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Amour Toujours: presentata la stagione 2024 del Teatro Regio

La nuova Stagione del Teatro Regio ha compiuto il passo prefissato nella precedente: “Amour Toujours” è il titolo della produzione 2023/2024, dedicata in particolar modo a Giacomo Puccini, per festeggiarne il centenario. A spiegare il perché di questa scelta e a presentare le quattordici opere della Stagione, ci hanno pensato nella mattinata del 7 giugno il sindaco Stefano Lo Russo, il sovrintendente Mathieu Jouvin e il nuovo direttore artistico Cristiano Sandri, protagonisti della conferenza tenutasi nel Foyer del Toro. 

Dal 21 settembre 2023 al 4 luglio 2024 il Teatro Regio ospiterà allestimenti importanti – otto sono i nuovi – ma vedrà anche il ritorno di interpreti che abbiamo già conosciuto durante la Stagione 2022/2023, (come Mariangela Sicilia, Donna Elvira e Riccardo Zanellato, Il Commendatore, dal Don Giovanni). Altro grande ritorno sul palcoscenico del Regio, questa volta con Un ballo in maschera, sarà anche quello del direttore Riccardo Muti. A fianco di titoli già conosciuti, come La bohème (con il contributo di Reale Mutua), ci saranno quelli più ‘di nicchia’, come La rondine (con il sostegno di Italgas; direttore d’orchestra Francesco Lanzillotta, già presente alla Norma nella scorsa stagione), e persino prime esecuzioni a Torino – con Un mari à la porte, di  Jacques Offenbach (operetta in un atto) – e in Italia – con The tender Land, di Aaron Copland (opera in tre atti). Entrambi gli allestimenti saranno presentati in lingua originale, così come lo sarà anche Der fliegende Holländer (L’Olandese volante), di Richard Wagner

dalla Cartella Stampa del Teatro Regio, il nuovo logo

Il Regio non perde occasione di mantenere gli impegni presi nell’anno di piena pandemia da Covid-19, tanto che Mathieu Jouvin precisa che nella nuova Stagione sarà presente anche un titolo che doveva essere allestito in precedenza: Don Pasquale, di Gaetano Donizetti. Non manca lo sguardo rivolto al balletto: tra le produzioni anche La bella addormentata, di Marcia Haydeé – balletto in tre atti basato sulla fiaba di Perrault, con musica di Čajkovskij – che vedrà sul palco solisti e corpo di ballo del Balletto Nazionale di Praga; Don Chisciotte, su libretto di Marius Petipa – balletto in tre atti, tratto dall’omonimo libro di Cervantes –, con il corpo di ballo del Balletto dell’Opera di Kiev; e Le villi, su libretto di Ferdinando Fontana, a richiamare un’altra opera, Giselle. Ad aprire la stagione del balletto nel nuovo anno, però, sarà Roberto Bolle and Friends, a gennaio 2024. 

La prima e l’ultima produzione sono, tuttavia, le più particolari: ad aprire la Stagione 2024 sarà La Juive (l’ebrea), di Halévy Scribe, con regia di Stefano Poda, già scritturato per Turandot nell’allestimento 2021/2022 – partner di quest’anno sarà Intesa San Paolo –, mentre a chiuderla sarà il trittico Il tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, a suggellare questo cartellone all’insegna dell’amore. Stagione che, come detto poc’anzi, si aprirà con un’opera francese, così come lo è il titolo della stessa: “Amour Toujours”, a riprendere – parole di Jouvin – la canzone di Gigi d’Agostino, il dj torinese che (paradossalmente) ha dato l’idea di un’unione tra due paesi, l’Italia e la Francia.

Il nuovo inizio del Teatro Regio è dimostrato anche dal logo che, in occasione del cinquantenario, coglie lo spunto per rinnovarsi. Infatti, il toro – che la faceva da padrone – ora condivide il posto con una musa, che a sua volta tiene una lira tra le mani come simbolo del legame tra la città di Torino e la musica. I tre elementi sembrano protrarsi in avanti, in una corsa verso il futuro, che richiama sempre e comunque al passato: il disegno è stato realizzato da Undesign Agency a partire da un bozzetto originale e inedito di Carlo Mollino, originariamente pensato per il pavimento del Teatro. 

