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Un tuffo nel passato: Cisco all’Hiroshima

La serata del 5 dicembre all’Hiroshima Mon Amour sarà una di quelle che difficilmente potrà essere dimenticata. Una serata all’insegna del folk-rock, dell’energia, del divertimento, della ribellione, della pace, dei pugni alzati, dei racconti di vita e di un ritorno al passato che è tutt’altro che nostalgico: è un passato che risuona attuale e, a distanza di trent’anni, ancora vivo e vibrante. Il mondo è cambiato ma 1994 e 2024 sembrano essere più vicini di quanto si possa immaginare.

Ad aprire il concerto, un opening act del cantautore torinese Carlo Pestelli: sale sul palco con la sua chitarra e incanta il pubblico alternando brani da lui composti, a brani storici del Cantacronache – come “Dove vola l’avvoltoio”, scritto da Calvino. La sua interpretazione è un gioco tra parole e musica: divertita, recitata, con una melodia controintuitiva che rivela le influenze di Amodei e Brassens. Una voce, quella di Pestelli, che rientra perfettamente nello stile del Cantacronache.
Per concludere e creare un “ponte” con l’attesissimo concerto di StefanoCisco” Bellotti, Pestelli suona «una canzone tutt’altro che datata»: “Oltre il ponte” scritta da Calvino e musicata da Liberovici e che tanti artisti, tra cui proprio Cisco, hanno portato sul palco.

Foto di Ottavia Salvadori

Con un doppio appuntamento – 5 e 6 dicembre 2024 – Cisco e alcuni ex membri dei MCR fanno tappa a Torino con il tour invernale Riportando tutto a casa (live!) 30 anni dopo.
Un filo rosso unisce Cisco ai Modena City Ramblers e difficilmente questo legame si può spezzare. Nel 30° anniversario dall’uscita del primo album d’esordio, Cisco riunisce alcuni ex MCR per riproporre quel disco che ha aperto la strada al combat folk-rock. Un tuffo nel passato fatto di sorrisi, complicità e musica che non conosce età. Insieme a Cisco, sul palco alcuni storici amici-musicisti: Alberto Cottica (fisarmonica), Marco Michelini (violino), Giovanni Rubbiani (chitarra), Massimo Giuntini (bouzouki,  uilleann pipes, low whistle), Roberto Zeno (percussioni), Arcangelo “Kaba” Cavazzuti (batteria e chitarra) a cui si aggiungono «i pischelli che non ci potevano essere»: Enrico Pasini (tromba, tastiere) e Bruno Bonarrigo (basso).

Foto di Ottavia Salvadori

Salgono sul palco, accolti da una tempesta di applausi, sulle note di “Mo Ghile Mear”, intro perfetta alla canzone “In un giorno di pioggia”. Una dolce ed energica dichiarazione d’amore per l’Irlanda che ha saputo subito risvegliare la voce e i movimenti del pubblico. Non c’è tempo da perdere: tutti a cantare a squarciagola, tutti a ballare con un entusiasmo e un sentimento che non conosce freni.
Ma è solo l’inizio di una serata che ha trasformato il concerto in un’esperienza condivisa, un “fare musica” che non conosce più confini. Palco e pubblico non sono più entità separate ma si fondono in un’unica grande energia che trasforma la sala dell’Hiroshima in un grande abbraccio caldo e familiare. Cisco si sporge verso il pubblico, lo coinvolge nel canto, lo fa ballare, battere le mani creando – come riesce sempre a fare – una connessione autentica. Ed è in serate come queste che l’imbarazzo sparisce, che la timidezza di qualcuno si dissolve: nessuno resta con i piedi ancorati a terra, tutti sollevati in salti e in movimenti liberi da ogni costrizione. Nessuna bocca serrata ma solo cuori che battono all’unisono su canzoni che raccontano, che hanno fatto la storia e che continueranno a farla. L’energia, il divertimento, la forza dei testi e della musica attraversano l’intera sala dell’Hiroshima travolgendo ogni angolo.

Foto di Ottavia Salvadori

Si balla, sì, ma la malinconia e la drammaticità di alcune storie si fa sentire: “Ebano”, “Cento Passi”, “I funerali di Berlinguer” sono solo alcuni esempi di racconti di una realtà che sembra distante ma che è ancora tangibile. Niente effetti speciali – eccetto gli occhiali da vista di Cisco – e niente artifici, ma il palco si colora di rosso: una bandiera Arci con il volto di Berlinguer viene dapprima fatta sventolare da Cisco per poi essere utilizzata a mo’ di mantello diventando un elemento scenico di grande significato simbolico. Sul palco un gruppo di amici e artisti che fa ciò che ama con passione, entusiasmo e divertimento ma anche grande professionalità.

Foto di Ottavia Salvadori

Fortunatamente tra il pubblico «molte facce giovani» e questo è la dimostrazione che c’è un pubblico affezionato ma anche in evoluzione; e chissà… che la presenza di giovani ragazzi – purtroppo però mancano i giovanissimi – a concerti come questo non sia un primo passo verso il vero cambiamento…?

Un viaggio nel tempo – come lo definisce Cisco – ma con qualche salto nel presente con una canzone scritta recentemente e intitolata proprio come l’album d’esordio Riportando tutto a casa: una canzone malinconica che ripercorre il tempo passato. E a completare questo viaggio c’è “Siamo moltitudine” un inedito che «parla di noi, della nostra generazione, di quello che siamo e quello che siamo diventati (e come)».

