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Dall’oscurità alla luce: il Trittico di Puccini

Dopo la presentazione del 12 giugno tenuta da Susanna Franchi al Piccolo Regio, il Trittico è andato in scena il 18 giugno per l’Anteprima Giovani. L’opera è formata da tre atti unici: Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi composte da Giacomo Puccini (su libretto di Giacomo Adami per Suor Angelica e Il Tabarro mentre il testo di Gianni Schicchi e di Giovacchino Forzano) tra il 1913 al 1918. La prima rappresentazione è avvenuta il 14 dicembre del 1918 al Metropolitan Opera di New York.

Le vicende nel Tabarro narrano un dramma ambientato su di una chiatta sulla Senna a Parigi. Racconta la storia di gelosia e omicidio del triangolo amoroso tra Michele, Giorgetta e l’amante Luigi.
Suor Angelica porta in scena un soggetto con tono lirico e drammatico ambientato in un convento. La trama segue la storia della protagonista Suor Angelica, la quale è stata costretta a prendere i voti dopo aver avuto un figlio illegittimo. Dopo la scoperta della morte del figlio, la donna compie un atto disperato di suicidio, seguito da una visione di redenzione. Gianni Schicchi è una commedia vivace basata su un episodio dell’Inferno di Dante Alighieri. Racconta le vicende del protagonista Gianni Schicchi, uno scaltro popolano che inganna una famiglia per assicurarsi l’eredità di un ricco defunto a favore della figlia e del suo amante.

L’ouverture viene eseguita a sipario chiuso per introdurre i principali temi musicali preparando il pubblico all’esperienza narrativa che seguirà.
Il regista Tobias Kratzer e lo scenografo Rainer Sellmaier propongono nel Tabarro un allestimento dalle tonalità scure ed ombrose.
Sono presenti quattro quadranti in rimando all’impaginazione dei fumetti, in cui si svolgono le vicende dei protagonisti accompagnati dai cantanti del coro: il primo quadrante in alto a destra presenta la struttura della chiatta con sfondo rosso di immagini di grattacieli, il secondo in basso a destra raffigura la stiva con sfondo bianco, il terzo in alto a sinistra rappresenta una cabina con un letto e una televisione con sfondo arancio e nel quarto quadrante in basso a sinistra abbiamo il boccaporto in cui si staglia la visione della chiatta nel mare con sfondo azzurro. Ed infine sul lato destro abbiamo incorporata nella struttura scenografica una televisione, che trasmette al pubblico una sitcom che è vista dallo stesso Michele nel Tabarro, che fa da filo conduttore in rimando a Gianni Schicchi con la morte di Buoso Donati.

Il Tabarro

Per Suor Angelica la scelta scenografica è ricaduta sull’utilizzo di un video in bianco e nero con qualche accento di colore rosso delle immagini: sullo sfondo un cortometraggio della vita monastica condotta dalle suore; che viene scandita in ogni ora del giorno. Intanto le cantanti primarie e il coro femminile si trovano sedute in scena, in rimando al giardino del convento. Il video viene frammentato dall’arrivo di un giornalino proibito che viene consultato da una suora (oggetto del peccato che rimanda alle vicende scabrose che si sono susseguite precedentemente nel Tabarro) e dal desiderio compiuto di un’altra suora nel voler mangiare cibo non consentito come la cioccolata (evidente il rimando al terzo cerchio dei golosi dell’Inferno di Dante Alighieri nella Divina Commedia).

Suor Angelica

In Gianni Schicchi la scenografia è costituita del pubblico seduto sulle
gradinate in scena, che osserva da “voyeur” la storia della famiglia come se fosse in uno studio televisivo. In scena vengono inseriti oggetti per simulare la casa del morente Buoso Donati: un mobile smontabile in più parti, vettovagliamento, asciugamani, un giradischi e un frigorifero colmo di bottiglie di vino. Il cast dei cantanti inizia a smontare la scena alla ricerca del testamento nascosto da Buoso Donati nella busta del disco di Suor Angelica e intanto arriva Gianni Schicchi per la risoluzione dei problemi; il quale sposta il cadavere del morto tra il pubblico fingendosi egli stesso il malato per poter mettere su carta le ultime volontà testamentarie a favore della figlia e del suo amante. Il finale si conclude con l’arrivo in scena dall’alto di una lussuosa vasca idromassaggio in cui i due amanti amoreggiano divertiti.

Gianni Schicci

Bern Purkrabek, alla luminotecnica, è stato in grado di far immergere lo spettatore grazie al contrasto tra il buio delle scene e i giochi di luci colorate all’interno dei blocchi nel Tabarro, l’utilizzo di luci bianche fredde in Suor Angelica per esaltare il video sullo sfondo e per ricreare una dimensione intima e castigata in rimando alla vita di clausura delle suore, mentre in Schicchi le luci sono tutte puntate sui cantanti per esaltare la frenesia e la concitazione delle scene.

Grande lavoro è stato svolto dal Coro del Teatro Regio con la direzione di Ulisse Trabacchin e dalle Voci Bianche dirette da Claudio Fenoglio: pur non essendo così compresenti in scena, hanno saputo esaltare la dicotomia dei sentimenti contrastanti “del bene e del male” dei protagonisti in tutte le sfaccettature e hanno saputo dar voce ad ogni singola emozione provata.
Giorgetta insoddisfatta della vita di coppia (interpretata dal soprano Elena Stikhina) moglie di Michele, proprietario della chiatta (interpretato dal baritono Roberto Frontali) il quale teme che la moglie lo tradisca con il giovane scaricatore Luigi (interpretato dal tenore Samuele Simoncini).
Suor Angelica è la protagonista, una giovane suora dal passato doloroso (interpretata dal soprano Elena Stikhina) avrà un duro scontro con la Zia Principessa (interpretata dal contralto Anna Maria Chiuri) ricevendo conforto dalla suora amica Genovieffa (interpretata dal soprano Lucrezia Drei).

