Archivi categoria: Recensioni

La Tragédie De Carmen: un’opera attuale e imprevedibile

L’opera torna al Teatro Concordia di Venaria Reale grazie alla collaborazione con la Compagnia Lirica Tamagno: un’impresa fondata nel 1992 attiva nei territori piemontesi per portare in scena opere liriche di tradizione e diffondere la cultura musicale ad un pubblico popolare, privilegiando teatri i cui cartelloni non prevedono una programmazione operistica.

Tutti conoscono la celeberrima opéra-comique di Bizet, Carmen, ma pochi conoscono l’adattamento di Peter Brook: La tragédie de Carmen, un progetto radicale che ridimensionò la partitura originale in un atto unico per orchestra da camera, spogliandola delle scene corali. Brook non si limitò solo a questo, ma accelerò il ritmo del racconto adeguando il tempo musicale e esplorò gli intricati legami tra i quattro personaggi principali: Carmen, Don José, Micaela, Escamillo.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Dopo il debutto a Savigliano, va in scena al teatro Concordia quest’opera controversa, con la nuova edizione del Circuito Lirico Piemontese guidata alla regia da Alberto Barbi, attore e regista torinese con una
formazione artistica eterogenea che va dal teatro di parola al teatro fisico, dal circo al musical. Barbi propone un’opera che si rifà all’idea di spazio vuoto teorizzata da Brook: il palco è una scatola bianca, chiusa su tre pareti, dove recitazione e canto si uniscono per far emergere solo i personaggi e i loro drammi attraverso un mescolamento di parlato e canto. Accanto alle arie in francese dei quattro personaggi principali, vi sono – al posto dei recitativi – momenti di prosa parlata in italiano; personaggi come il tenente Zuniga e il taverniere Lillas Pastia si esprimono con semplici parole declamate.

Si apre il sipario, dieci rintocchi di un timpano solo, la scena deserta con un solitario tavolo posizionato in verticale al centro del palco; tutto contribuisce a creare un’atmosfera funerea. Accovacciata e nascosta dietro di esso, Carmen indossa vestiti neri, un velo scuro sul volto e tiene tra le mani le carte, simbolo del tragico destino che la vita le riserva ed elemento fondamentale per la rappresentazione della sua personalità. Da questo momento Carmen, donna emancipata e indipendente, non abbandonerà praticamente mai la scena. Personaggio affidato a Irene Molinari, mezzosoprano laureatosi al Conservatorio di S. Cecilia di Roma e vincitrice di concorsi nazionali e internazionali, con la sua potenza vocale incanta il pubblico grazie alla sua capacità di passare da un registro grave ad uno più acuto con grande versatilità.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

La scena, spoglia di tutti quegli elementi considerati superficiali, presenta solo pochi oggetti: il tavolo, presente per tutto lo spettacolo e che assume diverse funzioni – come per esempio quella di prigione – e delle sedie che nel finale circondano Carmen e la imprigionano in un cerchio, simbolo del suo destino ormai segnato, e che rappresentano, forse, la solitudine nella quale ormai si trova; nessuno al suo fianco ma, a proscenio, la sua antagonista Micaela che sembra trasformarsi nello spirito di Carmen e non trova il coraggio di rivolgere lo sguardo verso il suo vero corpo. Altro elemento pregnante della scenografia sono le luci che virano dal blu al rosso passando per il verde: giochi di luci omogenee che talvolta creano ombre misteriose sulle pareti di grande effetto scenico.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Alcune scelte puntano ad attenuare il dinamismo che domina nell’opera di Bizet. L’habanera, una delle arie più famose dell’opera e che nella versione originale stimola grande fisicità, corporeità e imprevedibilità, viene trasformata da Barbi in una scena priva di danza e di movimento. I pochi gesti di Carmen appaiono rigidi e la scena immobile. Anche l’orchestra Bartolomeo Bruni, affidata al giovane Takahiro Maruyama, accoglie le novità proposte da Brook. I timbri si disgregano e i colori si disperdono nell’ambiente. Non solo, dunque, una scena priva di elementi decorativi ma anche l’ambiente sonoro viene spogliato e reso essenziale.

Brook decide di mettere in luce gli aspetti più crudi della vita e i conflitti tra i personaggi sacrificando, così, gli elementi più sensibili e romantici. L’aria “La fleur que tu m’avais jetée” viene, infatti, deliberatamente separata dal duetto tra José e Carmen per fare spazio ad una scena in cui emerge il lato più violento di José che uccide Zuniga e si scontra con Escamillo in una lotta posticcia a “colpi di navaja”.  L’atmosfera passionale del duetto viene pertanto bruscamente interrotta dal lato oscuro e cruento della storia. “La fleur”, ridotta ad una sola strofa, appare come un momento solitario: José solo in scena rivolge lo sguardo e il suo canto al pubblico. Carmen entra in scena in modo furtivo ma si mantiene a distanza per contemplare le parole proferite da José. Ignaro della presenza della sua amata, continua a cantare e, solo dopo la sua dichiarazione esplicita del suo amore con le parole “Carmen ti amo!”, si volta verso di lei come se avesse intuito la sua presenza. Perfino Micaela viene rappresentata come una donna a tratti violenta, che litiga con Carmen. Lei, donna spirituale che sin da subito dimostra la sua devozione nei confronti di un Dio, donna semplice portatrice del bacio materno a Don José, viene aizzata dalla donna seduttrice e passionale. Una lotta che diventa antitesi del finale: dopo l’uccisione di Carmen, Micaela piange disperata accanto ad un altarino. È proprio in questo momento che si tornano a sentire i rintocchi funebri del timpano che diventano eco di un viaggio umano che ha attraversato l’amore e la perdita portando lo spettatore a meditare sulle sfumature dell’animo e a riconoscere l’eterno divenire della vita.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Forse la regia, consapevole della complessità della storia, ha deciso di non inviare un messaggio univoco al pubblico, evitando di schierarsi esplicitamente dalla parte di Carmen o da quella di José. In questo spettacolo aperto a diverse interpretazioni, la storia di un femminicidio 800esco diventa specchio della tragica attualità nella quale ancora oggi siamo immersi.

