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Primo concerto di Rai NuovaMusica

«La musica contemporanea mi butta giù» cantava Battiato, criticando un sistema compositivo che separava la produzione musicale di consumo dalle sperimentazioni più estreme. Quarant’anni dopo noi viviamo in un vortice musicale che contiene tutto e di più, con sempre meno distinzioni. L’evoluzione della musica classica o colta contemporanea ne è un fatto esemplare: da decenni si scardinano le regole interne, esplorando timbri sonori anomali e strutture compositive atipiche, ma tutto questo avviene dentro istituzioni tradizionali che da tempo ormai promuovono e stimolano l’interesse verso qualcosa di diverso. 

È questo il caso della rassegna Rai NuovaMusica, dedicata interamente all’esecuzioni di brani contemporanei. Il primo appuntamento di questa stagione si è svolto giovedì 6 marzo presso l’Auditorium Rai “Arturo Toscanini”: un lungo concerto dal programma variegato che ha visto sul podio il direttore francese Pascal Rophé e l’esibizione del violoncellista Mario Brunello. Il primo è un allievo di Pierre Boulez e direttore musicale dell’Orchestre national des Pays de la Loire, il secondo invece è stato il primo europeo a vincere il concorso Čaikovskij a Mosca e vanta un vasto repertorio, dal barocco al jazz.

In apertura si viene avvisati di un’inversione dell’ordine dei brani rispetto a quello indicato sul programma di sala, probabilmente dettata dai necessari cambi dell’organico orchestrale. Si inizia quindi con un brano del 2016, Dialog mit Mozart di Peter Eötvös, compositore ungherese scomparso lo scorso anno. Una sorta di intervista impossibile che punta a rielaborare frammenti di temi mozartiani in modo personale. L’esecuzione ci restituisce in modo preciso e scorrevole tutte le sottili evoluzioni di questa composizione ciclica.

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Dopo una breve pausa sale sul palco Mario Brunello, che prende subito un microfono in mano e ci introduce al brano T.S.D., composto nel 2018 dal georgiano Giya Kancheli. Si rimane impietriti di fronte all’abisso e ai silenzi in cui ci immerge il suono del violoncello. Tutto si svolge lentamente, Brunello segue la sua partitura scorrere su un tablet, Rophé dirige senza bacchetta e con gesti enfatici i momenti più contemplativi e spirituali della composizione. Le accensioni sonore sono ben ponderate con frammenti più semplici e statici. Brunello conclude l’esecuzione con calma e malinconia, prendendosi tutto il tempo per abbassare l’arco prima degli applausi che incitano subito all’encore. Al secondo rientro sul palco, il violoncellista esegue il terzo movimento della Sonata per violoncello di George Crumb, un breve saggio di tecniche esecutive non convenzionali. 

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Intervallo. Ritornati in sala vediamo molti più musicisti sul palco. Si passa a Gli occhi che si fermano, composizione del 2009 di Francesco Antonioni, che ascolta seduto in platea. “Canzone mononota tutta giocata sul re in una combinazione di timbri e durate che creano quasi un effetto magico di messa a fuoco uditiva dei singoli suoni. L’energia interna viene sprigionata dall’intera orchestra in modo graduale. La direzione di Rophé è severa e marcata su ogni cambio di dinamica e ritmo. Tutto diventa metafora sonora di un viaggio che sembra infinito ma dura solo pochi minuti. Applausi ripetuti anche per Antonioni, che viene richiamato sul palco dal direttore.

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Gran finale. Si aggiungono altri strumenti, tra cui chitarra elettrica, organo Hammond e cimbalon. Si chiude il cerchio ritornando al punto di partenza con Eötvös e una sua composizione del 2018, Reading Malevich: una rilettura musicale divisa in due parti, orizzontale e verticale, del quadro Composizione suprematista N° 56, realizzato nel 1916 dal pittore Kazimir Malevich. Il tempo diventa impulso sospeso, e ancora una volta Rophé è preciso nei suoi gesti, che si fanno energici nell’abbracciare ogni sfumatura timbrica e armonica. Così il concerto finisce, non con un botto ma con un lamento. Seguono numerosi applausi: il direttore viene richiamato più volte sul palco, fino a quando decide di prendere la partitura dal leggio, mostrarla al pubblico e congedarsi definitivamente. 