Suor Angelica

Gianni Schicchi popolano fiorentino (interpretato dal baritono Roberto Frontali) che ha abilità nel risolvere con astuzia i problemi, viene chiamato dalla famiglia Donati per modificare il testamento del defunto Buoso Donati e destinando tutti gli averi alla giovane figlia Lauretta (interpretata dal soprano Lucrezia Drei) innamorata di Rinuccio nipote del Buoso (interpretato dal tenore Matteo Mezzaro).
I cast dei cantanti nel Trittico hanno saputo rendere giustizia alle tre opere messe in scena grazie alla grande abilità vocali e interpretative. Particolare nota al soprano Elena Stikhina nel Tabarro e in Suor Angelica per il bellissimo timbro vocale, alla significativa morbidezza nell’emissione dei suoni e all’abilità nei filati, in Gianni Schicchi al soprano Lucrezia Drei per il raffinato registro centrale, alla grande facilità di emissione degli acuti e nell’emissione dei pianissimi ed infine al baritono Roberto Frontali per la grande esperienza maturata in carriera sia vocalmente parlando che per la grande presenza scenica.

Gianni Schicci

La direzione orchestrale è stata affidata alle mani sapienti del direttore d’orchestra Pinchas Steinberg, ha espresso una da una profonda comprensione delle dinamiche orchestrali e dai giochi di colore tra le opere mantenendo una coesione stilistica complessiva: nel Tabarro ha saputo definire un’atmosfera cupa attraverso la gestione degli archi e degli ottoni, in Suor Angelica ha creato una dimensione lirica e contemplativa grazie all’impiego dei legni e degli archi ed infine in Gianni Schicchi ha ottenuto un suono brillante grazie agli strumenti a fiato per sottolineare i momenti ironici e di scherno.
Nel Trittico, vengono trattati temi unificanti e disgreganti come l’amore, la passione, la morte e la redenzione: l’amore coniugale in crisi nel Tabarro che si conclude con un omicidio, l’amore materno e il desiderio di redenzione in Suor Angelica che si conclude con un suicidio sperato nella redenzione, o l’amore giovane e spensierato tra Lauretta e Rinuccio in Gianni Schicchi con la morte di Buoso Donati attorno a cui ruotano gli inganni.

A cura di Angelica Paparella

Der fliegende Hollander al Teatro Regio e la lettura di un Wagner più psicologico del necessario

Dopo la presentazione durante la conferenza-concerto al Piccolo Regio, Der fliegende Holländer – L’Olandese Volante è andato in scena l’8 maggio per l’Anteprima Giovani (rassegna del Teatro Regio quasi giunta alla fine della stagione 2023-2024). 

L’opera lirica in tre atti, composta da Richard Wagner (che ne è anche il librettista) nel 1843, è incentrata su una leggenda nordica. Il protagonista, l’Olandese, è il capitano di una nave, condannato a navigare per l’eternità senza poter mai toccare terra, a meno che non trovi una donna che si innamori di lui e gli sia fedele fino alla morte.

L’Ouverture eseguita a sipario chiuso ha aumentato l’attesa e la suspence ma allo stesso ha fatto sì che gli spettatori, non distratti dalla scenografia, fossero rapiti dalla magnifica sinfonia wagneriana.

Dalla cartella stampa del Teatro Regio

Il regista Willy Decker, ha realizzato un allestimento minimalista total white: una stanza quadrata obliqua, sfruttando il gioco dell’inclinazione del palco, creava un effetto ottico che risulta un po’ straniante. Ispirandosi alle pareti di un museo d’arte in cui siamo seduti ad ammirare un quadro con il mare in tempesta come quelli della scuola fiamminga del XVII secolo, l’atmosfera generale risulta magrittiana e riprende sia i colori che l’essenza dei personaggi di opere come L’impero della luce o Golconda.

Anche le scene, realizzate da Wolfgang Gussmann, risultano alquanto minimali. Un fondale rosso e uno blu in contrasto con le pareti bianche per una maggiore suggestione visiva e un’intuizione geniale: una porta automatizzata e dalle notevoli dimensioni da cui escono le cime della nave di Daland da poter ancorare al palco, che rimandano alla riva in cui si trova anche il veliero olandese. In scena vengono inseriti pochi oggetti essenziali e quotidiani: sedie, tavoli, bottiglie e una tovaglia, che creano una maggiore coesione visiva e una dimensione rituale-popolare da parte dei cantanti del coro del Teatro Regio e del Maghini in relazione allo spazio e al tempo scenico del libretto in cui le donne filano e i marinai brindano. Stesso nome per la realizzazione dei costumi – scelti attentamente effettuando una corretta ricerca dei tessuti, dei materiali e delle fogge – per i quali si è voluto rimanere nei canoni classici di vestizione.

Hans Tölstede, alla luminotecnica, è stato in grado di far immergere lo spettatore grazie ai giochi di luci fredde, calde e colorate per ricreare la dimensione concitata e spaventosa del mare in burrasca, sul corpo del cantante interprete dell’Olandese o sulle pareti con la costruzione delle ombre. 

Dalla cartella stampa del Teatro Regio

La sezione corale, affidata a Ulisse Trabacchin, ha reso vive e dinamiche le scene amplificando i sentimenti dei personaggi principali immersi nella tempesta di emozioni contrastanti della storia d’amore, destinata in breve tempo a cessare. La giovane Senta (interpretata dal soprano Johanni Van Oostrum), innamorata della leggenda dell’Olandese e desiderosa di salvarlo, viene promessa all’Olandese (il baritono Brian Mulligan) dal padre Daland (il basso Gidon Saks), in cambio di una ricca ricompensa nonostante l’amore non corrisposto del cacciatore Erik (il tenore Robert Watson). Il Cast dei cantanti primi si è destreggiato egregiamente pur facendo fronte a una partitura complessa che richiede struttura vocale compatta, buon fraseggio e grande capacità di controllo diaframmatico nel reggere le tessiture articolate della composizione wagneriana. Particolare nota al baritono per il bellissimo colore vocale e alla significativa morbidezza nell’emissione e al soprano per l’elegante registro centrale e alla grande facilità di emissione degli acuti.