A completare la Stagione i concerti 2023/2024: dodici appuntamenti, otto con l’Orchestra, il Coro e il Coro di voci bianche del Teatro Regio e quattro con la Filarmonica TRT, che nel 2024 compirà vent’anni. Ad aprire la Stagione sarà il direttore russo Timur Zangiev; a seguire, salirà sul podio dell’orchestra Nathalie Stutzmann, per il concerto del 25 novembre. Il periodo pasquale vedrà protagonisti il Salve Regina e lo Stabat Mater, diretti da Claudio Fenoglio, e Vetrate di chiesa e Requiem (di Cherubini), diretti da Diego Ceretta. Agli appuntamenti con la Filarmonica TRT saranno presenti il direttore Felix Mildenberg, con la Sinfonia n. 4 di Gustav Mahler, Yutaka Sado, a dirigere la Sinfonia n. 4 di Anton Bruckner e la direttrice sudcoreana Kim Eun-sun, che si cimenterà con Johannes Brahms. Non mancherà nemmeno il consueto appuntamento con il cinema e le colonne sonore, affidate a Timothy Brock: in programma la proiezione con colonna sonora eseguita dal vivo di The Great Dictator, con regia di Charlie Chaplin

A cura di Chiara Vecchiato

Passaggi d’estate: gioie musicali nella corte del cielo

Otto concerti, dall’8 al 22 luglio, un repertorio pensato per un pubblico differenziato messo a punto dal Direttore artistico Cristiano Sandri. Protagonisti l’Orchestra Teatro Regio Torino, i Solisti del Regio Ensemble e il Coro di voci bianche del Teatro Regio.

«È un clima positivo motivo di grande orgoglio quello che si respira al Teatro Regio» afferma il Sindaco Stefano Lo Russo in apertura di conferenza stampa il 26 maggio per la presentazione del programma. Dopo i ringraziamenti alla Direttrice dei Musei Reali di Torino Enrica Pagella, il Sovrintendente Mathieu Jouvin sottolinea il clima di accoglienza che caratterizza l’iniziativa. Oltre ai cittadini e ai turisti, l’attenzione sarà rivolta ai giovani con un biglietto ridotto dedicato agli Under30, proseguendo sull’onda di Anteprima Giovani progetto particolarmente riuscito in quest’ultima Stagione 2022-2023. Giovani sono anche i protagonisti scelti dal direttore artistico Cristiano Sandri, i Solisti del Regio Ensemble e il maestro Riccardo Bisatti, interpreti di un repertorio classico apprezzabile da un pubblico non necessariamente di specialisti.

Nella foto: Mathieu Jouvin, Stefano Lo Russo e Cristiano Sandri durante la presentazione a Palazzo Reale. Foto dal comunicato stampa del Teatro Regio.

Ad inaugurare l’evento una selezione di arie d’opera tratte dalla grande tradizione italiana dell’800, con un primo appuntamento previsto per sabato 8 luglio,e interpretato dalle voci dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzo soprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giannandrea Agnoletto. Domenica 9 luglio, condotti dal maestro Claudio Fenoglio, il Coro di Voci bianche e i Solisti del Regio Ensemble Irina Bogdanova (soprano) e Ksenia Chubunova (mezzo soprano) eseguiranno un repertorio di generi e stili diversi, passando da brani del passato a compositori contemporanei. Martedì 11 luglio dirige l’Orchestra del Regio Riccardo Bisatti, in un concerto interamente dedicato al repertorio mozartiano. Sabato 15 e domenica 16 due i protagonisti, Mozart e Schubert, eseguiti dall’Orchestra diretta sempre da Bisatti. Martedì 18 luglio sarà la volta dei Solisti del Regio Ensemble – Irina Bogdanova e Amélie Hois (soprani), Ksenia Chubunova (mezzosoprano), Lulama Taifasi (tenore) e Rocco Lia (basso) – accompagnati al pianoforte da Giulio Lugazzi, si cimenteranno con i compositori della tradizione mitteleuropea. In chiusura gli appuntamenti di giovedì 20 e sabato 22 luglio, con l’Overture da Le nozze di Figaro di Mozart, la Sinfonia in sol maggiore n.88 di Haydn e la Sinfonia n. 2 in re maggiore op. 36 di Beethoven. Sul podio ancora una volta Bisatti.