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Col senno di poi l’ordine iniziale sarebbe stato più coerente per sonorità e stili compositivi, ma il risultato musicale è stato comunque di grande coinvolgimento uditivo ed emotivo. Merito di un’orchestra che si dimostra ancora una volta versatile e aperta a nuove sfide, che il pubblico accoglie con entusiasmo. 

A cura di Alessandro Camiolo

Sinfonia n. 9 di Mahler : un viaggio emotivo all’Auditorium Rai

La superstizione secondo cui il nove sia il numero massimo di sinfonie componibili, si diffuse dopo Beethoven e fu alimentata dalla morte di compositori come Shubert e Dvořák. Questa credenza, nota nel periodo tardo-romantico come la “Maledizione della Nona”, instillò il timore che la composizione di una nona sinfonia potesse presagire la morte del compositore.

Gustav Mahler, che ne era consapevole, provò a superare il limite componendo la decima, ma morì prima di poterla completare.
La Sinfonia n° 9 in re maggiore, composta tra il 1909 e il 1910, rimane l’ultima sinfonia che Mahler riuscì a terminare, ma non ebbe mai l’opportunità di ascoltarla eseguita.
Il 14 febbraio 2025 , all’Auditorium RAI Arturo Toscanini di Torino, è stata eseguita dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, per l’appunto, la Nona sinfonia di Mahler, diretta dal maestro Robert Treviño.

Credits: Rai Cultura

La sinfonia, suddivisa in quattro movimenti, riflette su temi legati alla morte ed è uno specchio dell’interiorità del compositore durante un periodo tragico della sua vita.
Molti la interpretano come una premonizione della sua scomparsa e del declino socio-politico europeo, ma queste rimangono interpretazioni personali. Innegabile però è il suo stile che, per le tematiche affrontate, la avvicina al post-romanticismo e al decadentismo.

Composta per la maggior parte durante un periodo di pausa estiva dall’attività di direttore, il primo movimento in re maggiore (Andante comodo, Con Rabbia, Allegro risoluto, Appassionato, Tempo I Andante) si distingue per le sonorità malinconiche evocatrici di immagini campestri e di una felicità ormai perduta. Treviño esalta questi sentimenti con un’interpretazione emotiva capace di toccare l’animo degli spettatori.

Nel secondo movimento in do maggiore (in tempo di un tranquillo Ländler, un po’ goffo e molto rude), avviene un cambiamento: la musica diventa più danzante e allegra, riprendendo lo stile del Ländler, una danza popolare austriaca, ma in modo deformato e ironico. Questo movimento si anima grazie a veri e propri dialoghi tra strumenti. L’Orchestra RAI ne propone un’esecuzione precisa e raffinata, preservando l’idea mahleriana ma senza cadere in un’esecuzione grossolana. Il movimento dimostra un senso ironico e satirico che si prolunga anche durante il terzo movimento in la minore (Rondò-Burleska, Allegro assai, Molto ostinato-Adagio) più brusco del precedente, che evoca sensazioni di ansia e irrequietezza che riflettono il caos e la frenesia della vita urbana. L’orchestra dimostra tutta la sua potenza che ci riporta nella consapevolezza del periodo storico degli inizi del Novecento, con uno stile meno romantico ed un utilizzo audace della polifonia con un effetto di caos controllato, un’immagine un po’ alla Tempi Moderni di Charlie Chaplin.

Il quarto, nonché l’ultimo movimento, in re♭ maggiore (Adagio. Molto lento e ancora ritenuto) riprende un po’ l’immagine e le tematiche del primo ma con l’abbassamento della tonalità di un semitono, rendendo l’atmosfera ancora più malinconica. Il costante calare d’intensità porta la sinfonia verso un graduale spegnimento. Dopo un’ora di dinamiche variabili ma tendenti al forte o fortissimo, la sinfonia si chiude con un intero movimento dalle intensità moderate, che simboleggiano la resa dell’uomo di fronte alla morte.