Infine, non per importanza, la direzione orchestrale affidata alle mani sapienti della direttrice d’orchestra Nathalie Stutzmann, è apparsa ricca, innovativa e in grado di far evocare alle menti il mare, la tempesta e le atmosfere drammatiche. Il volume di tutti gli strumenti è rimasto morbido per tutta l’esecuzione e le dinamiche non sono mai risultate impetuose come ci si aspetterebbe dall’esecuzione di qualsiasi brano di stampo wagneriano. 

L’Olandese Volante si conclude con un finale tragico in cui risaltano i temi della redenzione attraverso l’amore fedele e il sacrificio di Senta che, gettandosi in mare, rompe la maledizione dell’uomo che ama. Nella rappresentazione, tuttavia, Senta non si getta nelle onde del mare, ma si accascia in mezzo alla stanza generando una lettura più cerebrale dell’opera. Rimane quindi un amaro in bocca dovuto al mancato lieto fine e alla necessità di rileggere la storia e i tumulti dei personaggi in una chiave molto più psicologica di quella presentata da Wagner. La serata si è così conclusa con la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di potente come solo Wagner avrebbe potuto concepire, pur con qualche perplessità sulla staticità della scena (mai modificata nel corso dell’opera). 

a cura di Angelica Paparella e Alessia Sabetta

“La meglio gioventù”: presentata la nuova stagione del Regio

La stagione d’Opera e Balletto del Teatro Regio 2024/25 è all’insegna de La meglio gioventù, dal titolo della raccolta di poesie di Pasolini e dall’omonimo film di Marco Tullio Giordana. Dodici allestimenti, di cui sette inediti, dove le complesse sfaccettature di una gioventù frivola e nostalgica, ma anche conflittuale e provocatoria, faranno da filo conduttore. Un invito a vivere profondamente il presente anche nella sua fugacità che il Sindaco della Città di Torino e Presidente della Fondazione Teatro Regio Stefano Lo Russo con il Sovraintendente Mathieu Jouvin e il Direttore artistico Cristiano Sandri rivolgono in particolar modo alle nuove generazioni per appassionarle alla magia del teatro d’opera.

Si inaugurerà il 1° ottobre con Manon Manon Manon: un’inedita trilogia di Manon Lescaut. Auber, Massenet e Puccini proposti in nuovi allestimenti firmati Arnaud Bernard rifacendosi a tre epoche iconiche del cinema francese. Sempre ad ottobre il Regio ospiterà la Conferenza d’Autunno dell’Opera Europa coi suoi 233 membri provenienti da 44 Paesi. Seguirà Le nozze di Figaro: artisti carismatici diretti dallo spagnolo Emilio Sagi porteranno in scena la piacevolezza di una gioventù ingenua e impetuosa nella sua sfida sociale e forza ribelle. Dicembre, come da tradizione, è dedicato al Balletto. Quest’anno il Balletto dell’Opera di Tblisi, coreografato da Nina Ananiashvili e Aleksej Fadeečev, proporrà Giselle e Lo schiaccianoci in allestimenti ispirati alle fiabe ottocentesche, nella loro visione magica del mondo attraverso gli occhi della giovinezza. Tre spettacoli straordinari di Bolle and Friends inaugureranno il 2025.

Il 2025 operistico inizierà il 28 gennaio con L’elisir d’amore di Donizzetti che commuoverà come ai suoi esordi nel 1832, oggi proposto in cooperazione col Teatro Regio di Parma e diretto da Daniele Menghini. Seguirà il Rigoletto di Verdi in cui la giovane passione dei protagonisti dovrà affrontare crudeltà e cinismo nel nuovo allestimento di Leo Muscato. Ad aprile La dama di picche di Cajkovskij dove passioni, ambizioni, conflitti, vizi e follia verranno messi in scena nell’allestimento di Richard Jones. A maggio l’opèra romantique Hamlet, nuova produzione di Ambroise Thomas ispirato alla tragedia shakespeariana, rifletterà sul conflitto generazionale e la lotta per l’autonomia e l’indipendenza.Infine l’Andrea Chènier di Giordano: tumulti e cambiamenti ambientati durante la Rivoluzione francese in un nuovo spettacolare allestimento di Giancarlo del Monaco. Conferenze-concerto a ingresso libero, condotte dalle giornaliste Susanna Franchi e Elisa Guzzo Vaccarino e dalla musicologa Liana Puschel, permetteranno di incontrare gli interpreti affiancati da giovani cantanti del Regio Ensemble.

Una programmazione attenta in particolare ad un pubblico di giovani che potranno inoltre usufruire delle Anteprime Giovani riservate agli under-30. Una riorganizzazione dei settori di sala e una nuova e vantaggiosa politica dei prezzi renderanno più accessibile ai giovani, e non solo, coltivare la passione o incuriositi aprirsi a nuove esperienze artistiche. Con queste interessanti premesse, e in attesa di conoscere il cartellone della Stagione sinfonica, possiamo solo dire: andiamo al Regio!

A cura di Joy Santandrea

IL GRANDE RITORNO DELL’OPERA “LE VILLI” A TORINO

Il cartellone del Teatro Regio prosegue – dopo la Bohème, La Rondine e La fanciulla del West – con il suo omaggio a Giacomo Puccini in occasione del centenario dalla morte.
Le Villi, opera d’esordio del compositore, dopo 140 anni dalla sua prima rappresentazione in forma ampliata – in due atti – al Teatro Regio, viene nuovamente messa in scena a Torino in una produzione del regista Pier Francesco Maestrini con la direzione di Riccardo Frizza il 18 aprile 2024 con l’anteprima giovani – format che sta avendo sempre più successo tra gli under 30. Un’opera-ballo di soli due brevi atti, della durata di poco più di un’ora, che coinvolge lo spettatore in una storia d’amore. Come spesso capita gli amori operistici finiscono in una tragedia ma la tragedia de Le Villi viene mascherata da creature leggendarie e notturne che popolano i boschi, contrapponendo così l’idillio iniziale del primo atto al sinistro epilogo del secondo.
Vediamo già un Puccini in grado di mescolare influenze diverse, dall’Italia ottocentesca degli scapigliati al romanticismo tedesco sinfonico (“La tregenda”) fino ad arrivare alle influenze francesi con la danza: il tutto colorato da un clima fantastico-infernale che culmina nella danza delle magiche Villi in un rito di vendetta per l’amore perduto.