Sarà inoltre possibile per i possessori del biglietto accedere, a partire da un’ora prima dall’inizio dei concerti, al Giardino Ducale per godere di una passeggiata esclusiva in uno dei luoghi simbolo della città di Torino. Per consultare il programma completo e acquistare i biglietti: https://www.teatroregio.torino.it/passaggi-destate

A cura di Alessandra Mariani

Il gioco della serietà: La fille du Régiment al Teatro Regio

Cosa mette di buon umore più della Figlia del reggimento? Quest’opera che ci fa danzare davanti agli occhi soldatini colorati, che mette in scena amori giocosi e ingenui, che usa la musica per creare un mondo dove il Male semplicemente non esiste, è la cura infallibile contro la depressione. Con quest’opera il Teatro diventa quel che è in Fanny e Alexander: gioco di cartone, volo di fantasia, magia che vince il duello con la realtà. Nulla nella Figlia del Reggimento è reale: la Guerra, l’Esercito, la Nobiltà, l’Amore, il Dolore, la Separazione sono tutte figurine in miniatura nelle mani di un bambino. Ma come ogni gioco che si rispetti, va giocato con estrema serietà (i bambini questo lo sanno bene).

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Dunque in un momento triste, come può esserlo l’aria di Marie alla fine del primo atto, Donizetti vuole che tu pianga, e ti fa piangere; e in un momento di gioia, come quando i tre protagonisti si riuniscono nel secondo atto, vuole che la gioia sia incontenibile, e ti folgora con un ritmo offenbachiano perché devi aver voglia di alzarti in piedi e danzare.
È commovente pensare che queste opere non le ha scritte un bambino vero, un piccolo Mozart: le ha scritte un adulto, uno che è nato nella miseria, che a quarant’anni ha perso i genitori e la moglie e i figli, e che ha finito i suoi giorni pazzo: uno, insomma, che ha conosciuto il dolore. L’esilità di certe sue marcette, valzerini o minuetti sembra un rimpicciolirsi davanti al gran caos del mondo, un ritirarsi nel sottosuolo, in una tana dove asciugarsi le lacrime e poter tornare a giocare ai soldatini. Perciò questa musica così fragile è anche quella dove più spesso la malinconia affiora, trascolora e si riassopisce: soltanto in Schubert abbiamo una successione così cangiante di modi maggiore e minore nello spazio di poche battute. Il comico come superamento del tragico di cui è fatta la vita è teorizzato e messo in pratica nelle melodie donizettiane.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Il Teatro come gioco, dunque, e la creazione artistica come luogo per espungere il Male dal mondo sono gli ingredienti delle opere comiche di Donizetti. Guai al regista che davanti alla Figlia del reggimento punti al realismo, alla verosimiglianza, o quel che è peggio a parlare di noi, parlare del presente, parlare del mondo in cui viviamo: no, no, no, sembra dire quest’opera, viva il mondo in cui non viviamo.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Nello spettacolo andato in scena al Teatro Regio, i registi Barbe & Doucet hanno seguito questo principio e hanno ricollocato l’opera sul comò di un’anziana signora, tra scatole di medicine, la statuina di una Madonna alta sei metri e una abat-jour di cui non si vede la sommità: davvero un mondo di soldatini, di figurette di cartone. Né si perde l’ambientazione svizzera, poiché sul comò è anche collocato un orologio a cucù a forma di chalet e sul fondo il dipinto di un paesaggio alpino. Il resto, come potete immaginare, viene da sé, ed è meraviglioso. Tanto più che questi due sono dotati della dote più rara tra i registi: l’umorismo, cosa ben diversa dalla caciara o dalla stupidità con cui altri credono di far regie divertenti. L’ambientazione insolita è introdotta da un piccolo film proiettato durante l’Ouverture, dove si vede l’anziana signora, i suoi nipotini, la casa di riposo, il comò e gli oggetti dei ricordi riposti su di esso: la vita trascorsa, probabilmente passata per la guerra, viene delibata nella memoria e trasformata, per chi durante la guerra era bambina, in una favola colorata: cosa c’è di più malinconico e dolce insieme, di più profondamente donizettiano?

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

Guidati dai due registi e dalla bacchetta di Evelino Pidò, molto analitica coi timbri dell’orchestra, gli interpreti hanno dato prove ottime e nel canto e nella recitazione, questa assai più difficile da padroneggiare in un’opera che richiede di parlare e non solo di cantare, dunque bravi due volte. Fuoriclasse assoluto Arturo Brachetti nei panni della Duchessa di Crakentorp: come nella migliore tradizione dell’operetta (si pensi al ricevimento nel secondo atto del Pipistrello), si è esibito in un numero extra che combinava al trasformismo la canzone “Ciribiribin”: per un attimo l’immenso Paolo Poli è tornato tra noi.

