To be or not to bop

Una jam session di All-Star tutta torinese

Il concerto conclusivo del TJF di domenica 11 Ottobre si svolge al Combo, locale alla moda a pochi metri da Porta Palazzo: di giorno marasma di persone e bancarelle, di notte luogo di concerti ed eventi di una certa risonanza. Il concerto comincia alle 22.00, ma alle 21.30 i posti sono già quasi tutti esauriti: un Jazz Festival che sembrerebbe esclusivo, ma è solo l’effetto delle limitazioni di posto dovute all’emergenza sanitaria. Non è un caso che il titolo della serata sia To be or not to bop, come l’autobiografia di Dizzy Gillespie, tra i trombettisti più famosi del bebop; sicuramente lo stile più conosciuto, il jazz per antonomasia.

L’ensemble è costituito da Paolo Porta e Roberto Regis ai sassofoni, Riccardo Ruggeri al pianoforte, Alessandro Maiorino al contrabbasso ed Enzo Zirilli alla batteria. Quasi tutti torinesi, come in molti altri concerti di Jazz Cl(h)ub, che ha una dimensione piuttosto locale – sicuramente tutta italiana – a differenza delle giornate di agosto.

Poco dopo le 22 i musicisti salgono sul palco e dopo una breve introduzione partono quasi di sorpresa, da un momento all’altro, con entrambi i sassofoni che espongono il tema di “Half Nelson” di Miles Davis, seguiti a ruota dagli altri. La musica si sviluppa su improvvisazioni di standards ben noti a musicisti e pubblico. È un modello abbastanza efficace, poiché permette di coinvolgere maggiormente gli spettatori, che sentendo una melodia conosciuta, oltre a scervellarsi su quale sia l’autore, magari verranno riportati indietro nel tempo a quando l’hanno sentita per la prima volta, evocando piacevoli (o spiacevoli) reminiscenze. Gli assoli sono densi, pregnanti, appassionati, riscuotendo facilmente l’applauso del pubblico, che si compone per lo più di habitués del locale. Insomma uno stile post-bop e smooth jazz, godibile e orecchiabile per tutti. Un concerto a colpo sicuro per un pubblico non smaliziato e quindi poco esigente. La serata prosegue e non mancano momenti di eccentricità: capita che i musicisti scandiscano il ritmo battendo le mani sul contrabbasso e il pianoforte o che il batterista si cimenti in assoli non convenzionali, con cellule ritmiche apparentemente senza logica, continuamente disfatte e riassemblate.

Alcuni musicisti si sono alternati più volte: tra le fila del pubblico c’era un pianista – probabilmente collega di lunga data – che è stato chiamato sul palco, regalando al pubblico un’improvvisazione con uno stile ben diverso rispetto ai brani precedenti, vivace, scherzosa e arzigogolata, chiudendo il tutto con cluster sul registro acuto e grave della tastiera. Successivamente è stata la volta di una cantante che ha eseguito un brano bossa nova, creando così un intermezzo più rilassato ed esotico.

Insomma una jam session in piena regola, a differenza degli altri appuntamenti di Jazz Cl(h)ub, spesso aventi una scaletta precisa. Poco dopo la mezzanotte riecheggiano le ultime note del concerto. Forse le ultime del TJF, a meno che il concomitante concerto al Bunker, di matrice elettronica, non si sia dilungato oltre. Si chiude così questo Torino Jazz Festival 2020, spezzato in due e a numero chiuso per potersi realizzare. Un’edizione in sordina, si direbbe, sperando di tornare allo squillante in futuro.

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