Foto dal link https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/le-villi

La regia di Maestrini riesce a trasportare sin da subito lo spettatore nel  clima fantastico ma cupo delle Villi: a sipario aperto vengono proiettate immagini in movimento di una tetra foresta al chiaro di luna, quasi a presagire quanto accadrà nel secondo atto. Un escamotage, quello dello schermo, sia per dividere il proscenio dalla scena, sia per mettere in dialogo quanto avviene nello schermo e ciò che accade dietro. La foresta nera si trasforma presto in un contesto colorato e sognante, con fondali fioriti di sapore vittoriano; non da meno sono i fastosi costumi tipici di un’epoca e una classe borghese che festeggia nella propria residenza: un eden onirico e festoso in cui i personaggi cantano, danzano e sognano. Ben presto però questo clima di festa spensierata si conclude con i rintocchi della campana che introducono il concertato-preghiera. L’intermezzo sinfonico si apre con un voice over narrante che introduce il rito funebre di Anna, morta per amore. Come indicato sul libretto, la scena si svolge dietro al telo-schermo che filtra l’immagine del corteo funebre, accompagnato da immagini video che mostrano una donna-sposa sola in un cimitero. La regia, sacrificando parte del testo della voce narrante, è stata abile nel mostrare il contrasto tra il dolore-morte di Anna e la stanza “peccaminosa” nella quale Roberto è stato attirato: un grande quadro reclinato raffigurante una donna nuda fa da sfondo a danze dal ritmo concitato, di tarantella, che muove i corpi delle amanti di Roberto trasportandoli in una danza frenetica. La resa scenica non appare però concitata come la musica: in un momento di climax di tensioni sessuali date dalla partitura musicale, scena e coreografia risultano un po’ statiche. L’opera si risolve con l’intervento delle Villi, creature fantastiche che rappresentano gli spiriti delle ragazze tradite e morte d’amore. Ballando nelle notti di luna piena, trascinano i traditori verso la morte, aiutando così Anna − divenuta anch’essa una creatura soprannaturale − nella sua vendetta contro Roberto. Anche in questa scena la frenesia del momento è data soprattutto dalla musica, mentre la danza delle Villi, che entrano in scena a sorpresa durante il dialogo tra i due protagonisti, diventa più irrequieta nel momento in cui legano con una corda Roberto per avvicinarlo ad Anna e trasportarlo in un altro mondo, quello della morte. Visivamente molto interessante la scelta di accerchiare Roberto, legarlo e condurlo verso il suo destino ma, complessivamente, i movimenti appaiono un po’ rigidi e codificati.

Foto dal link https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/le-villi

Il cast vocale di questa serata, composto dal soprano Roberta Mantegna (Anna), il tenore Azer Zada (Roberto), il baritono Simone Piazzola (Guglielmo), ha faticato a emergere  sull’impetuosità dell’orchestra. Nella scena finale, l’inquietudine di Roberto e la rivalsa di Anna si sono percepiti maggiormente nei gesti che nell’interpretazione canora. Il coro, guidato da Ulisse Trabacchin, è riuscito ad essere più d’impatto rispetto ai solisti, senza però essere di rilievo poiché coperto anch’esso dal grande sinfonismo orchestrale. L’acustica del Teatro Regio sicuramente non ha aiutato, ma le voci non hanno raggiunto il pubblico in modo incisivo e intenso.

Foto dal link https://www.teatroregio.torino.it/area-stampa/comunicato-stampa/le-villi

I giovani sono stati, anche questa volta, protagonisti della serata: non solo un giovane Puccini, ma anche una sala gremita di giovani ragazzi e ragazze interessati a scoprire qualcosa di più sul mondo del teatro musicale. Per coinvolgere maggiormente il pubblico il Teatro Regio continua, infatti, ad invitare ospiti speciali: l’invitato di questa serata è stato Pietro Morello, giovane pianista e digital content creator che con il suo entusiasmo e felicità ha presentato e raccontato – durante l’intervallo tra un atto e l’altro – la storia de Le Villi e qualche aneddoto sulla vita di Puccini.

L’omaggio al grande operista lucchese continuerà al Teatro Regio con un’ultima opera della stagione: Il trittico dal 21 giugno al 4 luglio.

A cura di Roberta Durazzi e Ottavia Salvadori

Puccini: La Fanciulla del West al Teatro Regio

“Non siamo disposti a perdonare! Si perdona ciò che si vuole! Allora perdonerete!”

Sono frasi significative che inaugurano la messa in scena dell’Anteprima Giovani under 18-30 del 21 marzo 2024 al Teatro Regio con “La Fanciulla del West”, l’opera lirica in tre atti composta da Giacomo Puccini, su libretto di Guelfo Civinini e Carlo Zangarini. La sua prima rappresentazione è avvenuta al Metropolitan Opera House di New York nel 1910. L’Opera è stata presentata prima dell’Anteprima Giovani, mercoledì 20 marzo al Piccolo Regio alle ore 18, nella conferenza-concerto condotta da Susanna Franchi.

Dal punto di vista del genere, La Fanciulla del West mescola elementi di dramma e lirismo. È un’opera che si colloca nel contesto del verismo, un movimento artistico che rappresentava la vita reale e le emozioni umane in modo crudo e sincero. Tuttavia, quest’opera si distingue per la sua ambientazione americana e per l’inclusione di temi legati al Far West, raggiungendo una certa originalità tra i titoli di Puccini. Sotto il punto di vista musicale, utilizza melodie popolari americane, come le “ballate del West”, insieme a motivi più operistici. La partitura è caratterizzata da una scrittura vocale impegnativa e da un’orchestrazione incalzante che riflette i sentimenti e le atmosfere dell’ambientazione.

