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Hamlet in Musica: il fascino del Romanticismo francese a Torino

L’Anteprima Giovani del Teatro Regio di Torino rappresenta un’opportunità straordinaria per avvicinarsi all’opera, un genere che in queste occasioni dimostra di essere, più che mai, giovane e vivo.

In programma, il 13 maggio 2025, c’è Hamlet, opera composta nel 1868 dall’omonima tragedia di William Shakespeare con musiche di Ambroise Thomas e libretto di Michel Carré e Jules Barbier.  Cinque atti che sfidano l’adattamento di un testo tanto complesso e intenso, a cui la regia di Jacopo Spirei offre una risposta brillante.

All’arrivo in sala, prima dell’inizio dello spettacolo, il sipario è già alzato, alcuni figuranti leggono appassionatamente un libro – presumibilmente l’omonima opera shakespeariana. Pian piano il palco si riempie di lettori e finalmente le luci si spengono. L’Orchestra del Teatro Regio, diretta da Jérémie Rhorer, comincia a suonare dopo essere stata annunciata da un rullo di timpani. Il preludio, inizialmente cupo e malinconico, si intensifica diventando una marcia reale: è proprio in un’ambientazione nobiliare ma decadente che la storia di Hamlet ha inizio.

Foto da cartella stampa Teatro Regio Torino, foto di Daniele Gatti e Mattia Gaido

Il Coro del Teatro Regio rompe il predominio orchestrale con un canto solenne, rappresentando lo sfarzo delle nozze tra Gertrude e Claudius, rispettivamente Re e Regina di Danimarca. 

I protagonisti dell’opera, Hamlet e Ophélie sono rispettivamente interpretati dal tenore John Osborn, e dal soprano Sara Blanch. Si presentano in un duetto dove la voce tenorile di Hamlet e quella sopranile di Ophélie si fondono esprimendo tutta la spensieratezza della gioventù dei giovani innamorati, che purtroppo avrà breve durata.

Laerte, il fratello di Ophélie, entra in scena subito dopo, (l’interpretazione del personaggio si deve a Julien Henric), seguito poco dopo dai due amici di Hamlet, Horatio (Tomislav Lavoie) e Marcellus (Alexander Marev), che si presentano dando ad Hamlet la sconvolgente notizia di aver avvistato lo spettro del padre deceduto.

Un’orchestrina dietro al palco e dei rintocchi di campana annunciano la comparsa dello Spettro, interpretato dal basso Alastair Miles, sempre accompagnato da due bambini, presumibilmente Hamlet e Ophélie da piccoli. Il fantasma parla con un declamato su una nota fissa  per tutto il discorso, variando raramente, per esempio durante la ripetizione di «Venge-moi! Venge-moi!» dove il canto si alza leggermente per sottolineare l’urgenza del messaggio.

Foto da cartella stampa Teatro Regio Torino, foto di Daniele Gatti e Mattia Gaido

La Regina Gertrude è interpretata dal mezzosoprano Clémentine Margaine, dalla  voce calda e potente che contrasta con quella leggera e cristallina di Ophélie, dimostrando eccellentemente la differenza d’età tra i due personaggi. Analogo è il rapporto tra le voci di Claudius, interpretato dal basso Riccardo Zanellato, dalla voce piena e profonda, e quella tenorile di Hamlet, più acuta e giovanile.

Gli ultimi personaggi a comparire sono i due becchini, interpretati da Janusz Nosek e Maciej Kwaśniewski che  in questa versione assumono le sembianze di medici legali in un obitorio umido e squallido.

Di grande effetto sono le scelte registiche, come l’uso delle luci, spesso impiegate come riflettori cinematografici. Le scenografie, realizzate da Gary McCann, hanno contribuito a rendere Hamlet un’esperienza visiva di forte impatto: edifici sontuosi ma decadenti, con pareti dall’intonaco scrostato, un evidente contrasto tra presente e passato. Particolarmente suggestiva è la messa in scena dello spettacolo L’assassinio di Gonzago da parte di Hamlet e degli istrioni, durante il banchetto di nozze: grazie all’utilizzo di tre marionette giganti che occupano quasi interamente il palcoscenico, la rappresentazione assume un carattere fortemente spettacolare e coinvolgente.

