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Dall’oscurità alla luce: il Trittico di Puccini

Dopo la presentazione del 12 giugno tenuta da Susanna Franchi al Piccolo Regio, il Trittico è andato in scena il 18 giugno per l’Anteprima Giovani. L’opera è formata da tre atti unici: Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi composte da Giacomo Puccini (su libretto di Giacomo Adami per Suor Angelica e Il Tabarro mentre il testo di Gianni Schicchi e di Giovacchino Forzano) tra il 1913 al 1918. La prima rappresentazione è avvenuta il 14 dicembre del 1918 al Metropolitan Opera di New York.

Le vicende nel Tabarro narrano un dramma ambientato su di una chiatta sulla Senna a Parigi. Racconta la storia di gelosia e omicidio del triangolo amoroso tra Michele, Giorgetta e l’amante Luigi.
Suor Angelica porta in scena un soggetto con tono lirico e drammatico ambientato in un convento. La trama segue la storia della protagonista Suor Angelica, la quale è stata costretta a prendere i voti dopo aver avuto un figlio illegittimo. Dopo la scoperta della morte del figlio, la donna compie un atto disperato di suicidio, seguito da una visione di redenzione. Gianni Schicchi è una commedia vivace basata su un episodio dell’Inferno di Dante Alighieri. Racconta le vicende del protagonista Gianni Schicchi, uno scaltro popolano che inganna una famiglia per assicurarsi l’eredità di un ricco defunto a favore della figlia e del suo amante.

L’ouverture viene eseguita a sipario chiuso per introdurre i principali temi musicali preparando il pubblico all’esperienza narrativa che seguirà.
Il regista Tobias Kratzer e lo scenografo Rainer Sellmaier propongono nel Tabarro un allestimento dalle tonalità scure ed ombrose.
Sono presenti quattro quadranti in rimando all’impaginazione dei fumetti, in cui si svolgono le vicende dei protagonisti accompagnati dai cantanti del coro: il primo quadrante in alto a destra presenta la struttura della chiatta con sfondo rosso di immagini di grattacieli, il secondo in basso a destra raffigura la stiva con sfondo bianco, il terzo in alto a sinistra rappresenta una cabina con un letto e una televisione con sfondo arancio e nel quarto quadrante in basso a sinistra abbiamo il boccaporto in cui si staglia la visione della chiatta nel mare con sfondo azzurro. Ed infine sul lato destro abbiamo incorporata nella struttura scenografica una televisione, che trasmette al pubblico una sitcom che è vista dallo stesso Michele nel Tabarro, che fa da filo conduttore in rimando a Gianni Schicchi con la morte di Buoso Donati.

Il Tabarro

Per Suor Angelica la scelta scenografica è ricaduta sull’utilizzo di un video in bianco e nero con qualche accento di colore rosso delle immagini: sullo sfondo un cortometraggio della vita monastica condotta dalle suore; che viene scandita in ogni ora del giorno. Intanto le cantanti primarie e il coro femminile si trovano sedute in scena, in rimando al giardino del convento. Il video viene frammentato dall’arrivo di un giornalino proibito che viene consultato da una suora (oggetto del peccato che rimanda alle vicende scabrose che si sono susseguite precedentemente nel Tabarro) e dal desiderio compiuto di un’altra suora nel voler mangiare cibo non consentito come la cioccolata (evidente il rimando al terzo cerchio dei golosi dell’Inferno di Dante Alighieri nella Divina Commedia).

Suor Angelica

In Gianni Schicchi la scenografia è costituita del pubblico seduto sulle
gradinate in scena, che osserva da “voyeur” la storia della famiglia come se fosse in uno studio televisivo. In scena vengono inseriti oggetti per simulare la casa del morente Buoso Donati: un mobile smontabile in più parti, vettovagliamento, asciugamani, un giradischi e un frigorifero colmo di bottiglie di vino. Il cast dei cantanti inizia a smontare la scena alla ricerca del testamento nascosto da Buoso Donati nella busta del disco di Suor Angelica e intanto arriva Gianni Schicchi per la risoluzione dei problemi; il quale sposta il cadavere del morto tra il pubblico fingendosi egli stesso il malato per poter mettere su carta le ultime volontà testamentarie a favore della figlia e del suo amante. Il finale si conclude con l’arrivo in scena dall’alto di una lussuosa vasca idromassaggio in cui i due amanti amoreggiano divertiti.

Gianni Schicci

Bern Purkrabek, alla luminotecnica, è stato in grado di far immergere lo spettatore grazie al contrasto tra il buio delle scene e i giochi di luci colorate all’interno dei blocchi nel Tabarro, l’utilizzo di luci bianche fredde in Suor Angelica per esaltare il video sullo sfondo e per ricreare una dimensione intima e castigata in rimando alla vita di clausura delle suore, mentre in Schicchi le luci sono tutte puntate sui cantanti per esaltare la frenesia e la concitazione delle scene.

Grande lavoro è stato svolto dal Coro del Teatro Regio con la direzione di Ulisse Trabacchin e dalle Voci Bianche dirette da Claudio Fenoglio: pur non essendo così compresenti in scena, hanno saputo esaltare la dicotomia dei sentimenti contrastanti “del bene e del male” dei protagonisti in tutte le sfaccettature e hanno saputo dar voce ad ogni singola emozione provata.
Giorgetta insoddisfatta della vita di coppia (interpretata dal soprano Elena Stikhina) moglie di Michele, proprietario della chiatta (interpretato dal baritono Roberto Frontali) il quale teme che la moglie lo tradisca con il giovane scaricatore Luigi (interpretato dal tenore Samuele Simoncini).
Suor Angelica è la protagonista, una giovane suora dal passato doloroso (interpretata dal soprano Elena Stikhina) avrà un duro scontro con la Zia Principessa (interpretata dal contralto Anna Maria Chiuri) ricevendo conforto dalla suora amica Genovieffa (interpretata dal soprano Lucrezia Drei).