La direzione orchestrale viene affidata a Francesco Ivan Ciampa, il quale con grande maestria crea una forte sinergia tra la componente orchestrale e quella canora. La regia viene condotta da Valentina Carrasco, la quale si ispira nell’allestimento al genere cinematografico degli “spaghetti Western”: manca solo la figura di John Wayne in Ombre Rosse per chiudere in bellezza! Il palco del tempio lirico del Regio diventa “un set cinematografico” in cui tutte le scene vengono girate e riprese dal vivo dai macchinisti, coordinate dal regista e infine proiettate sullo schermo visibile in sala dagli spettatori per cogliere i momenti più significativi e precostituiti dall’Industria degli effetti speciali cinematografici. I momenti solistici ribaltano la situazione di ripresa di realtà in cui viene meno la dimensione cinematografica ritornando alla dimensione operistica.

Le scene sono realizzate da Carles Barga e Peter Van Praet grazie all’utilizzo di tecnologie quali pannelli digitali retrostanti removibili in cui si ha la proiezione della neve (rappresenta la stagione invernale) e delle immagini collinari (il tipico finale Western dei due innamorati che si dirigono verso terre sconosciute e inesplorate). Si ha un’intuizione geniale nell’utilizzo dei cantanti secondari (i nativi americani, i cosiddetti “pellerossa”), con un cartello di protesta per effettuare un attacco satirico ed ironico contro la discriminazione razziale e l’integrazione forzata di comunità minoritarie all’interno della cultura bianca dominate.

La fanciulla del west
Foto di Daniele Ratti

Grande lavoro è stato svolto da Ulisse Trabacchin nella direzione corale della sezione maschile (baritoni e tenori), i quali hanno saputo mescolarsi con le voci solistiche creando una comunanza di cuori verso la storia d’amore tra la cameriera del Saloon Minnie (il soprano Oksana Dyka) e il bandito Ramerezz (il tenore Amadi Lagha) osteggiata dallo sceriffo Jack Rance (il baritono Massimo Cavalletti).

La Fanciulla del West, rispetto alle altre opere pucciniane, si conclude con un finale inaspettatamente lieto in cui è la donna a dominare sulla scena rispetto alla presenza maschile, ed essa non diviene vittima dell’uomo, anzi diviene figura che redime, mitiga ed espia le colpe di tutto il genere maschile.

A cura di Angelica Paparella

La Tragédie De Carmen: un’opera attuale e imprevedibile

L’opera torna al Teatro Concordia di Venaria Reale grazie alla collaborazione con la Compagnia Lirica Tamagno: un’impresa fondata nel 1992 attiva nei territori piemontesi per portare in scena opere liriche di tradizione e diffondere la cultura musicale ad un pubblico popolare, privilegiando teatri i cui cartelloni non prevedono una programmazione operistica.

Tutti conoscono la celeberrima opéra-comique di Bizet, Carmen, ma pochi conoscono l’adattamento di Peter Brook: La tragédie de Carmen, un progetto radicale che ridimensionò la partitura originale in un atto unico per orchestra da camera, spogliandola delle scene corali. Brook non si limitò solo a questo, ma accelerò il ritmo del racconto adeguando il tempo musicale e esplorò gli intricati legami tra i quattro personaggi principali: Carmen, Don José, Micaela, Escamillo.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Dopo il debutto a Savigliano, va in scena al teatro Concordia quest’opera controversa, con la nuova edizione del Circuito Lirico Piemontese guidata alla regia da Alberto Barbi, attore e regista torinese con una
formazione artistica eterogenea che va dal teatro di parola al teatro fisico, dal circo al musical. Barbi propone un’opera che si rifà all’idea di spazio vuoto teorizzata da Brook: il palco è una scatola bianca, chiusa su tre pareti, dove recitazione e canto si uniscono per far emergere solo i personaggi e i loro drammi attraverso un mescolamento di parlato e canto. Accanto alle arie in francese dei quattro personaggi principali, vi sono – al posto dei recitativi – momenti di prosa parlata in italiano; personaggi come il tenente Zuniga e il taverniere Lillas Pastia si esprimono con semplici parole declamate.

Si apre il sipario, dieci rintocchi di un timpano solo, la scena deserta con un solitario tavolo posizionato in verticale al centro del palco; tutto contribuisce a creare un’atmosfera funerea. Accovacciata e nascosta dietro di esso, Carmen indossa vestiti neri, un velo scuro sul volto e tiene tra le mani le carte, simbolo del tragico destino che la vita le riserva ed elemento fondamentale per la rappresentazione della sua personalità. Da questo momento Carmen, donna emancipata e indipendente, non abbandonerà praticamente mai la scena. Personaggio affidato a Irene Molinari, mezzosoprano laureatosi al Conservatorio di S. Cecilia di Roma e vincitrice di concorsi nazionali e internazionali, con la sua potenza vocale incanta il pubblico grazie alla sua capacità di passare da un registro grave ad uno più acuto con grande versatilità.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

La scena, spoglia di tutti quegli elementi considerati superficiali, presenta solo pochi oggetti: il tavolo, presente per tutto lo spettacolo e che assume diverse funzioni – come per esempio quella di prigione – e delle sedie che nel finale circondano Carmen e la imprigionano in un cerchio, simbolo del suo destino ormai segnato, e che rappresentano, forse, la solitudine nella quale ormai si trova; nessuno al suo fianco ma, a proscenio, la sua antagonista Micaela che sembra trasformarsi nello spirito di Carmen e non trova il coraggio di rivolgere lo sguardo verso il suo vero corpo. Altro elemento pregnante della scenografia sono le luci che virano dal blu al rosso passando per il verde: giochi di luci omogenee che talvolta creano ombre misteriose sulle pareti di grande effetto scenico.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Alcune scelte puntano ad attenuare il dinamismo che domina nell’opera di Bizet. L’habanera, una delle arie più famose dell’opera e che nella versione originale stimola grande fisicità, corporeità e imprevedibilità, viene trasformata da Barbi in una scena priva di danza e di movimento. I pochi gesti di Carmen appaiono rigidi e la scena immobile. Anche l’orchestra Bartolomeo Bruni, affidata al giovane Takahiro Maruyama, accoglie le novità proposte da Brook. I timbri si disgregano e i colori si disperdono nell’ambiente. Non solo, dunque, una scena priva di elementi decorativi ma anche l’ambiente sonoro viene spogliato e reso essenziale.

