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Niccolò Fabi incanta il pubblico torinese al Teatro Colosseo

Al Teatro Colosseo, San Salvario, c’è tanta gente. È il 28 aprile, una di quelle serate in cui fa piacere uscire di casa vestiti più leggeri del solito. C’è una fila lunga, per quanto scorrevole, composta da persone di generazioni differenti. E c’è un evento per il quale probabilmente è da un po’ di tempo che si aspetta, che si fa il conto alla rovescia: Niccolò Fabi approda a Torino con il suo Meno per meno Tour, il ciclo di concerti che celebra l’omonimo album, uscito lo scorso 2 dicembre, in cui figurano diversi brani inediti, oltre alla reinterpretazione in chiave orchestrale di numerose canzoni dal repertorio dell’artista.

Il cantautore romano, che festeggia i 25 anni di carriera, fa il suo ingresso in solitaria, introducendo lo show con un breve discorso: è evidente il desiderio di creare un’atmosfera raccolta, quasi volesse partire per un viaggio, al tempo stesso intimo e condiviso, da compiere insieme ai presenti (scherza: «in questi momenti mi sento un po’ un assistente di volo»). Fabi ha bisogno di immergersi nella dimensione giusta, per familiarizzare con il palco, coabitare lo spazio con il pubblico (il concerto, neanche a dirlo, è andato sold out) ed esprimersi al meglio delle sue possibilità; si percepisce da subito il rispetto della platea per la sua volontà, attraverso un ascolto devoto e – almeno all’inizio – del tutto silenzioso. La prima canzone è “Tradizione e tradimento”, che dà il titolo al disco del 2019.

Ci sono solo lui e la sua chitarra – anzi, le sue chitarre: ne alterna almeno un paio; la scaletta annovera brani del passato più recente (come “Una somma di piccole cose”, 2016) così come i successi degli esordi, tra cui “Rosso” (1997). Partono qui rapide digressioni, in cui Fabi sorride del mood danzereccio del pezzo, che faceva scatenare gli spettatori negli anni Novanta, e del suo contenuto (parla di un sogno in cui lui è morto, e la sua amata al funerale non è vestita a lutto, ma indossa appunto un abito rosso). “Facciamo finta”, annunciata da poche parole che ne suggeriscono l’importanza, lascia una commozione amara, originata da un atroce lutto personale, effuso qui in forma d’arte. L’artista suona anche il pianoforte, accompagnando pezzi quali “Meraviglia” e “Ora e qui”.

Tra un brano e l’altro, Fabi continua a parlare in modo semplice, con tono delicato, verrebbe da dire confidenziale. La finestra aperta sul suo vissuto, sul disagio di stare al centro dell’attenzione (di cui racconta in una recente intervista a Sky TG24), sull’animo sensibile che traspare dai suoi versi, è il risultato di una ricerca continua, che corona il lavoro di un autore – e soprattutto di un uomo – più che maturo. Con “Lontano da me” si chiude la prima parte dell’esibizione, e gli strumenti in ombra sul palco infine si animano.

Niccolò Fabi
Niccolò Fabi – foto dal suo profilo instagram

Oltre a musicisti quali Roberto Angelini alle chitarre, Alberto Bianco al basso – anche loro cantautori – e Filippo Cornaglia alla batteria, collaboratori stabili di Fabi, ad andare in scena è ora l’Orchestra Notturna Clandestina, protagonista dei brani di Meno per meno, arrangiati dal suo fondatore Enrico Melozzi. La prima canzone suonata in questa veste è “Andare oltre”, presente tra gli inediti dell’album. L’altissimo livello della musica sposa la profondità dei testi, e allo spettacolo partecipa l’intero contesto del teatro e della platea, che pian piano inizia – senza entusiasmi eccessivi – a lasciarsi andare.

Il prosieguo del concerto attinge in primis dagli ultimi album (ad esempio con “A prescindere da me”), dando nuova linfa ai pezzi proposti: “Ha perso la città” è da citare come uno degli esempi più riusciti di riarrangiamento. Da Meno per meno è tratta anche “Al di fuori dell’amore”, con la sua toccante riflessione sulle possibilità di «fare la vita che abbiamo scelto»; subito dopo c’è “Filosofia agricola” (da Una somma di piccole cose), a ricordarci la nostra natura di esseri umani, spesso attaccata alle memorie, ai periodi, alle persone, mentre tutto cambia e fluisce.

