani, pianoforte Foto: Gianluca Platania

Partendo dal newyorkese (di adozione) per eccellenza Leonard Bernstein con l’Ouverture dell’operetta comica Candide – tratta dall’omonima novella di Voltaire –, passando per la prima esecuzione italiana di Red da Color Field, composizione per orchestra ispirata al quadro “Orange, Red, Yellow” del pittore Mark Rothko e al concetto della sinestesia (l’accostamento di un suono a un colore) della compositrice contemporanea Anna Clyne, si è arrivati a Stefano Bollani, applauditissimo, che sul palco in un total white che mette particolarmente in risalto la sua figura. 

Sabato 9 settembre 2023 Piazza San Carlo MITO SettembreMusica TO -NEW YORK, NEW YORK Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Juraj Valčuha, direttore Stefano Bollani, pianoforte Foto: Gianluca Platania

Inizia così l’esecuzione di Rhapsody in Blue di George Gershwin, il manifesto per eccellenza della New York anni Venti, in cui Bollani spicca non solo per le sue indiscusse doti da pianista, ma anche per la sua travolgente energia: il jazzista saltella, alza una gamba, si ferma, riparte, alza l’altra gamba. La folla lo applaude, applaude l’orchestra, poi Bollani esegue due bis da solista: America, tratto dal primo atto dell’acclamatissimo musical West Side Story di Bernstein, e la colonna sonora che Nino Rota compose per l’di Fellini. 

La serata si conclude con la Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 “Dal nuovo mondo”, di Antonín Dvořák, così intitolata poiché composta nel periodo in cui il compositore ceco risiedeva negli Stati Uniti: risultano infatti evidenti le suggestioni degli gli spiritual afroamericani e della musica dei nativi americani.

Sabato 9 settembre 2023 Piazza San Carlo MITO SettembreMusica TO -NEW YORK, NEW YORK Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Juraj Valčuha, direttore Stefano Bollani, pianoforte Foto: Gianluca Platania

Nonostante l’impeccabile esecuzione dei musicisti in una bellissima cornice come quella di piazza San Carlo, purtroppo l’acustica del luogo e il fatto che oltre la metà degli spettatori stesse assistendo al concerto in piedi o seduta a terra, ha impedito di godersi appieno la serata. Molte persone hanno cominciato ad andare via subito dopo la performance di Bollani, altre ancora hanno deciso che un concerto era l’occasione giusta per videochiamare zii e cugini. I più concentrati? I bambini, impegnati a dirigere l’orchestra da lontano, seduti sulle spalle dei genitori, o a improvvisare qualche balletto. 

Insomma, a chi non ha speranze negli adulti del futuro possiamo dire di stare tranquilli, perché anche loro sono capaci di apprezzare la bellezza della musica. Forse bisognerebbe riflettere maggiormente sulla necessità di educare all’ascolto gli adulti di adesso… E magari aggiungere qualche sedia in più al prossimo concerto in piazza.

Foto in evidenza: Gianluca Platania per MITO SettembreMusica

A cura di Ramona Bustiuc

MITO 2022: il pianoforte di Beethoven

Nuovo appuntamento a Torino per il festival musicale MiTo 2022. La sera del 23 settembre, presso l’Auditorium grattacielo Intesa San Paolo, Andrea Lucchesini al pianoforte omaggia Ludwig van Beethoven. Quattro le sonate del compositore tedesco eseguite per l’occasione: la n.1 in fa minore op. 2 n. 1, la n. 14 in do diesis minore op. 27 n. 2, la n. 30 in mi maggiore op. 109 e la n. 31 in la bemolle maggiore op. 110.

Il programma, fedele alla linea del tempo, ripercorre l’evoluzione dello stile compositivo beethoveniano. Un filo conduttore lega l’intero percorso: una cura meticolosa, spesso logorante ed esasperata, per la stesura della partitura in ogni minimo dettaglio. Le sue opere, specchio dei suoi turbamenti interiori, trasudano ingegno, fatica e pàthos.

credits: MITO Settembre Musica

La Sonata n. 1, dedicata al maestro Haydn, rispetta ancora molti canoni della tradizione classica viennese, anche se il Prestissimo finale sembra già preannunciare la vera cifra stilistica del compositore di Bonn, più violenta e sfrenata. Il tocco al pianoforte di Lucchesini è ben ponderato, talvolta leggero, talvolta più energico come richiesto dai passaggi eseguiti.

L’ipnotico Adagio introduttivo della Sonata n. 14 (meglio conosciuta come “Al chiaro di luna”) raccoglie l’intera platea in un silenzio quasi contemplativo. Dopo un breve Allegretto intermedio, l’incanto viene bruscamente spezzato dal travolgente Presto agitato finale, uno dei vertici del pianismo beethoveniano per tecnica e carica emotiva.

credits: MITO Settembre Musica

La restante coppia di sonate proposte (nell’ordine, la n. 30 e la n. 31), risalenti al tardo stile, sembrano suggerire un sofferto equilibrio interiore finalmente raggiunto dal compositore. Anche qui, Andrea Lucchesini offre saggio della sua perizia espressiva, confermandosi specialista in questo tipo di repertorio.

Si congeda, infine, con altri brevi frammenti tratti dal ricco corpus beethoveniano, strappando ulteriori applausi a un pubblico compiaciuto. In fin dei conti, risulta difficile, specie dopo una performance convincente dell’esecutore, rimanere indifferenti all’ascolto di un qualsiasi capolavoro escogitato dal genio di Ludwig van Beethoven.

credits: MITO Settembre Musica

A cura di Ivan Galli