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Flamenco Criollo al TJF: musica che unisce l’Atlantico

Un concerto magnetico al Teatro Colosseo per il Torino Jazz Festival: danza, canto e ritmi in una serata che unisce le sponde dell’Atlantico.

Al Teatro Colosseo di Torino, Flamenco Criollo ha dato vita a una delle serate più attese del TJF. Sul palco, il progetto del pianista cubano Aruán Ortiz ha preso forma in una performance che ha unito musicisti e danzatori da Marocco, Palestina, Cuba, Stati Uniti e Spagna. Un’onda che ha attraversato oceani e tradizioni, fondendo i suoni del flamenco con le ritmiche energiche dell’area afro-cubana.

Foto di Ottavia Salvadori

Nato nel 2021, Flamenco Criollo è un progetto ambizioso che intreccia musica, danza e ricerca culturale. Ortiz, jazzista di formazione e studioso di culture musicali, ha dato vita a un ensemble che restituisce le molteplici radici del flamenco. Il risultato è stato un percorso potente, poetico e coinvolgente, fatto di cantes de ida y vuelta, quei canti che, come le navi tra Cadice e L’Avana, hanno attraversato l’oceano portando con sé storie, lingue e battiti.

L’incipit dello spettacolo ha subito colpito per delicatezza e simbolismo: una figura femminile, velata, disegna linee perfette, evocando le onde del mare. Un’immagine danzata da Niurka Agüero che anticipa la natura profonda e mobile dell’intera esibizione. Dopo di che la bailaora María Moreno, in un abito lineare lontano dal consueto immaginario turistico del flamenco mettendo in risalto l’intensità interpretativa e i virtuosismi del compás. Il duetto struggente con la cantaora Samara Montañez — tra “adelante” e “para bailar” — ha rapito il pubblico in un silenzio sospeso, carico di emozione.

Foto di Ottavia Salvadori

Accanto a quest’ultima, la danzatrice afro-cubana ha portato in scena un’energia terrena e ancestrale. In un duetto finale, le due interpreti hanno fuso le proprie radici in una sinergia unica, dimostrando che, al di là delle distanze culturali esiste una ritmica umanità condivisa. La centralità delle figure femminili, tra canto e danza, ha dominato la scena: non semplici interpreti, ma custodi di tradizioni in continua trasformazione.

Il concerto ha saputo mantenere un ritmo coinvolgente, arrivando, come più classica delle chiusure, a una partecipazione attiva del pubblico. A guidarla, la cantante cubana Susana Orta López, una delle tre voci dell’ensemble, che ha invitato la platea a unirsi ritmicamente al groove finale. Tutti in piedi, a battere le mani, come palmeros improvvisati ma totalmente dentro allo spettacolo.

Flamenco Criollo è un esempio riuscito di contaminazione consapevole, che scava nelle radici comuni per creare qualcosa di nuovo. Una bellezza di multiculturalità: un’arte viva, che respira e unisce.

di Joy Santandrea

Andrea Rebaudengo scatena i preludi di Uri Caine

Al Teatro Vittoria, il Torino Jazz Festival propone una produzione originale di scrittura e improvvisazione: Improvisers/Composers. Protagonista il pianista Andrea Rebaudengo, che presenta un programma interamente dedicato a brani “classici” per pianoforte composti da musicisti jazz contemporanei.

Rebaudengo, del resto, non è nuovo a questo tipo di esplorazioni: oltre a collaborare con realtà come l’Orchestra della Scala, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la Rai, è il pianista stabile dell’ensemble Sentieri Selvaggi, gruppo di riferimento per la musica contemporanea in Italia. Proprio in questo contesto ha affinato un approccio libero ma rigoroso.

Foto da Press Kit Torino Jazz Festival

Il concerto è stato caratterizzato da una serie di prime esecuzioni che ne hanno definito l’unicità. In particolare, due prime italiane: Alone, in Four Parts di Wayne Horvitz e Looking Above, the Faith of Joseph di James Newton. A seguire, due brani di Matt Mitchell tratti da Vista Accumulationall the Elasticity e Utensil strength – autentici esercizi di resistenza.

La sorpresa del concerto è la prima esecuzione assoluta dei 24 Preludi per pianoforte firmati da Uri Caine: una suite che sfida l’ascolto e la varietà stilistica, consapevole che alcuni passaggi potessero mettere in crisi l’ascolto del pubblico. Ma è proprio questo il bello: il rischio, la possibilità di ascoltare qualcosa che ci sposti un po’ più in là.

I preludi sono stati affidati dallo stesso Caine a Rebaudengo. Si avverte la presenza del compositore negli accenni di micromelodie e citazioni, che come piccole apparizioni intersecano un ricchissimo mondo sonoro, da ascoltare con attenzione e impegno. La sequenza di esecuzione dei preludi non è fissa, ma costruita dal pianista stesso, che ha immaginato un percorso coerente con l’evoluzione dell’intero concerto. È proprio lui a concludere il ciclo con un preludio melodico, una scelta che sorprende e arricchisce ulteriormente il progetto.

Il pianoforte si conferma così l’ambito di una ricerca continua e appassionata da parte di Rebaudengo, e questo piccolo preludio finale diventa anche un gesto di “riappacificazione” – come lo definisce lui stesso –, un momento di leggerezza che permette di accogliere e conservare l’intensità dell’intero concerto.

Foto da Press Kit Torino Jazz Festival

Gli improvvisatori scrivono? Traggono dallo studio sull’improvvisazione materiale che poi mettono su pentagramma? «La risposta» spiega Rebaudengo «è stata un fluire di partiture estremamente interessanti, geniali, coraggiose, in cui le appartenenze geografiche e stilistiche c’entravano fino a un certo punto. Forse più di tutto contava la curiosità del compositore/improvvisatore, la sua voglia di mettersi in gioco».

Il risultato è un percorso dentro la mente di artisti che, pur nati nell’improvvisazione, hanno scelto la scrittura come nuovo terreno di esplorazione. Non semplici improvvisazioni “cristallizzate”, ma pensieri musicali lunghi, forme controllate, racconti in musica.

Alla fine del concerto — che, per scelta programmatica, non ha mai cercato la facile seduzione — Rebaudengo rientra tra gli applausi e offre al pubblico un piccolo encore: Portolan. Un repertorio raffinato, difficile, e proprio per questo necessario.

di Joy Santandrea