Ci si avvia poi verso la conclusione, e non può che essere un crescendo. Fabi torna al piano con “Una mano sugli occhi”, prima di eseguire il brano che forse più di tutti racchiude la sua poetica e le sue peculiarità di artista: “Costruire” mette in musica il ruolo chiave della pazienza e dell’imperfezione nella vita di ognuno, dove a contare non sono le destinazioni, ma i percorsi. “Una buona idea” è il penultimo pezzo, e qua sì: si canta a squarciagola – dulcis in fundo – e qualcuno si alza in piedi, colto dalla sua contagiosa orecchiabilità. A chiudere, una canzone che «proprio non vi potete immaginare»: il grande classico “Lasciarsi un giorno a Roma”, che andò a Sanremo nel ’98, lo intonano proprio tutti, anche quelli che addirittura accennano a un ballo, nei limiti e nelle possibilità dello spazio; tutti hanno lasciato la sedia e battono le mani, giunti forse alla meta, dopo un paio d’ore, di quel viaggio voluto, cercato e ottenuto da Fabi. Un finale da standing ovation, che libera tutto l’apprezzamento e l’affetto dei presenti: questo viene raccolto e onorato dal cantautore, il quale saluta e ringrazia Torino insieme a tutti gli altri interpreti.

L’evento ripaga l’attesa e conferma in pieno le elevate aspettative. La sensazione è quella di aver assistito al concerto di un autore eclettico, capace di riscoprirsi in ogni nuova opera, di unire il gusto e l’esperienza musicale a una particolare qualità dell’animo: quella di sapersi ascoltare, per poi entrare in contatto con chi è in grado di cogliere il frutto di tanto lavoro, che sia nel quotidiano o in occasioni come questa.

A cura di Carlo Cerrato

Lo strano DNA dei Leprous: il concerto a Milano per l’Aphelion Tour

Rintracciare il DNA di un gruppo non è sempre un’impresa semplice. É il caso dei norvegesi Leprous, cui discografia, avviata nel 2009 con Tall Poppy Syndrome, è passata dal metal avanguardistico con influenze black (complice la vicinanza della band a Ihsahn, leader degli Emperor), al progressive metal di The Congregation, fino agli ultimi sforzi di stampo più pop e sinfonico, come Aphelion, oggetto dell’attuale tour che li vede protagonisti in ben 40 date consecutive. Per l’Italia c’è Milano: è il 27 febbraio, il Fabrique ospita 5000 fan che – come il gruppo – sono di vario genere: da metallari, a bimbi accompagnati dai genitori.

I Leprous durante l’energetico ritornello di “From the Flame” (foto di Mattia Caporrella)

L’apertura è riservata a due gruppi: primi i Kalandra, conterranei degli headliner, che immergono il club in atmosfere eteree e nordiche. Capitanati dalla vocalist Katrine Stenbekk, la band convince il pubblico con una sequenza di brani tratti dal loro debutto The Line, utilizzando strumenti poco convenzionali come archi per chitarra elettrica o corna animali. A seguire gli inglesi Monuments: il pubblico del Fabrique si scatena grazie al loro metalcore di livello, fra circle pit e pogo, incantato dalle abilità vocali di Andy Cizek, che passa dalle melodie agli scream con una facilità disarmante.

Il vocalist dei Monuments Andy Cizek si abbandona al pubblico durante il loro set (Foto di: Mattia Caporrella)

Una potente nota di basso sintetizzato emerge dalle casse: è l’inizio del set dei Leprous, che accolgono i fan con una doppietta terzinata: “Have You Ever” e “The Price”, accompagnate da cori a seguire i classici riff sincopati del gruppo. I Leprous si dimostrano fin da subito a loro agio, interagendo tra di loro e scambiandosi di ruolo continuamente fra tastiere, percussioni e voci.

