Tosca al Teatro Regio

Una prima apprezzatissima quella di Tosca, andata in scena al Teatro Regio di Torino il 15 ottobre: il pubblico in fervore ha abbandonato la sala soltanto dopo uno scrosciante applauso di circa dieci minuti.

C’è da dire che questo capolavoro è da sempre uno dei più amati dagli spettatori: musicata da Giacomo Puccini e tratta dall’omonimo dramma di Victorien Sardou, l’opera è caratterizzata da un fluire dell’azione scenica frenetico, quasi inarrestabile, tanto che manca completamente di ouverture. Al tempo stesso, però, affascina chi la ascolta con un’ampia espansione melodica e commuove con le memorabili arie dei due protagonisti, unici luoghi in cui lo scorrere degli eventi si ferma e il focus si sposta sull’interiorità dei personaggi. Queste due caratteristiche brillano anche nel cuore dell’eroina: amante facile all’ira ma anche languida e appassionata, Tosca viene trascinata dalla sua gelosia verso un tragico e rapidissimo epilogo, lasciando il pubblico sgomento ma incollato alla poltrona per tutta la durata del dramma.

La regia offerta dall’argentino Mario Pontiggia, proposta per la prima volta a Firenze nel 2008, è pensata per un allestimento “classico”. La scelta tradizionale, in questo caso, sembra più che condivisibile: i riferimenti alla battaglia di Marengo disseminati da Illica e Giacosa nel libretto, infatti, sono così frequenti e precisi da scoraggiare ogni tentativo di attualizzazione. La scenografia di Francesco Zito si concentra su elementi reali, che permettono allo spettatore di calarsi appieno nell’ambiente della Roma del 1800: la cupola della Chiesa di Sant’Andrea della Valle, gli interni damascati di Palazzo Farnese e le prigioni di Castel Sant’Angelo dominano rispettivamente sui tre atti del dramma, trasmettendo con la loro imponenza una specie di soggezione, quasi un senso di soffocamento. Notevoli anche i piccoli dettagli realistici, come l’arredamento dell’ufficio di Scarpia e l’effigie papalina sulle mura da cui Tosca si butterà alla fine dell’opera, e i rimandi all’arte ottocentesca: il dipinto dell’Attavanti capace di scatenare la gelosia della protagonista, infatti, ricorda le sagome delle donne di Hayez, mentre all’inizio del Te Deum la scenetta dei bambini con le baionette e la bandiera riporta alla mente La libertà che guida il popolo di Delacroix.

Immersi in questa imponente e dettagliata scenografia, gli interpeti si sono mossi con maestria e credibilità. Il Cavaradossi di Marcelo Àlvarez ha nei primi due atti sfoggiato una tavolozza dominata quasi essenzialmente dal rosso dell’energia e del fervore giovanile; forse questo lo ha reso poco languido nel duetto iniziale, ma sicuramente gli ha permesso di brillare nel secondo atto, in cui il pittore si tramuta da amante sentimentale e amico fedele in coraggiosa vittima del terrore e deciso sostenitore di Napoleone. Nell’ultima parte dell’opera, invece, Àlvarez ha regalato interessanti sfumature al personaggio, lasciandone prevalere la sofferenza e tratteggiando la figura di un Mario triste, ombroso, spossato dai dolori della tortura e quasi incredulo alle parole dell’amante giunta ad annunciargli la salvezza: lo struggimento percepibile nel profetico «cadrò sul momento / e al naturale», carico di ironia tragica, ha infatti strappato un sorriso amaro al pubblico, ben consapevole dell’epilogo del dramma. Su questo finale troneggia implacabile l’ombra del barone Vitellio Scarpia, che anche nella morte riesce a realizzare almeno una parte del piano che vedrebbe il pittore al patibolo e Tosca tra le sue braccia. A dar voce al capo della polizia, il baritono Ambrogio Maestri, dal timbro grave e solenne, capace di rendere appieno tutte le sfaccettature del personaggio, bigotto e sadico, crudele ma in un certo senso affascinante, titanico nel suo ingresso in scena, ma vacillante come un giovane amante all’apparire dell’eroina. Anna Pirozzi, nel ruolo del titolo, si conferma uno dei più grandi soprani al mondo: emozionante, precisissima e appassionata, è dotata di una voce calda e immensa, capace di riecheggiare per tutto il teatro, e di doti recitative assai spiccate, che l’hanno resa autentica e molto vicina al personaggio. Nel corso del secondo atto, infatti, durante il lungo interrogatorio al quale Tosca è sottoposta dal barone, sembrava di partecipare alla tortura psicologica di una persona in carne ed ossa, senza però poter fare nient’altro che commuoversi. La sottolineatura di alcuni piccoli picchi emotivi disseminati nel corso della partitura, poi, come l’«Egli vede ch’io piango» alla fine del primo atto, denota uno studio sapiente e intenso del personaggio e delle sue sfumature, nonché la notevole sensibilità dell’interprete. Accompagna con veemente dinamismo l’orchestra diretta da Lorenzo Passerini, infuocata e brillante, capace di amplificare la drammaticità di molte scene (si pensi alla morte di Scarpia, culmine del secondo atto, in cui il gioco di luci e ombre assurge a protagonista) e di smorzare nei punti di maggior sentimento.

Si concluda con una nota di merito riguardo ai costumi ideati da Francesco Zito. In un quadro dominato dal nero e dagli abiti sacerdotali, infatti, quelli dei due protagonisti spiccano per la vivacità delle loro tinte: colpiscono soprattutto le lunghe gonne di Tosca, azzurre come i colori delle «Sirene» cui l’amante la accosta nel loro primo duetto e rosse come il sangue di cui si macchierà le mani uccidendo il suo aguzzino. In ogni caso, i punti luce realizzati dai loro costumi non possono che sottolinearne l’identità di giovani artisti, innocenti vittime di un intrico politico più grande di loro, che vivono però fino in fondo nell’illusione del loro gioco amoroso.

Tosca

  • Musica: Giacomo Puccini
  • Libretto: Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
  • Direttore d’orchestra: Lorenzo Passerini
  • Interpreti principali: Anna Pirozzi (Floria Tosca), Marcelo Àlvarez (Mario Cavaradossi), Ambrogio Maestri (Il barone Vitellio Scarpia), Roberto Abbondanza (Il sagrestano), Bruno Lazzaretti (Spoletta), Romano Dal Zovo (Cesare Angelotti), Gabriel Alexander Wernick (Sciarrone)
  • Regia: Mario Pontiggia
  • Scene e costumi: Francesco Zito
  • Luci: Bruno Ciulli
  • Direttore dell’allestimento: Pier Giovanni Bormida
  • Maestro del coro: Andrea Secchi
  • Maestro del coro delle voci bianche: Claudio Fenoglio
  • Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
  • Coro di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio “G. Verdi” di Torino

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