Suor Angelica

Gianni Schicchi popolano fiorentino (interpretato dal baritono Roberto Frontali) che ha abilità nel risolvere con astuzia i problemi, viene chiamato dalla famiglia Donati per modificare il testamento del defunto Buoso Donati e destinando tutti gli averi alla giovane figlia Lauretta (interpretata dal soprano Lucrezia Drei) innamorata di Rinuccio nipote del Buoso (interpretato dal tenore Matteo Mezzaro).
I cast dei cantanti nel Trittico hanno saputo rendere giustizia alle tre opere messe in scena grazie alla grande abilità vocali e interpretative. Particolare nota al soprano Elena Stikhina nel Tabarro e in Suor Angelica per il bellissimo timbro vocale, alla significativa morbidezza nell’emissione dei suoni e all’abilità nei filati, in Gianni Schicchi al soprano Lucrezia Drei per il raffinato registro centrale, alla grande facilità di emissione degli acuti e nell’emissione dei pianissimi ed infine al baritono Roberto Frontali per la grande esperienza maturata in carriera sia vocalmente parlando che per la grande presenza scenica.

Gianni Schicci

La direzione orchestrale è stata affidata alle mani sapienti del direttore d’orchestra Pinchas Steinberg, ha espresso una da una profonda comprensione delle dinamiche orchestrali e dai giochi di colore tra le opere mantenendo una coesione stilistica complessiva: nel Tabarro ha saputo definire un’atmosfera cupa attraverso la gestione degli archi e degli ottoni, in Suor Angelica ha creato una dimensione lirica e contemplativa grazie all’impiego dei legni e degli archi ed infine in Gianni Schicchi ha ottenuto un suono brillante grazie agli strumenti a fiato per sottolineare i momenti ironici e di scherno.
Nel Trittico, vengono trattati temi unificanti e disgreganti come l’amore, la passione, la morte e la redenzione: l’amore coniugale in crisi nel Tabarro che si conclude con un omicidio, l’amore materno e il desiderio di redenzione in Suor Angelica che si conclude con un suicidio sperato nella redenzione, o l’amore giovane e spensierato tra Lauretta e Rinuccio in Gianni Schicchi con la morte di Buoso Donati attorno a cui ruotano gli inganni.

A cura di Angelica Paparella

“La meglio gioventù”: presentata la nuova stagione del Regio

La stagione d’Opera e Balletto del Teatro Regio 2024/25 è all’insegna de La meglio gioventù, dal titolo della raccolta di poesie di Pasolini e dall’omonimo film di Marco Tullio Giordana. Dodici allestimenti, di cui sette inediti, dove le complesse sfaccettature di una gioventù frivola e nostalgica, ma anche conflittuale e provocatoria, faranno da filo conduttore. Un invito a vivere profondamente il presente anche nella sua fugacità che il Sindaco della Città di Torino e Presidente della Fondazione Teatro Regio Stefano Lo Russo con il Sovraintendente Mathieu Jouvin e il Direttore artistico Cristiano Sandri rivolgono in particolar modo alle nuove generazioni per appassionarle alla magia del teatro d’opera.

Si inaugurerà il 1° ottobre con Manon Manon Manon: un’inedita trilogia di Manon Lescaut. Auber, Massenet e Puccini proposti in nuovi allestimenti firmati Arnaud Bernard rifacendosi a tre epoche iconiche del cinema francese. Sempre ad ottobre il Regio ospiterà la Conferenza d’Autunno dell’Opera Europa coi suoi 233 membri provenienti da 44 Paesi. Seguirà Le nozze di Figaro: artisti carismatici diretti dallo spagnolo Emilio Sagi porteranno in scena la piacevolezza di una gioventù ingenua e impetuosa nella sua sfida sociale e forza ribelle. Dicembre, come da tradizione, è dedicato al Balletto. Quest’anno il Balletto dell’Opera di Tblisi, coreografato da Nina Ananiashvili e Aleksej Fadeečev, proporrà Giselle e Lo schiaccianoci in allestimenti ispirati alle fiabe ottocentesche, nella loro visione magica del mondo attraverso gli occhi della giovinezza. Tre spettacoli straordinari di Bolle and Friends inaugureranno il 2025.

Il 2025 operistico inizierà il 28 gennaio con L’elisir d’amore di Donizzetti che commuoverà come ai suoi esordi nel 1832, oggi proposto in cooperazione col Teatro Regio di Parma e diretto da Daniele Menghini. Seguirà il Rigoletto di Verdi in cui la giovane passione dei protagonisti dovrà affrontare crudeltà e cinismo nel nuovo allestimento di Leo Muscato. Ad aprile La dama di picche di Cajkovskij dove passioni, ambizioni, conflitti, vizi e follia verranno messi in scena nell’allestimento di Richard Jones. A maggio l’opèra romantique Hamlet, nuova produzione di Ambroise Thomas ispirato alla tragedia shakespeariana, rifletterà sul conflitto generazionale e la lotta per l’autonomia e l’indipendenza.Infine l’Andrea Chènier di Giordano: tumulti e cambiamenti ambientati durante la Rivoluzione francese in un nuovo spettacolare allestimento di Giancarlo del Monaco. Conferenze-concerto a ingresso libero, condotte dalle giornaliste Susanna Franchi e Elisa Guzzo Vaccarino e dalla musicologa Liana Puschel, permetteranno di incontrare gli interpreti affiancati da giovani cantanti del Regio Ensemble.

Una programmazione attenta in particolare ad un pubblico di giovani che potranno inoltre usufruire delle Anteprime Giovani riservate agli under-30. Una riorganizzazione dei settori di sala e una nuova e vantaggiosa politica dei prezzi renderanno più accessibile ai giovani, e non solo, coltivare la passione o incuriositi aprirsi a nuove esperienze artistiche. Con queste interessanti premesse, e in attesa di conoscere il cartellone della Stagione sinfonica, possiamo solo dire: andiamo al Regio!