Un po’ di emozione e nostalgia forse nell’aria c’è… ma queste sonorità e parole non moriranno mai, continueranno a sopravvivere con intensità nei cuori, nei corpi e nelle menti di ognuno.

A cura di Ottavia Salvadori

Le Nozze di Figaro: un inizio frizzante, giocoso ed emozionante per la stagione 24/25 del Teatro Regio

Cosa meglio di Le Nozze di Figaro per aprire la stagione 2024-2025 del Teatro Regio: un’opera giocosa, divertente e ricca di sfumature che incarna perfettamente il leitmotiv di questo cartellone. Una gioventù spensierata, umana, ironica che dà vita ad una vicenda turbinosa in cui l’amore e l’inganno diventano motori dell’azione.

Sul podio, il 21 novembre, per la sua prima direzione d’orchestra al Regio, Leonardo Sini: giovane direttore vincitore del Premio Assoluto nel Concorso «Maestro Solti» e il cui debutto professionale risale al 2019 a Budapest. L’approccio di Sini appare fresco: una direzione molto animata ma che mantiene un equilibrio perfetto tra l’esuberanza drammatica e la profondità dell’opera di Mozart.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

La regia di Emilio Sagi si è concentrata sulla fluidità narrativa, sfruttando scenografie semplici ma efficaci che hanno valorizzato l’intimità dei momenti più lirici e l’ironia delle situazioni comiche.
L’allestimento scenico è tradizionale ma con un tocco scenico davvero originale: durante l’ouverture, un sipario semitrasparente ha introdotto il pubblico alla storia in modo graduale, svelando scorci di vita quotidiana di Figaro e del castello prima che la scena si aprisse del tutto. Una scelta che non solo ha creato un effetto visivo affascinante, sfruttato anche successivamente in altri punti dell’opera per regalare l’effetto “vedo non vedo”, ma ha anche incarnato l’essenza del pensiero mozartiano, in cui lo spettatore si immerge in una “tranche de vie” già avviata, spiando un mondo già in movimento.
Una scenografia minimal, sui toni del grigio, ma sempre elegante e di grande efficacia espressiva. L’allestimento del Teatro Reale di Madrid, come affermato durante la conferenza stampa, era in completa armonia con il clima sivigliano settecentesco.

Gli interpreti sul palco sono stati degni di nota: Giulia Semenzato (Susanna) ha offerto una performance di grande musicalità e sensibilità drammatica; Ruzan Mantashyan (Contessa) ha emozionato con la sua voce calda e vellutata, particolarmente toccante nell’aria Dove sono; José Maria Lo Monaco, nel ruolo di Cherubino, ha saputo restituire la vivacità adolescenziale del personaggio e il turbamento d’amore in “Non so più, cosa son, cosa faccio”. Un cast che ha emozionato, fatto sorridere e ridere gli spettatori catapultandoli in una vicenda ricca di inseguimenti, di gag e di travestimenti: la recitazione dei cantanti e le scelte registiche hanno messo in luce alcuni aspetti tipici della commedia, enfatizzando quell’effetto “slapstick” basato sulla fisicità e il movimento.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

Tra gli episodi più vivaci e originali spicca il ballo con le nacchere, durante i festeggiamenti delle nozze, che aggiunge un tocco di colore e dinamismo all’opera. Ideato dalla coreografa Nuria Castejón, questo momento richiama l’atmosfera solare dell’Andalusia. Il ballo non solo arricchisce l’azione scenica, ma riesce in parte ad integrarsi nella scrittura musicale mozartiana.

L’opera ha ricevuto una calorosa accoglienza dal pubblico under 30, con applausi scroscianti per il cast e la direzione musicale. Questo allestimento rappresenta un esempio brillante di come un classico del repertorio operistico possa essere presentato anche ad un pubblico più giovane e contemporaneo senza perdere la sua essenza.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

Le nozze di Figaro resterà in cartellone fino al 1° dicembre 2024, un’occasione imperdibile per gli amanti di Mozart, della Musica e del Divertimento… la maiuscola è dovuta!

A cura di Joy Santandrea e Ottavia Salvadori

Holden a Hiroshima Mon Amour: la tappa torinese del tour prima della chiusura 

Con un sold out a poche ore dal concerto, una schiera di fan in attesa dalle 7.30 del mattino e numerosi genitori in veste di accompagnatori relegati al fondo della sala, Holden (nome d’arte di Joseph Carta) è stato accolto a Hiroshima Mon Amour, dove il 26 novembre ha avuto luogo la terzultima data del suo tour. 

Holden esordisce nel 2019, con la pubblicazione del suo primo EP Il giovane Holden (come omaggio al libro da cui si è fatto ispirare nella scelta del nome d’arte), riesce a farsi più spazio nel panorama musicale con la partecipazione ad Amici 23 dove, nonostante le numerose controversie con Rudy Zerbi e la minaccia di lasciare la scuola, non solo pubblica ben quattro singoli, ma accede anche alla finale. 

Baggy Jeans neri, t-shirt nera e scarpe bianche: è salito così sul palco torinese, accompagnato da Simone Ndiaye (basso), Steven Viol (batteria), Ilaria Boba Ciampolini (tastiere) e Federico Ciancabilla (chitarra).

foto di Alessia Sabetta

Il live è durato un’ora, senza la pretesa di prolungarsi oltre il necessario: alcuni brevissimi interventi introduttivi a qualche brano, numerosissimi daje urlati per caricarsi e rimarcare la sua provenienza romanissima e una breve uscita dal palco prima dello special, sono stati gli unici momenti in cui non ha cantato. Per il resto del tempo, i brani in scaletta sono stati sviscerati con l’emozione dell’artista che − nonostante le diverse già diverse date del tour − ha lasciato trasparire l’emozione di trovarsi in quel posto circondato dall’amore genuino di coloro che si trovavano in sala. 

