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Reinhold Release Party: Gli Alberi al Magazzino sul Po tra le arti e l’alpinismo

Il 17 dicembre la band torinese Gli Alberi ha presentato il suo ultimo disco, intitolato Reinhold, al Magazzino sul Po. Il titolo è una dedica a Reinhold Messner, e rimanda al toccante racconto della spedizione in cui l’alpinista, nel 1970, vide morire il fratello minore Gunther, durante una scalata sulle pendici del Nanga Parbat, in Pakistan. La storia si dipana lungo le tracce del concept album, ma non solo: l’evento è infatti una felice commistione di momenti di incontro e versanti artistici differenti.

Verticalife. Credits: Luca Maccario

In apertura prendono la parola diverse personalità legate al mondo dell’alpinismo: il primo è Enrico Ferrero, accompagnatore di escursionismo presso il CAI, il quale riporta testimonianze e aneddoti, seguito da tre rappresentanti del tour operator Verticalife, che raccontano i modi di vivere la loro passione. È poi il turno dell’illustratore Simone Mostacci, i cui suggestivi dipinti – ad acquerello e digitalizzati, esposti alle pareti – costituiscono le grafiche del disco.

Simone Mostacci. Credits: Luca Maccario

Ha così inizio la parte musicale della serata. Il duo Corazzata Jazz della Morte, costituito da Federico Pianciola – produttore di Reinhold – e Jacopo Acquafresca, attiva le frequenze di un’elettronica immersiva: i bordoni iniziali si addensano in un crescendo di stridori e rumori concreti, quasi materici, che rievocano le sperimentazioni avanguardistiche del secolo scorso. Il risultato è una sonorità inquietante e distorta, propedeutica al prosieguo della serata.

Corazzata Jazz della Morte. Da sinistra: Federico Pianciola e Jacopo Acquafresca. Credits: Luca Maccario

I membri del complesso prendono dunque posto. Da subito emerge la carica di Davide Quinto, bassista letteralmente scatenato nel cavalcare il fervore del pubblico, oltre a tenere i brani sui binari giusti e ad accompagnare la voce principale con growl e scream taglienti, come perfetto contraltare della cantante Arianna Prette. Le corde di quest’ultima rappresentano la parte più delicata del sound ricercato dagli Alberi, che si esprime soprattutto durante gli arpeggi de “La danza pallida”.

Gli Alberi. Da sinistra: Davide Quinto, Arianna Prette, Daniele Varlonga, Matteo Candeliere, Giovanni Bersani. Credits: Luca Maccario

La vicenda si articola anche in brevi intermezzi narrativi, raccontati da Mattia Macrì, già voce della band Post-Kruger. Non si tratta dell’unico ospite: per “Noialtri” è Narratore Urbano a prendere il microfono, apportando alla musica il suo stile cantautorale, in un testo colmo di concitazione. La scaletta prosegue rapida e i presenti calcano gli accenti del ritmo saltando, muovendo la testa e il corpo: il tutto dettato, oltre che dal basso, dalla batteria di Daniele Varlonga, ricca di inventiva, sulla quale il chitarrista Matteo Candeliere ricama i suoi riff incisivi.

Gli Alberi feat. Narratore Urbano. Credits: Luca Maccario

Eccezion fatta per “Hiems”, pezzo dalle tinte intimiste per voce e piano – suonato da Giovanni Bersani, che si spende anche in chitarra ritmica, percussioni, cori – e per l’interessantissima “Vuoto alle spalle”, le cui melodie abbracciano scale dal sentore esotico, l’album resta fedele al genere metal, anche se con declinazioni eterogenee. Da menzionare “Aspettami”, canzone dalle atmosfere alterne con finale a cappella, mentre “Sindrome del terzo uomo” è citabile per l’energia cupa e prorompente.

Le due chitarre, Matteo e Giovanni. Credits: Luca Maccario

La conclusione si consuma in un acclamato bis, nel quale Gli Alberi ripropongono un loro classico di lunga data: “River God”. Saluti e ringraziamenti finali sigillano una serata piacevole; l’originalissimo format ha dato vita a un riuscito evento crossmediale, con il Natale torinese alle porte, sulle sponde del Po e di una fredda notte di nebbia.

A cura di Carlo Cerrato

Emma Nolde porta DORMI all’Hiroshima Mon Amour

Parole. Nei testi di Emma Nolde le parole sono tantissime e ne servirebbero altrettante per raccontare la seconda data del tour di Dormi dell’11 novembre all’Hiroshima Mon Amour di Torino. O forse non sono affatto necessarie, perché di fronte al suo talento c’è poco da dire e tanto da goderne.

Emma Nolde – Foto di Martina Caratozzolo

Nell’annunciare il tour, la cantante ci aveva avvertiti – “ci divertiremo veramente tanto, piangeremo veramente tanto” –,  la perfetta sintesi di uno spettacolo che ha mantenuto un riuscitissimo equilibrio tra la dimensione intima e quella corale. Un dualismo che non a caso si riflette tanto nelle tematiche dei brani in scaletta per l’occasione quanto nella resa sonora del suo ultimo lavoro, co-prodotto da Francesco Motta e uscito il 30 settembre a due anni dal disco d’esordio di Emma Nolde Toccaterra.