Treviño porta l’orchestra, dopo un movimento delicato ed emozionante, a sfociare in un ppp che va ad assottigliarsi fondendosi con il silenzio della sala con un ultimo soffio vitale delle viole. Il direttore non abbassa le braccia e la sala rimane nel silenzio per 40 interminabili secondi. La tensione accumulata durante la precedente ora e venti rimane in sospeso, finché Treviño rilassa le braccia lungo i fianchi. A quel punto il silenzio si rompe con uno scroscio di applausi che riportano il pubblico alla realtà.

Credits: Rai Cultura

La Sinfonia n°9 di Mahler è dunque un’opera potente e profondamente introspettiva. Un vero e proprio viaggio emotivo. L’interpretazione di Robert Treviño con l’Orchestra RAI ha saputo catturare a pieno l’essenza, donandoci un’esecuzione memorabile.

Per chi avesse perso l’evento, la replica del 13 Febbraio è stata trasmessa in diretta su Rai Radio 3, ed è pertanto disponibile su Rai Play Sound a questo link.

A cura di Marta Miron

La settima sinfonia di Šostakovič: arte, politica e guerra

Tra le tante funzioni della musica nelle nostre esistenze, quella di catalizzatore di ideali e princìpi sociali comuni è di certo rilevante. Soprattutto nei periodi di guerre, tragedie umanitarie e disastri ambientali, la musica ha sempre avuto un ruolo primario. Come oggi iniziative collettive cercano di contribuire alla resistenza di popoli oppressi, anche ottant’anni fa c’era chi componeva musica al fine di difendere la propria città, la propria patria, la propria musica.

Dmtrij Šostakovič diede il suo vibrante contributo con la Settima Sinfonia, dedicata alla sua città natale, Leningrado, assediata a sorpresa dalle truppe tedesche nell’estate del 1941. Si tratta di una composizione per grande orchestra, oltre cento musicisti, che abbiamo avuto occasione di ascoltare giovedì 6 febbraio eseguita dall’Orchestra Rai e diretta da Pietari Inkinen, subentrato al direttore principale Andrés Orozco-Estrada.

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Nella sala dell’Auditorium “Arturo Toscanini”, gremita come poche volte in questa stagione, si è svolto un concerto molto atteso e di grande qualità. L’intera esecuzione, durata più di settanta minuti, è stata caratterizzata da una direzione essenziale e precisa di Inkinen, che ha mostrato la sua eleganza in gesti ampi, marcati e pieni di espressività. I momenti culminanti sono stati evidenziati in modo attento e solenne, come nel primo o nel terzo movimento, centro drammatico dell’intera composizione. I musicisti, specialmente nei passaggi solistici, hanno dimostrato la sensibilità di sempre, seguendo in modo fedele le indicazioni del direttore. 

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Il finale, eseguito come previsto senza pausa di seguito al movimento precedente, viene interpretato in modo grandioso, come a voler erigere un enorme monolite al cospetto del pubblico. Si creano così forti suggestioni, quasi cinematografiche. Non è un caso che le vicende dell’assedio di Leningrado abbiano ispirato a Sergio Leone l’idea per un film, di cui scrisse però solo la sceneggiatura.

Credits: DocServizi-SergioBertani/OSNRai

Il concerto si chiude con lunghi applausi di apprezzamento per una prova che ha convinto i più. Il direttore richiama le diverse famiglie strumentali, abbraccia le prime file di musicisti e infine l’orchestra gli dedica un saluto di ringraziamento. La musica di Šostakovič continuerà a ispirare e alimentare la resistenza, la speranza e l’ingegno di chi fa arte con onestà, dedizione e senso di appartenenza a un ideale, oltre ogni ostacolo. 

A cura di Alessandro Camiolo