Il concerto è stato scandito da diversi momenti: dopo l’apertura energica con “roma milano.”, brani come “Ossidiana” e “Cadiamo insieme” hanno preceduto il momento più intimo della serata, quando accompagnandosi alla tastiera ha eseguito un mashup tra “Bella d’estate” di Mango e la sua “Non fa per me”; per poi cantare “Grandine”, uscito solo poche settimane fa, in featuring con Mew (sua compagna nella scuola di Amici), e infine chiudere con un’altra esecuzione di “Grandine” e “Nuvola” per lo special.

foto di Alessia Sabetta

È sempre bello vedere artisti che non bruciano nessuna tappa prima di ritrovarsi in enormi palazzetti senza avere l’esperienza giusta (o l’attitudine) per poter reggere i numeri dell’industria musicale contemporanea. Holden ne è un piacevole esempio: nonostante il successo ottenuto in modo rapidissimo con Amici, è partito da piccoli instore e ora sta facendo il primo tour nei club italiani con diversi sold out, senza l’esigenza di palchi più grandi su cui esibirsi fin da subito.

Si sente la ricerca nella scrittura ed è anche molto preparato tecnicamente (si, visti i tempi risulta necessario far notare quando un cantante è intonato!), però − vuoi l’emozione, vuoi che si tratta del suo primo tour − la presenza scenica risulta ancora un po’ acerba, seppur con un ampissimo margine di miglioramento all’orizzonte. D’altra parte a seguirlo è Marta Donà (la stessa manager di Angelina Mango e Marco Mengoni, tra i vari nomi) che di certo ne saprà trarre la linfa, come ha già fatto in passato con altri!

a cura di Alessia Sabetta

Le Nozze di Figaro aprono la stagione del Teatro Regio

Il 18 novembre si è tenuta la conferenza stampa che ha annunciato l’inaugurazione della stagione 2024/25 del Teatro Regio di Torino con Le Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart. Un appuntamento che, oltre a svelare i dettagli della produzione, ha raccontato la vivacità di una città in fermento e l’energia di un progetto artistico ambizioso.

Un grande momento per Torino

Il sindaco ha aperto l’incontro con parole entusiaste, ricordando come Torino stia vivendo una settimana straordinaria. Con i 200 anni del Museo Egizio, il Torino Film Festival, l’Assemblea Nazionale dei Comuni Italiani e perfino la partita Italia-Nuova Zelanda, la città è un palcoscenico vivo e pulsante. «Questa produzione di altissimo livello – ha sottolineato – non poteva arrivare in un momento migliore per la nostra comunità».

Non sono mancati i ringraziamenti a chi rende possibile tutto questo: lo staff, gli artisti e i partner, tra cui Italgas, che sostiene il progetto.

Foto di Joy Santandrea

La meglio gioventù sulle note di Mozart

Il direttore artistico ha spiegato il filo conduttore della stagione, “La meglio gioventù” e come Le Nozze di Figaro possano aprire perfettamente questo percorso. «Gli interpreti di questa produzione – ha raccontato – sono giovani e talentuosi. Anche il direttore d’orchestra, pur promettente, debutta sia con quest’opera che sul palco del Regio».

Una curiosità in più: l’allestimento arriva dal Teatro Reale di Madrid ed è alla sua prima rappresentazione italiana. La regia, firmata da Emilio Sagi, restituisce pienamente l’atmosfera solare e vivace della Siviglia di Mozart, spesso trascurata in altre produzioni.

Parole dal cuore degli artisti

L’emozione è stata palpabile anche nelle parole del direttore d’orchestra, Leonardo Sini, che ha descritto l’opera come «un gioiello di freschezza e vivacità». Con un doppio cast pronto a salire sul palco, ha confessato di puntare a trasmettere l’energia della musica al pubblico in sala.

Gli interpreti, uno dopo l’altro, hanno dato vita ai personaggi già durante la conferenza. Figaro è stato descritto come un personaggio energico e a tratti ingenuo, ma con una freschezza senza tempo. Cherubino, invece, incarna la gioventù stessa: un paggio in equilibrio tra spensieratezza e scoperta dell’amore. Susanna? Una donna pratica e moderna, con una profondità umana che la rende sorprendentemente attuale. E il Conte, il cui conflitto interiore riflette la difficoltà di accettare il passare del tempo, si muove tra gelosie, tentazioni e un desiderio di redenzione sincero.

Foto di Joy Santandrea

Un’opera contemporanea e senza giudizio

Il sovrintendente, Mathieu Jouvin, ha definito Le Nozze di Figaro un paradosso senza tempo, capace di esplorare i rapporti generazionali e umani senza mai giudicarli. «Mozart – ha spiegato – riesce a mettere in scena i sentimenti e le dinamiche umane in modo universale, lasciando che sia lo spettatore a trarre le proprie conclusioni». È questa capacità di analizzare l’animo umano con leggerezza e profondità insieme che rende l’opera sempre attuale.

Un’energia che unisce

La conferenza si è conclusa con un messaggio di unità e collaborazione.
«Il Regio – ha detto – è un simbolo di eccellenza per Torino, un faro culturale che ci unisce tutti».