Sono le 21.00, i primissimi volti arrossati per il freddo cominciano a varcare la soglia del tempio. L’attesa di Emma Nolde è scandita dalla voce eterea di Thom Yorke. C’è chi ne approfitta per scambiarsi consigli sui tempi di esposizione più adatti per documentare fotograficamente la serata. Intorno alle 22.30 le luci si abbassano, il pubblico è consistente.

Emma Nolde – Foto di Martina Caratozzolo

Pantaloni cargo, giacca nera e anfibi neri, sin dal primo momento è chiaro come la presenza scenica di Emma sia ipnotica. Accompagnata da Marco Martinelli alla batteria, Andrea Beninati al violoncello e Francesco Panconesi al sassofono, Emma si siede alla tastiera e il concerto si apre sulle note di “Fuoco coperto”, brano che fa da introduzione al disco. La voce pulitissima è accompagnata da una melodia minimale che lentamente avanza in un crescendo, scaldando l’atmosfera.

Emma Nolde – Foto di Martina Caratozzolo

Abbandonando momentaneamente la tastiera Emma imbraccia la chitarra – la quantità di strumenti tra cui si destreggia abilmente è notevole – per regalare al pubblico alcuni tra i suoi ultimi pezzi –  “Storia di un bacio”, “CQVT”, “Dormi” – che in chiave live risultano particolarmente riusciti.

Emma Nolde – Foto di Martina Caratozzolo

Tanto dai testi delle sue canzoni quanto dagli scambi di battute con il pubblico emerge di Emma quella rara capacità che accomuna i bravi cantautori di trovare parole nuove per raccontare e raccontarsi, capacità notevole considerata la giovane età. In diverse occasioni si rivolge direttamente agli astanti e in particolare a coloro “che pensano troppo”, invitando a farsi cullare dalla musica e a lasciarsi andare per tutta la durata dello spettacolo. Brani in scaletta come “Voci Stonate”, “Sfiorare” e “Berlino” risultano particolarmente efficaci nel creare un dialogo esplosivo con il pubblico fatto di botta e risposta a suon di “OH OH OH!”.

Emma Nolde – Foto di Martina Caratozzolo

L’esperienza del recente tour estivo ha dato i suoi frutti, Emma sul palco è sicura di sé. Salta e invita il pubblico a fare altrettanto, ondeggia i suoi lunghissimi capelli e si diletta con mossette ironiche sul brano “Respiro”.

Emma Nolde – Foto di Martina Caratozzolo

Se fino a questo punto i pezzi più malinconici erano controbilanciati da quelli più esplosivi, risulta difficile trattenere la lacrimuccia su “La stessa parte della luna”, brano eseguito in chiusura del concerto in un clima di intimo raccoglimento. Durante l’applauso finale Emma si prende un istante per guardare il suo pubblico per poi lasciare il palco dopo un sincero “vi voglio bene ragazzi” pronunciato al microfono.

Emma Nolde – Foto di Martina Caratozzolo

Il tempo per recuperare le giacche e commentare lo spettacolo appena conclusosi e ritroviamo Emma al banchetto del merchandise che scambia due parole con i più affezionati, mentre si destreggia tra le t-shirt alla ricerca di una “M” perché le “L” sono finite. Il live conferma che di Emma Nolde, e della sua musica, ne sentiremo tanto parlare.

Da sinistra: Francesco Panconesi, Marco Martinelli, Emma Nolde, Andrea Beninati – Foto di Martina Caratozzolo

A cura di Alessandra Mariani

ECOAGORÀ: quando è l’arte ad andare verso il pubblico

Cambiamento climatico, inclusione, riconversione ecologica sono termini noti ai più ma che nell’odierna “infodemia” sembrano aver perso la capacità di creare un dialogo proficuo. Il progetto Ecoagorà, vincitore del bando “Attività di spettacolo dal vivo nelle periferie” della Città di Torino, parte dal nobile intento di fornire uno spazio itinerante in cui diversi linguaggi artistici possano esprimersi contemporaneamente in merito a tali questioni, instaurando un dialogo attivo con il pubblico e con gli spazi della città di Torino.

Abbiamo avuto il piacere di prendere parte alla presentazione del progetto, ideato e promosso da Hiroshima Mon Amour, Assemblea Teatro (centro di produzione teatrale), PAV Parco Arte Vivente e CAP10100, che ha avuto luogo il 28 ottobre presso lo stesso Hiroshima Mon Amour.

L’iniziativa ruota intorno all’omonima opera Ecoagorà di Piero Gilardi, maestro dell’arte povera e fondatore del PAV (Parco Arte Vivente, Centro Sperimentale D’Arte Contemporanea), un’installazione artistica che ha visto la luce per la prima volta nel 2015 e che è stata ricostruita oggi in occasione del progetto. Come suggerito dal nome, l’Ecoagorà si presenta come un piccolo anfiteatro ottagonale in legno le cui gradinate, oltre ad accogliere il pubblico e i performer, ospitano oggetti simbolo dei temi della contemporaneità (un microscopio, un cesto di frutta, un piccolo pannello solare…) con cui il pubblico e gli artisti potranno interagire per “attivare” l’installazione durante i quattro appuntamenti previsti dal progetto.

Dalla pagina Facebook di EcoAgorà

Ad intervenire durante la presentazione sono i rappresentanti delle diverse arti coinvolte: Renzo Sicco, Valentina Gallo ed Eugenio Cesaro (rispettivamente teatro, danza e musica).