Brook decide di mettere in luce gli aspetti più crudi della vita e i conflitti tra i personaggi sacrificando, così, gli elementi più sensibili e romantici. L’aria “La fleur que tu m’avais jetée” viene, infatti, deliberatamente separata dal duetto tra José e Carmen per fare spazio ad una scena in cui emerge il lato più violento di José che uccide Zuniga e si scontra con Escamillo in una lotta posticcia a “colpi di navaja”.  L’atmosfera passionale del duetto viene pertanto bruscamente interrotta dal lato oscuro e cruento della storia. “La fleur”, ridotta ad una sola strofa, appare come un momento solitario: José solo in scena rivolge lo sguardo e il suo canto al pubblico. Carmen entra in scena in modo furtivo ma si mantiene a distanza per contemplare le parole proferite da José. Ignaro della presenza della sua amata, continua a cantare e, solo dopo la sua dichiarazione esplicita del suo amore con le parole “Carmen ti amo!”, si volta verso di lei come se avesse intuito la sua presenza. Perfino Micaela viene rappresentata come una donna a tratti violenta, che litiga con Carmen. Lei, donna spirituale che sin da subito dimostra la sua devozione nei confronti di un Dio, donna semplice portatrice del bacio materno a Don José, viene aizzata dalla donna seduttrice e passionale. Una lotta che diventa antitesi del finale: dopo l’uccisione di Carmen, Micaela piange disperata accanto ad un altarino. È proprio in questo momento che si tornano a sentire i rintocchi funebri del timpano che diventano eco di un viaggio umano che ha attraversato l’amore e la perdita portando lo spettatore a meditare sulle sfumature dell’animo e a riconoscere l’eterno divenire della vita.

Foto di Lunasoft Video Produzioni

Forse la regia, consapevole della complessità della storia, ha deciso di non inviare un messaggio univoco al pubblico, evitando di schierarsi esplicitamente dalla parte di Carmen o da quella di José. In questo spettacolo aperto a diverse interpretazioni, la storia di un femminicidio 800esco diventa specchio della tragica attualità nella quale ancora oggi siamo immersi.

A cura di Ottavia Salvadori

“La Rondine” di Puccini in un particolare omaggio al Teatro Regio

Al Teatro Regio continua il successo di anteprime per ragazzi under 30. Ancora una volta la sala è piena di giovani che vogliono avvicinarsi ad un mondo lontano da quello contemporaneo. 

Il 16 novembre 2023 è andata in scena La Rondine, commedia lirica poco conosciuta del celebre Giacomo Puccini. La direzione dell’orchestra è stata affidata a Francesco Lanzillotta, direttore d’orchestra e attento esperto del panorama operistico italiano contemporaneo. Lanzillotta ha dimostrato la sua grande abilità, riuscendo a comunicare la forza di quest’opera, che si muove a ritmi di danza tipici dell’epoca pucciniana, tra cui il tango, il one-step e soprattutto il valzer. Quest’ultimo è centrale in tutta la rappresentazione e dona momenti di sensualità e passione. 

Degna di nota è la regia di Pierre-Emmanuel Rousseau, che torna a Torino dopo l’inaugurazione della stagione scorsa. Il nuovo allestimento de La Rondine vuole essere un omaggio innanzitutto al Teatro Regio, ma anche agli anni Settanta francesi, anni di fermento successivi alle rivolte del Sessantotto. Rousseau ha collocato, quindi, l’azione in un anno ben preciso, il 1973, momento della riapertura del Teatro dopo la ricostruzione progettata dall’architetto Carlo Mollino, a seguito del tragico incendio del 1936. 

Il primo atto si svolge in un loft minimalista dell’alta borghesia francese durante un after party. La scena è arredata con piccole sculture che fanno riferimento a Mollino, mentre i colori si concentrano sul nero e sull’oro, alimentando l’idea di ricchezza dei personaggi coinvolti. Nel secondo atto si viene catapultati in una grande festa proprio nel foyer del Teatro Regio, ben rappresentato in ogni dettaglio. Infine, nel terzo atto ci si ritrova in Costa Azzurra, evocata dallo sfondo celeste, simile al colore del mare e, soprattutto, dagli abiti indossati dai protagonisti: costumi da bagno e camicie leggere.

L’esibizione corale del secondo atto è stata sicuramente la più coinvolgente: sembrava davvero di partecipare, insieme ai protagonisti, ad un party anni Settanta. Il coro, istruito dal maestro Ulisse Trabacchin, si è ben inserito nella scena e i ballerini, su coreografie di Carmine de Amicis, si sono esibiti in danze tra cui il vogueing. In questo quadro, oltre alla scenografia, un altro omaggio al Regio: i costumi di scena sono stati presi in prestito direttamente dal magazzino della sartoria teatrale. La performance è stata accolta molto positivamente da tutto il pubblico in sala, il quale ha espresso il suo consenso con un lungo e caloroso applauso.

I cantanti sono emersi bene durante tutta la rappresentazione, senza mai essere sopraffatti dall’impianto scenografico. In particolare, la protagonista Magda, interpretata dal soprano di origine russa Olga Peretyatko, che grazie alle sue capacità e alla grande estensione vocale, è riuscita a rendere leggeri e piacevoli acuti, senza mai mostrare fatica. 