Foto da cartella stampa Teatro Regio Torino, foto di Daniele Gatti e Mattia Gaido

Prima dell’inizio di quest’ultima scena un delicato assolo di sassofono soprano rompe il silenzio della sala, regalando un momento di grande suggestione. Questo intervento è degno di nota perché, al tempo in cui l’opera fu composta, il sax era uno strumento appena inventato e poco diffuso. L’effetto  sorpresa che suscitò allora si rinnova ancora oggi poiché lo strumento rimane una presenza rara e inaspettata nel repertorio operistico.

Il quarto atto si distacca dal resto dell’opera, creando un ambiente a parte, molto cupo, probabilmente una soffitta con molti mobili sullo sfondo coperti da teli. Ophélie ne è la protagonista indiscussa. La scena, per come è strutturata, può ricordare l’“Atto in bianco” del balletto romantico per eccellenza, Giselle, da cui il regista sembra prendere ispirazione per le ambientazioni e i costumi, grazie alla presenza di tante donne vestite in abito da sposa. Ophélie percorre la scena, apparendo fragile e sofferente, ma allo stesso tempo travolta dalla follia, come se cercasse di persuadersi della propria felicità inesistente. Il canto, ricco di sforzati e glissati, richiama l’aria della bambola meccanica “ Les oiseaux dans la charmille” dall’opera fantastica Les contes d’Hoffmann. Sara Blanch interpreta il personaggio magistralmente, con una voce agile ed espressiva, donando un punto di vista introspettivo e innocente della giovane ragazza.

Foto da cartella stampa Teatro Regio Torino, foto di Daniele Gatti e Mattia Gaido

Il finale mette in scena la morte di Claudius e l’incoronazione di Hamlet come nuovo re. Il coro enuncia solennemente «Vive Hamlet, vive notre Roi!» ma il protagonista appare profondamente triste: abbraccia la salma di Ophélie mentre si dondola su un cavalluccio a dondolo: un’immagine carica di malinconia.

Al termine dell’opera, il pubblico esplode in un lungo applauso, particolarmente caloroso per il Coro, diretto da Ulisse Trabacchin, e per le interpretazioni di Claudius, Gertrude e Ophélie che hanno profondamente commosso gli spettatori.

Questa messa in scena di Hamlet ha portato a Torino l’opera romantica francese, un repertorio poco noto nel nostro paese, ma che vale davvero la pena riscoprire e far conoscere meglio.

Marta Miron

Presentata la nuova stagione 2025-2026 del Teatro Regio di Torino: “ROSSO”

Torino accoglie con entusiasmo la presentazione della nuova stagione del Teatro Regio che prevede un cartellone che combina tradizione e innovazione.

Il 6 maggio al Foyer del Toro, in apertura della conferenza stampa, il sovrintendente Jouvin ricorda due grandi figure del teatro lirico che sono venute a mancare in questi giorni: Pierre Audi, direttore del Festival d’Aix-en-Provence e il baritono Alberto Mastromarino. Poche parole, molto sentite, in ricordo di due persone che lasceranno un grande vuoto.

Il titolo scelto per la stagione, Rosso, nasce da un’attenta riflessione collettiva. Il colore, simbolo di passione e desiderio, nasconde anche un lato oscuro: quello della violenza e del sangue. Jouvin cita un passaggio di La scrittura o la vita di Jorge Semprùn: «Cerco la regione cruciale dell’anima in cui il Male assoluto si oppone alla fratellanza», una frase che riflette sul dualismo insito nell’essere umano. E proprio da questo tema prende vita il cartellone della nuova stagione: conflitti tra bene e male che raccontano la duplicità dell’animo in continua lotta tra amore e odio.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino

Ad inaugurare il nuovo anno operistico sarà Francesca da Rimini¸ opera di Zandonai nata nel 1914 per la città di Torino. Diretta da Andrea Battistoni, l’opera è un esempio di literaturoper basata sulla tragedia di D’Annunzio e rappresenta un viaggio tra influenze italiane, della scuola di Mascagni, e suggestioni da Debussy, Ravel e Strauss.
Il direttore artistico Cristiano Sandri sottolinea l’importanza dell’equilibrio tra opere di repertorio e titoli meno noti che vogliono essere riscoperti e riportati in vita. In questa visione si inserisce Francesca da Rimini affidata alla regia di Andrea Berna, giovane regista vincitore del Premio Abbiati nel 2024.

