Niccolò Fabi incanta il pubblico torinese al Teatro Colosseo

Al Teatro Colosseo, San Salvario, c’è tanta gente. È il 28 aprile, una di quelle serate in cui fa piacere uscire di casa vestiti più leggeri del solito. C’è una fila lunga, per quanto scorrevole, composta da persone di generazioni differenti. E c’è un evento per il quale probabilmente è da un po’ di tempo che si aspetta, che si fa il conto alla rovescia: Niccolò Fabi approda a Torino con il suo Meno per meno Tour, il ciclo di concerti che celebra l’omonimo album, uscito lo scorso 2 dicembre, in cui figurano diversi brani inediti, oltre alla reinterpretazione in chiave orchestrale di numerose canzoni dal repertorio dell’artista.

Il cantautore romano, che festeggia i 25 anni di carriera, fa il suo ingresso in solitaria, introducendo lo show con un breve discorso: è evidente il desiderio di creare un’atmosfera raccolta, quasi volesse partire per un viaggio, al tempo stesso intimo e condiviso, da compiere insieme ai presenti (scherza: «in questi momenti mi sento un po’ un assistente di volo»). Fabi ha bisogno di immergersi nella dimensione giusta, per familiarizzare con il palco, coabitare lo spazio con il pubblico (il concerto, neanche a dirlo, è andato sold out) ed esprimersi al meglio delle sue possibilità; si percepisce da subito il rispetto della platea per la sua volontà, attraverso un ascolto devoto e – almeno all’inizio – del tutto silenzioso. La prima canzone è “Tradizione e tradimento”, che dà il titolo al disco del 2019.

Ci sono solo lui e la sua chitarra – anzi, le sue chitarre: ne alterna almeno un paio; la scaletta annovera brani del passato più recente (come “Una somma di piccole cose”, 2016) così come i successi degli esordi, tra cui “Rosso” (1997). Partono qui rapide digressioni, in cui Fabi sorride del mood danzereccio del pezzo, che faceva scatenare gli spettatori negli anni Novanta, e del suo contenuto (parla di un sogno in cui lui è morto, e la sua amata al funerale non è vestita a lutto, ma indossa appunto un abito rosso). “Facciamo finta”, annunciata da poche parole che ne suggeriscono l’importanza, lascia una commozione amara, originata da un atroce lutto personale, effuso qui in forma d’arte. L’artista suona anche il pianoforte, accompagnando pezzi quali “Meraviglia” e “Ora e qui”.

Tra un brano e l’altro, Fabi continua a parlare in modo semplice, con tono delicato, verrebbe da dire confidenziale. La finestra aperta sul suo vissuto, sul disagio di stare al centro dell’attenzione (di cui racconta in una recente intervista a Sky TG24), sull’animo sensibile che traspare dai suoi versi, è il risultato di una ricerca continua, che corona il lavoro di un autore – e soprattutto di un uomo – più che maturo. Con “Lontano da me” si chiude la prima parte dell’esibizione, e gli strumenti in ombra sul palco infine si animano.

Niccolò Fabi
Niccolò Fabi – foto dal suo profilo instagram

Oltre a musicisti quali Roberto Angelini alle chitarre, Alberto Bianco al basso – anche loro cantautori – e Filippo Cornaglia alla batteria, collaboratori stabili di Fabi, ad andare in scena è ora l’Orchestra Notturna Clandestina, protagonista dei brani di Meno per meno, arrangiati dal suo fondatore Enrico Melozzi. La prima canzone suonata in questa veste è “Andare oltre”, presente tra gli inediti dell’album. L’altissimo livello della musica sposa la profondità dei testi, e allo spettacolo partecipa l’intero contesto del teatro e della platea, che pian piano inizia – senza entusiasmi eccessivi – a lasciarsi andare.

Il prosieguo del concerto attinge in primis dagli ultimi album (ad esempio con “A prescindere da me”), dando nuova linfa ai pezzi proposti: “Ha perso la città” è da citare come uno degli esempi più riusciti di riarrangiamento. Da Meno per meno è tratta anche “Al di fuori dell’amore”, con la sua toccante riflessione sulle possibilità di «fare la vita che abbiamo scelto»; subito dopo c’è “Filosofia agricola” (da Una somma di piccole cose), a ricordarci la nostra natura di esseri umani, spesso attaccata alle memorie, ai periodi, alle persone, mentre tutto cambia e fluisce.

Ci si avvia poi verso la conclusione, e non può che essere un crescendo. Fabi torna al piano con “Una mano sugli occhi”, prima di eseguire il brano che forse più di tutti racchiude la sua poetica e le sue peculiarità di artista: “Costruire” mette in musica il ruolo chiave della pazienza e dell’imperfezione nella vita di ognuno, dove a contare non sono le destinazioni, ma i percorsi. “Una buona idea” è il penultimo pezzo, e qua sì: si canta a squarciagola – dulcis in fundo – e qualcuno si alza in piedi, colto dalla sua contagiosa orecchiabilità. A chiudere, una canzone che «proprio non vi potete immaginare»: il grande classico “Lasciarsi un giorno a Roma”, che andò a Sanremo nel ’98, lo intonano proprio tutti, anche quelli che addirittura accennano a un ballo, nei limiti e nelle possibilità dello spazio; tutti hanno lasciato la sedia e battono le mani, giunti forse alla meta, dopo un paio d’ore, di quel viaggio voluto, cercato e ottenuto da Fabi. Un finale da standing ovation, che libera tutto l’apprezzamento e l’affetto dei presenti: questo viene raccolto e onorato dal cantautore, il quale saluta e ringrazia Torino insieme a tutti gli altri interpreti.

L’evento ripaga l’attesa e conferma in pieno le elevate aspettative. La sensazione è quella di aver assistito al concerto di un autore eclettico, capace di riscoprirsi in ogni nuova opera, di unire il gusto e l’esperienza musicale a una particolare qualità dell’animo: quella di sapersi ascoltare, per poi entrare in contatto con chi è in grado di cogliere il frutto di tanto lavoro, che sia nel quotidiano o in occasioni come questa.

A cura di Carlo Cerrato

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