A cura di Joy Santandrea

IL GRANDE RITORNO DELL’OPERA “LE VILLI” A TORINO

Il cartellone del Teatro Regio prosegue – dopo la Bohème, La Rondine e La fanciulla del West – con il suo omaggio a Giacomo Puccini in occasione del centenario dalla morte.
Le Villi, opera d’esordio del compositore, dopo 140 anni dalla sua prima rappresentazione in forma ampliata – in due atti – al Teatro Regio, viene nuovamente messa in scena a Torino in una produzione del regista Pier Francesco Maestrini con la direzione di Riccardo Frizza il 18 aprile 2024 con l’anteprima giovani – format che sta avendo sempre più successo tra gli under 30. Un’opera-ballo di soli due brevi atti, della durata di poco più di un’ora, che coinvolge lo spettatore in una storia d’amore. Come spesso capita gli amori operistici finiscono in una tragedia ma la tragedia de Le Villi viene mascherata da creature leggendarie e notturne che popolano i boschi, contrapponendo così l’idillio iniziale del primo atto al sinistro epilogo del secondo.
Vediamo già un Puccini in grado di mescolare influenze diverse, dall’Italia ottocentesca degli scapigliati al romanticismo tedesco sinfonico (“La tregenda”) fino ad arrivare alle influenze francesi con la danza: il tutto colorato da un clima fantastico-infernale che culmina nella danza delle magiche Villi in un rito di vendetta per l’amore perduto.

Foto dal link https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/le-villi

La regia di Maestrini riesce a trasportare sin da subito lo spettatore nel  clima fantastico ma cupo delle Villi: a sipario aperto vengono proiettate immagini in movimento di una tetra foresta al chiaro di luna, quasi a presagire quanto accadrà nel secondo atto. Un escamotage, quello dello schermo, sia per dividere il proscenio dalla scena, sia per mettere in dialogo quanto avviene nello schermo e ciò che accade dietro. La foresta nera si trasforma presto in un contesto colorato e sognante, con fondali fioriti di sapore vittoriano; non da meno sono i fastosi costumi tipici di un’epoca e una classe borghese che festeggia nella propria residenza: un eden onirico e festoso in cui i personaggi cantano, danzano e sognano. Ben presto però questo clima di festa spensierata si conclude con i rintocchi della campana che introducono il concertato-preghiera. L’intermezzo sinfonico si apre con un voice over narrante che introduce il rito funebre di Anna, morta per amore. Come indicato sul libretto, la scena si svolge dietro al telo-schermo che filtra l’immagine del corteo funebre, accompagnato da immagini video che mostrano una donna-sposa sola in un cimitero. La regia, sacrificando parte del testo della voce narrante, è stata abile nel mostrare il contrasto tra il dolore-morte di Anna e la stanza “peccaminosa” nella quale Roberto è stato attirato: un grande quadro reclinato raffigurante una donna nuda fa da sfondo a danze dal ritmo concitato, di tarantella, che muove i corpi delle amanti di Roberto trasportandoli in una danza frenetica. La resa scenica non appare però concitata come la musica: in un momento di climax di tensioni sessuali date dalla partitura musicale, scena e coreografia risultano un po’ statiche. L’opera si risolve con l’intervento delle Villi, creature fantastiche che rappresentano gli spiriti delle ragazze tradite e morte d’amore. Ballando nelle notti di luna piena, trascinano i traditori verso la morte, aiutando così Anna − divenuta anch’essa una creatura soprannaturale − nella sua vendetta contro Roberto. Anche in questa scena la frenesia del momento è data soprattutto dalla musica, mentre la danza delle Villi, che entrano in scena a sorpresa durante il dialogo tra i due protagonisti, diventa più irrequieta nel momento in cui legano con una corda Roberto per avvicinarlo ad Anna e trasportarlo in un altro mondo, quello della morte. Visivamente molto interessante la scelta di accerchiare Roberto, legarlo e condurlo verso il suo destino ma, complessivamente, i movimenti appaiono un po’ rigidi e codificati.

Foto dal link https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/le-villi

Il cast vocale di questa serata, composto dal soprano Roberta Mantegna (Anna), il tenore Azer Zada (Roberto), il baritono Simone Piazzola (Guglielmo), ha faticato a emergere  sull’impetuosità dell’orchestra. Nella scena finale, l’inquietudine di Roberto e la rivalsa di Anna si sono percepiti maggiormente nei gesti che nell’interpretazione canora. Il coro, guidato da Ulisse Trabacchin, è riuscito ad essere più d’impatto rispetto ai solisti, senza però essere di rilievo poiché coperto anch’esso dal grande sinfonismo orchestrale. L’acustica del Teatro Regio sicuramente non ha aiutato, ma le voci non hanno raggiunto il pubblico in modo incisivo e intenso.

Foto dal link https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/le-villi

I giovani sono stati, anche questa volta, protagonisti della serata: non solo un giovane Puccini, ma anche una sala gremita di giovani ragazzi e ragazze interessati a scoprire qualcosa di più sul mondo del teatro musicale. Per coinvolgere maggiormente il pubblico il Teatro Regio continua, infatti, ad invitare ospiti speciali: l’invitato di questa serata è stato Pietro Morello, giovane pianista e digital content creator che con il suo entusiasmo e felicità ha presentato e raccontato – durante l’intervallo tra un atto e l’altro – la storia de Le Villi e qualche aneddoto sulla vita di Puccini.

L’omaggio al grande operista lucchese continuerà al Teatro Regio con un’ultima opera della stagione: Il trittico dal 21 giugno al 4 luglio.

A cura di Roberta Durazzi e Ottavia Salvadori

Le Invisibili Signore della Musica: un tributo alla creatività femminile

L’8 marzo 2024 presso la nuova sede della Steinway & Sons a Milano, in occasione della Festa della Donna, è stato portato in scena un concerto tutto al femminile richiamando tanti appassionati e i pochi posti resi disponibili dalla Steinway sono andati subito ad esaurirsi.

