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Grigory Sokolov: un inno alla musica sull’altare del Lingotto

Quando la musica trasforma la sala da concerto in un vero e proprio tempio, quasi sacro, gli elementi esibizionisti e l’esteriorità dei gesti diventano superflui. La musica diventa un flusso continuo, l’attenzione si concentra sui suoni precisamente eseguiti e calibrati in ogni singolo parametro portando così lo spettatore ad assumere un atteggiamento di completa devozione nei confronti di quello che succede sul palco.

Questo è proprio quanto accaduto all’auditorium Lingotto «Giovanni Agnelli»,l’8 novembre 2023 in una serata realizzata in collaborazione tra Lingotto Musica e Unione Musicale.
Ancora una volta la sala torna a vedere tutti i suoi posti a sedere occupati: i biglietti per il concerto del grande pianista Grigory Sokolov sono sold out.

Nel 1966, a soli sedici anni, Sokolov vince il Primo Premio al Concorso Internazionale Čajkovskij di Mosca guadagnandosi grande fama internazionale. Lo studio del pianoforte inizia, però, già all’età di cinque anni per poi procedere, due anni dopo, con l’ammissione al conservatorio di Leningrado. Consueto collaboratore di prestigiose orchestre come la Philharmonia Orchestra, decide di dedicarsi alla carriera solistica. Considerato uno dei più grandi pianisti di oggi, Sokolov è conosciuto per la sua totale devozione nei confronti della musica, per la sua grande attenzione – quasi maniacale – dei dettagli e per il suo repertorio che vede spaziare dalla polifonia medievale al repertorio classico-romantico fino ad arrivare al Novecento. Negli ultimi anni lascia però spazio a concerti cameristici incentrati su brani più intimi prediligendo compositori come Bach, Chopin, Beethoven, Mozart, Schubert.

Dalla pagina web di Lingotto Musica

Non una parola e non un gesto fuori posto, Sokolov sale sul palco e, dopo un inchino, senza alcun tentennamento appoggia le mani sulla tastiera del pianoforte e immediatamente dà avvio ad un programma bachiano senza soluzione di continuità che coinvolge il pubblico in un vero e proprio rito. Nessuna pausa e nessuna parola, solo la musica che diventa protagonista facendo quasi dimenticare che sul palco c’è un soggetto in carne ed ossa.

Le note fluiscono con scale veloci, trilli, cromatismi delicati che Sokolov riesce a rendere con una freddezza tecnica ed espressiva che dimostra perfettamente il suo approccio alla musica: rigore e un intenso studio dei brani. La sua tecnica e rigidità paradossalmente però riescono a trasmettere qualcosa al pubblico, che resta tutto il tempo con gli occhi fissi su di lui.
Gli accordi e le singole note acquistano vita propria grazie all’abilità di Sokolov di creare polifonie che sembrano modificare il timbro del pianoforte, trasformando anche i suoni più leggeri, delicati e impalpabili in sostanza consistente. La sua abilità nel modulare perfettamente l’intensità di ogni singola nota , di avere una precisissima sensibilità nella pressione dei tasti, dà vita ad un pianissimo di grandissimo effetto che sospende il fiato del pubblico.

Con il prosieguo della serata, Sokolov porta sul palco la Sonata n.13 e l’Adagio K540 di Mozart dimostrando la sua maestria nell’interpretazione della complessa struttura mozartiana. L’esecuzione ricca di dettagli e sfumature trasporta gli spettatori all’interno di un’intensa gamma di emozioni: come ipnotizzati o in uno stato di catarsi, si lasciano trasportare dalle note perfette eseguite dal pianista e diventano partecipi di un viaggio che si è trasformato in un’esperienza sempre più spirituale e profonda.

Dalla pagina web di Lingotto Musica

Per concludere Sokolov non ha deluso le aspettative del pubblico che attendeva con ansia di sapere quanti bis avrebbe riservato alla platea torinese. Sei piccole miniature poetiche, hanno visto come protagonisti tre compositori di epoche differenti: Rameau, Chopin e Rachmaninov. Il programma si è tinto di un’espressività e di sonorità inesplorate fino a quel momento. Forse più stanco e più libero dalla pressione di dover eseguire perfettamente ogni brano, ha messo da parte la perfezione tecnica per creare emozioni sempre più intense.

