10 TRA I MIGLIORI ALBUM DELLA SECONDA METÀ DELL’ANNO

Con la seconda metà dell’anno è continuata l’emergenza Covid, ma questo non ha comunque impedito che uscissero parecchi dischi validi: alcuni sono nati proprio a causa di questa situazione, altri parlano proprio di quanto sta accadendo. Così come l’articolo precedente, anche questo ne analizza 10 in ordine sparso, senza fare una classifica.

PHOEBE BRIDGERS – PUNISHER (indie pop)

Dopo essersi fatta notare col debutto Stranger in the Alps, con Punisher Phoebe Bridgers è riuscita a dimostrare a pieno le proprie capacità. Il disco è un susseguirsi di brani intimi e personali, sia nei testi che nelle strumentali, con arpeggi di chitarra arricchiti da synth, archi, il banjo nella folk ballad “Graceland Too” e da fiati che ricordano Sufjan Stevens, una delle principali influenze della cantante insieme a Elliott Smith (soprattutto in “Savior Complex”), a cui è dedicata “Punisher”, e Bright Eyes (Conor Oberst canta in “Halloween”, inoltre con Phoebe ha dato vita al duo Better Oblivion Community Center). La tracklist è un susseguirsi di brani che dimostrano a pieno l’essenza del disco, come “Garden Song”, “Kyoto” o “Chinese Satellite”, oltre a quelle citate in precedenza, fino a “I Know The End”, che col coro finale “The End Is Here” si pone come chiusura perfetta dell’album.

TOUCHÉ AMORÉ – LAMENT (post-hardcore)

Sono pochi gli artisti che dopo 13 anni di carriera, 5 album e più di 1000 concerti riescono a restare costanti come i Touché Amoré. La band californiana è riuscita a evolvere ulteriormente pur rimanendo fedele alle sonorità che l’hanno sempre caratterizzata: un post-hardcore energico ma melodico e orecchiabile (“Come Heroine”, “Lament”, “I’ll Be Your Host”) che arriva fino al pop punk con “Reminders”. Esempi dell’evoluzione del gruppo sono la lenta “A Broadcast” o l’introduzione di strumenti nuovi per la band, come il pianoforte nella traccia finale o la lap steel guitar, che compare in diversi punti dell’album. Discorso a parte lo merita “Limelight”, il brano più lungo della carriera del gruppo e probabilmente anche il più ambizioso, col suo mix di hardcore, post-rock e shoegaze.

KELLY LEE OWENS – INNER SONG (dream pop, elettronica)

Inner Song, secondo album della musicista gallese, riesce a fondere sapientemente due generi all’apparenza lontani come dream pop e techno. Dopo l’apertura con “Arpeggi”, cover in chiave elettronica del brano dei Radiohead tratto da In Rainbows, “On” dimostra subito di cosa è fatto il disco: il brano inizia con un arrangiamento scarno e leggero per far strada a layer di synth che culminano con un’esplosione nel finale. Puramente techno è la successiva “Melt!”, “Re-Wild” invece tocca territori R&B per poi lasciar spazio all’esplorazione elettronica di “Jeanette”, alla quale segue il dream pop di “L.I.N.E.”, che non sfigurerebbe in un album dei Beach House. Dopo un interessante featuring sperimentale di John Cale, il disco termina con altri 3 brani che dimostrano ancora una volta come i due generi possano convivere e dare origine a sperimentazioni interessanti.

FLEET FOXES – SHORE (indie folk)

Arrivato a 3 anni di distanza da Crack-up, Shore se ne discosta, segnando piuttosto un ritorno alle origini per Robin Pecknold. Dopo quella parentesi “prog” dagli arrangiamenti più complessi, Shore propone invece un folk più semplice (ma mai banale), dai tratti più indie e pop, pur mantenendo elementi tipici della scrittura di Pecknold nella strumentazione e nella vocalità. La produzione fa risaltare gli arrangiamenti acustici, arricchiti da fiati, percussioni e pianoforte, che creano atmosfere malinconiche ma a tratti solari, con grande importanza data alla melodia e in cui non mancano anche hook e ritornelli catchy (“Sunblind”, “Can I Believe You”, “Featherweight”, “A Long Way Past the Past o “I’m Not my Season”). Shore è il disco perfetto da ascoltare durante un lungo viaggio, purtroppo ora come ora è impossibile, ma aiuta sicuramente a farci fuggire anche solo momentaneamente.

FONTAINES D.C. – A HERO’S DEATH (post-punk)

Il secondo disco dei Fontaines D.C. li conferma tra i gruppi più interessanti del post-punk revival degli ultimi anni, insieme a colleghi come Idles o Shame. Il loro è un revival diverso da quello orecchiabile e radio-friendly di inizio anni 2000 di gruppi come Strokes o Franz Ferdinand, recupera invece le atmosfere più cupe dei gruppi di fine anni ’70 e strizza l’occhiolino ai Sonic Youth, soprattutto per quanto riguarda le chitarre intrecciate e dissonanti. Brani di questo tipo (“I Don’t Belong”, “Televised Mind”, “A Lucid Dream”) si alternano a momenti melodici che rendono il disco più scorrevole e dinamico, come “Oh Such a Spring”, “Sunny” o “You Said”, uno degli esempi migliori di quello che l’album e la band hanno da offrire. A Hero’s Death è un disco con dei riferimenti ben precisi, ma che riesce comunque a suonare autonomo e moderno, dimostrando il potenziale di un gruppo che ha sicuramente altro da dire in futuro.