Interessante la realizzazione del progetto Contrasti per questa serata. L’artista ospite è stato Marquis, giovane promettente che nell’ultimo anno ha collaborato alla composizione delle musiche per la colonna sonora della serie I leoni di Sicilia, tratta dall’omonimo romanzo di Stefania Auci. Come d’abitudine l’esibizione si è svolta nel Foyer del Toro, questa volta però non in conclusione della serata, ma come sottofondo durante gli intervalli, generando veri e propri “contrasti” all’atmosfera del teatro.

Dunque, ancora una volta il Regio è riuscito a incuriosire e avvicinare un pubblico giovane, contestando una visione elitaria del teatro lirico.

A cura di Roberta Durazzi

Al Teatro Regio Madama Butterfly: oggi come allora

Si conclude sabato 10 giugno, il ciclo “Anteprima giovani” del Teatro Regio con la messa in scena di Madama Butterfly. Lo spettacolo, con la regia di Damiano Michieletto e Dmitri Jurowski alla direzione d’orchestra e coro, è stato firmato dal regista stesso per il teatro torinese nel 2010 e questa è la terza ripresa dopo quelle del 2012 e del 2014. 

Madama Butterfly è l’eterna dicotomia tra la globalizzazione americana contro un Oriente che prova a tenere strette le proprie tradizioni; è una storia struggente di una donna (in questo caso ancora una bambina) sedotta e abbandonata; potrebbe essere uno dei numerosi casi di turismo sessuale (minorile) che continuano a verificarsi nella società odierna. Però Madama Butterfly, prima di ogni cosa, è un’opera in tre atti composta all’inizio del ‘900 da Giacomo Puccini, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. E il fatto che continui ad essere ancora così contemporanea fa riflettere.

Dalla cartella stampa del Teatro Regio (ph Andrea Macchia)

Niente abiti tradizionali o la consueta, idilliaca ambientazione ottocentesca: il pubblico è catapultato di fronte a una metropoli asiatica come tante, con cartelloni pubblicitari, insegne al neon, food truck, vestiti moderni e una lussuosissima macchina bianca − al posto della nave − che sta ad indicare lo status symbol di Pinkerton (Matteo Lippi nei suoi panni). Non una tipica casa di legno giapponese con il tatami e le porte scorrevoli, ma una teca in plexiglass − proprio come quelle in cui si tengono le farfalle − piena di peluche e giocattoli, ma anche «pochi oggetti da donna…» che Cio Cio San (per l’occasione interpretata da Barno Ismatullaeva) chiede il permesso al neo-marito di possedere. Anche questi a simboleggiare una dicotomia di una bambina chiamata a crescere troppo in fretta, forse senza neanche volerlo davvero e la donna che sarebbe potuta diventare. E infatti, dopo tre anni in cui è persa nella sua ingenuità, è costretta ad avere la sua metamorfosi (da bambina a donna), in una notte sola, quando, finalmente consapevole di quello che le è successo, si punta una pistola alla tempia −anche in questo caso, non un pugnale, non un coltello, ma una pistola − e pone fine alle sue sofferenze. 

dalla cartella stampa del Teatro Regio (Ph Andrea Macchia)

Il tutto è svuotato da qualsiasi sfumatura fiabesca o da quell’esotismo che ha sempre caratterizzato l’opera: la storia si svolge tra il completo cinismo di Pinkerton, che è solo avido di addentare la sua preda e la sua spietata moglie americana pronta a strappare il bene più prezioso di una madre (ovvero la creatura che ha messo al mondo); l’opportunismo di una donna che vende una figlia in cambio di becero denaro; l’indifferenza degli altri protagonisti tra cui Sharpless (Damiano Salerno) di fronte alla realtà dei fatti. Un girotondo intorno ad una Butterfly che, purtroppo ancora oggi, impersona la storia di tante altre farfalle a cui sono state spezzate le ali.

Gli attori sono perfettamente calati nei loro ruoli: coinvolgenti e persuasivi rendono la drammaticità del racconto che, anche grazie alla loro interpretazione, arriva ancora di più agli spettatori in sala. La scelta dell’ambientazione non convenzionale (così come per Il Flauto Magico), esempio di grande coraggio da parte di un regista già conosciuto per il suo spirito provocatorio, viene premiata dal pubblico che, alla fine della rappresentazione, scoppia in un forte e caloroso applauso. Soprattutto, in questo modo, è più facile leggere la vicenda in chiave contemporanea e capire che non è una storia poi così lontana dalla nostra quotidianità. E questo è importante.

a cura di Alessia Sabetta

Passaggi d’estate: gioie musicali nella corte del cielo

Otto concerti, dall’8 al 22 luglio, un repertorio pensato per un pubblico differenziato messo a punto dal Direttore artistico Cristiano Sandri. Protagonisti l’Orchestra Teatro Regio Torino, i Solisti del Regio Ensemble e il Coro di voci bianche del Teatro Regio.

«È un clima positivo motivo di grande orgoglio quello che si respira al Teatro Regio» afferma il Sindaco Stefano Lo Russo in apertura di conferenza stampa il 26 maggio per la presentazione del programma. Dopo i ringraziamenti alla Direttrice dei Musei Reali di Torino Enrica Pagella, il Sovrintendente Mathieu Jouvin sottolinea il clima di accoglienza che caratterizza l’iniziativa. Oltre ai cittadini e ai turisti, l’attenzione sarà rivolta ai giovani con un biglietto ridotto dedicato agli Under30, proseguendo sull’onda di Anteprima Giovani progetto particolarmente riuscito in quest’ultima Stagione 2022-2023. Giovani sono anche i protagonisti scelti dal direttore artistico Cristiano Sandri, i Solisti del Regio Ensemble e il maestro Riccardo Bisatti, interpreti di un repertorio classico apprezzabile da un pubblico non necessariamente di specialisti.

Nella foto: Mathieu Jouvin, Stefano Lo Russo e Cristiano Sandri durante la presentazione a Palazzo Reale. Foto dal comunicato stampa del Teatro Regio.