E con questa premessa, la stagione 2024/25 è pronta a partire, promettendo di regalare al pubblico emozioni indimenticabili.

A cura di Joy Santandrea e Ottavia Salvadori

Le sfumature dell’amore: orchestra e coro dell’Opéra de Lyon

Che cosa, se non l’amore, ha il potere di elevare l’animo umano verso paradisi incontaminati, dove il tempo si sospende e la realtà diventa sogno? L’amore, con le sue gioie e sofferenze, è da sempre musa ispiratrice dei compositori di ogni epoca e, il 14 settembre 2024, MiTo Settembre Musica ha scelto questo sentimento come filo conduttore della serata, proponendo un viaggio sonoro e immaginifico. Un doppio concerto, all’Auditorium Giovanni Agnelli, che vedeva come protagonista – e artefice della scoperta delle più sottili sfumature sonore ed emotive – l’orchestra dell’Opéra de Lyon diretta da Daniele Rustioni, interprete acclamato dai principali teatri d’opera internazionali.

Foto di Ottavia Salvadori

Cina e Francia (in prima serata) e Grecia (in seconda serata) sono i luoghi da cui provengono le tre storie che stimolano la creatività dei compositori, i cui brani sono stati eseguiti magistralmente e con un’intensità emotiva che spinge verso i limiti dell’immaginazione.

La leggenda cinese del dio del cielo e della dea delle nuvole, narrata nel poema sinfonico Les eaux célestes da Camille Pépin, è una storia d’amore dipinta in quattro piccoli, ma intensi, quadri: i primi movimenti armoniosi degli archi, sembrano subito aprire una porta che fa accedere ad un mondo incantato e naturale. Un tappeto sonoro tessuto da archi e fiati dapprima è caratterizzato da suoni impalpabili e sfumati che fanno emergere progressivamente le note acute dei flauti traversi e, infine, si trasforma in un movimento meccanico, vorticoso, con note reiterate. Scelta musicale che ha radici dirette nella leggenda: un preannuncio all’arrivo degli uccelli, gli unici che attraverso la costruzione di un ponte permetteranno ai due amanti di ritrovarsi e la rappresentazione sonora dell’orditura e tessitura delle nuvole.
Un brano caratterizzato da un climax sonoro crescente che segue l’andamento della storia. La tensione cresce, la densità sonora aumenta, gli archi si fanno più agitati, i colori sembrano sempre oscillare tra scuri e limpidi, dando l’impressione che il mondo fantastico sia sempre un posto felice, sicuro e tranquillo anche nel momento del dolore.

Foto di Ottavia Salvadori

Di tutt’altro colore è il poema sinfonico di Schönberg, più oscuro e malinconico. Pelleas und Melisande è una storia d’amore tragica, un dramma che ha stimolato diversi compositori, tra cui Debussy che ne trae un’opera lirica e lo stesso Schönberg che, al contrario, propone un poema sinfonico per orchestra, lasciando spazio ai soli strumenti di rappresentare i sentimenti e il tormento d’amore che porta alla morte. Un giovane compositore, Schönberg, che ancora non ha sviluppato a pieno le tecniche dodecafoniche, ma che crea un’opera intensa e complessa, dove i suoni si intrecciano e scontrano.
Il palco si riempie di strumenti, l’organico si amplia soprattutto nella sezione dei fiati con tromboni, trombe, corni inglesi, clarinetto basso, oboi, fagotti e molti altri.
Alle orecchie del pubblico, l’opera appare come una narrazione fluida che attraversa diversi stati emotivi passando dalla calma melodica – ma sempre incerta – a momenti di massima tensione tragica con cambi rapidi di intensità e motivi dissonanti ricchi di passaggi contrappuntistici. Ogni personaggio sembra avere il suo tratto caratteristico e questo porta ad un continuo mescolamento di motivi differenti per atmosfera e nuance.

Il pubblico, curioso di riascoltare nuovamente l’orchestra, non si è lasciato sfuggire l’opportunità di assistere anche al secondo concerto in programma. Dopo un momento di convivialità, tra cibo e bevande, è il momento di tornare nel luogo dove tutto ha avuto inizio: la sala dell’auditorium che ha rivisto occupate tutte le sue sedute.
Procede dunque la serata; questa volta sul palco anche il coro dell’Opéra de Lyon, composto da una quarantina di elementi, per eseguire Daphnis et Chloe di Ravel: “sinfonia coreografica” – come la definisce lo stessocompositore – che accompagna il pubblico attraverso la storia tragica, ma a lieto fine, del pastore Dafni e della sua amata Cloe.
L’orchestra amplia nuovamente il suo organico con la macchina del vento e nuovi strumenti a percussione, tra cui xilofono e campanelli. Violoncelli prima, e arpe poi catapultano nuovamente il pubblico in un mondo onirico, con note in pppp quasi impercettibili;si aggiungono poi i corni che introducono la linea melodica, proseguita dal flauto traverso. Una melodia intima e serena, ma che porta con sé sin dall’inizio un velo di inquietudine che viene ulteriormente giustificato dalla presenza del coro. La voce, che dà vita ad un canto senza parole, è utilizzata come un vero e proprio strumento musicale che si amalgama e intreccia con l’orchestra. La tensione man mano cresce, così come l’intensità dei suoni che riverberano nella sala arrivando a toccare le corde più intime di ciascuno. La partitura, soprattutto nel secondo quadro, prevede un continuo alternarsi di momenti di calma spirituale a momenti tragici ed energici e la continua mutazione dei temi rende la composizione ricca e mai noiosa.