La figlia del reggimento al Teatro Regio – Foto di Andrea Macchia

A cura di Luca Siri

Il Flauto Magico in un allestimento che strizza l’occhio all’impressionismo cinematografico in scena al Regio

Die Zauberflöte, IlFlauto magico, Singspiel di Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder, è tra le dieci opere più rappresentate al mondo e dal 31 marzo (dal 30 con anteprima giovani) al 14 aprile, sarà in scena al Teatro Regio di Torino, con regia di Tobias Ribitzki, animazioni di Paul Barritt ideate da «1927», la squadra supervisionata da Suzanne Andrade e dallo stesso Paul Barritt. Alla direzione d’orchestra Sesto Quatrini e Andrea Secchi alla guida del coro, completando i nomi dietro questa produzione.

La trama, ambientata in un favoloso Egitto, racconta la storia d’amore tra Tamino (interpretato da Joel Prieto e Giovanni Sala) e Pamina (Ekaterina Bakanova e Gabriela Legun) e il viaggio dell’eroe che lui deve intraprendere per liberare l’amata aiutato dal fedele Papageno, anch’esso alla ricerca di “ein Mädchen oder Weibchen” (una ragazza o una donna). 

In realtà, parlare in questo modo dell’intreccio alla base del Flauto magico è molto riduttivo: l’opera è eclettica, contraddittoria, ricca di significati e forse, proprio per tale motivo, tanto apprezzata dal pubblico. Il rischio che si corre per questo genere di messinscena è di raccontare la vicenda in modo razionale non risultando all’altezza di un racconto che ha il surrealismo come caratteristica principale: le menti creatrici dell’allestimento hanno compreso molto bene questo aspetto. Lasciandosi ispirare dal cinema muto (in particolare quello impressionista), dai fumetti e da altre numerose influenze, hanno ideato una scenografia che sembra prendere vite grazie alle animazioni proiettate sulle quinte del palco.

In un flusso di immagini animate che dialogano costantemente con gli attori sul palco, lo spettatore si ritrova all’interno di un’esperienza immersiva e deve fare i conti con una nuova concezione di opera. Proprio questa necessità di rivalutazione sembra turbare il pubblico dei giovani torinesi presenti all’anteprima. Così come molti alla fine dello spettacolo sembrano entusiasti di vedere finalmente la ricerca di uno “svecchiamento”, molti altri sembrano sbigottiti. Tra i commenti più sostenuti c’è il fatto che un’opera classica debba rimanere tale anche nell’apparato scenico e che un allestimento del genere risulti addirittura troppo azzardato per il maestro del classicismo viennese. 

Ma lo spettacolo, nato a Berlino nel 2012, ha già festeggiato il suo decennale riscuotendo successo tra Europa, Usa e Cina nonostante la sua peculiarità provocatoria. Motivo per cui questo allestimento è sintomatico di tantissimo coraggio da parte di coloro che hanno deciso di sfidare le convenzioni sociali: già solo per questo merita una possibilità.

Come dopo ogni anteprima lo spettacolo si è spostato nel foyer del teatro per la rassegna Contrasti. La scelta per questa data è ricaduta su Napoleone (cantautore di origini campane, ormai stabile a Torino) è stato presentato sui social del format come portatore di magia grazie al dialetto campano e la tradizione del funk partenopeo. L’artista già noto ai più grazie a un duetto con Guè, durante la sua esibizione ha presentato in anteprima il suo nuovo singolo “Il giardino di Maddalena”, insieme a Kaze, in uscita a mezzanotte. A differenza del Flauto magico il cantautore ha ottenuto il consenso di tutte le persone presenti, concludendo degnamente uno spettacolo che lascerà parlare ancora molti.

A cura di Alessia Sabetta

Nell’opera come nella vita: la presentazione della Turandot al Teatro Regio

Non finita, dunque infinita. Presentata nel Foyer del Teatro Regio di Torino durante la conferenza del 13 aprile, la Turandot di Puccini si riscopre nella giornata internazionale del bacio – il bacio che dovrebbe concluderla! – attraverso le parole della giornalista Susanna Franchi e l’intervento del regista designato Stefano Poda, il quale riprende l’allestimento del 2018.

