Rota: Chamber Works (Bidoli, Canino, Mercelli, Sanzin)

Pubblicato da Decca Italy, il lavoro discografico 2020, che il violinista Alessio Bidoli interpreta insieme al pianista Bruno Canino, al flautista Massimo Mercelli e all’arpista Nicoletta Sanzin, seleziona alcune delle pagine cameristiche più espressive di Nino Rota –nome d’arte di Giovanni Rota Rinaldi (Milano 1911, Roma 1979).

Precocemente acquista familiarità con la musica e comincia a comporre all’età di otto anni. Appena undicenne scrive L’Infanzia di San Giovanni Battista, un oratorio per soli, coro e orchestra, mentre a quindici anni completa Il principe porcaro, prima vera e propria opera lirica. Durante gli studi venne iniziato all’esoterismo –un aspetto poi ricorrente anche nella sua musica. Dietro l’apparente limpidezza e il cristallino delle produzioni si annidano il mistero e la cupezza, fortemente evocativi di immagini e ricordi. Soprattutto nel cinema, ambito cui lega principalmente il suo nome: l’autore, prolifico, compose innumerevoli colonne sonore. Indelebili nella memoria Il Padrino-I e II parte; Il gattopardo; Otto e mezzo. Mario Soldati, regista e scrittore, sosteneva che Rota comunicasse con l’aldilà; mentre per Fellini, con il quale ebbe un sodalizio trentennale era «l’amico magico». A volte si trattava di una collaborazione segnata dalla casualità, altre dalla causalità: Rota era in grado di comporre motivi spensierati ma patetici, vecchi ma nuovi, allegri ma tristi, riuscendo a coniugare le precise e contraddittorie esigenze del regista.

Apre la Sonata per violino e pianoforte, dedicata a Guido Agosti, l’Allegretto cantabile con moto. Il violino è cullante e si leva verso l’alto, in un crescendo dolce, accompagnato dal saliscendi pianistico. Nel Largo sostenuto emerge la voce del violino, calda, avvolgente. Le corde vibrano poi all’acuto, mentre il pianoforte esegue note lievi. L’Allegro assai moderato è scandito da un movimento ritmato. Si procede per assonanze e rimandi sonori. L’estetica è tipicamente neoclassica, e il modello cui si rivolge barocco. Sviluppa il gioco delle linee melodiche del violino e del pianoforte in alternanza nelle imitazioni, nel gesto della replica e della riproduzione. A seguire il virtuosistico Improvviso in re minore per violino e pianoforte. Il pianoforte annuncia con tono quasi fatale il violino, che si carica di una tensione segreta, struggente. L’atmosfera è tetra; nella nebbia la corsa ingarbugliata del violino, che si dipana confusamente in cerca di una via d’uscita. Movimenti rotatori, cambi direzionali che non portano a nulla. Alla fine, si rimane con il solo vago sentore di “essere in trappola”. Risolve senza risolvere. L’Improvviso è stato impiegato in una sequenza del film Amanti senza amore di Gianni Franciolini (1947), liberamente adattato dalla novella Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj. Introduce la colonna sonora –Rota diretto da Fernando Previtali -eminentemente drammatizzata dalle sonorità sinistre. Anticipa il tragico epilogo. Un lungo flashback mostra il progredire della disperazione. Evidente il rimando al genere noir, nei forti contrasti espressionistici di luci e ombre e nella dimensione surreale, che compongono la struttura caliginosa. Protagonista una coppia -Clara Calamai e Roldano Lupi nei ruoli principali di Elena e Piero Leonardi- che non si perdona. Il ruolo del celebre violinista Enrico Miller è interpretato da Jean Servais.

Scena del film Amanti senza amore – Regia di Gianni Franciolini, 1947. L’attore Jean Servais nel ruolo del violinista Miller mentre suona l’Improvviso in re minore in concerto

Nella sequenza sopracitata è accompagnato dall’orchestra –che si sostituisce al pianoforte nell’arrangiamento. Febbricitante, sensuale, il brano segue l’andamento narrativo: delirio aperto. Il ritmo insinuante, ossessivo. Il discorso musicale coinvolge inoltre la percezione della musica stessa, che «crea stati di isteria -sostiene Leonardi- e trasporta la gente nello stato d’animo di chi la scrive o di chi l’ha eseguita». Analizza i rapporti esclusivi, pervasivi con essa. Osservando con gelosia l’affinità spirituale che lega Elena (pianista) al violinista: «Era un linguaggio che non conoscevo il vostro e da quel mondo io ero escluso, come un estraneo».

Scena del film Amanti senza amore- Regia di Gianni Franciolini, 1947. Da sinistra Roldano Lupi, Clara Calamai al pianoforte, e Jean Servais al violino. Conversazioni

(Per ulteriori approfondimenti col cinema, qui un articolo di Luca Siri: https://www.musidamstorino.it/playitsam-les-cousins-di-claude-chabrol/).

Segue l’Improvviso in do maggiore (Un diavolo sentimentale), dedicato al violinista ed editore Alberto Curci. Animato dal ritmo martellante, esasperato rispetto al Re minore; rende palpabile la paura. Propulsivo, agitato; trascinante nella fretta che torna. L’ansia è suggerita dalle corde tese; poi sospensione. Impressione di rallentare, riprendere fiato e domandare quale direzione prendere. Di nuovo la corsa; non finisce. È l’inseguimento, ma da cosa scappare e chi?                                                                                                  

The Legend of Glass, tratto dalla colonna sonora del film La montagna di cristallo di Henry Cass (1949), è dedicato a Francesco Antonioni, strumentista, storico e docente di violino. Tutta la tragicità che contiene è attenuata dalla successiva Sonata per flauto e arpa, trattata con delicatezza. La dolcezza del flauto e l’arpa, morbida, restituiscono leggerezza nel primo movimento (Allegro moderato). L’andante sostenuto è armonioso; soffici i suoni. Rende tangibile la carezza dell’arpa, mentre il flauto si libra. Il terzo movimento (Allegro festoso) seguita meno lento. Interrompe l’armonia l’instabilità del Trio per flauto, violino e piano, che tremola. C’è un senso di prolungamento, e le note vibrano di incertezza, quasi in un sussulto. La dimensione è poi confermata dal terzo movimento, il ronzante Allegro vivace. Il peso sonoro si sposta continuamente da un punto ad un altro, fino a trovare equilibrio nella chiusura del finale.

L’esecuzione dell’ensemble -ricca di colori- permette di cogliere lucidamente le variazioni dell’animo del compositore, la proverbiale mitezza e l’urgenza; l’atteggiamento estatico e di trasogno che lo contraddistingueva. Nino Rota al punto abitava la perfezione da non vederla, ma chi lo interpreta la riconosce. L’incisione getta luce su alcune delle sue opere forse meno note, ma non per questo affatto suggestive.

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