Foto di Ottavia Salvadori

Daniele Rustioni ha diretto in maniera straordinaria l’orchestra; l’intensità emotiva dei brani non solo si poteva fruire con le orecchie ma anche con gli occhi: i movimenti del direttore, l’energia e la passione espressa dal suo volto hanno dimostrato quanto la musica riesca ad entrare e toccare l’animo di ciascuno. L’orchestra di Lione, così come il coro, è riuscita perfettamente a trasmettere la dolcezza e la tragicità dei brani e i sentimenti, modulando i suoni con grande maestria ma risultando sempre delicati anche nei momenti più intensi.

Due concerti che hanno trasformato la sala dell’auditorium in un teatro d’opera o, per gli appassionati di film, in una sala cinema: uno spettacolo senza immagini e senza attori ma con una musica che è capace di creare reazioni sinestetiche di grande potenza.

A cura di Ottavia Salvadori

Edoardo Bennato a Bard per Aostaclassica

Aostaclassica inaugura il mese di agosto al Forte di Bard, affascinante nella sua versione serale, con la carica di energia che da sempre Edoardo Bennato trasmette al suo pubblico. Oltre due ore di performance ininterrotta di un musicista, cantautore e polistrumentista le cui canzoni sono parte della storia della musica italiana. L’irriverente intelligenza che lo contraddistingue è al servizio di messaggi mai scontati, sempre attuali, presentati sagacemente per captare l’attenzione in modo ludico su tematiche sociali importanti.

Bennato, indossando la storica maglia Campi Flegrei 55, apre il concerto enunciando: «Coltivate i dubbi, non barrichiamoci nelle nostre certezze!». Accompagnandosi con l’immancabile chitarra, l’armonica a bocca e il kazoo da l’input al pubblico con una serie di evergreen: “Abbi dubbi”, “Sono solo canzonette”, “Il gatto e la volpe” tra le altre. 

foto di Joy Santandrea

Nel crescente entusiasmo salgono sul palco anche gli altri musicisti della band che dimostrano la loro grande professionalità spaziando nei generi musicali, rock in primis, e in assoli o improvvisazioni che energicamente incantano e coinvolgono il pubblico. La bravura emerge in particolare nel brano intitolato “A Napoli 55 è ‘a Musica”, ispirandosi alla smorfia napoletana. Con un linguaggio poetico e diretto Bennato dipinge un ritratto affettuoso e realistico della sua Napoli catturandone l’anima, la vitalità e le sue contraddizioni. Il tutto narrando l’infanzia a Bagnoli e il suo percorso professionale diviso tra gli studi di Architettura a Milano e l’amore per la Musica ancor’oggi condiviso con gli amici del cortile. Si diverte quando, con aria scanzonata, sollecita il pubblico a canzonarlo e additarlo ironicamente come “Rinnegato, sei un rinnegato. Non ti conosciamo più!” o “Tu sei un, ah ah, cantautore” sottolineando la risata sarcastica «ah ah!». 

Immancabile la sua dichiarazione d’amore al genio di Collodi: “Fata”, dedicata alla condizione di molte donne, “Mangiafuoco”, rock satirico e pungente verso i politici di ogni schieramento. Brani sempre attuali nei contenuti che vengono affiancati da new entry quali “Mastro Geppetto” col suo divertente videoclip.

foto di Joy Santandrea

Non può certo mancare il suo taglio critico e provocatorio: da amante dell’opera buffa di Rossini ha riarrangiato in modo rock l’aria “La calunnia è un venticello” dal Barbiere di Siviglia, in un brano dedicato allo scandalo di Enzo Tortora e alla grande Mia Martini. Data questa ‘tirata d’orecchie’, qualche brano dopo, dedica al popolo italiano un ‘dissacrante’ elogio in “Italiani”, canzone meglio conosciuta come “Dicono di noi” mentre, a fondo palco, il visual scorre splendide fotografie di personaggi che hanno valorizzato in ogni campo il Belpaese.

Un’attenzione particolare è rivolta ai temi della guerra e dei migranti. Riferendosi a tutte le guerre nel mondo canta: “A cosa serve la guerra”, col ritmo di walzer scelto proprio per la sua inutile circolarità, o la ballata acustica alla Bob Dylan di “Pronti a salpare”. Entrambe le canzoni, accompagnate con screen di scene intense, sono tra i momenti più toccanti. Riprendendo coi classici “Venderò”, “In prigione”, “Le ragazze fanno grandi sogni”, proseguendo poi coi brani ispirati a Peter Pan, “L’isola che non c’è” e “Il rock del Capitan Uncino”, esalta il suo pubblico intergenerazionale. 

La carica vitale, provocatoria e reazionaria di Bennato, l’ottima organizzazione/performance visuale, un’illuminotecnica di alto livello e la professionalità musicale degli strumentisti hanno reso energetico e indimenticabile questo concerto. Lo sfondo storico del Forte, la scritta Aostaclassica che capeggia a fondo palco e il rock-swing-blues di Bennato: un mix esperienziale travolgente.

a cura di Joy Santandrea

Il rock next generation infiamma il Rockish Festival

Lo scorso giovedì 12 luglio ha avuto luogo il Rockish Festival. Sette band, rappresentanti la nuovissima scena rock torinese, si sono esibite alternandosi tra main e side stage per quattro ore ininterrotte di musica rock declinata in tutte le sue forme. Una scelta che riesce a portare sul palco dello Spazio211 diversi progetti artistici, tra cui anche gruppi di giovanissimi under 25, che ormai rappresentano un punto di riferimento per il rock torinese

Nonostante la presenza della band di fama internazionale, i Melody Fall, la protagonista della serata era proprio la next generation. Dal pop punk al rock di protesta e all’art pop, la line up di quest’anno propone i progetti di I boschi bruciano, Narratore Urbano, Irossa, Xylema, Tramontana, Breathe me in.

Foto di William Fazzari

I Narratore Urbano nascono nel 2019 definendo, da subito, la volontà di coniugare il rock ad una finalità diversa dell’esibizione fine a sé stessa. Hanno una voce e affermano di volerla usare -e lo fanno bene‐ anche per pronunciarsi su tematiche sociali e politiche.

Gli Xylema ripartono e convincono dopo un cambio di formazione e, dal Reset Festival 2023, sono una certezza del panorama torinese con un sound punk rock e melodie d’impatto. Da poco i loro testi sono in italiano e trattano delle loro esperienza personali.

Foto di William Fazzari

Irossa sono l’ultima novità dell’underground sabaudo. Di impatto è sicuramente l’immagine definita e contemporaneamente caotica, pienamente colta nelle grafiche del loro merchandising, nell’outfit e nei loro movimenti durante la performance.

Camaleontici. Se in un primo momento si è trasportati dal sax in una dimensione onirica e malinconica, un attimo dopo l’attenzione viene rubata dalle chitarre, decise e mai aggressive, che accompagnano, chi ascolta, alla comprensione delle immagini suscitate dai loro testi.

Foto di William Fazzari

L’inconveniente della pioggia non ha fermato il pubblico che, seppur ridotto, ha saputo compensare in energia e partecipazione. Cantando e ballando il repertorio di tutti gli artisti, hanno sicuramente contribuito alla realizzazione di una serata piacevole all’insegna della scoperta musicale.

Foto in copertina di William Fazzari

Dall’oscurità alla luce: il Trittico di Puccini

Dopo la presentazione del 12 giugno tenuta da Susanna Franchi al Piccolo Regio, il Trittico è andato in scena il 18 giugno per l’Anteprima Giovani. L’opera è formata da tre atti unici: Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi composte da Giacomo Puccini (su libretto di Giacomo Adami per Suor Angelica e Il Tabarro mentre il testo di Gianni Schicchi e di Giovacchino Forzano) tra il 1913 al 1918. La prima rappresentazione è avvenuta il 14 dicembre del 1918 al Metropolitan Opera di New York.

Le vicende nel Tabarro narrano un dramma ambientato su di una chiatta sulla Senna a Parigi. Racconta la storia di gelosia e omicidio del triangolo amoroso tra Michele, Giorgetta e l’amante Luigi.
Suor Angelica porta in scena un soggetto con tono lirico e drammatico ambientato in un convento. La trama segue la storia della protagonista Suor Angelica, la quale è stata costretta a prendere i voti dopo aver avuto un figlio illegittimo. Dopo la scoperta della morte del figlio, la donna compie un atto disperato di suicidio, seguito da una visione di redenzione. Gianni Schicchi è una commedia vivace basata su un episodio dell’Inferno di Dante Alighieri. Racconta le vicende del protagonista Gianni Schicchi, uno scaltro popolano che inganna una famiglia per assicurarsi l’eredità di un ricco defunto a favore della figlia e del suo amante.

L’ouverture viene eseguita a sipario chiuso per introdurre i principali temi musicali preparando il pubblico all’esperienza narrativa che seguirà.
Il regista Tobias Kratzer e lo scenografo Rainer Sellmaier propongono nel Tabarro un allestimento dalle tonalità scure ed ombrose.
Sono presenti quattro quadranti in rimando all’impaginazione dei fumetti, in cui si svolgono le vicende dei protagonisti accompagnati dai cantanti del coro: il primo quadrante in alto a destra presenta la struttura della chiatta con sfondo rosso di immagini di grattacieli, il secondo in basso a destra raffigura la stiva con sfondo bianco, il terzo in alto a sinistra rappresenta una cabina con un letto e una televisione con sfondo arancio e nel quarto quadrante in basso a sinistra abbiamo il boccaporto in cui si staglia la visione della chiatta nel mare con sfondo azzurro. Ed infine sul lato destro abbiamo incorporata nella struttura scenografica una televisione, che trasmette al pubblico una sitcom che è vista dallo stesso Michele nel Tabarro, che fa da filo conduttore in rimando a Gianni Schicchi con la morte di Buoso Donati.

Il Tabarro

Per Suor Angelica la scelta scenografica è ricaduta sull’utilizzo di un video in bianco e nero con qualche accento di colore rosso delle immagini: sullo sfondo un cortometraggio della vita monastica condotta dalle suore; che viene scandita in ogni ora del giorno. Intanto le cantanti primarie e il coro femminile si trovano sedute in scena, in rimando al giardino del convento. Il video viene frammentato dall’arrivo di un giornalino proibito che viene consultato da una suora (oggetto del peccato che rimanda alle vicende scabrose che si sono susseguite precedentemente nel Tabarro) e dal desiderio compiuto di un’altra suora nel voler mangiare cibo non consentito come la cioccolata (evidente il rimando al terzo cerchio dei golosi dell’Inferno di Dante Alighieri nella Divina Commedia).

Suor Angelica

In Gianni Schicchi la scenografia è costituita del pubblico seduto sulle
gradinate in scena, che osserva da “voyeur” la storia della famiglia come se fosse in uno studio televisivo. In scena vengono inseriti oggetti per simulare la casa del morente Buoso Donati: un mobile smontabile in più parti, vettovagliamento, asciugamani, un giradischi e un frigorifero colmo di bottiglie di vino. Il cast dei cantanti inizia a smontare la scena alla ricerca del testamento nascosto da Buoso Donati nella busta del disco di Suor Angelica e intanto arriva Gianni Schicchi per la risoluzione dei problemi; il quale sposta il cadavere del morto tra il pubblico fingendosi egli stesso il malato per poter mettere su carta le ultime volontà testamentarie a favore della figlia e del suo amante. Il finale si conclude con l’arrivo in scena dall’alto di una lussuosa vasca idromassaggio in cui i due amanti amoreggiano divertiti.

Gianni Schicci

Bern Purkrabek, alla luminotecnica, è stato in grado di far immergere lo spettatore grazie al contrasto tra il buio delle scene e i giochi di luci colorate all’interno dei blocchi nel Tabarro, l’utilizzo di luci bianche fredde in Suor Angelica per esaltare il video sullo sfondo e per ricreare una dimensione intima e castigata in rimando alla vita di clausura delle suore, mentre in Schicchi le luci sono tutte puntate sui cantanti per esaltare la frenesia e la concitazione delle scene.

Grande lavoro è stato svolto dal Coro del Teatro Regio con la direzione di Ulisse Trabacchin e dalle Voci Bianche dirette da Claudio Fenoglio: pur non essendo così compresenti in scena, hanno saputo esaltare la dicotomia dei sentimenti contrastanti “del bene e del male” dei protagonisti in tutte le sfaccettature e hanno saputo dar voce ad ogni singola emozione provata.
Giorgetta insoddisfatta della vita di coppia (interpretata dal soprano Elena Stikhina) moglie di Michele, proprietario della chiatta (interpretato dal baritono Roberto Frontali) il quale teme che la moglie lo tradisca con il giovane scaricatore Luigi (interpretato dal tenore Samuele Simoncini).
Suor Angelica è la protagonista, una giovane suora dal passato doloroso (interpretata dal soprano Elena Stikhina) avrà un duro scontro con la Zia Principessa (interpretata dal contralto Anna Maria Chiuri) ricevendo conforto dalla suora amica Genovieffa (interpretata dal soprano Lucrezia Drei).

Suor Angelica

Gianni Schicchi popolano fiorentino (interpretato dal baritono Roberto Frontali) che ha abilità nel risolvere con astuzia i problemi, viene chiamato dalla famiglia Donati per modificare il testamento del defunto Buoso Donati e destinando tutti gli averi alla giovane figlia Lauretta (interpretata dal soprano Lucrezia Drei) innamorata di Rinuccio nipote del Buoso (interpretato dal tenore Matteo Mezzaro).
I cast dei cantanti nel Trittico hanno saputo rendere giustizia alle tre opere messe in scena grazie alla grande abilità vocali e interpretative. Particolare nota al soprano Elena Stikhina nel Tabarro e in Suor Angelica per il bellissimo timbro vocale, alla significativa morbidezza nell’emissione dei suoni e all’abilità nei filati, in Gianni Schicchi al soprano Lucrezia Drei per il raffinato registro centrale, alla grande facilità di emissione degli acuti e nell’emissione dei pianissimi ed infine al baritono Roberto Frontali per la grande esperienza maturata in carriera sia vocalmente parlando che per la grande presenza scenica.

Gianni Schicci

La direzione orchestrale è stata affidata alle mani sapienti del direttore d’orchestra Pinchas Steinberg, ha espresso una da una profonda comprensione delle dinamiche orchestrali e dai giochi di colore tra le opere mantenendo una coesione stilistica complessiva: nel Tabarro ha saputo definire un’atmosfera cupa attraverso la gestione degli archi e degli ottoni, in Suor Angelica ha creato una dimensione lirica e contemplativa grazie all’impiego dei legni e degli archi ed infine in Gianni Schicchi ha ottenuto un suono brillante grazie agli strumenti a fiato per sottolineare i momenti ironici e di scherno.
Nel Trittico, vengono trattati temi unificanti e disgreganti come l’amore, la passione, la morte e la redenzione: l’amore coniugale in crisi nel Tabarro che si conclude con un omicidio, l’amore materno e il desiderio di redenzione in Suor Angelica che si conclude con un suicidio sperato nella redenzione, o l’amore giovane e spensierato tra Lauretta e Rinuccio in Gianni Schicchi con la morte di Buoso Donati attorno a cui ruotano gli inganni.

A cura di Angelica Paparella

Al Flowers Festival, dopo la tempesta arriva Fulminacci

Sono le 21:30 dell’11 luglio e il maltempo sembrava pronto a boicottare una delle ultime date del Flowers Festival. Dopo qualche speranzosa preghiera, Mazzariello sale sul palco solo mezz’ora dopo, dando così inizio alla terzultima serata del festival.

Il compito del musicista napoletano, accompagnato alle tastiere da Giuseppe Di Cristo, è quello di apertura a Fulminacci. Nonostante si tratti di un incarico sempre abbastanza difficile, Mazzariello viene promosso a pieni voti dal pubblico: ne coinvolge una buona parte grazie alla parlantina spigliata nonostante l’emozione, e riesce a farsi accompagnare da un bel coro. Saluta il pubblico con “Pubblicità progresso” − brano conosciuto in quanto colonna sonora della serie Summertime − che unisce alla cover del brano di Frah Quintale ft Giorgio Poi, “Missili”. 