A cura di Ottavia Salvadori

Alberto Bianco riparte live da Torino

Venerdì 24 novembre Alberto Bianco ha presentato all’Hiroshima Mon Amour il suo nuovo album Certo che sto bene. L’album – registrato in presa diretta a Formentera in una settimana, tra le onde del mare e con la collaborazione di Margherita Vicario e Federico Dragogna dei Ministri – rispetta in pieno lo stile cantautorale dell’artista torinese, che scava in profondità con i testi pur mantenendo un ritmo ballabile ed orecchiabile.

Il pubblico torinese che ha assistito alla prima data del tour non è di certo rimasto deluso. Un live denso e suonato. Sì, suonato è la parola che meglio riassume al meglio il tutto. Bianco sale sul palco assieme alla sua band, imbracciando una chitarra semiacustica, che sarà la sua fedele compagna durante l’ora e mezza di set. Si parte con “Certo che sto bene”, la title track che strizza l’occhio allo stile del duo Colapesce Dimartino. Un paio di brani e arriva quello più famoso del cantautore, “Filo d’erba”, che il pubblico intona all’unisono.

Bianco
credits foto: Martina Caratozzolo

Il clima all’interno del locale è disteso e familiare, la band si diverte e il bassista scherza con Bianco: “Non ti prendono a Sanremo, perché fai ancora gli assoli”, tra le risate generali. Oltre che i brani del nuovo album, il cantautore suona anche alcuni dei brani simbolo della sua carriera, come “Mela” – il suo featuring con Levante –, “Corri Corri” e “Raccontami”. L’ultimo brano in scaletta è “Stelle di giorno”, ma non è ancora tempo di congedare il pubblico. A fine concerto, infatti, il cantautore scambia qualche chiacchiera con i fan che si avvicinano al banchetto del merchandising per portare a casa un ricordo fisico della serata, tra vinili, cd e magliette.

Certo che sto bene dal vivo prende vita e la voce del cantautore appare identica alla versione registrata. In Bianco si percepisce quella dose di autenticità che spesso nella musica odierna manca, tra classifiche e numeri di dischi venduti. La scena musicale torinese è viva e ha tanto da raccontare: Alberto Bianco ne è la prova.

A cura di Martina Caratozzolo

Max Gazzè e un concerto dal sapore rarefatto e fluttuante

“Arte, maestria, sapienza, sacrificio, professionalità” scriverebbe qualcuno su X (Twitter) per descrivere lo spettacolo che Max Gazzè sta presentando sui palchi italiani da fine ottobre. Anche il Teatro Colosseo di Torino ha ospitato il tour “Amor Fabulas − Preludio” nelle due date di giovedì 23 e venerdì 24 novembre.

Nella sala semibuia del teatro appare Anna Castiglia – incaricata dell’opening act – che, seduta sul bordo del palco inizia a cantare accompagnata dalla sua chitarra acustica. Il pubblico, catturato, la osserva attentamente, cercando di cogliere ogni significato nascosto tra i versi delle canzoni in cui si sentono le influenze, tra gli altri, di Gaber e De Andrè. Castiglia padroneggia benissimo il palco: oltre a riuscire a guadagnarsi l’assoluto silenzio e l’attenzione di tutti senza il minimo sforzo, per ben due volte dal fondo della sala partono dei fragorosi applausi a metà dei brani (oltre che alla fine). Qualcuno la cerca su Internet per capire chi sia questa ragazza così talentuosa che ha avuto l’onore di aprire il concerto di Gazzè. I più informati, invece, la riconoscono subito: la cantautrice si era presentata a X Factor con “Ghali”, conquistando anche i giudici del programma che le avevano assegnato 4 sì. Il brano è una riflessione sul doversi assumere sempre le proprie responsabilità, e infatti «La colpa non è di tutti, la responsabilità sì», sussurra al microfono prima di intonare proprio quella canzone, per chiudere la sua esibizione e lasciare spazio al protagonista della serata.

Quando si accendono le luci e inizia la musica, Gazzè assume le sembianze di un sacerdote durante l’omelia: un telo semitrasparente su cui è proiettata una città in rovine e una persona che dondola su un’altalena, lascia intravedere solo la sua ombra mentre lui recita un monologo sull’indifferenza e sul senso del grave, concludendo che, forse, abbiamo perso del tutto il senso.Dopo i primi brani il telo viene ritirato e sul palco compare la formazione completa: Cristiano Micalizzi alla batteria, Daniele Fiaschi alla chitarra, Clemente Ferrari alle tastiere e synth, Max Dedo ai fiati, Greta Zuccoli a cori e autoharp e Nicola Molino alle percussioni.

L’idea alla base del tour è rappresentata dalla volontà di portare in scena brani mai suonati dal vivo, ma che sono stati scelti appositamente per essere valorizzati dall’atmosfera aulica del teatro. Tra questi “Niente di Nuovo” e “Siamo come siamo” che apre con una considerazione sull’inesistenza del tempo e sul fatto che si tratti solo di un’elaborazione del cervello.

L’eclettismo di Gazzè è noto da sempre e sarebbe inutilmente didascalico parlare di quanto sia preparato tecnicamente a livello musicale; questa bravura però è sicuramente amplificata da quella dei suoi compagni sul palco che gli tengono testa in modo egregio. “Cara Valentina”, introdotta dallo standard jazz “My funny Valentine” in un dialogo tra la voce più acuta di Gazzè e quella più calda e profonda di Zuccoli, diventa apoteosi musicale quando il pubblico viene incitato a cantare continuamente “per esempio non è vero che poi mi dilungo così spesso su un solo argomento”. Nel mentre i musicisti si divertono a eseguire delle variazioni su tema spaziando tra i generi più disparati come lo ska e un simil flamenco, con una facilità disarmante. Lo spazio per l’improvvisazione trova posto anche ne “La favola di Adamo ed Eva” con gli assoli di synth, chitarra e basso ricchi di virtuosismi, tecnicismi e cambi di tempo.

Una menzione speciale va fatta alla scenografia con la proiezione di video art a cura di Stefano Di Buduo, co-protagonista mai troppo invadente ma a tratti necessaria. Proprio con la proiezione che spoilera i titoli dei brani dell’album in cantiere, si conclude la parte di concerto.

Per la seconda parte, invece, sono state lasciate le canzoni più famose e ritmate, che il pubblico non vede l’ora di poter ascoltare: “Ti sembra normale”, “La vita com’è”, “Sotto casa”, “Una musica può fare”, diventano un momento di festa con la platea in piedi che balla, canta e si diverte dimenticandosi di quell’atmosfera così tanto solenne che era stata colonna portante della prima ora e mezza di spettacolo.

Forse, in fin dei conti, non tutti sono preparati alla rarefazione dovuta a brani per la maggior parte molto lenti e decompressi che sembrano fluttuare in un’atmosfera densissima di solennità. Anche perché sono bastati primissimi accordi di “Ti sembra normale” per far ritornare tutti sulla terraferma. L’unica cosa certa è che Gazzè si conferma geniale e anche in questo caso, come sempre, spiega quanto la musica di un certo livello faccia ancora così tanto effetto.

a cura di Alessia Sabetta

Maat Saxophone Quartet e le mille sfumature del sax

La Fondazione Renzo Giubergia e la De Sono nel corso degli anni sono riuscite a creare una solida famiglia che si impegna a dare un supporto ai talenti della scena musicale. 
La Fondazione Giubergia dal 2012 sostiene i giovani musicisti assegnando annualmente il Premio «Renzo Giubergia» a solisti e, dall’anno scorso, ad ensembles da camera: un premio in denaro ma il cui valore va ben oltre quello materiale, perché l’onore e il prestigio che vengono riconosciuti a questi giovani è ciò che lo rende speciale ed importante.

Con il 20 novembre 2023 si conclude anche quest’anno un intenso e appassionato lavoro che ha visto la commissione raccogliere novanta ore di musica, selezionare quattro gruppi che si sono sfidati in una diretta streaming e, infine, premiare presso il Conservatorio «Giuseppe Verdi» il vincitore di questo premio, ormai giunto alla sua decima edizione: il Maat Saxophone Quartet.

A inizio serata, la presidente della fondazione Paola Giubergia e il direttore artistico Andrea Malvano, annunciano le novità apportate durante l’anno: l’apertura di un sito della Fondazione che funge da archivio degli eventi passati e le nuove modalità di partecipazione al Premio. Da quest’anno il bando si estende anche a talenti internazionali under 26 permettendo alla Fondazione di ottenere credibilità anche fuori dall’Italia e consentendo a giovani – proprio come l’ensemble portoghese/olandese Maat Quartet – di aderire all’iniziativa.

Foto da ufficio stampa De Sono

Continua così la stagione 2023-24 della De Sono – dopo un grande concerto di apertura realizzato insieme a Lingotto Musica – con una collaborazione con la Fondazione Giubergia in un concerto più intimo che vede protagonista della scena una formazione quartettistica diversa da quella consueta: sassofono soprano, sassofono contralto, sassofono tenore e sassofono baritono.

Il Maat Quartet è un gruppo di giovani musicisti di origine portoghese il cui sodalizio nasce nel 2018 ad Amsterdam in seguito agli studi di sassofono al conservatorio. Ottengono sin da subito grandi riconoscimenti: nel 2018 vincono il prestigioso Prémio “Jovens Músicos” e nel 2022 il Dutch Classical Talent Award. L’ensemble ha una visione della propria produzione di ampio respiro: ha collaborato con una compagnia teatrale per la produzione di uno spettacolo per bambini e ha lavorato a stretto contatto con importanti compositori della scena contemporanea olandese come Nuno Lobo e Arnold Marinissen. 
Non stanco di perfezionare il proprio lavoro, il gruppo ancora oggi frequenta la NSKA (Accademia olandese del quartetto d’archi), dove lavora sul repertorio per quartetto d’archi con gli opportuni arrangiamenti.

Foto da ufficio stampa De Sono

Il giro del mondo in Sax, così viene intitolato da Andrea Malvano il concerto del 20 novembre. E cosa se non meglio di queste parole può raccontare ciò a cui il pubblico ha assistito durante la serata. Per la prima volta in Italia con questo concerto di premiazione, il gruppo ricorda quale è la poetica che sta alla base del loro lavoro: “mostrare tutto ciò che un quartetto di sassofoni può fare” utilizzando repertori che attraversano i secoli e tutti i territori del mondo.
Il programma ha toccato culture differenti: dall’operetta viennese al folk iraniano fino ad arrivare al fado portoghese. Dunque, un repertorio con il quale il pubblico – fedele e affezionato delle due associazioni – non è particolarmente avvezzo.

Sin dall’inizio, con il primo brano, si capisce quali sono le sonorità più classiche che l’ensemble vuole approfondire. Con un arrangiamento per sassofoni, realizzato dal sassofonista soprano Daniel Ferreira, portano in scena l’Overture dell’operetta Dichter und Bauer di Suppè. Sembra aprirsi sul palco una vera e propria scena teatrale, in un ambiente ottocentesco romantico attraverso una melodia lirica iniziale di grandissimo effetto espressivo, pieno di sentimento, che si unisce ad un leggero valzer aggraziato.
Con soli quattro ottoni, sono riusciti abilmente a creare suoni leggerissimi e, allo stesso tempo, una grande massa sonora portando lo spettatore ad immaginare una vera e propria orchestra sul palco. Il Maat Quartet dimostra come lo strumento sia capace di creare un timbro del tutto singolare a seconda dell’utilizzo che se ne fa. Complice di questa atmosfera suggestiva, sicuramente è la straordinaria sinergia e maestria del quartetto di amalgamare perfettamente le quattro voci.

Foto da ufficio stampa De Sono

Il Maat Quartet è riuscito a raccontare una storia attraverso ogni brano, materializzando diversi sentimenti ed emozioni, da quelle più allegre e festose a quelle più malinconiche e introverse, trasformando anche i silenzi in momenti pieni di significato. La profondità espressiva con la quale sono riusciti ad entrare in ogni singola nota ha fatto sì che il pubblico si immedesimasse e immaginasse veri e propri quadri scenici. 

Dall’Asia all’Europa, questo è il viaggio nel quale ci hanno trasportato con gli ultimi due brani. Con un lavoro originale, composto dal giovane amico e compositore iraniano Ramin Amin Tafreshie, emergono le sonorità più particolari e contemporanee che forse lasciano più interdetto quella parte del pubblico abituato solo a sonorità “classiche”. Con glissando e suoni instabili, in continuo movimento, sembra addirittura di non avere più sul palco quattro sassofoni ma gli strumenti tipici della cultura iraniana e curda, come il duduk. Anche con questo brano il quartetto dimostra la sua abilità e apertura nei confronti di tutte le sonorità possibili.

Ancora una volta, dunque, la commissione del Premio Giubergia non delude. Nonostante non tutti gli spettatori siano riusciti a cogliere la sensibilità e la bravura dei giovani sassofonisti, il concerto ha rivelato le numerose sfumature che la musica può assumere, confermando l’importanza della commistione di differenti culture.

A cura di Ottavia Salvadori

Grigory Sokolov: un inno alla musica sull’altare del Lingotto

Quando la musica trasforma la sala da concerto in un vero e proprio tempio, quasi sacro, gli elementi esibizionisti e l’esteriorità dei gesti diventano superflui. La musica diventa un flusso continuo, l’attenzione si concentra sui suoni precisamente eseguiti e calibrati in ogni singolo parametro portando così lo spettatore ad assumere un atteggiamento di completa devozione nei confronti di quello che succede sul palco.

Questo è proprio quanto accaduto all’auditorium Lingotto «Giovanni Agnelli»,l’8 novembre 2023 in una serata realizzata in collaborazione tra Lingotto Musica e Unione Musicale.
Ancora una volta la sala torna a vedere tutti i suoi posti a sedere occupati: i biglietti per il concerto del grande pianista Grigory Sokolov sono sold out.

Nel 1966, a soli sedici anni, Sokolov vince il Primo Premio al Concorso Internazionale Čajkovskij di Mosca guadagnandosi grande fama internazionale. Lo studio del pianoforte inizia, però, già all’età di cinque anni per poi procedere, due anni dopo, con l’ammissione al conservatorio di Leningrado. Consueto collaboratore di prestigiose orchestre come la Philharmonia Orchestra, decide di dedicarsi alla carriera solistica. Considerato uno dei più grandi pianisti di oggi, Sokolov è conosciuto per la sua totale devozione nei confronti della musica, per la sua grande attenzione – quasi maniacale – dei dettagli e per il suo repertorio che vede spaziare dalla polifonia medievale al repertorio classico-romantico fino ad arrivare al Novecento. Negli ultimi anni lascia però spazio a concerti cameristici incentrati su brani più intimi prediligendo compositori come Bach, Chopin, Beethoven, Mozart, Schubert.

Dalla pagina web di Lingotto Musica

Non una parola e non un gesto fuori posto, Sokolov sale sul palco e, dopo un inchino, senza alcun tentennamento appoggia le mani sulla tastiera del pianoforte e immediatamente dà avvio ad un programma bachiano senza soluzione di continuità che coinvolge il pubblico in un vero e proprio rito. Nessuna pausa e nessuna parola, solo la musica che diventa protagonista facendo quasi dimenticare che sul palco c’è un soggetto in carne ed ossa.

Le note fluiscono con scale veloci, trilli, cromatismi delicati che Sokolov riesce a rendere con una freddezza tecnica ed espressiva che dimostra perfettamente il suo approccio alla musica: rigore e un intenso studio dei brani. La sua tecnica e rigidità paradossalmente però riescono a trasmettere qualcosa al pubblico, che resta tutto il tempo con gli occhi fissi su di lui.
Gli accordi e le singole note acquistano vita propria grazie all’abilità di Sokolov di creare polifonie che sembrano modificare il timbro del pianoforte, trasformando anche i suoni più leggeri, delicati e impalpabili in sostanza consistente. La sua abilità nel modulare perfettamente l’intensità di ogni singola nota , di avere una precisissima sensibilità nella pressione dei tasti, dà vita ad un pianissimo di grandissimo effetto che sospende il fiato del pubblico.

Con il prosieguo della serata, Sokolov porta sul palco la Sonata n.13 e l’Adagio K540 di Mozart dimostrando la sua maestria nell’interpretazione della complessa struttura mozartiana. L’esecuzione ricca di dettagli e sfumature trasporta gli spettatori all’interno di un’intensa gamma di emozioni: come ipnotizzati o in uno stato di catarsi, si lasciano trasportare dalle note perfette eseguite dal pianista e diventano partecipi di un viaggio che si è trasformato in un’esperienza sempre più spirituale e profonda.

Dalla pagina web di Lingotto Musica

Per concludere Sokolov non ha deluso le aspettative del pubblico che attendeva con ansia di sapere quanti bis avrebbe riservato alla platea torinese. Sei piccole miniature poetiche, hanno visto come protagonisti tre compositori di epoche differenti: Rameau, Chopin e Rachmaninov. Il programma si è tinto di un’espressività e di sonorità inesplorate fino a quel momento. Forse più stanco e più libero dalla pressione di dover eseguire perfettamente ogni brano, ha messo da parte la perfezione tecnica per creare emozioni sempre più intense.

Anche le entrate e uscite di scena hanno contribuito a creare la sensazione di partecipare ad un rituale musicale. Il pianista attraverso pochi e semplici movimenti, sempre uguali, ha creato sul palco un ambiente teatrale ed ipnotico. Il suo corpo improvvisamente sembrava essere un automa che eseguiva alla perfezione ogni singolo ingresso e uscita di scena, persino la regolarità dei tempi era scandita con una precisione metronomica. 

Uno spettacolo dunque ricco di emozioni contrastanti, di silenzi devoti, ricco di dettagli curati che hanno contribuito alla realizzazione di un atto di preghiera nei confronti di compositori che ci hanno lasciato in eredità grandi opere.

A cura di Ottavia Salvadori

C2C: Torino diventa capitale italiana dell’Avant Pop

Che il C2C sia uno dei festival italiani più attesi all’anno lo si può notare dalla quantità di spettatori giunti, nelle giornate di venerdì 3 e sabato 4 novembre, a Lingotto Fiere. Per l’occasione i padiglioni hanno cambiato veste grazie alle installazioni luminose, creando la giusta atmosfera per l’immersione totale in un altro mondo. Due palchi, il main e lo Stone Island, che ospitano un’eterogeneità di artisti più o meno conosciuti della scena avant-pop ed elettronica. Da anni il festival riconferma la sua mission: essere un punto di riferimento, in Italia, per gli amanti di una certa estetica sonora. E ci riesce benissimo.

C2C
Foto di Elisabetta Ghignone

Dopo il dj set nella giornata di giovedì, ritroviamo Caroline Polacheck tra i big del venerdì. Presentando alcuni dei brani del suo ultimo lavoro discografico, ha dato vita ad uno spettacolo etereo, come la sua voce, andando a confermare il successo sempre più crescente della cantautrice statunitense. In molti hanno comprato il biglietto solo per assistere al suo live, arrivato per la prima volta sul suolo italiano. A seguirla gli Overmono, il duo gallese formato dai fratelli Russell. Un misto di dance, drum and bass, hip hop e altri generi elettronici, con il loro live hanno fatto ballare l’intera platea presente. In molti lo acclamano come miglior momento della serata. In chiusura troviamo Evian Christ, dj e produttore inglese, che apre il suo set con l’inno della Champions League.

C2C
Foto di Martina Caratozzolo

Parallelamente sul Stone Island Stage, coperti da altissime colonne di casse, vari dj si contengono la parte più “ballereccia” di questo festival. Dall’ambient notturno degli Space Afrika all’elettronica Berghain style di Avalon Emerson, il popolo del Club to Club balla ininterrottamente, senza accennare stanchezza, come se fossero del tutto ignari delle ore passate sotto cassa. La serata si chiude con un senso di euforia generale, ma anche di stanchezza vista la tarda ora. Per molti l’esperienza del C2C finisce qui, ma per altri è solo l’inizio di quello che li aspetterà il giorno successivo.

C2C
Foto di Martina Caratozzolo

Sabato inizia con il ritorno più atteso di questa ventunesima edizione, quello dell’eclettico Yves Tumor. L’artista statunitense non si risparmia nel dar vita ad un live spettacolare, completamente fuori dagli schemi. Peccato fosse un po’ penalizzato per l’acustica, che non ha permesso di far godere appieno quanto succedeva sul palco. A seguirlo un altro nome super atteso: King Krule. Con un live emozionante che ripercorreva tutta la sua carriera, ha raccolto tutti i presenti (o quasi) sotto al main stage. Dopo di lui, Flying Lotus e di Moodymann hanno infiammato la serata. Il primo ha selezionato per il suo set alcuni dei brani dai suoi ultimi dischi Yasuke e Flamagra, con tanto di trasformazione nel suo alterego rap per regalarci un’esibizione in pieno stile Flying Lotus. Il secondo prende al volo l’eredità lasciata dal suo predecessore e continua a far ballare l’intera platea, che nonostante la stanchezza non ha alcuna intenzione di lasciare il proprio posto. Menzione d’onore per i ledwall, sui quali si sono susseguiti video e animazioni generate con l’Intelligenza Artificiale, che hanno reso l’atmosfera ancora più coinvolgente.

C2C
Foto di Elisabetta Ghignone

Si concludono così i live del Lingotto Fiere, che lasceranno il posto alla giornata finale di domenica alle OGR. Anche con questa edizione, il C2C si riconferma uno tra i migliori festival musicali a livello internazionale. Lo dicono i numeri tra ospiti e spettatori presenti, alcuni dei quali venuti appositamente a Torino. E il motivo di tanto successo è da ricercare nell’atmosfera complessiva che regala; infatti, è difficile non sentire un po’ di nostalgia appena le luci si spengono definitivamente.

A cura di Erika Musarò

Foto copertina di Elisabetta Ghignone

Concerti Fuorisede: gli Aso e i Frenesi al Blah Blah

Scritte sui muri, poster di rock band e odore di birra: il Blah Blah di via Po si presenta così al pubblico che sfida la minaccia pioggia pur di esserci alla prima serata della rassegna “Concerti Fuorisede”. Il 14 settembre ha avuto inizio un nuovo format che ogni mese vedrà esibirsi band ed artisti emergenti in diversi locali torinesi. La prima serata ha visto come protagoniste due band: gli Aso e i Frenesi.

Gli Aso, direttamente da Lecco e per la prima volta in Piemonte, suonano un rock che definiscono «brutto e sporco» per via del sound grezzo. L’inizio strumentale in crescendo incuriosisce il pubblico, che si avvicina timidamente al palco. I loro brani, per lo più inediti non ancora pubblicati, sono in italiano e rimangono impressi in chi li ascolta per via dei giri di basso ostinato e per la performance energetica della band.

Aso
Gli Aso (credits foto: Elisabetta Ghignone)

Alla fine del loro set Narratore Urbano, artista emergente di Torino nelle vesti di presentatore della serata, chiama sul palco i Frenesi. La band piemontese reduce dall’ultima edizione del Premio Buscaglione porta sul palco diverse cover, tra cui “Back to Black” di Amy Winehouse e «Love in Portofino» di Fred Buscaglione, che avevano portato in gara proprio durante il premio, durante il quale ogni artista era invitato a suonare un brano di Buscaglione.

Frenesi
I Frenesi (credits foto: Elisabetta Ghignone)

I Frenesi più che una band sono una famiglia e la loro intesa sul palco è ben chiara fin dalle prime note, tra scherzi e sorrisi. La frontman Martina intona i brani con la sua voce calda e presenta “Organico”, l’ultimo singolo uscito lo scorso giugno. I loro testi trattano tematiche impegnate, come il problema ambientale o la violenza di genere, e hanno come scopo quello di far riflettere le persone attraverso la musica.

Frenesi
I Frenesi (credits foto: Elisabetta Ghignone)

La serata si conclude tra le note di “Love’s stranger” dei Warhaus, ma lo show si sposta al di fuori del locale, dove le band scambiano quattro chiacchiere con chi è venuto ad ascoltarli.

Un buon inizio per una rassegna che nasce con lo scopo di dare spazio agli artisti emergenti di Torino e non solo. Per restare aggiornati sulle prossime date in programma vi consigliamo di seguire il profilo Instagram di “Concerti Fuorisede”.

A cura di Martina Caratozzolo

La musica classica riparta da Piazza San Carlo

L’OSN Rai e Stefano Bollani per MiTo Settembre Musica 2023

MiTo SettembreMusica è la dimostrazione che la musica sinfonica piace ancora, ma deve essere a un prezzo accessibile. Nella serata di sabato 9 settembre, oltre 5000 persone si sono riunite in Piazza San Carlo per New York, New York, concerto il cui programma ruotava proprio intorno agli ambienti e alle atmosfere della Grande Mela. 

L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Juraj Valčuha – attualmente direttore d’orchestra della statunitense Houston Simphony – ha fatto vivere al pubblico molto diversificato un’esperienza di ascolto riservata ormai ai pochi habitué della musica classica, suscitando grandi applausi ed espressioni meravigliate anche fra i numerosi bambini e adolescenti presenti. 

Sabato 9 settembre 2023 Piazza San Carlo MITO SettembreMusica TO -NEW YORK, NEW YORK Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Juraj Valčuha, direttore Stefano Bollani, pianoforte Foto: Gianluca Platania

Partendo dal newyorkese (di adozione) per eccellenza Leonard Bernstein con l’Ouverture dell’operetta comica Candide – tratta dall’omonima novella di Voltaire –, passando per la prima esecuzione italiana di Red da Color Field, composizione per orchestra ispirata al quadro “Orange, Red, Yellow” del pittore Mark Rothko e al concetto della sinestesia (l’accostamento di un suono a un colore) della compositrice contemporanea Anna Clyne, si è arrivati a Stefano Bollani, applauditissimo, che sul palco in un total white che mette particolarmente in risalto la sua figura. 

Sabato 9 settembre 2023 Piazza San Carlo MITO SettembreMusica TO -NEW YORK, NEW YORK Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Juraj Valčuha, direttore Stefano Bollani, pianoforte Foto: Gianluca Platania

Inizia così l’esecuzione di Rhapsody in Blue di George Gershwin, il manifesto per eccellenza della New York anni Venti, in cui Bollani spicca non solo per le sue indiscusse doti da pianista, ma anche per la sua travolgente energia: il jazzista saltella, alza una gamba, si ferma, riparte, alza l’altra gamba. La folla lo applaude, applaude l’orchestra, poi Bollani esegue due bis da solista: America, tratto dal primo atto dell’acclamatissimo musical West Side Story di Bernstein, e la colonna sonora che Nino Rota compose per l’di Fellini. 

La serata si conclude con la Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 “Dal nuovo mondo”, di Antonín Dvořák, così intitolata poiché composta nel periodo in cui il compositore ceco risiedeva negli Stati Uniti: risultano infatti evidenti le suggestioni degli gli spiritual afroamericani e della musica dei nativi americani.

Sabato 9 settembre 2023 Piazza San Carlo MITO SettembreMusica TO -NEW YORK, NEW YORK Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai Juraj Valčuha, direttore Stefano Bollani, pianoforte Foto: Gianluca Platania

Nonostante l’impeccabile esecuzione dei musicisti in una bellissima cornice come quella di piazza San Carlo, purtroppo l’acustica del luogo e il fatto che oltre la metà degli spettatori stesse assistendo al concerto in piedi o seduta a terra, ha impedito di godersi appieno la serata. Molte persone hanno cominciato ad andare via subito dopo la performance di Bollani, altre ancora hanno deciso che un concerto era l’occasione giusta per videochiamare zii e cugini. I più concentrati? I bambini, impegnati a dirigere l’orchestra da lontano, seduti sulle spalle dei genitori, o a improvvisare qualche balletto. 

Insomma, a chi non ha speranze negli adulti del futuro possiamo dire di stare tranquilli, perché anche loro sono capaci di apprezzare la bellezza della musica. Forse bisognerebbe riflettere maggiormente sulla necessità di educare all’ascolto gli adulti di adesso… E magari aggiungere qualche sedia in più al prossimo concerto in piazza.

Foto in evidenza: Gianluca Platania per MITO SettembreMusica

A cura di Ramona Bustiuc

TOdays Festival: DAY TWO

Con le note della prima serata nell’aria, il pubblico torinese si appresta ad assaporare la seconda giornata della nona edizione del TOdays Festival. L’attesa per le band e gli artisti si percepisce fin dal pomeriggio di sabato 26 agosto: una gremita folla si riunisce con anticipo ai cancelli per accedere all’area concerto. Niente più biglietti in cassa, l’evento è sold out per i Gilla Band, Anna Calvi, gli Sleaford Mods e i Verdena.

Sono le 18:30 precise quando la prima band sale sul palco. Gli irlandesi Gilla Band, fino a qualche tempo fa chiamati “Girl Band”, portano tutta la loro energia post-punk. Rumorosi, dissonanti, acidi: si potrebbe riassumere così la loro musica. Dal 2011 i Gilla Band portano avanti un progetto influenzato dall’analisi introspettiva del proprio leader Dara Kiely, che ha a lungo affrontato problemi di salute mentale. La setlist della band, per lo più composta dai brani dell’ultimo album Most Normal (2022), viene percepita come un breve delirio sonico per orecchie abituate a suoni distorti, tant’è che le versioni registrate dei loro brani appaiono a tratti disturbanti, ma che live funzionano benone. Assieme ai Fontaines D.C. sono uno dei gruppi post-punk irlandesi da tenere sott’occhio. Una personalità ben definita e dirompente che convince gli spettatori.

I Gilla Band (credits foto: Martina Caratozzolo)

Congedato il delirio selvaggio dei Gilla Band, è già tempo di ascoltare la prossima artista. Il mood prende una piega totalmente differente con Anna Calvi. La cantautrice britannica si presenta sul palco imbracciando la sua inseparabile Telecaster, con la quale sfoggia tutta la sua tecnica chitarristica. La classe e l’eleganza dell’artista sono una costante per tutto il live, che fila lascio a ritmo dei brani più amati della sua discografia: “Desire”, “Don’t Beat The Girl Out of My Boy”, “Hunter” per citarne alcuni. Il pubblico ascolta rapito e applaude approvando pienamente quanto ascoltato.

Anna Calvi (credits foto: Martina Caratozzolo)

Cala il buio su Torino ed è il momento del progetto più sperimentale dell’intera line-up del festival: gli Sleaford Mods. Già passati dal TOdays nel 2019 – in quell’occasione quasi in sordina, tra le proposte secondarie e non tra gli artisti del main stage –. Sta di fatto che, ogni volta che si esibiscono, sanno bene come catturare l’attenzione. Un duo insolito e grottesco quello composto dalla voce di Jason Williamson e dal musicista ed interprete Simon Parfrement. Quest’ultimo non suona nessuno strumento, ma si limita a seguire la voce rap e sboccata del suo compagno musicale con movenze impetuose e maldestri accenni di danza, il tutto accompagnato da una battente base elettronica e una punk attitude. Williamson ricorda lo stile di Liam Gallagher: non musicalmente, ma nell’atteggiamento sfacciato e nel modo in cui si approccia al microfono, con le mani incrociate dietro la schiena. Tramite la loro musica gli Sleaford Mods vogliono dare voce alle ingiustizie sociali e agli emarginati della società: è questo il messaggio del loro ultimo lavoro UK Grim, uscito lo scorso marzo, che gli spettatori approvano scatenandosi assieme a loro.

Gli Sleaford Mods (credits foto: Martina Caratozzolo)

L’allerta pioggia, poi scongiurata, fa anticipare di mezz’ora l’ultimo live della band probabilmente più attesa: i Verdena. I fratelli Ferrari e Roberta Sammarelli sono accompagnati in tour dal chitarrista Carlo Maria Toller dei Jennifer Gentle, che prende spazio sul palco assieme a loro. Tre, due, uno, via! Si parte con “Paul e Linda” direttamente dall’ultimo album Volevo Magia (2022). Tra successi immortali come “Luna”, “Angie” e “Muori Deelay” e brani più recenti i Verdena si dimostrano in serata e confermano di essere la band alternative rock italiana per eccellenza, capace di mettere d’accordo un pubblico di tutte le età, che poga ma allo stesso tempo si emoziona. Stupiscono con “Il Gulliver”, brano di quasi dodici minuti tratto da Requiem (2007). La ciliegina sulla torta si poteva mettere con un finale migliore, che invece è frettoloso e insapore: la band bergamasca non suona “Valvonauta”, uno dei brani più amati, ma termina con “Miglioramento”, non esattamente il brano che ci si aspetterebbe come ultimo in scaletta. Il pubblico li incita a tornare sul palco per un bis, ma loro sono probabilmente già in camerino. I Verdena sono anche questo e i fan lo sanno. Croce e delizia.

I Verdena (credits foto: Martina Caratozzolo)

La serata giunge al termine in anticipo rispetto al day one, ma anche in questo caso ci si può ritenere ampiamente soddisfatti di quanto vissuto.

A cura di Martina Caratozzolo

TOdays Festival: DAY ONE

Da nove anni, a fine agosto, Torino ha un’energia diversa. L’energia di chi, affidandosi con fiducia alle scelte della direzione artistica, decide di vivere tre giornate all’insegna della musica al TOdays Festival. Un pubblico di fedelissimi che si ritrova di edizione in edizione nella periferia nord della città per godere di una line-up composta per lo più da nomi internazionali e lontani dai circuiti maistream.

Nel torrido pomeriggio di venerdì 25 agosto migliaia di persone hanno gremito l’open space di sPAZIO211 per la prima delle tre giornate di festival. Il caldo non ha frenato l’entusiasmo di un pubblico eterogeneo accorso da svariate parti d’Italia e dall’estero per una line-up per tutti i gusti. I King Hannah, Les Savy Fav, i Warhaus e i Wilco hanno dato il via alla prima delle tre serate di musica. Con una puntualità quasi svizzera i King Hannah sono i primi artisti a salire sul palco. Il duo di Liverpool composto da Hannah Merrick e Craig Whittle ha scaldato l’atmosfera portando live l’album d’esordio I’m Not Sorry, I Was Just Being Me uscito nel 2022. La loro prima volta a Torino e in Italia ha lasciato il segno: il loro sound dream pop ha trasportato gli spettatori in un’atmosfera onirica e fluttuante. I loro punti di forza sono i bassi profondi e la voce magnetica e sensuale di Hannah Merrick, capace di tenere incollato il pubblico. C’è spazio anche per una cover di “State Trooper” di Bruce Springsteen, ovviamente riarrangiata nel loro stile.

I King Hannah (credits foto: Martina Caratozzolo)

Breve pausa per poi riprendere con una band dalla personalità alquanto frizzante. Les Savy Fav salgono sul palco e lo show del frontman Tim Harrington ha inizio. Statunitense di nascita, vichingo d’aspetto, Harrington si presenta con la barba tinta d’arancione per l’occasione. L’impatto visivo era già di per sé considerevole, ma ciò che segue lo sarà ancora di più. Il frontman, munito di microfono con cavo lungo una ventina di metri, lascia il palco per confondersi tra il pubblico, creando dei simpatici siparietti con chiunque gli si presenti davanti – fotografi compresi – ma continuando ad intonare i brani con un cantato sporco di ascendenze hardcore. Un vero e proprio show, al limite tra il comico e il grottesco dato che il frontman resta in boxer, ma che diverte e anima gli spettatori. La musica della band di Brooklin, però, passa in secondo piano dato che il tutto risulta tutto un po’ caotico. Di primo acchito le sonorità dei Les Savy Fauv si potrebbero ricondurre a quelle dei Pixies e dei Fugazi. Non ci sono vie di mezze, musicalmente o li ami o li odi (con molto affetto anche in quest’ultimo caso dato i personaggi).

Tim Harrington di Les Savy Fauv (credits foto: Martina Caratozzolo)

Il momento strappacuore si ha con i Warhaus, band belga capitanata da Maarten Devoldere, che con la sua altra band, i Balthazar, era già passato dal TOdays nel 2019. In quest’edizione, però, è tornato con tanti cambiamenti alle spalle: un nuovo album e, soprattutto, il cuore spezzato. Ebbene, sì, l’ultimo disco Ha Ha Hearbreaker nasce da una cocente delusione amorosa del frontman, che per esorcizzare il dolore ha deciso di scrivere l’intero album in una stanza d’hotel a Palermo, lontano dai riflettori. Il risultato sono dieci brani convincenti, dove si passa dalla sofferenza all’accettazione, che live hanno il potere di emozionare, complice anche l’interpretazione sentita e sensuale di Devoldere. “Love’s stranger”, probabilmente il brano più conosciuto della band, fa muovere il bacino al pubblico, che successivamente si lancia nell’intonare all’unisono la melodia di “Open Window”, dopo che la band l’ha a lungo suonata nella parte strumentale finale.

I Warhaus (credits foto: Martina Caratozzolo)

A chiudere la prima serata ci hanno pensato gli headliner: i Wilco. La band statunitense in attivo dal 1994 ha suonato a Torino nel giorno del cinquantaseiesimo compleanno del suo leader Jeff Tweedy. C’è chi usa una scenografia vistosa per ampliare l’impatto della performance, e c’è chi, punta tutto sulle canzoni, sul suono, senza troppe parole o fronzoli. I Wilco fanno esattamente questo: suonano. E lo fanno molto bene. Dopo essersi allontanati dalla pesante etichetta country che limitava agli esordi la complessità del loro sound, i Wilco sono tornati nel 2022 con un album dal titolo quasi ironico: Cruel Country, ad indicare ironicamente la loro vena country ritrovata, vedasi il brano “Falling Apart (Right Now)”. A sPAZIO211 fila tutto liscio, ma forse addirittura un po’ troppo. La scaletta risulta a tratti piatta e senza momenti di picco emotivo. Una sensazione condivisa da chi, però, non ha macinato ascolti su ascolti della loro discografia. Al contrario, chi è in confidenza con la loro musica non può che aver apprezzato l’abbondante ora di concerto, perché i Wilco sono esattamente questo: un sound piacevole, perfetto per i momenti chill o per i viaggi in macchina. “California Stars” ha trascinato il pubblico negli US, nonostante fossimo a Torino e “Evicted”, il nuovo singolo che anticipa l’uscita a settembre del nuovo album Cousin, ha convinto il pubblico.

I Wilco (credits foto: Martina Caratozzolo)

Sulla via di casa i fan si scambiano pareri e sensazioni, fanno una personale classifica di gradimento degli artisti ascoltati o semplicemente si godono in silenzio le emozioni lasciate dalle cinque ore abbondanti di musica. I riflettori si spengono momentaneamente alla fine della prima serata, in attesa di ascoltare le band della seconda e farsi ancora una volta coinvolgere dalle loro sonorità.

A cura di Martina Caratozzolo