L’italiana in Algeri al Teatro Regio

Mercoledì 22 maggio è andata in scena al Teatro Regio la prima dell’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini, ed è stato subito pienone, come ci si aspetta quando la serata offre un titolo così amato e popolare. Grazie a una semplicissima trama (una donna, l’italiana Isabella, accompagnata da uno spasimante che lei non si fila, messer Taddeo, s’imbarca per cercare il suo vero amante, Lindoro, caduto nelle grinfie del bey d’Algeri, Mustafà, e lo porta in salvo approfittando del potere che le sue doti femminine esercitano sull’assatanato sovrano) il pubblico è svincolato dal compito di tenere a mente una vicenda intricata e può così lasciarsi andare e ridere, che poi è lo scopo principale di una farsa, in questo caso della sottocategoria ‘turcheria musicale’. Le risate, infatti, anche questa volta non sono mancate.

Ma ci sono tante cose, in quest’opera, oltre al puro divertimento, a partire da un libretto-capolavoro che contiene rime-capolavoro tipo Taddeo/babbeo/cicisbeo, babbuino/taccuino, faci/pappataci e via dicendo, senza contare vette linguistiche come «muso fa Mustafà» e doppi sensi fin troppo espliciti, ad esempio il celebre «Tutti la bramano, tutti la chiedono» cantato dal mezzosoprano mentre ondeggia i fianchi, e i maliziosi meno avveduti del pubblico si chiedono «ma parlerà mica della…», e le varie espressioni dove si gioca a trova-la-volgarità-nascosta, come il «Cara, mi hai rotto il timpano» di Mustafà alla moglie e «O che pezzo da sultano!» alla prorompente Isabella. Poi ci sono le anticipazioni inconsapevoli: «Son questi, amor, tuoi doni / son questi i tuoi diletti» che precede di sedici anni il leopardiano «Son questi i doni tuoi / questi i diletti sono». Quanto ai personaggi, vige il trionfo della tipizzazione: la sexy italiana, per esempio, si esprime come un’allegra comare di Roccafiorita, per luoghi comuni («Sarà quel che sarà») o proverbi degni di un Malavoglia («Va in bocca al lupo chi pecora si fa») o antichi riti irrinunciabili della penisola («Ehi, caffè!», con battito di mani incluso): più italiana di così, che altro volete ancora? Che vi sveli il segreto della pasta e fagioli che sa fare solo lei?

Tutto questo squisito amalgama letterario si fonde con una musica di altrettanto sublime irriverenza, tanto più scatenata quanto più è geometrica, tanto più sconcia quanto più è suggerita. Efficace e solida, in questo senso, la direzione di Alessandro De Marchi, con il suo accentare tutte le scalette e i trilli e gli strumentini che fanno din-din, tac-tac, bum-bum, cra-cra in quel «caos organizzato» che è la partitura di Rossini, dove la parola viene scomposta, frammentata, rivoltata fino a perdere ogni significato nel matematico incastro della musica. Oltre al grande cortocircuito del finale del primo atto, nell’Italiana in Algeri ci sono qua e là altre piccole genialità musicali: una fra le tante, l’accenno di Marsigliese quando comincia la straniante tiritera seria e patriottica, sulle parole «Quanto valgan gl’Italiani», perché anche gli schiavi di un bey farsesco sognano in grande, e se c’è da ribellarsi ci si ispira alla Rivoluzione Francese.

Qualcuno ha trovato la regia di Vittorio Borrelli troppo semplice, ma in fondo certe gag un po’ facili rientrano in un umorismo tipicamente italiano, fisico, slapstick, ed è inutile cercare battute alla Oscar Wilde in Totò Le Mokò: tutto sommato, se quella scala comica che va dal gesticolare esagerato al palo nel sedere fa ancora ridere il pubblico del Regio, perché forzare la nostra identità culturale? Anche la scenografia, pulita, lineare e colorata, e i costumi sgargianti si abbinavano perfettamente con la musica e la vicenda.

Per concludere, due parole sui cantanti: quello che, a mio avviso, ha meglio assimilato il suo personaggio è stato Carlo Lepore nei panni di Mustafà (piccola chicca: fu il doppiatore di Gaston nella versione italiana della Bella e la Bestia, Disney 1991, e il bello è che Gaston e Mustafà, se s’incontrassero, andrebbero d’accordo), che ha messo la sua sicura tecnica vocale al servizio dell’espressione della parola, dando sempre senso comico e ridicolo alle frasi che uscivano di bocca al bey. Si è dibattuto sulla bravura o meno degli altri interpreti; qualcuno diceva Isabella sì, qualcuno Isabella no, ma alla fine dell’opera sono stati tutti salutati da un caloroso applauso del pubblico, e anche questa Italiana in Algeri ce la siamo portati a casa con un sorriso.

L’italiana in Algeri

  • Musica: Gioachino Rossini
  • Libretto: Angelo Anelli
  • Direttore d’orchestra: Alessandro De Marchi
  • Regia: Vittorio Borrelli
  • Scene: Claudia Boasso
  • Costumi: Santuzza Calì
  • Luci: Andrea Anfossi (riprese da Vladi Spigarolo)
  • Direttore dell’allestimento: Paolo Giacchero
  • Interpreti principali: Martina Belli (Isabella); Xabier Anduaga (Lindoro); Carlo Lepore (Mustafà); Paolo Bordogna (Taddeo); Sara Blanch (Elvira); Benjamin Cho (Haly); Rosa Bove (Zulma)
  • Orchestra e coro del Teatro Regio
  • Maestro del coro: Andrea Secchi

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