Dopo un (non molto rapido) cambio palco si abbassano le luci, i musicisti si posizionano sulla scena e parte una sorta di messaggio preregistrato. Inizialmente chiede di spegnere i cellulari ma poi, correggendosi, chiede non solo di tenerli accesi e di fare qualche storia per Instagram, ma anche di ricordarsi di taggare tutta la band, compreso il tastierista «che sennò si offende». 

foto di Alessia Sabetta

Sale sul palco Fulminacci − vestito da un completo giacca gilet + pantaloncino in silver e maglietta della Nasa, con scritto “Spacca” − con la chitarra e, sullo sfondo del ledwall, con “Borghese in Borghese” inizia il concerto.

Fulminacci in live è come l’aglio nell’olio: sfrigolante e un ottimo insaporitore. Di sicuro la band di supporto (composta da Roberto Sanguigni al basso, Lorenzo Lupi alla batteria, Riccardo Nebbiosi al sax baritono e tenore, Giuseppe Panico alla tromba, Riccardo Roia alle tastiere e Claudio Bruno alla chitarra), conferisce il quid in più per trasformare una semplice “Aglio e olio” in una buonissima AglioOlio&Peperoncino. La dimensione del live è curata benissimo: i musicisti si muovono sul palco coreografando dei passetti di danza semplici ma d’effetto, che ben si incastrano con l’atmosfera musicale un po’ anni ‘80. Dal vivo, infatti (più che in studio), sono enfatizzate quelle sonorità underground hip hop e funk con i tempi in levare e l’accompagnamento energico dei fiati. 

foto di Alessia Sabetta

Ovviamente, non manca il momento malinconico al pianoforte sulle note di “Le biciclette” e “Una sera” e l’arrivo a sorpresa di Willie Peyote per “Aglio e Olio”. Dopo la momentanea uscita di scena, gli artisti salgono nuovamente sul palco per poi congedarsi definitivamente dopo Tommaso e «la canzone con cui ho perso il Festival di Sanremo», “Santa Marinella”, accompagnata dal canto a cappella e ad libitum del pubblico incitato dagli artisti sul palco. 

Un live, quello di Fulminacci, degno di essere chiamato tale: buon intrattenimento, buona musica, pubblico soddisfatto e artisti altrettanto. What else?

a cura di Alessia Sabetta

Elio e le Storie Tese: il tempo passa ma loro restano

Ultime luci della giornata sul pubblico del Flowers Festival, palco leggermente illuminato. Una voce cadenzata, da dietro le quinte, inizia a recitare un’omelia per ascoltare musiche un po’ stupide «che acquisiscono un senso sotto il segno del Cristo». Verrebbe da chiedersi perché ci si è ritrovati in una messa indesiderata durante una serata d’estate, precisamente quella del 6 luglio. Invece, è il concerto di Elio e le Storie Tese che aprono così lo show del tour “Mi resta solo un dente e cerco di riavvitarlo”, entrando in scena tutti vestiti di bianco. 

Un concerto all’insegna della musica sparkling, come spesso ripete Elio, tra prosa e poesia, fiabe e attualità. Tanti sono i momenti di interazione con il pubblico in cui Faso (bassista) e Vittorio Cosma (tastiere) raccontano aneddoti per presentare alcuni brani: come la narrazione tratta dal libro di fiabe per analfabeti per “Il vitello dai piedi di Balsa” o la descrizione delle fasi di trasformazione da uomini a “Servi della gleba”

foto di Alessia Sabetta

Sulla scena anche Cesareo (chitarra), seduto un po’ in disparte; Paola Folli (voce, cori, tamburello); Antonello Aguzzi (tastiere e coro); Paolo Rubboli e Riccardo Marchese (batteria e percussioni). Questi ultimi due, i più giovani, sono costretti tramite una cerimonia, a scambiarsi le postazioni per un’imposizione dello SBURRE − il Sindacato Batteristi Uniti per il Rock and Roll Elvetico − al fine di non far terminare i colpi a disposizione. Rubboli e Marchese, in realtà, sono i sostituti di Christian Meyer che − tramite un annuncio − aveva spiegato che, a causa della sua passione per i pinoli, ne aveva fatto un consumo eccessivo tanto da provocargli «effetti imprevedibili ed indesiderati» da non poter prendere parte al tour. A grande sorpresa però, per il bis, appare sul palco, presentato come il direttore dello SBURRE, Fritz Meyer, fratello gemello di Christian. Il batterista, teletrasportatosi dal quartiere generale a causa del termine dei colpi disponibili, si assume il compito di sopperire al disagio e, per quanto i due ragazzi siano tecnicamente preparati per stare dietro alla band, appena Meyer impugna le bacchette, si sente subito la differenza. 

L’immancabile Mangoni vestito da Supergiovane, soubrette con le ali fucsia da danza del ventre, in completo total silver o rosso a cuoricini bianchi, completa l’allegro quadretto arrampicandosi sulle impalcature e saltellando o ballando qua e là.

foto di Alessia Sabetta

Lo spettacolo è tutto quello che ci si potrebbe aspettare dalla stravagante band: ironia, pungenti battute a sfondo politico, irriverenza e consapevolezza che è tutto ciò che la cancel culture abolirebbe. Nonostante il tempo sembri aver fatto il suo decorso anche per loro, i fan continuano a incitarli a suon di “forza Panino” perchè, malgrado tutto, gli Elio continuano a risultare sempre geniali e musicalmente molto più che validi. 

a cura di Alessia Sabetta