Credits: Martina Caratozzolo

Turandot è una principessa cinese dal cuore gelido, la quale rifiuta la corte di ogni suo pretendente: indispensabile per avere la sua mano è la risoluzione di tre difficilissimi enigmi, pena la decapitazione. Solo il figlio del re dei tartari, Calaf, esce vincitore dalla sfida, tenendo però nascosta la sua identità: non volendola in sposa contro il suo volere, le concede di condannarlo qualora lei scoprisse il suo nome entro l’alba del giorno successivo. Le porte si aprono in seguito a un lieto fine, in cui Turandot, pur riuscendo nel suo intento, «disgela» il suo cuore al principe in un matrimonio inaspettato, traboccante di un nuovo e grandioso amore.

A partire dall’omonima commedia di Carlo Gozzi, rappresentata a metà Settecento (la quale fu un enorme successo anche a Weimar nella traduzione tedesca di Schiller), la storia affascina il compositore Carl Maria Von Weber, il quale nel 1809 la mette in musica, così come un secolo dopo farà Ferruccio Busoni. Nel 1920 Giacomo Puccini, vittima del suo horror vacui, trova ispirazione per una nuova opera proprio in questo libretto, suggeritogli da Giuseppe Adami e Renato Simoni: il duetto finale tra i due amanti, dove «il travaso d’amore deve giungere come un bolide luminoso», rimarrà incompiuto, dopo una melodia cercata invano per un anno dal compositore prima della sua dipartita.

È a questa incompiutezza che rimane fedele Stefano Poda, evocando una chiave di lettura personale e allo stesso tempo universale. Per dirla con Ping, Pong e Pang, i tre ministri cinesi del regno incaricati di assistere alle esecuzioni degli spasimanti della principessa, «Turandot non esiste»: è infatti una storia in cui ognuno di noi può rivedersi, un «meccanismo di crescita doloroso» che ci mette di fronte la parte di noi che potremmo aver rinnegato fino a quel momento. Fondamentale quindi il ruolo giocato dal coro nell’incarnare questa dimensione collettiva, portata al trionfo nell’opera, che il regista definisce, con echi quasi wagneriani, come l’unione di tutte le arti.

La presentazione si snoda brillantemente tra il racconto delle evoluzioni della Turandot e dei suoi innumerevoli risvolti culturali: cresce l’attesa per il debutto, fissato per il 22 aprile, dell’ultima opera italiana a fare il suo ingresso nel repertorio lirico tradizionale, che sarà in programma fino al prossimo 5 maggio.

A cura di Carlo Cerrato

Emozioni al teatro regio: Le 8 stagioni

Il Teatro Regio, in collaborazione con il socio fondatore Iren prosegue con il ciclo In famiglia, il cartellone dedicato a bambini e ragazzi. Sabato 9 aprile 2022 si è tenuto il concerto Le 8 stagioni, con l’Orchestra d’Archi del Teatro Regio e, in veste di maestro concertatore e violino solista, Sergey Galaktionov: primo violino dell’Orchestra del Teatro Regio, già vincitore di numerosi concorsi tra cui il Concorso Internazionale Viotti, ha collaborato con le principali orchestre internazionali ed affermati direttori della scena musicale contemporanea.

Il programma prevedeva l’esecuzione alternata de Le Stagioni di Antonio Vivaldi (1678-1741) e Las cuatro estaciones porteñas – conosciute anche come Le quattro stagioni di Buenos Aires – di Astor Piazzolla (1921-1992).

Due compositori divisi da due secoli e mezzo e undicimila chilometri, che hanno saputo catturare l’attenzione anche dei più piccoli, seduti sulle poltrone del Teatro Regio. Il concerto si apre con La Primavera di Vivaldi, seguita dal Verano porteño di Piazzolla: mentre nella prima l’Orchestra e Galaktionov sembrano sbocciare, proprio come fiori nella stagione (si intravede anche qualche sorriso, nascosto sotto la mascherina, tra i violini), con l’estate ci si sente quasi ingannati, tutto sembra fuorché la stagione del sole. Il ritmo sincopato strizza l’occhio al tango, e sin dalle prime note ci si immagina due ballerini sul palco, intenti a danzare accompagnati dall’Orchestra; eppure, sono presenti solo i musicisti. Galaktionov è totalmente nella parte, suonando riesce a trasmettere tutto ciò che prova in quel momento: la sua è un’emozione talmente forte che un crine del suo archetto si rompe, ma lui continua la sua performance e, in un attimo di pausa, stacca via il crine come se avesse appena concluso un passo di danza difficilissimo e stesse prendendo fiato prima del prossimo.