Ad inaugurare l’evento una selezione di arie d’opera tratte dalla grande tradizione italiana dell’800, con un primo appuntamento previsto per sabato 8 luglio,e interpretato dalle voci dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzo soprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giannandrea Agnoletto. Domenica 9 luglio, condotti dal maestro Claudio Fenoglio, il Coro di Voci bianche e i Solisti del Regio Ensemble Irina Bogdanova (soprano) e Ksenia Chubunova (mezzo soprano) eseguiranno un repertorio di generi e stili diversi, passando da brani del passato a compositori contemporanei. Martedì 11 luglio dirige l’Orchestra del Regio Riccardo Bisatti, in un concerto interamente dedicato al repertorio mozartiano. Sabato 15 e domenica 16 due i protagonisti, Mozart e Schubert, eseguiti dall’Orchestra diretta sempre da Bisatti. Martedì 18 luglio sarà la volta dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzosoprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giulio Lugazzi, si cimenteranno con i compositori della tradizione mitteleuropea. In chiusura gli appuntamenti di giovedì 20 e sabato 22 luglio, con l’Overture da Le nozze di Figaro di Mozart, la Sinfonia in sol maggiore n.88 di Haydn e la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Beethoven. Sul podio ancora una volta Bisatti.

Sarà inoltre possibile per i possessori del biglietto accedere, a partire da un’ora prima dall’inizio dei concerti, al Giardino Ducale per godere di una passeggiata esclusiva in uno dei luoghi simbolo della città di Torino. Per consultare il programma completo e acquistare i biglietti: https://www.teatroregio.torino.it/passaggi-destate

A cura di Alessandra Mariani

Il gioco della serietà: La fille du Régiment al Teatro Regio

Cosa mette di buon umore più della Figlia del reggimento? Quest’opera che ci fa danzare davanti agli occhi soldatini colorati, che mette in scena amori giocosi e ingenui, che usa la musica per creare un mondo dove il Male semplicemente non esiste, è la cura infallibile contro la depressione. Con quest’opera il Teatro diventa quel che è in Fanny e Alexander: gioco di cartone, volo di fantasia, magia che vince il duello con la realtà. Nulla nella Figlia del Reggimento è reale: la Guerra, l’Esercito, la Nobiltà, l’Amore, il Dolore, la Separazione sono tutte figurine in miniatura nelle mani di un bambino. Ma come ogni gioco che si rispetti, va giocato con estrema serietà (i bambini questo lo sanno bene).

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Dunque in un momento triste, come può esserlo l’aria di Marie alla fine del primo atto, Donizetti vuole che tu pianga, e ti fa piangere; e in un momento di gioia, come quando i tre protagonisti si riuniscono nel secondo atto, vuole che la gioia sia incontenibile, e ti folgora con un ritmo offenbachiano perché devi aver voglia di alzarti in piedi e danzare.
È commovente pensare che queste opere non le ha scritte un bambino vero, un piccolo Mozart: le ha scritte un adulto, uno che è nato nella miseria, che a quarant’anni ha perso i genitori e la moglie e i figli, e che ha finito i suoi giorni pazzo: uno, insomma, che ha conosciuto il dolore. L’esilità di certe sue marcette, valzerini o minuetti sembra un rimpicciolirsi davanti al gran caos del mondo, un ritirarsi nel sottosuolo, in una tana dove asciugarsi le lacrime e poter tornare a giocare ai soldatini. Perciò questa musica così fragile è anche quella dove più spesso la malinconia affiora, trascolora e si riassopisce: soltanto in Schubert abbiamo una successione così cangiante di modi maggiore e minore nello spazio di poche battute. Il comico come superamento del tragico di cui è fatta la vita è teorizzato e messo in pratica nelle melodie donizettiane.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Il Teatro come gioco, dunque, e la creazione artistica come luogo per espungere il Male dal mondo sono gli ingredienti delle opere comiche di Donizetti. Guai al regista che davanti alla Figlia del reggimento punti al realismo, alla verosimiglianza, o quel che è peggio a parlare di noi, parlare del presente, parlare del mondo in cui viviamo: no, no, no, sembra dire quest’opera, viva il mondo in cui non viviamo.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Nello spettacolo andato in scena al Teatro Regio, i registi Barbe & Doucet hanno seguito questo principio e hanno ricollocato l’opera sul comò di un’anziana signora, tra scatole di medicine, la statuina di una Madonna alta sei metri e una abat-jour di cui non si vede la sommità: davvero un mondo di soldatini, di figurette di cartone. Né si perde l’ambientazione svizzera, poiché sul comò è anche collocato un orologio a cucù a forma di chalet e sul fondo il dipinto di un paesaggio alpino. Il resto, come potete immaginare, viene da sé, ed è meraviglioso. Tanto più che questi due sono dotati della dote più rara tra i registi: l’umorismo, cosa ben diversa dalla caciara o dalla stupidità con cui altri credono di far regie divertenti. L’ambientazione insolita è introdotta da un piccolo film proiettato durante l’Ouverture, dove si vede l’anziana signora, i suoi nipotini, la casa di riposo, il comò e gli oggetti dei ricordi riposti su di esso: la vita trascorsa, probabilmente passata per la guerra, viene delibata nella memoria e trasformata, per chi durante la guerra era bambina, in una favola colorata: cosa c’è di più malinconico e dolce insieme, di più profondamente donizettiano?

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Guidati dai due registi e dalla bacchetta di Evelino Pidò, molto analitica coi timbri dell’orchestra, gli interpreti hanno dato prove ottime e nel canto e nella recitazione, questa assai più difficile da padroneggiare in un’opera che richiede di parlare e non solo di cantare, dunque bravi due volte. Fuoriclasse assoluto Arturo Brachetti nei panni della Duchessa di Crakentorp: come nella migliore tradizione dell’operetta (si pensi al ricevimento nel secondo atto del Pipistrello), si è esibito in un numero extra che combinava al trasformismo la canzone “Ciribiribin”: per un attimo l’immenso Paolo Poli è tornato tra noi.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

A cura di Luca Siri