Grazie alla determinazione di un affiatato gruppo di pianiste e pianisti, formatosi su Facebook durante la pandemia, e con la cura della pianista e musicologa (e narratrice del concerto) Ilaria Borraccetti, nasce il programma “Le Invisibili Signore della Musica”: un viaggio musicale che ci ha portati nel genio di compositrici rimaste ingiustamente nell’ombra della storia della musica.

Attraverso le biografie e le musiche di Mel Bonis, Amy Beach, Cécile Chaminade, musiciste e compositrici a cavallo tra XIX e XX secolo, veniamo guidati in un programma che vuole raccontare la loro vita, la loro musica e la lotta per ottenere un meritato riconoscimento.

L’incipit è venuto da Mel Bonis (1858-1937): compositrice francese. Talento straordinario fin dall’infanzia studiò al Conservatorio di Parigi, dove ebbe come insegnante César Franck. La sua musica, varia e complessa, spazia dal pianoforte alle composizioni orchestrali, dalle opere corali alla musica da camera. Nonostante le difficoltà dell’epoca riservate alle donne-artiste, Bonis è riuscita ad emergere come compositrice di grande talento. Il pianista Cristian Mari al suo debutto, nonostante la visibile emozione, ha eseguito la Berceuse immergendoci in questa ninna nanna cullata.

A seguire qualche brano di Amy Beach (1867-1944): compositrice e pianista americana. Anche lei infant-prodige: già a cinque anni componeva semplici valzer, tant’è che la sua carriera decollò molto presto. Beach divenne una delle prime compositrici americane ad ottenere riconoscimento internazionale per il suo lavoro nella musica colta senza aver studiato in Europa. I suoi lavori spaziano da opere orchestrali e da camera a pezzi per pianoforte e coro. La maestria di Cecilia Ferrari nell’eseguire Desdèmona ha saputo trasmette la drammaticità ispirata dal personaggio shakespeariano e catturata da Amy Beach col suo innovativo gusto musicale e le sue sonorità.

In chiusura di concerto, Cécile Chaminade (1857-1944): compositrice e pianista francese. Iniziò a studiare pianoforte con la madre. Perfezionatasi al Conservatorio di Parigi con Benjamin Godard e Martin Pierre Marsick, presto attirò l’attenzione, e divenne nota sia come pianista virtuosa che come compositrice. Chaminade viaggiò ampiamente in Europa e negli Stati Uniti, e fu la prima donna a ricevere la Légion d’honneur, per il suo contributo alla musica. Nonostante la fama e il successo in vita, il lavoro di Chaminade è stato in parte oscurato nel corso del tempo. Tuttavia, il suo corposo contributo alla musica francese, in particolare per pianoforte, è stato riscoperto e apprezzato da nuove generazioni di musicisti e appassionati. Tutte esecuzioni all’altezza della bellezza dei brani proposti. In particolare Angela Gallaccio e Raffaella Nardi con Sérénade d’automne (op. 55), una perla nascosta della musica pianistica romantica a 4 mani, hanno saputo portare l’ascoltatore in una passeggiata d’autunno di foglie cadenti e melodie giocose.

A cura di Joy Santandrea

Presentata la 18ª edizione di MiTo Settembre Musica

«È difficile scrivere musica in un momento in cui ci sono tante incertezze e paure; la musica non può cambiare il mondo ma la funzione di un operatore culturale, come un festival, è di far riflettere, mettere in comunicazione e suggerire connessioni»

Con queste parole Giorgio Battistelli – nuovo direttore artistico del biennio 2024-2025 – apre la conferenza stampa del festival MiTo Settembre Musica, tenutasi il 27 marzo presso il museo Rai della radio e della televisione. Un festival che dal 6 al 22 settembre connette le città di Milano e Torino: storie urbane diverse che cercano dialogo e mescolano le loro identità. Uno dei temi è proprio quello dei “MOTI”: gioco di parole per trasformare MiTo in elemento provocatorio che muove le menti, le scuote e le porta alla riflessione. MiTo crea relazioni tra città e connette musica e vita quotidiana.

Il 6 settembre si inaugura a Torino la diciottesima edizione in Piazza San Carlo con la Nona Sinfonia di Beethoven eseguita da orchestra e coro del Teatro Regio. La rassegna continua poi con altri trentaquattro appuntamenti che mescolano musica contemporanea e musica classica in un programma ricco e differenziato tra le due città – come nelle prime edizioni – per creare un palcoscenico condiviso e permettere uno scambio di idee e creare relazioni. Cinque sono i filoni tematici su cui si sviluppa il cartellone. Quest’anno grande punto fermo della programmazione sono le orchestre, non poteva dunque mancare il format “Mitologie Orchestrali” che porta sui palchi alcune grandi formazioni come la Filarmonica della Scala, l’orchestra dell’Opéra de Lyon e l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Nella sezione “Artistiche Imprese” Stefano Massini racconterà con due monologhi la storia di due aziende storiche di Milano e Torino.
Il rapporto con la contemporaneità, dice Battistelli, è spesso problematico ma con “Ascoltare con gli occhi” si vuole dimostrare che è possibile far convivere queste apparenti dissonanze attraverso una proposta di ascolto che transita verso l’aspetto visuale e immaginifico.
Entrambe le città hanno una grande storia calcistica; pertanto sembrava doveroso, a 75 anni dalla tragedia di Superga, omaggiare questo tipo di cultura con “Musica su due piedi”.  Un altro anniversario caratterizza il 2024, il centenario dalla morte di Puccini, e “Puccini, la musica, il mondo” vuole proprio rendere omaggio a questo grande operista con tredici incontri: anche Toni Servillo interverrà con una narrazione degli aspetti più intimi di Giacomo Puccini.

Sarà un festival intenso e vario, che guarda al presente, al passato e al futuro creando legami ma anche scuotendo gli animi.

Per maggiori informazioni cliccare qui

A cura di Ottavia Salvadori

Vercelli celebra Viotti con un indimenticabile pomeriggio musicale in Duomo

Il 4 marzo 2024, Vercelli ha reso omaggio a uno dei suoi figli più illustri, in occasione del bicentenario della morte: il celebre musicista Giovan Battista Viotti, con una sontuosa celebrazione nel Duomo che ha segnato un momento memorabile nella storia della città. La giornata è stata caratterizzata da una grande affluenza di persone, nonostante la pioggia battente.

(G.B. Viotti, monumento Fontanetto Po)

Il Festival Viotti, nato agli inizi degli anni ’90, rappresenta un omaggio vivo al genio musicale del virtuoso violinista e compositore vissuto nel XVIII secolo. Fondato inizialmente come un modesto evento locale a Vercelli, città natale di Viotti, il Festival ha gradualmente guadagnato fama e prestigio nel panorama musicale italiano. Sin dalle sue prime edizioni, ha proposto una selezione eclettica di concerti che spaziano dalla musica da camera ad eventi sinfonici, dalle esibizioni solistiche ai recital di violino.

Il violinista e direttore d’orchestra Guido Rimonda, dopo gli studi al Conservatorio di Torino e la specializzazione con Corrado Romano a Ginevra, ha affinato le sue abilità musicali sotto la guida di eminenti maestri come Giuliano Carmignola e Franco Gulli presso la Scuola di Alto Perfezionamento di Saluzzo. Successivamente ha dedicato la sua carriera alla valorizzazione dell’eredità musicale di Giovanni Battista Viotti, con riconoscimenti nazionali e internazionali. Nel 1992 costituisce la Camerata Ducale e due anni dopo fonda il Viotti Festival dove copre il ruolo di direttore musicale. Col suo strumento, lo Stradivari del 1721 Jean Marie Leclair, Rimonda continua a portare avanti la missione di far risuonare la “voce di un angelo” attraverso la musica di Viotti.

Rimonda assieme a don Luciano Condina, ex-flautista e direttore d’orchestra della Camerata Ducale, coinvolgendo monsignor Denis Silano, direttore della Cantoria Eusebiana e musicologo, ha organizzato quest’evento richiamando un folto pubblico costituito anche da famiglie e appassionati. Le celebrazioni sono iniziate a metà pomeriggio sotto il portico della facciata del Duomo, causa mal tempo, con un omaggio a Viotti della banda musicale di Fontanetto Po. L’evento è proseguito all’interno del Duomo dove è stata eseguita la Messa di Mozart “Dell’Incoronazione”; eseguita impeccabilmente dalla Camerata Ducale, assieme alla Cappella Musicale Eusebiana e al Coro da Camera di Torino diretto da Dario Tabia.

Riproporre la KV 317 nei sontuosi interni del Duomo ha contribuito a esaltare il carattere solenne dell’opera, anche dal punto di vista meramente visivo: gli elaborati interni del Duomo, i colori e soprattutto il tamburo della cupola, sono stati suggestivi. Inoltre, sotto il profilo acustico, i naturali riverberi dell’edificio hanno reso la musica più spazializzata e coinvolgente. Doveroso per la splendida esecuzione citare i quattro solisti: Arianna Stornello (soprano), Giulia Taccagni (contralto), Bekir Serbest (tenore) e Davide Sacco (basso).

Al termine del “Dona Nobis” è seguita la funzione liturgica celebrata dall’arcivescovo Arnolfo. Interessanti gli interventi musicali di composizioni da vari autori, tra cui: Orlando di Lasso (Oculi mei semper ad Dominum, 6 voci), Pierluigi da Palestrina (Justitiae Domini) e Francesco Antonio Vallotti (Ave Regina caelorum). Nonostante la densità del programma, questi interventi musicali hanno reso più scorrevole la funzione.

In serata, al termine della liturgia, ci viene dato il commiato dal Concerto per violino e orchestra n. 29 in mi minore di Viotti, dove Guido Rimonda (in veste di violino solista) ha fatto cantare il suo Stradivari sulle note del compositore vercellese, accolte da un grande applauso.

A cura di Joy Santandrea

Puccini: La Fanciulla del West al Teatro Regio

“Non siamo disposti a perdonare! Si perdona ciò che si vuole! Allora perdonerete!”

Sono frasi significative che inaugurano la messa in scena dell’Anteprima Giovani under 18-30 del 21 marzo 2024 al Teatro Regio con “La Fanciulla del West”, l’opera lirica in tre atti composta da Giacomo Puccini, su libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini. La sua prima rappresentazione è avvenuta al Metropolitan Opera House di New York nel 1910. L’Opera è stata presentata prima dell’Anteprima Giovani, mercoledì 20 marzo al Piccolo Regio alle ore 18, nella conferenza-concerto condotta da Susanna Franchi.

Dal punto di vista del genere, La Fanciulla del West mescola elementi di dramma e lirismo. È un’opera che si colloca nel contesto del verismo, un movimento artistico che rappresentava la vita reale e le emozioni umane in modo crudo e sincero. Tuttavia, quest’opera si distingue per la sua ambientazione americana e per l’inclusione di temi legati al Far West, raggiungendo una certa originalità tra i titoli di Puccini. Sotto il punto di vista musicale, utilizza melodie popolari americane, come le “ballate del West”, insieme a motivi più operistici. La partitura è caratterizzata da una scrittura vocale impegnativa e da un’orchestrazione incalzante che riflette i sentimenti e le atmosfere dell’ambientazione.

La direzione orchestrale viene affidata a Francesco Ivan Ciampa, il quale con grande maestria crea una forte sinergia tra la componente orchestrale e quella canora. La regia viene condotta da Valentina Carrasco, la quale si ispira nell’allestimento al genere cinematografico degli “spaghetti Western”: manca solo la figura di John Wayne in Ombre Rosse per chiudere in bellezza! Il palco del tempio lirico del Regio diventa “un set cinematografico” in cui tutte le scene vengono girate e riprese dal vivo dai macchinisti, coordinate dal regista e infine proiettate sullo schermo visibile in sala dagli spettatori per cogliere i momenti più significativi e precostituiti dall’Industria degli effetti speciali cinematografici. I momenti solistici ribaltano la situazione di ripresa di realtà in cui viene meno la dimensione cinematografica ritornando alla dimensione operistica.