Renzo Sicco, regista e direttore artistico di Assemblea Teatro, spiega nel suo intervento come il testo da lui elaborato per l’occasione si origina, oltre che da personali riflessioni sulle questioni ambientali, dall’opera “Attraverso persone e cose – il racconto della poesia” di Gian Luca Favetto e da poemi inediti di Viola Nocenzi. Sette gli attori, tra professionisti e volontari, ad essere coinvolti nella resa scenica.

Valentina Gallo, coreografa di Associazione Teatrale Orfeo e guida dei cinque professionisti della danza contemporanea aderenti al progetto, ci tiene a precisare che i ballerini coinvolti nella performance danzeranno “insieme” al piccolo anfiteatro, trasformando la struttura da limite a parte integrante ed attiva della coreografia.

Infine ad Eugenio Cesaro, frontman degli Eugenio in Via di Gioia, è affidato l’aspetto musicale. Noto per portare la sua musica per le vie di Torino e per l’impegno dei suoi testi sul tema della sostenibilità, Cesaro porterà sul piccolo anfiteatro alcuni brani del suo repertorio. Il musicista si dichiara entusiasta nel prendere parte ad un’iniziativa che ben si sposa con la propria visione artistica. Così entusiasta da essere il primo ad interagire con l’Ecoagorà mangiando un’arancia presa dal cesto di frutta facente parte dell’installazione.

Foto di Stefania Morra

IL CALENDARIO DEGLI APPUNTAMENTI DI ECOAGORÀ

4 novembre, h.15.30 – Mausoleo Bela Rosin

6 novembre, h. 15.30 – Arcate Ex Moi

26 novembre, h. 15.30 – via Arquata

9 dicembre, h. 15.30 – IPM Ferrante Aporti

Al termine degli appuntamenti Ecoagorà verrà posizionata in un luogo della città affinché la collettività possa disporne liberamente.

A cura di Alessandra Mariani

Gianluca Petrella e Cosmic Renaissance al Magazzino sul Po: un jazz visionario e moderno

I Murazzi tornano protagonisti nella notte torinese. 20 ottobre, Magazzino sul Po: arriva Gianluca Petrella con il progetto Cosmic Renaissance. Il musicista con il suo gruppo presenta l’ultimo album Universal Language, uscito lo scorso 14 ottobre, nell’ambito del festival internazionale Jazz Is Dead, in una delle dodici date del suo tour autunnale, che lo vede attraversare il nostro Paese e numerose città europee. L’ultimo evento italiano sarà infatti il prossimo 28 ottobre 2022 in quel di Bologna.

Fra l’ingresso del pubblico – molto variegato, anche se la percezione è quella di avere a che fare con diversi appassionati del genere – e l’inizio del concerto passa un’abbondante ora e mezza, scandita dalle musiche del dj set di Andrea Passenger, il quale, in una proposta che interseca elettronica e sonorità percussive di ispirazione afroamericana, dipinge un clima propedeutico al jazz atipico ed eclettico che rappresenta il marchio di fabbrica del trombonista barese, collaboratore, fra gli altri, di Elisa e Jovanotti. Intorno alle 22:25 i Cosmic Renaissance, dopo essere stati annunciati, entrano sul palco in un florilegio di camicie dalle fantasie affascinanti e colori decisamente accesi.

Gianluca Petrella al sintetizzatore. Foto: Elisabetta Ghignone

Gli strumenti sono synth, trombone (suonati entrambi dallo stesso Petrella), tromba(Mirco Rubegni), basso elettrico (Riccardo Di Vinci), batteria – acustica, basi e pad elettronici (Federico Scettri) e percussioni (Simone Padovani): l’assenza di chitarre altro non è che un dettaglio, che viene spontaneo notare. Dopo un lungo dialogo iniziale tra le tastiere e la tromba Gianluca emerge con energia, coadiuvato dalla base ritmica, a conquistare i presenti tra armonie ariose e frizzanti intrecci affidati ai due ottoni.

Cosmic Renaissance (da sinistra: Federico Scettri, Gianluca Petrella, Riccardo Di Vinci, Simone Padovani). Foto: Elisabetta Ghignone

Da menzionare le costruzioni poliritmiche tra la vivace batteria di Scettri e le congas – combinate a piccoli piatti, campanacci, chimes e altri originali strumenti (di cui uno a base di tappi di plastica!) – di uno scatenato Padovani, che spesso ruba la scena ai colleghi, così come le guizzanti linee del basso di Di Vinci. Petrella incalza i suoi uomini, avvicinandosi faccia a faccia e lasciandosi assorbire dal flow del divertimento musicale.

Simone Padovani e la sua strumentazione. Foto: Elisabetta Ghignone

Circa a metà dell’esibizione prende posto sul palco il primo di due ospiti, i quali hanno tra l’altro partecipato alla registrazione dell’album: si tratta del sassofonista Pasquale Calò, che si inserisce nel brano “Nomads”. Il musicista si unisce al discorso con grande apporto – e trasporto – personale, in un’atmosfera sempre più satura delle sfumature sul genere portante. Il secondo ospite è l’apprezzatissima cantante Anna Bassy, che entra poco dopo: la sua voce, specie in “Wonder” e in “Connection”, calza a pennello, intima ma prorompente, con la declinazione più soft del corredo strumentale. Scelta azzeccatissima.