Anche le entrate e uscite di scena hanno contribuito a creare la sensazione di partecipare ad un rituale musicale. Il pianista attraverso pochi e semplici movimenti, sempre uguali, ha creato sul palco un ambiente teatrale ed ipnotico. Il suo corpo improvvisamente sembrava essere un automa che eseguiva alla perfezione ogni singolo ingresso e uscita di scena, persino la regolarità dei tempi era scandita con una precisione metronomica. 

Uno spettacolo dunque ricco di emozioni contrastanti, di silenzi devoti, ricco di dettagli curati che hanno contribuito alla realizzazione di un atto di preghiera nei confronti di compositori che ci hanno lasciato in eredità grandi opere.

A cura di Ottavia Salvadori

Al via con Schubert la nuova stagione di Lingotto Musica

Si riaccendono le luci sul palco dell’auditorium “G. Agnelli” di Torino per la serata inaugurale della stagione concertistica di Lingotto Musica 2022-23. Anche quest’anno, come quello passato,  l’onore spetta all’orchestra Le concert des Nations ed al suo direttore nonché fondatore Jordi Savall. La formazione, nata allo scopo di salvaguardare e riprodurre con fedeltà i repertori storici, riunisce specialisti internazionali nell’interpretazione della musica antica su strumenti originali. Dopo il successo del ciclo sinfonico beethoveniano proposto nel corso degli ultimi due anni, si passa ora a Franz Schubert, di cui vengono eseguite, per l’occasione, la Sinfonia n.8 “Incompiuta” e la Sinfonia n.9 “Grande”.

credits: Lingotto Musica

L’autore viennese prosegue il cammino tracciato da Beethoven, conducendo la musica dallo stile settecentesco verso nuovi canoni formali ed espressivi che culmineranno con la stagione romantica a venire. Mentre Beethoven termina la sua ultima “Corale”, Schubert è impegnato nella stesura dell’ottava sinfonia, che, tuttavia, non porterà mai a termine, consegnandola alla storia come “Incompiuta”. L’incompiutezza formale, data dalla presenza di soli due tempi, ne sottintende una più ideale: il turbamento emotivo dell’autore si trasfigura in un irrisolto dualismo tra un nucleo tematico tetro e drammatico ed uno più soave e disteso. Fin dal lamento strisciante d’apertura di violoncelli e contrabbassi, un velo di tensione avvolge il pubblico tenendolo in ostaggio, tra un picco e l’altro, fino alla tregua raggiunta nel secondo movimento. 

Il tempo di riprendere fiato con il canonico intervallo di metà concerto, e si riparte con la “Grande”. Scritta pochi mesi prima della morte, l’ultimo lavoro sinfonico di Schubert sembra chiudere il cerchio del suo processo evolutivo interiore. A coronamento della ricerca irrequieta avviata nella “Incompiuta”, il compositore sviluppa su quattro movimenti un pensiero riflessivo più maturo, dando libero sfogo ai suoi stati d’animo. Al termine di un’intensa ora di ascolto, il nutrito pubblico si lascia andare ad un lungo applauso liberatorio per la buona riuscita del concerto.

credits: Lingotto Musica

Le concert des nations fornisce un’esibizione convincente e di qualità, mantenendo fede alla propria reputazione sui repertori ottocenteschi. Grande merito va alla direzione oculata di Jordi Savall, che, con gesti chiari, misurati ed efficaci, trasmette sicurezza ai propri fedeli orchestrali, ottenendo una resa espressiva ottimale. Punto di forza: la gestione delle dinamiche. Frasi secche e decise si alternano ad altre più dolci e melodiche, secondo un’altalena di emozioni che consente di apprezzare al meglio l’ascolto. Gli stessi esecutori godono del momento, scambiandosi cenni d’intesa, occhiate complici e sorrisi compiaciuti. Si percepisce una stretta alchimia tra gli orchestrali che si diffonde poi per tutta la sala, riscuotendo consensi convinti dagli spalti.