I Leprous nei momenti finali del concerto (Foto di: Mattia Caporrella)

Continua lo showcase di vocalist fenomenali: Einar Solberg, compositore principale del gruppo, dimostra non solo un controllo vocale precisissimo (la sua ampia estensione vocale è da sempre protagonista dei brani dei Leprous), ma anche un’inedita scioltezza da showman: Solberg si rivolge al pubblico con fare sarcastico quando annuncia che il concerto sta per terminare: «Questa è un’informazione che non richiede reazioni, è un dato di fatto!» sottolinea il vocalist dopo le tipiche proteste. Dopo toccanti dediche all’Ucraina (“Castaway Angels”), tuffi nel passato del gruppo (“Slave” e la rara “Acquired Taste”, sorpresa della serata), e persino un brano eseguito dopo un sondaggio (“The Cloak”), i Leprous salutano il Fabrique bagnandolo di rosso: “The Sky Is Red” surriscalda la folla con la frenetica prima metà, per poi salutarlo con un crescendo finale dalle atmosfere apocalittiche: 11 minuti di intensità, sottolineate da un light-show stroboscopico. Dopo questa serata, resta difficile rintracciare il DNA artistico di gruppi così eclettici, eppure nel tris di gruppi c’è un fil rouge, che parte dalle terre scandinave dei Kalandra, passa per il metal tecnico dei Monuments, e arriva ai Leprous, che in qualche modo, brillano in ogni loro forma. 

A cura di Mattia Caporrella (Foto in evidenza: Mattia Caporrella)

BECK LIVE ALL’ANFITEATRO DEL VITTORIALE DI GARDONE RIVIERA.

Domenica 26 giugno 2022, ore 20: il sole splende sulla sponda bresciana del Lago di Garda. Gli edifici, le vie e le piazze che caratterizzano il Vittoriale degli Italiani sembrano una cartolina ritagliata da un film di Federico Fellini; molte ragazze indossano lunghi vestiti a fiori, i bambini giocano nel piazzale mentre si attende l’apertura dei cancelli che conducono all’Anfiteatro per la nuova edizione della rassegna musicale Tener-a-mente.

Foto: Eleonora Iamonte

A completare questo dipinto apollineo e paradisiaco è l’entrata in scena di Beck  poco dopo le 21:40. Il cantautore statunitense appare in vesti quasi angeliche, indossando un completo bianco; nuvole di fumo gialle e blu lo avvolgono mentre canta e suona la chitarra acustica. 

Dopo aver eseguito i primi brani in versione solista, arriva una brusca interruzione: la band sale sul palco, le luci diventano psichedeliche; restare seduti è davvero una sfida e la maggior parte del pubblico in platea si alza in piedi per ballare. Il giardino dell’Eden sembra ora essersi trasformato in una discoteca a cielo aperto: per gli amanti del groove e dei ritmi avvolgenti il vero paradiso inizia ora.

Foto: Eleonora Iamonte

Beck dà vita ad un concerto che ripercorre i suoi quasi trent’anni di carriera presentando alcuni dei suoi primi successi come “Loser”, ma anche brani freschi di pubblicazione come “Take it Back”, realizzato con l’artista Jawny (pseudonimo di Jacob Lee-Nicholas Sullenger). 

L’esperienza sonora strizza l’occhio al funk, all’indie-rock, all’hip hop, al grunge, al pop e all’R&B, muovendosi tra l’acustico e l’elettronico. La voce calda e inconfondibile di Beck, avvolta in una spiccata quantità di riverbero, riesce a fondersi alla perfezione con le armonie vocali presenti nei campioni sonori diventando la firma definitiva dell’autore, riconoscibile in ogni brano. 

Foto: Eleonora Iamonte

Il clima che si respira all’interno dell’Anfiteatro – che ha una capienza massima di circa 1500 persone – è familiare e informale: Hansen parla al pubblico, chiede amichevolmente ad una signora di avvicinarsi agitando davanti a lui il suo ventaglio per riprendersi dal caldo.

L’evento si chiude alle 23:20 circa, con il vociare malinconico degli spettatori che richiamano sul palco il cantante; Beck torna in scena per un’ultima canzone, eseguita solo con voce a cappella e armonica.