Anna Bassy. Foto: Elisabetta Ghignone

L’evento si avvia verso il crescendo finale, attraverso duetti melodici avvincenti e la sfida, quasi solistica, di ognuno dei musicisti a spingersi oltre il limite, a dare il meglio di sé. Il pubblico, in modo più o meno timido, si lascia andare muovendosi a tempo sul posto, sazio per aver assistito dal vivo a tanta buona musica.

Ancora Padovani, Pasquale Calò e Mirco Rubegni. Foto: Elisabetta Ghignone

Dopo l’agognato bis, di nuovo in compagnia di Anna, Petrella e i Cosmic Renaissance salutano calorosamente Torino, prima di bere qualcosa nel locale e godersi gli ultimi scampoli di serata. C’è da sperare che non passi molto tempo prima di rivederli da queste parti, a ispirare chiunque apprezzi la loro arte.

A cura di Carlo Cerrato

il festival dell’ avant-pop C2C compie 20 anni

Il 18 ottobre all’interno del Lingotto Fiere si è tenuta la conferenza stampa per la presentazione della nuova edizione di C2C, che festeggia il suo ventennale. Nato nel 2002, il festival indoor più grande d’Italia è stato da sempre palcoscenico di una certa avanguardia musicale, che strizza l’occhio ai panorami internazionali con il coinvolgimento di artisti provenienti da tutto il mondo. Un progetto culturale che preserva e rilancia l’identità di Torino come città contemporanea.

A presentare il festival è stato Sergio Ricciardone, direttore artistico del C2C Festival e presidente dell’Associazione Culturale Situazione Xplosiva insieme a Carlo Pastore.

C2C

Quattro giorni di musica con 35 artisti di varie nazionalità per 31 show, di cui 13 debutti e 12 esclusive italiane. Ma C2C non è solo musica: dal 3 al 6 novembre sarà possibile partecipare a numerose performance e talk. Questa XX edizione, che vede già tutte le date sold out, segnerà il record assoluto di presenze con partecipanti provenienti da 40 nazioni di tutto il mondo, consolidando il C2C tra i festival più interessanti a livello internazionale.

Ricciardone ha spiegato le novità rispetto al 2019, come il nuovo simbolo del festival che pone al centro il corpo e la sua libertà, la necessità di aggregazione particolarmente sentita dopo due anni di inattività. Un’altra novità è la nuova attenzione all’impatto sociale e ambientale: tra i partner è presente Plenitude, società controllata da Eni che si occupa della commercializzazione di energia elettrica e gas implementando lo sfruttamento delle energie rinnovabili, che supporterà la manifestazione nel suo percorso all’insegna della sostenibilità. Secondo il direttore artistico è quindi importante che la cultura non venga percepita solo per scopo turistico ma anche come specchio della società che ci circonda e a cui bisogna prestare attenzione.

I palchi su cui si svolgerà il festival saranno quelli dell’OGR (3-6 novembre) e di Lingotto (4-5 novembre), in una veste completamente inedita: per la prima volta, il main stage di Lingotto sarà all’aperto e vedrà l’utilizzo di nuove tecnologie, mentre nel Padiglione Uno sarà presente un secondo stage in collaborazione con Stone Island che porrà l’attenzione all’arte performativa e al teatro contemporaneo.

Il ventennale di C2C sarà dedicato a due grandi artisti scomparsi nel 2021: Sophie, ultima artista a esibirsi nel 2019 e Franco Battiato, ospite nel 2014, che ha segnato un momento di svolta per il festival.

PROGRAMMA COMPLETO

GIOVEDÌ 3 NOVEMBRE — OGR TORINO

21:30 – 03:00

ARCA [VE] — ESCLUSIVA ITALIANA

AYA (LIVE AV FT. SWEATMOTHER) [UK] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

LYRA PRAMUK [US/DE]

VENERDÌ 4 NOVEMBRE — LINGOTTO

18:00 – 04:30

MAIN STAGE

CARIBOU [CA]

JAMIE XX [UK]

JOCKSTRAP [UK] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

NALA SINEPHRO [UK] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

TWO SHELL [UK] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

72-HOUR POST FIGHT [IT]

ROOM 2

AUTECHRE [UK]

STONE ISLAND SOUND STAGE

BILL KOULIGAS [UK]

BLACKHAINE [UK] — DEBUTTO ITALIANO

ELENA COLOMBI [IT]

KODE9 [UK]

SABATO 5 NOVEMBRE — LINGOTTO

18:00 – 04:30

MAIN STAGE

BICEP [UK] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

CATERINA BARBIERI [IT] MAKAYA MCCRAVEN [US]

PA SALIEU [UK] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

ROMY[UK]

YEИDRY [IT/DO]

STONE ISLAND SOUND STAGE

NU GENEA CURATE BAR MEDITERRANEO: DEENA ABDELWAHED [FR/TN], DJ PLEAD [AU/LB], MY ANALOG JOURNAL [TR], NU GENEA [IT],

RENATO LEOTTA: ONDINA [IT] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

DOMENICA 6 NOVEMBRE – OGR TORINO

20:30 – 02:00

GANG OF DUCKS X C2C FESTIVAL: HANS ARSEN [IT] & REPTILIAN EXPO [IT] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

MANA [IT] & PEDRO VIAN [SP] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

SABLA [IT] & Đ.K. [FR] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

STENNY [IT] & EHUA [IT] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

XIII [IT] & SELEZIONE NATURALE [IT] — DEBUTTO ED ESCLUSIVA ITALIANA

DOMENICA 6 NOVEMBRE – FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO

17:00 – 19:30

C2C FESTIVAL 20 YEARS OF – CONVERSAZIONE Con Max Dax (curator, music journalist and publisher) e Jazz Monroe (Associate Staff Writer – Pitchfork)

_resetfestival: il talk sulla sostenibilità ambientale negli eventi

Uno degli argomenti più discussi durante l’estate 2022 è stato indubbiamente il rapporto tra gli eventi musicali più importanti della stagione e l’impatto ambientale. La conversazione è stata incoraggiata soprattutto dalle polemiche nate intorno al Jova Beach Party, tour estivo di Jovanotti che aveva come location gli arenili di varie città balneari: è in questo contesto di maggiore coscienza sulla problematica che il _resetfestival ha organizzato l’incontro “La sostenibilità ambientale negli eventi” in collaborazione con il CdS EACT del Dipartimento di Economia e Statistica dell’Università di Torino, seguito da un laboratorio curato da Antonio Vita, funzionario della sezione Igiene Urbana e Ciclo dei Rifiuti per il comune di Torino.

Il talk, che ha avuto luogo al campus Luigi Einaudi, è stato brevemente introdotto da Daniele Citriniti, organizzatore e fondatore del festival, ed è proseguito con la presentazione della tesi del 2018 “Change The Music” – misure per la sostenibilità dei festival musicali realizzata da Antonio Vita, che si è chiesto come il settore creativo potesse contribuire positivamente allo sviluppo di città e comunità sostenibili. Sono stati mostrati alcuni casi studio che trattavano importanti festival europei come Glastonbury e diverse tipologie di festival italiani fra cui il TOdays; il focus principale della ricerca era la mobilità e la ricerca di alternative più sostenibili per raggiungere gli eventi come il car sharing, il bike sharing e le navette.

Foto: Marzia Benigna

Successivamente è intervenuto Aldo Blandino, uno dei responsabili dell’area ambiente del comune di Torino, che ha parlato dell’impegno della città soprattutto in termini di questione ambientale e transizione ecologica, portando come esempio l’organizzazione di MITO Settembre Musica 2020 e gli accorgimenti presi per ridurre l’impatto ambientale del festival. Hanno poi preso la parola i professori Enrico Bertacchini e Vito Frontuto, che hanno sottolineato la necessità di trovare soluzioni che possano funzionare oltre il medio periodo e l’importanza di elaborare politiche culturali che educhino la popolazione sul cambiamento climatico.

Il talk si è concluso con l’intervento di Dino Lupelli, general director di Music Innovation Hub, che ha raccontato la sua esperienza nella progettazione del Back to the Future Live Tour di Elisa e delle decisioni prese per realizzare una serie di concerti che avesse il minor impatto ambientale possibile: tra queste la scelta di svolgere una delle tappe di giorno, la valorizzazione di spazi già esistenti e la realizzazione di attività di sensibilizzazione sul tema per il pubblico.

Foto: Marzia Benigna

Una volta terminata la conferenza è stato organizzato una sorta di laboratorio, coinvolgendo i presenti in una sessione di brainstorming al fine di trovare soluzioni integrabili all’organizzazione di un evento musicale per renderlo più sostenibile ed idee per incoraggiare chi frequenta i concerti ad assumere comportamenti più rispettosi dell’ambiente: tra gli espedienti pensati quello di realizzare stand con tutoriali per realizzare prodotti fai da te attraverso il riciclo, l’idea di donare una parte dei soldi del biglietto ad un’associazione per la tutela dell’ambiente e l’inserimento di maggiori accorgimenti per la raccolta differenziata nella venue. Decisamente, quello del _reset, un festival costruito e popolato da persone coscienti del mondo in cui vivono.

A cura di Giulia Barge

TOdays Festival – Day Three, atto finale: l’indie rock anglosassone saluta Torino

Torino, domenica 28 agosto: la terza e ultima giornata del TOdays Festival si accende tra il fermento generale, per una serata che si preannuncia densa di musica interessante. La line-up accosta sapientemente le diverse sfumature di un indie rock tutto diviso tra il Regno Unito e gli USA: esordio e chiusura arrivano dalla Scozia, con gli Arab Strap ad aprire e il gran finale con i Primal Scream; i newyorkesi DIIV e gli inglesi Yard Act, nell’ordine, si spartiscono il ripieno dello show.

La golden hour è alle porte: quello che era un piccolo capannello in transenna, nel giro di poco si è trasformato in una folla nutrita ed effervescente. Che l’evento abbia inizio.

Arab Strap: il frontman Aidan Moffat. Credits: Martina Caratozzolo

La band di Aidan Moffat si presenta sui colpi serrati di un ritmo elettronico: è “The Turning of Our Bones”, che prende forma dal suo minimale riff di chitarra. Il frontman, look a dir poco coraggioso – camicia nera e jeans bermuda – attacca con un testo dalla metrica concitata, perfetto per una voce a tinte fosche come la sua. I suoni di chitarra, generalmente puliti, si mantengono su queste coordinate per tutto lo show, mentre il gruppo sfoggia una presenza poderosa nel suo stile caratteristico. I ritmi si infiammano con gli influssi dance in tempo dispari di “Compersion Pt. 1”, per poi distendersi drammaticamente con “New Birds” e riaccendere tutto nel finale, nell’elettronica forsennata di “The First Big Weekend”. Moffat si destreggia anche su un sintetizzatore e su un pad elettronico. Grande performance, contrassegnata in larga misura da mood musicali e testuali vagamente – nettamente, in alcuni casi – sinistri.

DIIV: da sinistra, Colin Caulfield e Andrew Bailey. Credits: Martina Caratozzolo

È poi il turno dei DIIV, che si presentano ostentando un distacco solo di facciata. Zachary Cole Smith prende posto sul palco e presenta con poche parole la band: comincia così “Loose Ends”. La qualità live è ottima e incorpora le peculiarità della produzione musicale del gruppo: protagonisti assoluti gli intrecci melodici tra chitarre effettate, con echi onirici tra lo shoegaze e il dream pop. A prendersi la scena è il chitarrista Andrew Bailey, immerso con lo strumento in un mondo tutto suo, a partire dai capelli annodati in due trecce sulle spalle e dalle smorfie istrioniche che ne fanno un personaggio. Picchi di adrenalina durante “Under the Sun”, scandita a gran voce dai presenti, gli stessi che pogano sfrenati a partire dalla potentissima “Doused”, tratta dall’album d’esordio Oshin (di cui si festeggia il decennale), e fino alla fine della scaletta. Chiusura degna con “Blankenship”; merita una menzione anche la componente ritmica, con la devastante batteria di Ben Newman ed il basso di Colin Caulfield.

Yard Act: il frontman James Smith. Credits: pagina Facebook TOdays festival

Gli Yard Act, band più giovane della serata (formatasi 3 anni fa, con album d’esordio lo scorso gennaio), salgono sul palco con personalità: il cantante James Smith si contraddistingue prontamente per il suo fare loquace, prima di immergersi a capofitto nel groove deciso e scanzonato di “Dark Days”. Il batterista Jay Russell e il bassista Ryan Needham compongono un duo tagliente, ed è proprio lungo le coordinate del ritmo che la band inglese si muove, ritmo cui i pungenti riff chitarristici di Sam Shjipstone – apprezzabili e apprezzati – cedono in generale il passo. Molto orecchiabile “Land of the blind”, molto incisiva la title track “The Overload”, molto accattivante “Rich”: il complesso mostra grande grinta, unita ad un atteggiamento spregiudicato di ispirazione quasi punk (o meglio, post-punk). Smith ama raccontarsi e raccontare le storie dietro ai brani, e la folla gli dà tutta la soddisfazione che merita la sua presenza scenica.

Primal Scream: il frontman Bobby Gillespie. Credits: pagina Facebook TOdays festival

Dulcis in fundo, i Primal Scream: le premesse sono ottime, specie se aggiungiamo l’hype generato intorno all’annunciata esecuzione di Screamadelica. La partenza sicuramente ha molta elettronica, con “Swastika Eyes”: Bobby Gillespie ha addosso i colori e il disegno del loro disco più famoso, suona le maracas, e naturalmente accentua il suo ruolo di leader. Anche con “Pills” e “Deep Hit of Morning Sun” – dedicata al compianto Mark Lanegan –la linea continua; a metà dell’esibizione, però, la rotta cambia improvvisamente, abbandonando le sonorità da rave per atmosfere più intime, come in “English Town”, oppure più classicamente rock, come nella celebre “Movin’ on Up” (primo pezzo tratto da Screamadelica) o in “Country Girl”. Morale della favola, i brani dello storico album sono soltanto due, tra cui “Loaded”, suonata in chiusura dopo aver fatto credere a tutti che il concerto fosse finito. Purtroppo, per quanto riguarda i Primal Scream sembra mancare qualcosa: lo si è percepito anche da una certa stanchezza (forse mista a delusione) aleggiante tra il pubblico. Evidente il gap tra le aspettative e l’offerta della band, che ha comunque regalato momenti divertenti e altri di vigore ed esaltazione.

Una timida pioggia ha iniziato a scendere proprio verso il termine dell’evento; nel complesso, una grande serata e una conclusione in bello stile per questa edizione del TOdays, che ha regalato spunti di rara bellezza dall’immenso patrimonio della musica indipendente. I quali, si spera, saranno fonte di ispirazione per migliaia di musicisti, e non solo a Torino.

A cura di Carlo Cerrato

Boyband e solisti: Harry Styles al Pala Alpitour

Dagli anni ’90 a questa parte, per ogni membro di una boy band o girl band che si rispetti è diventata tradizione esordire da solista dopo qualche anno di carriera in gruppo; c’è chi abbandona il progetto perché non ha le qualità necessarie per farcela, e c’è chi invece ha un successo dirompente. Harry Styles fa decisamente parte della seconda categoria.

Martedì 26 luglio il Pala Alpitour ha ospitato la seconda data italiana del Love On Tour, inizialmente prevista per maggio 2020, poi spostata a febbraio 2021 e infine fissata per il 2022; inutile dire come l’aspettativa degli spettatori di Bologna il giorno prima e poi di Torino fosse alle stelle (alcuni di loro hanno persino campeggiato fuori dall’arena per giorni pur di garantirsi le prime file).