A chiosa della serata, il direttore, pronunciato un discorso toccante e sincero sui dolori che affliggono la civiltà odierna, offre ancora il secondo tempo della celebre “Italiana” di Mendelssohn come omaggio per tutte le vittime nel Mondo, e riserva una dedica d’eccezione alla compianta Francesca Gentile Camerana, la fondatrice, tra le altre, della stessa associazione Lingotto Musica, tristemente scomparsa da pochi mesi.

credits: Lingotto Musica

A cura di Ivan Galli

L’Orchestre de Paris ospite all’Auditorium Lingotto

Serata di gala all’Auditorium Lingotto, dove, mercoledì 27 aprile, si è tenuto il concerto di chiusura della stagione musicale. Dopo i Dodici violoncellisti dei Berliner Philharmoniker, questa volta ospite è stata l’Orchestre de Paris, la principale formazione sinfonica del panorama francese attuale, qui diretta da Esa-Pekka Salonen. Il finlandese, già vincitore di svariati prestigiosi riconoscimenti (tra cui sette Grammy Awards), è l’attuale direttore musicale della San Francisco Symphony, nonché direttore onorario della Los Angeles Philarmonic e della londinese Philarmonia Orchestra.

Il programma prevedeva alcuni classici del repertorio d’oltralpe, tra cui la Pavane di Maurice Ravel e soprattutto la sinfonia Fantastique di Hector Berlioz; completava il quadro la suite dal Mandarino meraviglioso di Béla Bartók, di cui il direttore è esperto conoscitore (diverse le registrazioni discografiche, con la stessa Philarmonia di Londra).

In sala predominava un pubblico di giovani (molti, per giunta, studenti di Conservatorio), fedeli rappresentanti di un vivo e crescente interesse per il mondo della classica. 

Foto: Ivan Galli

Ad aprire il concerto è stata la Pavane pour une infante defunte di Ravel. Il tema tradizionale delle “tombe precoci” viene espresso, qui, con una sensibilità e raffinatezza tipicamente francesi. Tutto il brano ruota attorno ad un’unica melodia, semplice e struggente.

Questo idillio introduttivo è stato presto spezzato dalle dissonanze armoniche e i ritmi forsennati della suite dal Mandarino meraviglioso di Bartók. L’atteggiamento di orchestra e direttore era radicalmente cambiato: la gestualità della bacchetta si era fatta più marcata e decisa, il suono ottenuto da archi, ottoni, legni e percussioni più secco e incisivo.

Una pausa di venti minuti ha permesso al pubblico di prendere fiato prima di ripartire con la Symphonie fantastique di Berlioz, un caposaldo della produzione sinfonica francese. Divisa in cinque sezioni, l’opera riporta in musica una storia letteraria ottocentesca: un giovane artista innamorato ma non corrisposto, elabora, sotto effetto di un narcotico, visioni oniriche allucinanti, tra cui quella mutevole della fanciulla desiderata. L’immaginario dipinto (fantasmi, scheletri, magia, scene macabre e feste sataniche) incarna in modo esemplare i canoni estetici del filone gotico-romantico di cui Berlioz stesso è portavoce

Foto: Ivan Galli

Dopo quasi un’ora di esecuzione, che ha raggiunto l’apice drammatica nell’ultimo tempo della sinfonia, ci si avviava verso il termine della serata. Il direttore, concedendosi una breve introduzione, ha omaggiato il pubblico con un bis di tutto rispetto: di nuovo le sonorità ovattate di Ravel, questa volta con il Jardin féerique da Ma mère l’oye.

L’orchestra parigina, protagonista della serata, si è distinta per una lodevole capacità di alternare registri e linguaggi così lontani tra loro, pur conservando sempre una fine chiarezza esecutiva. Passaggi tecnici affiancati ad altri più lirici, problemi ritmici complessi sbrogliati con eleganza, sapiente dosaggio delle dinamiche, grande pulizia e omogeneità sonora: queste sono state alcune delle virtù performative che il pubblico ha potuto apprezzare.

L’Auditorium ha chiuso, così, in bellezza una stagione sinfonica, pur in tempi di pandemia, comunque densa e memorabile. L’attesa per l’anno prossimo è già partita.

Foto: Ivan Galli

A cura di Ivan Galli