BRING ME THE HORIZON – POST HUMAN: SURVIVAL HORROR (metalcore, elettronica)

La band inglese con Post Human continua il proprio percorso di rinnovamento e sperimentazione iniziato con Sempiternal e proseguito nei successivi That’s the Spirit e Amo. Quest’ultimo album si presenta come un insieme coerente di tutte le sonorità intraprese negli ultimi anni: metalcore, elettronica, industrial, tutte unite da una scrittura decisamente pop, con hook e breakdown memorabili, che suona sicuramente moderna ma che guarda anche al passato (è innegabile l’influenza nu-metal, in particolare dei Linkin Park, in una canzone come “Teardrops”). Degni di nota i featuring di Yungblud in “Obey” (uno dei ritornelli meglio riusciti del disco) e quello del duo Nova Twins in “1×1”, ma quello che spicca maggiormente è sicuramente quello del gruppo idol giapponese Babymetal in “Kingslayer”, tanto azzardato quanto riuscito.

SUFJAN STEVENS – THE ASCENSION (indie pop, elettronica)

The Ascension è il primo vero album solista del cantautore americano in 5 anni, dopo alcune collaborazioni e la parentesi cinematografica di Chiamami col tuo nome. Successore dello struggente Carrie & Lowell, ne recupera le atmosfere intime e raccolte per fonderle con le sonorità elettroniche fatte di synth e drum machine già utilizzate ad esempio in Age of Adz. Nei testi Stevens affronta argomenti tipici della sua produzione (amore, morte, religione, abuso di sostanze, fino ad arrivare alla critica sociale con “America”), tra canzoni più pop (“Run Away With Me”, “Video Game”, “Tell Me You Love Me”), elettroniche (“Ativan”, “Ursa Major”) e altre più minimaliste tendenti all’ambient (“Sugar” o la title track). The Ascension è un disco in cui Sufjan Stevens mette insieme i diversi stili affrontati di recente in modo coerente, dando forse inizio a una nuova parentesi della sua carriera.

HAIM – WOMEN IN MUSIC PT. III (pop)

Il terzo album delle sorelle Haim è un disco pop ambizioso, con una produzione curata che accomuna diversi generi. Si parte con le influenze jazz nel sax di “Los Angeles” spaziando tra il sound elettronico di “I Know Alone” o il r&b/hip-hop di “3 am”, passando per le chitarre funky di “Gasoline”, cui seguono brani acustici come “Leaning on You” o “I’ve Been Down”. Un’altra influenza riscontrabile nel disco è quella dei Vampire Weekend (“The Steps”, “Don’t Wanna”): Danielle ha infatti collaborato al loro ultimo album e Rostam è tra i produttori di WIM pt. III. Interessanti anche le tracce bonus “Hallelujah” (non una cover) e “Summer Girl”, ispirata a “Walk on the Wild Side”. Women in music è un album molto vario, che alterna tranquillamente brani intimi e personali ad altri ballabili in cui le 3 sorelle danno il meglio di sé, con canzoni che restano in testa anche dopo il primo ascolto.

AUTECHRE – SIGN/PLUS (elettronica)

Il duo inglese nel giro di una decina di giorni ha rilasciato ben due album, Sign e Plus, accomunati non solo dalla stessa copertina, di colore diverso, ma anche musicalmente. Continua l’esplorazione nell’elettronica che i due portano avanti da una trentina d’anni, scoprendo territori nuovi ma in linea con quanto fatto nel corso della loro carriera. Ritmiche contorte e astratte, quasi minacciose a cui il duo ci ha abituati (“M4 Lema”, “sch.mefd 2”, “DekDre Scap B”, “X4” o “TM1 open”, che sfocia nella psichedelia) si alternano a brani di ambienti/idm più accessibili, con momenti melodici (“lux 106 mod”, “Metaz form 8”) o dalle atmosfere inquietanti (“esc desc”, “ii.pre esc”). Come ogni album del duo, anche questi ultimi due creano mondi sonori immensi, con strutture e sonorità non sempre di facile ascolto ma che vale di sicuro la pena esplorare.

IL QUADRO DI TROISI – IL QUADRO DI TROISI (synth pop)

Il Quadro di Troisi nasce dalla collaborazione fra Donato Dozzy ed Eva Geist, dando vita a un art pop che guarda a cantautori del nostro passato (Battiato, Alice), all’italo disco, al synth pop anni ’80 e al kraut rock. Layer di sintetizzatori in continua progressione e drum machine sono accompagnati dalla voce della Geist, con testi simbolici e suggestivi. In questo universo sintetico si fanno strada anche chitarra (“Il Giudizio), pianoforte ed archi (“Real”), arricchendo il panorama del disco. “Sfere di Qi” si avvicina all’idm, con una struttura minimalista condivisa anche dagli altri brani; “Intenzioni”, “Se ne va” e “L’ipotesi” con la loro atmosfera rarefatta invece tendono al dream pop, mentre “Beata” e “Raggio Verde” sono forse i brani che rappresentano di più l’album, sintesi perfetta dello stile del duo.

ALCUNE “HONORABLE MENTIONS” CHE NON SONO RIUSCITE A FAR PARTE DELLA LISTA:
Taylor Swift – Folklore/Evermore
Kid Cudi – Man on the Moon III
Gorillaz – Song Machine, Season One

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *