#PLAYITSAM : “Empire of the Sun” di Steven Spielberg

The ceremony of innocence is drowned (W. B. Yeats)

Se c’è un compositore che più di tutti è stato il cantore del sentimento della nostalgia, questo sicuramente è Fryderyk Chopin. Il cinema ne ha fatto un uso pressoché costante lungo tutta la sua storia, ma uno dei film che ha saputo cogliere con maggiore felicità le possibilità espressive offerte dall’universo musicale del compositore polacco è stato Empire of the Sun (1987) di Steven Spielberg.

La vicenda, in effetti, sembrerebbe indicarlo subito come la colonna sonora ideale: nel 1941 un bambino che vive una vita felice in una ricca famiglia inglese trapiantata a Shangai viene separato dai suoi genitori a causa dall’avanzata militare giapponese nella Seconda guerra mondiale e fatto prigioniero in un campo in Giappone, dove rimarrà fino a Hiroshima e Nagasaki. Tuttavia, quella che sembrerebbe la musica più indicata (e, forse, scontata) viene inserita nell’architettura del film con la massima essenzialità possibile perché siano le immagini a rivelare, nella loro immediatezza, il valore emotivo della lontananza dalla patria, un qualcosa che ai tempi di Chopin, che vive a Parigi lontano dall’amata Polonia, aveva un certo peso, ma che nel contesto della guerra più sanguinosa della storia ne acquista inevitabilmente uno più drammatico. Spielberg sceglie un solo brano, la Mazurka op. 17 n. 4, e ce lo fa sentire per la prima volta suonato al pianoforte dalla mamma del protagonista, Jim. Pur essendo una mazurka in la minore, non esprime disperazione o sconforto, come altre composizioni ben più tragiche nella stessa tonalità (il Preludio op. 28 n. 2, per esempio), ma ha un’ariosità e una luminosità che le conferiscono piuttosto un carattere di dolcezza e malinconia. Sarà il tema musicale legato alla famiglia e alla casa, che Jim di li a poco perderà.

Quando Jim si trova separato dai genitori è ancora troppo piccolo per essere consapevole di quello che gli sta accadendo. Vaga solo per la città, torna nella casa vuota, ma ancora ignaro dell’ombra che la Storia sta gettando sulla sua vita. Un primo momento di vera consapevolezza arriva quando, come nei romanzi di Charles Dickens, il bambino vagabondo si imbatte in due adulti che lo prendono con sé. Lui insiste per portarli nella sua vecchia casa vuota, dove promette loro che troveranno del denaro, ma avvicinandosi alla villa non la trovano più abbandonata: dalle finestre illuminate proviene una musica al pianoforte, la stessa Mazurka che suonava la madre di Jim, che immediatamente la riconosce, esclama “Sapevo che sarebbe tornata!” e si precipita all’ingresso dove, invece della mamma, trova un soldato giapponese che lo fa prigioniero, insieme ai due uomini che pesta davanti ai suoi occhi. Non sappiamo se il soldato stesse effettivamente suonando il pianoforte o se la musica fosse un’allucinazione di Jim, ma in ogni caso la nostalgia ha agito sullo svolgersi degli eventi.

D’ora in avanti, Chopin non lo sentiremo mai più. Anzi, per tutto il cuore del film, nel campo di prigionia in Giappone, non vedremo mai un pianoforte: in questo caso la nostalgia non è provocata da una musica che ricorda un passato felice, ma direttamente dall’assenza di musica. Anche di questo, Jim, sempre a metà tra un’incoscienza ancora infantile e una sempre maggiore consapevolezza di sé e del mondo, sembra non accorgersi. Pur sentendo la mancanza dei propri genitori, nel campo ha trovato altre persone con le quali sentirsi parte di una famiglia. Tra queste, c’è una coppia di coniugi, i Victor, con cui condivide la baracca, e che gli fanno, nei limiti del possibile, da mamma e papà. Il pianoforte ritornerà solo poco prima della fine del film, quando questa “nuova mamma”, durante l’esodo dal campo, ne trova uno, bianco, abbandonato in un magazzino a cielo aperto, ma non suona Chopin, perché quella Mazurka è legata alla vera mamma e a un passato irraggiungibile (si tratta invece di un brano scritto appositamente da John Williams). Tuttavia, basta il suono dello strumento a far comparire, poco più avanti, la vecchia automobile di famiglia, finita lì per caso, come se il passato si stesse lentamente ricomponendo.

Quello che accade di lì a poco toglie definitivamente a Jim ogni residuo di infanzia; la sua crescita arriva a compimento con la fine della guerra, quando si rende conto che la sua umanità è rimasta a galla mentre intorno a lui, per il mondo reduce dal disastro, la cerimonia dell’innocenza è sommersa.

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