È impossibile confondere il virtuosismo di Vivaldi con la musica astratta di Piazzolla, e una bambina seduta in terza fila sembrava saperlo bene. Su quella sedia rossa, tra la mamma e la nonna, con la custodia del violino davanti alla gambe, dondolava la mano a tempo dell’Otoño porteño; proprio come Sergey accennava piccole oscillazioni con il corpo durante l’intervento solistico del violoncello. Quella bambina non era l’unica ad essere incantata dall’atmosfera creatasi: al termine del concerto, dopo molti applausi, mille emozioni, e gli inchini dell’Orchestra e di Galaktionov, il maestro concertatore ringrazia il pubblico per essere stato lì e chiede «Vivaldi o Piazzolla?». In un istante, l’inimmaginabile a teatro: un bambino, dal fondo della platea, grida «Piazzolla!» e, in quel momento, tutti hanno capito l’importanza della musica, capace di far riflettere ed emozionare i più grandi e, allo stesso tempo, sognare i più piccini.

In evidenza: Sergey Galaktionov e l’Orchestra d’archi (credits: comunicato stampa Teatro Regio)

a cura di Chiara Vecchiato

Pimpinone di Telemann esordisce a Torino

Il Teatro Regio ha messo in scena, nel cortile dell’Arsenale, un’opera mai vista a Torino: Pimpinone, o le nozze infelici di Georg Philipp Telemann. (Inutile ribadirlo, ma sempre siano rese grazie al Teatro Regio, che continua a proporre spettacoli nella procella del Covid e vi inserisce pure titoli raffinati come questo). Approfittando della rarità e facendo di ignoranza virtù, siamo andati all’opera con un atteggiamento che poche volte si ha l’occasione di mettere in pratica: sedersi senza sapere assolutamente nulla di ciò che si sta per vedere e ascoltare. Atteggiamento forse sbagliato per chi poi deve impersonarsi recensore, ma forse salutare per quanto riguarda il semplice rapporto spettacolo-spettatore. Uniche informazioni raccolte: è un’opera buffa, è andata in scena ad Amburgo nel 1725. Basta. Il resto lo si studierà tornati a casa.

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Riccardo Muti al Regio: Così fan tutte

Alla soglia degli ottant’anni, Riccardo Muti ha debuttato al Teatro Regio di Torino con Così fan tutte, ultimo titolo del celebre trio di opere italiane composte da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte. Un’opera molto cara al Maestro: fu proprio Così fan tutte infatti il primo titolo mozartiano che Muti diresse nel luogo di nascita del compositore, al Festival di Salisburgo del 1983, su invito di Herbert von Karajan.

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Teatro Regio: la stagione 2019/2020

La prossima del Teatro Regio sarà una stagione particolarmente ricca. Ben diciassette titoli (un record) distribuiti tra opere italiane, francesi, tedesche, balletti, musical, opere-non-opere, opere celebri, opere meno celebri, persino una prima assoluta per l’Italia. E in tutto ciò c’è pure qualche nome interessante, tra registi, cantanti e direttori d’orchestra. C’è insomma di che farsi venire l’acquolina.

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L’italiana in Algeri al Teatro Regio

Mercoledì 22 maggio è andata in scena al Teatro Regio la prima dell’Italiana in Algeri di Gioachino Rossini, ed è stato subito pienone, come ci si aspetta quando la serata offre un titolo così amato e popolare. Grazie a una semplicissima trama (una donna, l’italiana Isabella, accompagnata da uno spasimante che lei non si fila, messer Taddeo, s’imbarca per cercare il suo vero amante, Lindoro, caduto nelle grinfie del bey d’Algeri, Mustafà, e lo porta in salvo approfittando del potere che le sue doti femminine esercitano sull’assatanato sovrano) il pubblico è svincolato dal compito di tenere a mente una vicenda intricata e può così lasciarsi andare e ridere, che poi è lo scopo principale di una farsa, in questo caso della sottocategoria ‘turcheria musicale’. Le risate, infatti, anche questa volta non sono mancate.

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