Le scene sono realizzate da Carles Barga e Peter Van Praet grazie all’utilizzo di tecnologie quali pannelli digitali retrostanti removibili in cui si ha la proiezione della neve (rappresenta la stagione invernale) e delle immagini collinari (il tipico finale Western dei due innamorati che si dirigono verso terre sconosciute e inesplorate). Si ha un’intuizione geniale nell’utilizzo dei cantanti secondari (i nativi americani, i cosiddetti “pellerossa”), con un cartello di protesta per effettuare un attacco satirico ed ironico contro la discriminazione razziale e l’integrazione forzata di comunità minoritarie all’interno della cultura bianca dominate.

La fanciulla del west
Foto di Daniele Ratti

Grande lavoro è stato svolto da Ulisse Trabacchin nella direzione corale della sezione maschile (baritoni e tenori), i quali hanno saputo mescolarsi con le voci solistiche creando una comunanza di cuori verso la storia d’amore tra la cameriera del Saloon Minnie (il soprano Oksana Dyka) e il bandito Ramerezz (il tenore Amadi Lagha) osteggiata dallo sceriffo Jack Rance (il baritono Massimo Cavalletti).

La Fanciulla del West, rispetto alle altre opere pucciniane, si conclude con un finale inaspettatamente lieto in cui è la donna a dominare sulla scena rispetto alla presenza maschile, ed essa non diviene vittima dell’uomo, anzi diviene figura che redime, mitiga ed espia le colpe di tutto il genere maschile.

A cura di Angelica Paparella

Beyond: uno spettacolo che va ‘‘oltre’’ un classico concerto di musica barocca

La sala concerti del Conservatorio «G. Verdi» di Torino è considerata un luogo composto, in cui vige una sorta di sacralità. Il 6 dicembre 2023 qualcosa è cambiato: il controtenore Jakub Jòzef Orliński, accompagnato dall’orchestra Il Pomo d’Oro, ha portato in scena non solo un concerto di musica barocca, ma un vero e proprio «show» come lui stesso l’ha definito. Beyond – che tradotto significa “oltre” – vuole proprio essere la dimostrazione che la musica barocca vada oltre i tempi e, quindi, sia sempre attuale.

Protagonista indiscusso della serata è stato, appunto, il controtenore polacco Jakub Jòzef Orliński che, diplomatosi alla Juillard School di New York nel 2017, è riconosciuto come uno degli interpreti più vivaci e attivi della scena musicale classica internazionale, si è affermato sia nelle esecuzioni live sia in studio. Inoltre è un grande appassionato di danza. Egli stesso avverte un collegamento tra la musica barocca e la breakdance: entrambe rappresentano la libertà di espressione e aiutano a trovare l’equilibrio psicofisico. Inaspettatamente ha voluto condividere questa passione mercoledì sera con il suo pubblico, abbinando la danza all’esecuzione di La certezza di tua fede da Antonino e Pompeiano di Sartorio. L’orchestra Il Pomo d’Oro, fondata nel 2012, si è presto affermata come un ensemble di qualità eccezionale nel campo dell’esecuzione storicamente informata. La collaborazione tra Orliński e l’orchestra nasce nella stagione 2020-2021 per concerti in Nord Europa con una selezione dall’album Facce d’amore. Negli anni la collaborazione è proseguita, arrivando a grandi successi come il premio Opus Klassik per l’album Anima Sacra, fino ad oggi con l’album Beyond.

Unione Musicale – ph Luigi De Palma

La chimica tra il cantante e l’orchestra si è percepita fin dalle prime note: non sono mancati sguardi e sorrisi tra di loro. A sottolineare quest’affinità gli abiti che, avendo lo stesso colore e ricamo, creavano ancora più armonia sul palco.

Il pubblico era attento alle parole, ai gesti e alle espressioni del cantante che si è esibito con una teatralità affatto stucchevole. Per creare sempre più contatto con gli spettatori, durante l’esecuzione della Sonata per 2 violini in fa maggiore di Johann Kaspar Kerll, il controtenore, tenendo in mano la luce posizionata al centro del palco, è sceso in platea. Ha girato tra le poltrone e da qui ha iniziato a cantare L’amante consolato da Cantate, ariette e duetti op. 2 di Barbara Strozzi, generando commozione e incanto. Molto apprezzata è stata la sua cura per la dizione: si riusciva a seguire e capire ogni parola senza leggere il testo. Orliński ha riservato grande attenzione anche alla sua immagine. Voleva apparire moderno e assolutamente non composto… e ci è riuscito abilmente. Riguardo propriamente ai suoi abiti, il cantante ha fatto un uso molto saggio di un capo in particolare: il mantello. In alcuni momenti era il soggetto con cui dialogava e ballava, mentre in Quanto più la donna invecchia – Son vecchia, pazienza da L’Adamiro di Giovanni Cesare Netti l’ha utilizzato per immedesimarsi anche visivamente in un’anziana signora.

Unione Musicale – ph Luigi De Palma

Il pubblico ha capito fin da subito il messaggio trasmesso dai musicisti: andare oltre il classico concerto si può e, nonostante il target d’età presente, lo spettacolo è stato accolto molto positivamente. Alla fine la sala rimbombava di applausi e complimenti, e dalla grande approvazione non è mancata la standing ovation. Contagiati da questo entusiasmo i musicisti, pur mantenendo la concentrazione, hanno eseguito più rilassati tre bis: Chi scherza con amor da Eliogabalo di Giovanni Antonio Boretti, Lucidissima face da La Calisto di Francesco Cavalli, Che m’ami ti prega da Nerone di Giuseppe Maria Orlandini, tutti e tre presenti nel loro album Facce d’amore. L’atmosfera creata era più divertita, sembrava di essere ad una serata tra amici. È stato coinvolto anche il pubblico, improvvisando un duetto con il cantante, il quale ha dato sfoggio della sua grande estensione vocale, toccando note molto basse e molto alte. In conclusione hanno replicato La certezza di tua fede da Antonino e Pompeiano di Sartorio. Orlinski ha inaspettatamente accompagnato l’assolo di chitarra con il beatbox, generando stupore e curiosità negli ascoltatori, e infine ha nuovamente ballato, suscitando un grande visibilio nel pubblico.