A cura di Eleonora Iamonte

Yungblud al Carroponte: Life On Mars Tour

Dopo tre anni di assenza in Italia, mercoledì 18 maggio Yungblud è tornato a cantare a Milano, questa volta riempiendo il Carroponte di Sesto San Giovanni nell’unica data italiana del Life On Mars Tour.

Dopo neanche un giorno dall’annuncio di Yungblud – terzo album del cantante la cui uscita è prevista per il 2 settembre prossimo –, il ventiquattrenne inglese Dominic Harrison ha avuto finalmente l’occasione di suonare dal vivo anche nel nostro Paese i brani di weird! (2020)

Il sole non è ancora scomparso dietro al muro di amplificatori al centro del palco quando arrivano le Nova Twins, duo rock londinese composto dalla cantante Amy Love e dalla bassista Georgia South. Scelta a dir poco perfetta per aprire il concerto: non siamo ancora al ritornello del primo brano che il pubblico – a maggioranza under 25 e rigorosamente vestito in stile punk rock – si sta già muovendo a ritmo.

Sono invece da poco passate le 21 quando tutte le luci si spengono e dopo un video introduttivo risuonano le note iniziali di “Strawberry Lipstick”: Yungblud corre sul palco ed incita subito tutti a saltare con lui. La sua energia coinvolge in pochi secondi i presenti: è praticamente impossibile non ballare con il cantante che ti obbliga a farlo.

Credits: https://www.instagram.com/carroponteofficial/

In pochi minuti volano birre e plettri. Yungblud canta uno dei suoi ultimi singoli, “The Funeral”. I fan intonano con lui il brano, che parla di amare sé stessi e accettarsi così come si è. Il concerto non è iniziato neanche da una ventina di minuti e il cantante appare già sinceramente commosso, forse sorpreso di trovare fan così affezionati, che non sbagliano neanche una parola dei suoi testi. Anche durante i pezzi più lenti come “mars” – una ballata che racconta la storia di una fan transgender, ma più in generale la storia di chi si è sempre sentito diverso – non viene mai meno la sua energica presenza scenica.

Credits: https://www.instagram.com/carroponteofficial/

Oltre i brani del secondo album, la scaletta prevede anche alcuni pezzi dal primo e vari singoli più recenti, ad esempio “Memories” realizzata in collaborazione con Willow e “Fleabag”, sempre dai toni pop-punk.  Con il proseguire della serata – e il diminuire dei capi di vestiario addosso a Yungblud, che per gli ultimi brani rimane in pantaloncini e bretelle – aumentano le interazioni con il pubblico: prima una proposta di matrimonio, poi il coming out di un fan. Si è creata un’atmosfera quasi intima, forse difficile da credere pensando alla quantità di gente presente. 

Yungblud elogia l’accoglienza italiana, «Ho trovato una famiglia qui a Milano» e aggiunge «Ho speso diciannove anni della mia vita sentendomi giudicato per essere diverso, ma volete sapere come riesco a essere su questo palco oggi ed essere chi voglio? È grazie ad ognuno di voi». E nel caso in cui qualcuno avesse ancora dubbi riguardo il suo affetto nei confronti dei fan, ad un certo punto inizia a indicare ogni presente nelle prime file ripetendo «Ti amo, ti amo, ti amo».

Il live si chiude con “Machine Gun (F**k the NRA)”, un brano che denuncia la facile accessibilità alle armi negli USA. Ma sono i cori di “Loner” intonati dal pubblico a fare da sottofondo mentre lentamente il Carroponte si svuota.

Tananai in concerto al teatro della concordia

Quando Tananai aveva detto sul palco di Sanremo che l’avremmo rivisto all’Eurovision, non pensavamo dicesse sul serio. Venerdì 13 maggio, non al PalaAlpitour – la location del contest – ma al Teatro della Concordia di Venaria si è tenuta in effetti la data torinese del cantante, il cui vero nome è Alberto Cotta Ramusino. E tra la semifinale e la finale di Eurovision, tantissime sono le persone che hanno trovato il tempo per riempire il teatro e assistere al concerto dell’ultimo classificato di Sanremo. Appena salito sul palco anche lui stesso ne sembra particolarmente sorpreso.

È la prima data del tour, ma Tananai non sembra troppo agitato: fin dal primo brano si muove sicuro sul palco, cantando e salutando gli spettatori. Tra una canzone e l’altra non perde l’occasione di chiacchierare e scherzare con il pubblico. Quando gli lanciano un reggiseno dal parterre è entusiasta, afferma che è la prima volta che gli accade. La scaletta prevede diversi brani dall’ultimo album Piccoli boati (2020), alternati con gli ultimi singoli pubblicati quest’anno come “Esagerata” e “Maleducazione”.

Credits: https://www.instagram.com/tananaimusica/

Arriva presto uno dei brani più attesi della serata, “Baby Goddamn”, singolo virale su TikTok nonché disco di platino. La gente balla e canta con Tananai che, elettrizzato, scende più volte tra il pubblico, a volte sporgendosi dalla transenna a volte scavalcandola direttamente e attraversando il teatro gremito. Verso metà serata spunta sul palco un enorme fungo giallo, la band scompare nelle quinte e Tananai si sposta alla console. Da quel momento ai brani cantati si alternano pezzi che ricordano l’inizio della sua carriera quando, sotto il nome di Not For Us, faceva il dj.

Momento centrale è stato quando il pubblico ha iniziato a chiamare l’ospite atteso da tutti i presenti: dopo la prima strofa di Tananai compare infatti  Rosa Chemical, vestito in completo bianco e sorpreso anch’egli dal calore con cui viene accolto. I due cantano “Comincia tu”, duetto sul celebre brano della Carrà presentato in anteprima durante la serata cover dell’ultimo festival di Sanremo. Tananai e il rapper di Alpignano hanno una buona chimica e senza difficoltà fanno ballare tutti i presenti.

Credits: https://www.instagram.com/tananaimusica/

Verso la conclusione del concerto Tananai canta  anche, naturalmente, “Sesso Occasionale”, brano che gli ha permesso di conquistare il venticinquesimo posto al Festival di Sanremo 2022.

Sicuramente Tananai non sarà un erede della nobile arte del bel canto, ma intrattiene e diverte come un valido performer, senza “tirare troppe stecche” (come lui stesso al contrario ha invece affermato più volte).

A cura di Isabella Ravera

Moor Mother in concerto al Bunker di Torino

Un viaggio attraverso scenari alternativi realizzati con lo scopo di fare luce su una nuova identità nera, lontana da un passato di schiavitù e di discriminazioni razziali, un’epopea che a partire dalla musica di Sun Ra e di George Clinton prosegue fino ai giorni nostri unendo l’iconografia africana, la fantascienza e l’avanguardia: un’odissea in un’Africa 2.0 che comprende l’esposizione di copertine di album tratti dalla storia della musica afroamericana.

Ecco cosa è stato proposto durante la mostra con aperitivo Visioni Soniche. Cover Afrofuturiste a cura di Juanita Apráez Murillo, tenutasi sabato 7 maggio dalle 18:00 presso i locali nell’area Jigeenyi del Bunker come preludio al concerto di Moor Mother per la seconda anteprima di Jazz is Dead festival.

Le danze iniziano alle 22:00 con il gruppo di apertura SabaSaba; il pubblico affluisce timidamente e, dopo qualche minuto, la sala si riempie. Il sound che vede come protagonisti il mellotron, campioni di suoni rielaborati attraverso filtri e la batteria, si basa sulla riproduzione di rumori, atmosfere distorte e repentini sbalzi di volume che simulano bene l’ira della natura in grado di generare maremoti, esplosioni vulcaniche, scontri tra placche.

Foto: Eleonora Iamonte

E se il viaggio dei SabaSaba termina con un terremoto, è con il cinguettio degli uccellini, simulati dai fischietti del percussionista Dudù Kouate, che comincia quello di Moor Mother. La voce calda della poetessa sembra sostituirsi a quella della coscienza dei presenti, mentre gli slogan da lei pronunciati riecheggiano nella mente anche nei giorni a seguire. Oltre all’elemento etnico proposto da Dudù con i suoi strumenti a percussione tipici della tradizione afroamericana si affianca quello sperimentale e futuristico di Camae Ayewa – vero nome di Moor Mother –, che grazie all’ausilio di un tablet e di un computer seleziona campioni di rumori e di suoni elettronici. È una musica che si potrebbe ascoltare anche senza il senso dell’udito: il giro di basso attivato riesce ad entrare dritto nel petto dell’ascoltatore fino a sostituirsi al battito cardiaco e in un attimo sembra che tutti i cuori presenti nella sala battano allo stesso tempo. Un evento ipnotico, onirico, avvolto dal mistero; una sorta di rituale, forse una lode alla vita – come suggerisce il simbolo egiziano Ankh stampato sulla sua camicia –.

Foto: Eleonora Iamonte

Dopo circa un’ora e mezza, il silenzio di fine concerto viene interrotto dagli applausi di un pubblico rapito che richiamano sul palco l’artista. Moor Mother ora si dirige verso gli spettatori, li guarda negli occhi, tocca le persone nelle prime file mentre interpreta l’ultimo brano, l’unico fra quelli proposti ad avvicinarsi alla forma canzone, forse al genere hip hop, ma che rimane ancora una volta impossibile da etichettare.

La serata si conclude con i dj set di Stefania Vos, DOPS e Sense Fracture aka Birsa.

A cura di Eleonora Iamonte

Mobrici all’Hiroshima Mon Amour: il racconto del live

Lo scorso 5 maggio all’Hiroshima Mon Amour Mobrici ha presentato live il suo ultimo album Anche le scimmie cadono dagli alberi, pubblicato lo scorso novembre. Dopo essersi esibito in qualità di frontman dei Canova nei maggiori club italiani, il cantautore lombardo è ripartito in tour con il nuovo progetto solista.

Fin dal pomeriggio, davanti al locale si è radunata una schiera di fan che ha atteso sotto la pioggia l’apertura dei cancelli, pur di essere tra le prime file e godersi il concerto da sottopalco. Il pubblico – a maggioranza femminile – si è intrattenuto con l’opening di Leandro, cantautore siciliano trapiantato a Torino che ha presentato gli inediti dell’album in uscita questo mese.

Mobrici si presenta con un cappello a cilindro e la sua fedele chitarra acustica. Il set è spoglio, senza scenografie ed effetti, ma con un solo sfondo che emerge alle spalle dell’artista e a quelle dei musicisti: quattro cuori stilizzati in lacrime, che sembrano costituire una sorta di manifesto della sua poetica musicale. Ad attenderlo alla destra del palco c’è anche un pianoforte, che a tratti contribuisce a rendere l’atmosfera ancora più intima.

©: Martina Caratozzolo

La tracklist è un susseguirsi dei brani dell’ultimo album e dei singoli più conosciuti – ed amati – dei Canova. La malinconia nell’aria è palpabile: la maggior parte del pubblico accorso al locale è infatti fan di vecchia data dell’indie rock della ex band del cantante, scioltasi nel 2020. Vedere in scaletta brani come “Manzarek”, “Threesome” e “14 sigarette” non può che riportare alla mente dei fan i ricordi legati ad un gruppo che ha intrapreso strade differenti.

©: Martina Caratozzolo

Il cantautore tra un brano e l’altro ne approfitta per interagire con il pubblico, creando simpatici siparietti con chi da sottopalco si scatena. Quando torna serio, rivela che ogni brano nasce da esperienze e storie sentimentali vissute personalmente; dunque, tutto ciò che scrive gli serve da sfogo per esorcizzare ciò che prova. Gli spettatori torinesi non sbagliano un colpo e cantano a squarciagola, guadagnandosi l’affetto del cantautore che afferma: «Per voi canto qualche brano in più, ma non ditelo ai fan delle altre città».

Il live si chiude con “Vita sociale”, uno dei brani più movimentati in scaletta. Mobrici saluta e il pubblico gli dedica un sentito applauso. L’Hiroshima si svuota timidamente: il passo lento con cui gli spettatori varcano l’uscita è il finale dal sapore agrodolce di una serata ricca di emozioni.

a cura di Martina Caratozzolo

Narratore Urbano presenta live la sua musica conscious RAP

Giovedì 28 aprile a sPAZIO211 si è tenuto il concerto di Narratore Urbano. Il suo live si è svolto durante una nuova serata organizzata dal locale che si ripeterà anche nei prossimi mesi chiamata Open Space: una rassegna che prevede le esibizioni di un cantautore, di una cantautrice e di una band.

Ad aprire il live ci pensa Rossana De Pace, la quale imbraccia la chitarra acustica e canta i suoi brani introspettivi e malinconici, creando una connessione con chi da sottopalco si rispecchia nelle parole dei testi. Successivamente è il turno di Pugni, che con la voce graffiata che lo contraddistingue unisce rabbia ed emotività durante la sua performance. Il cantautore, tra una canzone e l’altra, invita gli spettatori a partecipare a più live possibili – soprattutto di artisti emergenti – perché ci sono realtà del panorama torinese, spesso poco conosciute, che meriterebbero più attenzione.

Narratore Urbano sale sul palco con la sua Squier Jaguar elettrica e presenta al pubblico la sua musica conscious hip-hop, dimostrando di avere una scrittura matura e consapevole. I testi dei suoi brani riguardano tematiche sociali e politiche e sono in grado di smuovere una riflessione nell’ascoltatore. La tracklist del concerto spazia tra le tracce dell’ultima uscita discografica 2ANNI, raccolta dei singoli del cantautore usciti dal 2019, tra i quali i due che l’hanno lanciato: “1939” e “Zucchero Filato”.

Narratore Urbano [© Martina Caratozzolo]

Sul palco è accompagnato da Luca Abbrancati al basso, da Giorgia Capatti alla batteria eda Giovanni Bersani alle tastiere: una formazione che fin dalle prime note funziona e convince. Il flow vibrante, l’attitudine rock e la schiettezza del suo messaggio tradotto in musica fanno scatenare gli spettatori, che mostrano di aver dedicato numerosi ascolti ai suoi brani.

Narratore Urbano [© Martina Caratozzolo]

La penna del cantautore torinese ricorda lo stile di Rancore, di Murubutu e di Willie Peyote. La sua musica nasce dall’esigenza di raccontare ciò che accade nel mondo – dalla voglia di cambiamento alle contraddizioni della società in cui viviamo – con la speranza di invogliare in chi lo ascolta a creare un proprio pensiero critico e personale.

Il concerto si conclude con i ringraziamenti e con l’immancabile coro «Se non metti l’ultima, noi non ce ne andiamo», a conferma del successo della serata appena giunta al termine. Il pubblico esce dal locale visibilmente soddisfatto e appagato dal fatto che la stagione dei live è finalmente ricominciata.

A cura di Martina Caratozzolo

Motta alle OGR: il racconto del live

Lo scorso 19 aprile Motta ha radunato alle OGR un pubblico che non si è lasciato fermare dai festeggiamenti di Pasquetta del giorno precedente, ma che, al contrario, era prontissimo a scatenarsi ad un concerto.

Il cantautore toscano sta girando l’Italia in tour, fresco della pubblicazione del nuovo singolo “Caro fottutissimo amico” – canzone nata dalla collaborazione con gli Zen Circus -. Il fatto che il suo ultimo album Semplice sia uscito circa un anno fa permette a Motta di sperimentare e spaziare tra la sua discografia, portando al pubblico brani che non suonava live da tempo.

All’apertura dei cancelli i fan di Motta si sono diretti di corsa verso la transenna per ottenere un posto tra le prime file. Una volta giunti sottopalco gli spettatori aspettano con trepidazione l’inizio del live. Le luci si tingono di rosso, il cantautore sale sul palco e l’atmosfera inizia a scaldarsi.

Motta e Francesco Chimenti (bassista) [© Martina Caratozzolo]

Motta stupisce aprendo il live con “Prenditi quello che vuoi”, uno dei brani meno noti dell’album di debutto La Fine Dei Vent’anni (2016). Il polistrumentista si mostra di poche parole tra un pezzo e l’altro, ma avvisa i presenti che il concerto durerà a lungo: «Le facciamo tutte, sarà un sequestro di persona», afferma tra le risate generali. I fan gioiscono per le numerose canzoni che si susseguono e apprezzano il sound alternative rock, a tratti elettronico, dei musicisti che lo accompagnano.