LAS VEGAS, NEVADA – SEPTEMBER 04: Harry Styles performs on stage during the tour opener for Love On Tour at MGM Grand Garden Arena on September 04, 2021 in Las Vegas, Nevada. (Photo by Anthony Pham/via Getty Images)

La serata si apre con l’esibizione dei Wolf Alice, gruppo alternative rock britannico nonché opening act di buona parte della leg europea del tour. Da subito la band sembra emanare una forte intesa e una forte energia, riuscendo a coinvolgere anche i più restii. La frontwoman Ellie Roswell si muove sul palco sicura e disinvolta, mentre il pubblico accompagna l’esibizione come se i Wolf Alice non fossero semplicemente un gruppo sconosciuto in apertura, bensì i veri protagonisti del concerto: i fan saltano, prendono l’iniziativa e battono le mani a tempo, accendono le torce durante le canzoni più lente. La band scende dal palco allegra e soddisfatta, mentre gli spettatori continuano ad applaudire.

Le luci si accendono nuovamente ed è impossibile non notare le stravaganti scelte di look dei 14.500 presenti, nessuno escluso: occhiali da sole di tutte le forme, boa di finte piume colorate, camicie dalle fantasie più disparate, stivali texani e una gran quantità di cuori e abbigliamento rosa – questi ultimi due fattori chiaramente ispirati all’estetica di Fine Line (2019), secondo album solista di Styles e inizialmente tema principale del Love on Tour. Qualcuno osa addirittura indossare scarpe col tacco, qualcun altro afferma di sentirsi ad un evento che è un misto fra un Pride e un concerto di Elton John.

Il concerto ha inizio ancora prima dell’effettiva apparizione dell’artista sul palco: sulle note di “Best Song Ever” degli One Direction e “Bohemian Rhapsody” dei Queen, il pubblico balla e canta a squarciagola, creando un’unione fra le diverse generazioni presenti. Qualcuno già piange. Poi le luci si abbassano, la band – interamente vestita di giallo: forse un tributo al nuovo film dei Minions? – si posiziona dietro agli strumenti e le prime note di “Music For a Sushi Restaurant” si diffondono nel palazzetto. La folla sta già urlando a pieni polmoni quando sul palco compare finalmente Harry Styles, vestito per l’occasione con un completo a righe arcobaleno pieno di paillettes.

I look Gucci di Harry Styles per i concerti di Bologna (sinistra) e Torino (destra). @harry_lambert via Instagram

La setlist prevede 20 canzoni tratte dai tre album da solista del cantante, rispettivamente l’omonimo Harry Styles (2017), il già citato Fine Line (2019) e il recente Harry’s House (2022), il miglior debutto in Italia per un disco internazionale dal 2021, con un paio di brani aggiunti apposta per l’occasione.

In un italiano semplice e grammaticalmente corretto, nel corso della serata Styles racconta di star imparando la nostra lingua «piano piano. Quindi, per favore, siate pazienti con me». Spiega di come abbia vissuto alcuni dei momenti migliori della sua vita qui: non a caso la costiera amalfitana è stata location per le riprese del video di “Golden”, quinto singolo estratto da Fine Line.

Screenshot dal video “Golden” di Harry Styles, via YouTube
Screenshot dal video “Golden” di Harry Styles, via YouTube

Fra balletti che sembrano per lo più tentativi per schivare gli oggetti lanciati dalle prime file e profusi ringraziamenti in italiano e in inglese ai Wolf Alice e a tutti quelli che hanno reso il concerto possibile – i tecnici, la band, lo stesso pubblico –, Harry Styles ci tiene ad assicurarsi che tutti stiano bene e si stiano divertendo, incitando gli spettatori a ballare e ad accettarsi: «stasera vorrei che foste liberi di essere chi volete». I fan intonano “Sei bellissimo”, il cantante risponde intonando a sua volta “Se telefonando” di Mina, mandando il pubblico in visibilio.

A prescindere dalle gran doti canore, dalla qualità dei brani e dalle ottime capacità performative (tutti fattori presenti), è evidente come l’ex membro degli One Direction abbia costruito una comunità vera e propria di persone che lo seguono non soltanto per la sua musica, ma anche per l’atmosfera che si respira entrando a far parte di essa: un’atmosfera all’insegna dell’amore, della libertà e dell’unicità. Durante i suoi concerti Styles esegue cover dei Fleetwood Mac e degli One Direction, canta brani che ha scritto per altri artisti o pezzi mai registrati come “Medicine” o “Anna”, che diventano un grandissimo successo di pubblico proprio perché unici e inseparabili dalla dimensione live.

Harry Styles al Pala Alpitour. @justharried via Instagram

Dopo anni di attesa e continui rimandi, il concerto finisce forse troppo rapidamente, lasciando agli spettatori l’amaro in bocca e la malinconia del momento appena conclusosi. Fra il pubblico ci sono sì genitori trascinati a forza dai figli e gli stessi giovanissimi figli, ma anche chi segue Harry Styles dai tempi degli One Direction ed è cresciuto con lui: chi aveva 12 anni ai tempi di “What Makes You Beautiful” ha ormai passato i 20, e la sensazione è che sia tutto trascorso troppo in fretta.

Speriamo ci sia l’occasione di poter replicare presto, come d’altronde ha detto lo stesso Harry: «vi prometto che non passerà troppo tempo fino alla prossima volta in cui ci vedremo». E chissà, magari allora avrà già un C2 di italiano.

A cura di Ramona Bustiuc

Willie Peyote gioca in casa e si prende l’amore del pubblico @ Flowers Festival

Una cosa è certa: Willie Peyote è uno degli artisti torinesi più amati dai suoi concittadini. Venerdì 8 luglio il rapper e cantautore torinese ha avuto finalmente l’occasione di “tornare a casa” — precisamente nella cornice del Flowers Festival a Collegno —, proponendo un grande live per tutti i suoi fan che lo attendevano da tempo.

Willie Peyote @ Flowers Festival – foto di Erika Musarò

Ad aprire il concerto ci ha pensato Michael Sorriso, rapper classe ’90 originario proprio di Collegno, che negli ultimi anni è riuscito a farsi notare e apprezzare da vari artisti della scena torinese e non. A suon di rime ha riscaldato il pubblico presente, preparandolo al meglio.

Willie Peyote @ Flowers Festival – foto di Erika Musarò

Dopo un’ora di live, tocca al protagonista della serata. Sono le 22:30, il palco è ancora in preparazione ma la gente urla e reclama Peyote sul palco. Un’esplosione di luci e la voce di Michela Giraud aprono il concerto e il rapper finalmente fa la sua comparsa cantando “Fare schifo”, brano che ha anticipato l’uscita dell’ultimo album Pornostalgia (2022) e che vede proprio una collaborazione con la nota comica; è un brano che ricorda il bello di non essere perfetti, soprattutto quando la ricerca della perfezione comporta un perenne senso di insoddisfazione.

Da subito il pubblico dimostra di essere preparato ad intonare a memoria ogni singola canzone della scaletta. Ad ogni nuovo brano un coro si alza dal pubblico, creando un’atmosfera di condivisione veramente unica. Questa sensazione rimane presente per la durata di tutto il concerto, che vede susseguirsi brani tratti da Pornostalgia ma anche pietre miliari della carriera del rapper come “Willie Pooh”, “Porta Palazzo” e “Semaforo”. Non sono mancati i momenti di denuncia sociale, con riferimento a tematiche da sempre trattate anche nelle canzoni di Willie Peyote, come il razzismo e la questione climatica. Tante anche le citazioni nel corso del concerto, dagli Arctic Monkeys a Dr. Dre, sapientemente utilizzate come apripista ad alcuni dei suoi singoli.

Willie Peyote @ Flowers Festival – foto di Erika Musarò

Anche questa volta Willie Peyote ha dimostrato di rimanere coerente con la cifra stilistica che lo ha da sempre contraddistinto: è raro, infatti, che un rapper si faccia accompagnare da una band —in questo caso dalla All Done, band formata da Luca Romeo (basso), Dario Panza (batteria), Daniel Bestonzo (tastiere synth), Enrico Allavena (trombone) e Damir Nefat (chitarra) —. Sicuramente una scelta che contribuisce a rendere ancora più spettacolare ed emozionante ogni suo live.

A cura di Erika Musarò

Leggerezza e adrenalina: Novelo e gli Psicologi @ Flowers Festival

Migliaia di corpi, emozioni e pensieri che diventano una cosa sola nel momento in cui l’artista inizia a cantare: è possibile? Bisognerebbe chiederlo a Novelo e agli Psicologi che sabato 2 luglio, presso il Parco della Certosa Reale di Collegno, si sono esibiti all’interno del cartellone del Flowers Festival, organizzato da Hiroshima Mon Amour

Andrea Leone – Novelo (foto: Chiara Vecchiato)

Andrea Leone – in arte Novelo – è un cantante italiano che esordisce nel 2018 nel panorama napoletano. È lui ad aprire la serata: occhiali da sole, t-shirt, microfono in mano e sicurezza da vendere; così il cantante saluta il suo pubblico. L’interazione tra i giovani e l’artista è tanta, in poco tempo si battono le mani a ritmo di musica. Nonostante il caldo qualcuno esce dalla zona d’ombra per unirsi al coro, mentre qualcun altro ne approfitta per le ultime risate con gli amici. In poco tempo si crea come un caos ordinato, e le persone sotto il palco aumentano. L’adrenalina sale, mentre la luce del sole lascia il posto alle luci del palco. 

Gli Psicologi – i cantanti Marco De Cesaris, sulla destra, e Alessio Aresu, al centro (foto: Chiara Vecchiato)

«Quanto fate casino Torino?!»: la frase d’ingresso degli Psicologi (duo composto da Marco De Cesaris, in arte Draft, e Alessio Aresu, conosciuto come Lil Kvneki) è anche una sfida per i fan, che da quel momento iniziano a farsi sentire sempre di più. 

La loro scaletta è una salita progressiva verso l’apice, verso il momento in cui viene chiesto al pubblico di saltare, per poi proseguire verso la fine del concerto con singoli più malinconici come “Spensieratezza”. Il duo non perde l’occasione di rivolgere uno sguardo anche al sociale, invitando tutti a dare uno sguardo allo stand di Fridays for Future (movimento ambientalista internazionale di protesta, composto da alunni e studenti), presente durante la serata. 

Gli Psicologi con, al centro del palco, sull’asta del microfono, la bandiera arcobaleno (foto: Chiara Vecchiato)

I più audaci salutano gli Psicologi con cartelloni oppure urlando dalle prime file, nella speranza di ricevere qualche risposta. C’è anche chi osa di più e preferisce lasciare ai due qualcosa di decisamente più personale: un reggiseno. Lil Kvneki unisce le mani, accenna un inchino e mette il regalo al sicuro sul palco. Non saranno solo i fan a portarsi a casa un ricordo.  

A cura di Chiara Vecchiato