Non solo musica barocca, quindi, ma uno spettacolo davvero originale e coinvolgente che va ‘‘oltre’’ le aspettative di un concerto di musica classica.

A cura di Roberta Durazzi

La Tragédie De Carmen: un’opera attuale e imprevedibile

L’opera torna al Teatro Concordia di Venaria Reale grazie alla collaborazione con la Compagnia Lirica Tamagno: un’impresa fondata nel 1992 attiva nei territori piemontesi per portare in scena opere liriche di tradizione e diffondere la cultura musicale ad un pubblico popolare, privilegiando teatri i cui cartelloni non prevedono una programmazione operistica.

Tutti conoscono la celeberrima opéra-comique di Bizet, Carmen, ma pochi conoscono l’adattamento di Peter Brook: La tragédie de Carmen, un progetto radicale che ridimensionò la partitura originale in un atto unico per orchestra da camera, spogliandola delle scene corali. Brook non si limitò solo a questo, ma accelerò il ritmo del racconto adeguando il tempo musicale e esplorò gli intricati legami tra i quattro personaggi principali: Carmen, Don José, Micaela, Escamillo.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Dopo il debutto a Savigliano, va in scena al teatro Concordia quest’opera controversa, con la nuova edizione del Circuito Lirico Piemontese guidata alla regia da Alberto Barbi, attore e regista torinese con una
formazione artistica eterogenea che va dal teatro di parola al teatro fisico, dal circo al musical. Barbi propone un’opera che si rifà all’idea di spazio vuoto teorizzata da Brook: il palco è una scatola bianca, chiusa su tre pareti, dove recitazione e canto si uniscono per far emergere solo i personaggi e i loro drammi attraverso un mescolamento di parlato e canto. Accanto alle arie in francese dei quattro personaggi principali, vi sono – al posto dei recitativi – momenti di prosa parlata in italiano; personaggi come il tenente Zuniga e il taverniere Lillas Pastia si esprimono con semplici parole declamate.

Si apre il sipario, dieci rintocchi di un timpano solo, la scena deserta con un solitario tavolo posizionato in verticale al centro del palco; tutto contribuisce a creare un’atmosfera funerea. Accovacciata e nascosta dietro di esso, Carmen indossa vestiti neri, un velo scuro sul volto e tiene tra le mani le carte, simbolo del tragico destino che la vita le riserva ed elemento fondamentale per la rappresentazione della sua personalità. Da questo momento Carmen, donna emancipata e indipendente, non abbandonerà praticamente mai la scena. Personaggio affidato a Irene Molinari, mezzosoprano laureatosi al Conservatorio di S. Cecilia di Roma e vincitrice di concorsi nazionali e internazionali, con la sua potenza vocale incanta il pubblico grazie alla sua capacità di passare da un registro grave ad uno più acuto con grande versatilità.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

La scena, spoglia di tutti quegli elementi considerati superficiali, presenta solo pochi oggetti: il tavolo, presente per tutto lo spettacolo e che assume diverse funzioni – come per esempio quella di prigione – e delle sedie che nel finale circondano Carmen e la imprigionano in un cerchio, simbolo del suo destino ormai segnato, e che rappresentano, forse, la solitudine nella quale ormai si trova; nessuno al suo fianco ma, a proscenio, la sua antagonista Micaela che sembra trasformarsi nello spirito di Carmen e non trova il coraggio di rivolgere lo sguardo verso il suo vero corpo. Altro elemento pregnante della scenografia sono le luci che virano dal blu al rosso passando per il verde: giochi di luci omogenee che talvolta creano ombre misteriose sulle pareti di grande effetto scenico.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Alcune scelte puntano ad attenuare il dinamismo che domina nell’opera di Bizet. L’habanera, una delle arie più famose dell’opera e che nella versione originale stimola grande fisicità, corporeità e imprevedibilità, viene trasformata da Barbi in una scena priva di danza e di movimento. I pochi gesti di Carmen appaiono rigidi e la scena immobile. Anche l’orchestra Bartolomeo Bruni, affidata al giovane Takahiro Maruyama, accoglie le novità proposte da Brook. I timbri si disgregano e i colori si disperdono nell’ambiente. Non solo, dunque, una scena priva di elementi decorativi ma anche l’ambiente sonoro viene spogliato e reso essenziale.

Brook decide di mettere in luce gli aspetti più crudi della vita e i conflitti tra i personaggi sacrificando, così, gli elementi più sensibili e romantici. L’aria “La fleur que tu m’avais jetée” viene, infatti, deliberatamente separata dal duetto tra José e Carmen per fare spazio ad una scena in cui emerge il lato più violento di José che uccide Zuniga e si scontra con Escamillo in una lotta posticcia a “colpi di navaja”.  L’atmosfera passionale del duetto viene pertanto bruscamente interrotta dal lato oscuro e cruento della storia. “La fleur”, ridotta ad una sola strofa, appare come un momento solitario: José solo in scena rivolge lo sguardo e il suo canto al pubblico. Carmen entra in scena in modo furtivo ma si mantiene a distanza per contemplare le parole proferite da José. Ignaro della presenza della sua amata, continua a cantare e, solo dopo la sua dichiarazione esplicita del suo amore con le parole “Carmen ti amo!”, si volta verso di lei come se avesse intuito la sua presenza. Perfino Micaela viene rappresentata come una donna a tratti violenta, che litiga con Carmen. Lei, donna spirituale che sin da subito dimostra la sua devozione nei confronti di un Dio, donna semplice portatrice del bacio materno a Don José, viene aizzata dalla donna seduttrice e passionale. Una lotta che diventa antitesi del finale: dopo l’uccisione di Carmen, Micaela piange disperata accanto ad un altarino. È proprio in questo momento che si tornano a sentire i rintocchi funebri del timpano che diventano eco di un viaggio umano che ha attraversato l’amore e la perdita portando lo spettatore a meditare sulle sfumature dell’animo e a riconoscere l’eterno divenire della vita.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Forse la regia, consapevole della complessità della storia, ha deciso di non inviare un messaggio univoco al pubblico, evitando di schierarsi esplicitamente dalla parte di Carmen o da quella di José. In questo spettacolo aperto a diverse interpretazioni, la storia di un femminicidio 800esco diventa specchio della tragica attualità nella quale ancora oggi siamo immersi.

A cura di Ottavia Salvadori

Max Gazzè e un concerto dal sapore rarefatto e fluttuante

“Arte, maestria, sapienza, sacrificio, professionalità” scriverebbe qualcuno su X (Twitter) per descrivere lo spettacolo che Max Gazzè sta presentando sui palchi italiani da fine ottobre. Anche il Teatro Colosseo di Torino ha ospitato il tour “Amor Fabulas − Preludio” nelle due date di giovedì 23 e venerdì 24 novembre.

Nella sala semibuia del teatro appare Anna Castiglia – incaricata dell’opening act – che, seduta sul bordo del palco inizia a cantare accompagnata dalla sua chitarra acustica. Il pubblico, catturato, la osserva attentamente, cercando di cogliere ogni significato nascosto tra i versi delle canzoni in cui si sentono le influenze, tra gli altri, di Gaber e De Andrè. Castiglia padroneggia benissimo il palco: oltre a riuscire a guadagnarsi l’assoluto silenzio e l’attenzione di tutti senza il minimo sforzo, per ben due volte dal fondo della sala partono dei fragorosi applausi a metà dei brani (oltre che alla fine). Qualcuno la cerca su Internet per capire chi sia questa ragazza così talentuosa che ha avuto l’onore di aprire il concerto di Gazzè. I più informati, invece, la riconoscono subito: la cantautrice si era presentata a X Factor con “Ghali”, conquistando anche i giudici del programma che le avevano assegnato 4 sì. Il brano è una riflessione sul doversi assumere sempre le proprie responsabilità, e infatti «La colpa non è di tutti, la responsabilità sì», sussurra al microfono prima di intonare proprio quella canzone, per chiudere la sua esibizione e lasciare spazio al protagonista della serata.

Quando si accendono le luci e inizia la musica, Gazzè assume le sembianze di un sacerdote durante l’omelia: un telo semitrasparente su cui è proiettata una città in rovine e una persona che dondola su un’altalena, lascia intravedere solo la sua ombra mentre lui recita un monologo sull’indifferenza e sul senso del grave, concludendo che, forse, abbiamo perso del tutto il senso.Dopo i primi brani il telo viene ritirato e sul palco compare la formazione completa: Cristiano Micalizzi alla batteria, Daniele Fiaschi alla chitarra, Clemente Ferrari alle tastiere e synth, Max Dedo ai fiati, Greta Zuccoli a cori e autoharp e Nicola Molino alle percussioni.

L’idea alla base del tour è rappresentata dalla volontà di portare in scena brani mai suonati dal vivo, ma che sono stati scelti appositamente per essere valorizzati dall’atmosfera aulica del teatro. Tra questi “Niente di Nuovo” e “Siamo come siamo” che apre con una considerazione sull’inesistenza del tempo e sul fatto che si tratti solo di un’elaborazione del cervello.

L’eclettismo di Gazzè è noto da sempre e sarebbe inutilmente didascalico parlare di quanto sia preparato tecnicamente a livello musicale; questa bravura però è sicuramente amplificata da quella dei suoi compagni sul palco che gli tengono testa in modo egregio. “Cara Valentina”, introdotta dallo standard jazz “My funny Valentine” in un dialogo tra la voce più acuta di Gazzè e quella più calda e profonda di Zuccoli, diventa apoteosi musicale quando il pubblico viene incitato a cantare continuamente “per esempio non è vero che poi mi dilungo così spesso su un solo argomento”. Nel mentre i musicisti si divertono a eseguire delle variazioni su tema spaziando tra i generi più disparati come lo ska e un simil flamenco, con una facilità disarmante. Lo spazio per l’improvvisazione trova posto anche ne “La favola di Adamo ed Eva” con gli assoli di synth, chitarra e basso ricchi di virtuosismi, tecnicismi e cambi di tempo.

Una menzione speciale va fatta alla scenografia con la proiezione di video art a cura di Stefano Di Buduo, co-protagonista mai troppo invadente ma a tratti necessaria. Proprio con la proiezione che spoilera i titoli dei brani dell’album in cantiere, si conclude la parte di concerto.

Per la seconda parte, invece, sono state lasciate le canzoni più famose e ritmate, che il pubblico non vede l’ora di poter ascoltare: “Ti sembra normale”, “La vita com’è”, “Sotto casa”, “Una musica può fare”, diventano un momento di festa con la platea in piedi che balla, canta e si diverte dimenticandosi di quell’atmosfera così tanto solenne che era stata colonna portante della prima ora e mezza di spettacolo.

Forse, in fin dei conti, non tutti sono preparati alla rarefazione dovuta a brani per la maggior parte molto lenti e decompressi che sembrano fluttuare in un’atmosfera densissima di solennità. Anche perché sono bastati primissimi accordi di “Ti sembra normale” per far ritornare tutti sulla terraferma. L’unica cosa certa è che Gazzè si conferma geniale e anche in questo caso, come sempre, spiega quanto la musica di un certo livello faccia ancora così tanto effetto.

a cura di Alessia Sabetta