Motta [ © Martina Caratozzolo]

Motta è un animale da palcoscenico: salta da una parte all’altra, scuote la chioma riccia mentre percuote i tamburi con le bacchette, incita il pubblico a cantare ancora più forte, si inginocchia per lasciarsi andare durante le parti strumentali dei brani. Ogni centimetro di palco viene calpestato dal cantautore, che, quando non si scatena, imbraccia la chitarra e suona in acustico, creando un’atmosfera raccolta, impreziosita dai testi introspettivi delle sue canzoni. Due dei momenti più memorabili del live sono quando invita i fan a sedersi per terra per ascoltare con ancora più trasporto il brano “La Fine Dei Vent’anni” e quando sorprende con “Fango”, un brano dei Criminal Jokers, la sua band precedente all’esperienza solista, che solo i fan più affezionati ricordano.

Il pubblico alle OGR durante il live di Motta [© Martina Caratozzolo]

A concerto finito, un emozionato Motta ringrazia e promette al pubblico torinese di tornare presto, lasciando intendere ai più attenti che potrebbe annunciare a breve un tour estivo. Il cantautore lascia il palco tra gli applausi degli spettatori, che escono dal locale con il passo lento di chi vorrebbe che il live ricominciasse da capo per rivivere ogni emozione.

A cura di Martina Caratozzolo

Blanco in concerto al teatro della concordia

Mercoledì 13 aprile 2022 si è svolta la prima delle due serate consecutive che hanno visto Blanco in concerto al Teatro della Concordia di Venaria Reale. I fortunati che sono riusciti ad acquistare il biglietto prima che tutte le date andassero sold out in pochi minuti sono arrivati in coda davanti al teatro sin dal mattino per poter occupare le prime file.

Poche settimane fa Riccardo Fabbriconi, in arte Blanco, è stato chiaro sui suoi profili social: il dresscode che dovrà seguire il pubblico per tutti i concerti del Blu Celeste Tour è bianco o nero.

Credits: https://www.instagram.com/p/Cb71x8cqhKk/

Il diciannovenne bresciano ha raccontato in musica la sua storia, portando sul palco la scenografia della sua cameretta, da dove tutto è partito quasi per gioco: dai primi singoli al rapido successo nazionale con quelle che sono state le hit dell’estate 2021, “Notti in bianco” e “Mi fai impazzire”, fino alla collaborazione con Mahmood, “Brividi”, canzone vincitrice del Festival di Sanremo 2022 e con cui ha concluso la serata. Già prima dell’inizio del concerto i fan lo acclamavano emozionati intonando cori, per poi ballare e cantare a memoria i pezzi insieme allo stesso Blanco: i suoi ascoltatori sono giovani e hanno voglia di tornare a scatenarsi dopo due anni di epidemia mondiale.

È proprio in un periodo in cui non si poteva fruire di musica live che il cantante, classe 2003, è emerso, anche grazie ai suoi testi rivolti soprattutto a un pubblico in età adolescenziale: le sue canzoni – in particolare in “Notti in bianco” – sono un contrasto di malinconia – «Sopra quel balcone/ Ci ho passato l’estate/ E ho strappato mille pagine, baby/ Per descriver le tue lacrime» –  ed energia, soprattutto grazie a basi ritmate e ritmi incalzanti.

Blanco sa farsi amare dal proprio pubblico: durante il concerto si è avvicinato più volte a salutare le prime file, ha accolto qualche fan sul palco e si è buttato in mezzo alla folla.

Credits: https://www.instagram.com/p/Cb71x8cqhKk/

Al suo fianco era presente anche Michelangelo, produttore, polistrumentista e amico di Blanco, oltre che una figura determinante nel suo percorso: da subito i due hanno mostrato sul palco una forte intesa.

Nonostante la vittoria a Sanremo, la futura partecipazione all’Eurovision Song Contest – che quest’anno si svolgerà a Torino – e al grande successo, Blanco rimane un ragazzo semplice che ha conosciuto la fama rapidamente e in giovane età, per questo si è emozionato più volte a vedere la folla acclamarlo e cantare a squarciagola le sue canzoni.

Immagine in evidenza: https://www.instagram.com/p/CcIX3O-K-5d/

A cura di Laura Cagnassi