Più volte, nel corso della conferenza, viene enfatizzata la fiducia che gli artisti nutrono nei confronti del Teatro Regio, riconosciuto come ambiente accogliente in cui tornano sempre con entusiasmo. Prova ne è l’opera di apertura, che ha visto il Teatro riunire un cast di attori-cantanti di prestigio disposti ad accettare anche i ruoli minori, brevi nella loro durata ma estremamente impegnativi dal punto di vista vocale; tra questi vi sono i due fratelli di Francesca, Samaritana e Ostasio, interpretati rispettivamente da Valentina Boi e Devid Cecconi.
Tra gli interpreti si evidenzia la presenza di Roberto Alagna, nel ruolo di Paolo, che torna a Torino dopo 20 anni, e la giovane Barno Ismatullaeva che ha lasciato il segno nel 2023 nella Madama Butterfly.

La stagione inizia già ad ammorbidire i toni con Il Ratto del Serraglio, diretto da Gianluca Capuano e la regia di Michel Fau. Il Singspiel di Mozart mescola serietà e comicità lasciando un messaggio di speranza che scava approfonditamente nelle passioni dei personaggi.
L’allestimento dello spettacolo viene dall’Opéra Royal de Versailles e preannuncia una produzione evocativa e colorata capace di trasportare il pubblico nei paesaggi turchi e nel palazzo del Pascià Selim.

Dicembre sarà il mese dedicato ai balletti e vedrà il grande ritorno di Roberto Bolle, che accende gli animi degli appassionati. Quest’anno, sul palco del Regio, Bolle non porterà il consueto gala “Bolle and Friends”, ma presenterà uno spettacolo intitolato “Caravaggio” su musica di Bruno Moretti.
L’anno si concluderà con altri due titoli importanti e due compagnie estere: la Compagnia di Balletto del Teatro Nazionale di Praga che porterà sul palco Romeo e Giulietta, e il Balletto Nazionale della Lettonia di Riga, per la prima volta ospite a Torino con Il lago dei Cigni.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino

Come afferma Jouvin, dopo le festività natalizie e il freddo del mese di dicembre è necessario riscaldare i cuori con un titolo più leggero e sognante. A gennaio, con l’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino e la regia di Manu Lalli, andrà in scena La Cenerentola di Rossini. La produzione vuole recuperare la fiaba di Perrault per divertire il pubblico e farlo tornare un po’ bambino, una coccola prima del grande ritorno del maestro Riccardo Muti con la cupa riflessione proposta da Macbeth.

Tratta dalla tragedia di Shakespeare, l’opera scava nell’animo umano per meditare sulle tematiche del male, del potere, del destino e della colpa: un esempio lampante di come la musica e il teatro permettano di comprendere, o quantomeno interrogarsi, sulla profondità delle emozioni. Ad affiancare il direttore d’orchestra, tornerà la regia di Chiara Muti e un cast di interpreti fedeli al maestro Muti, tra cui Luca Micheletti (Macbeth) e Giovanni Sala (Macduff).

L’unico titolo di cui, durante la conferenza, viene raccontata brevemente la trama è Dialoghi delle Carmelitane: per la prima volta a Torino verrà raccontato il tragico episodio della Rivoluzione Francese. L’allestimento proviene dal Dutch National Opera & Ballet, da una produzione che ha debuttato nel 1997 ad Amsterdam, e a dirigere l’orchestra ci sarà Yves Abel.

La stagione continuerà con uno titolo belliniano, I Puritani, affidato a Francesco Lanzillotta e Pierre-Emmanuel Rousseau, duo artistico che aveva collaborato nel 2023 per la produzione de La Rondine.

In chiusura dia stagione, tornerà sul podio Andrea Battistoni con un caposaldo del repertorio operistico: Tosca di Puccini, definita dal direttore un «thriller musicale ante litteram». Tosca, opera che ha accompagnato Battistoni in diversi debutti in prestigiosi teatri internazionali, sarà diretta dal maestro per la prima volta in Italia proprio sul palco del Teatro di Torino.
La regia è affidata a Stefano Poda, che torna dopo il premio Abbiati per il miglior spettacolo del 2023 (Juive), e il cast vede il ritorno del baritono Roberto Frontali nel ruolo di Vitellio Scarpia, dopo il successo nel ruolo di Gianni Schicchi. A interpretare Tosca e Cavaradossi, saranno  Chiara Isotton e Martin Muehle.

Per concludere la conferenza, vengono presentati i progetti e le attività dedicate a famiglie, giovani e scuole. «Il pubblico giovane è il nostro futuro» afferma il sovrintendente, ribadendo l’impegno del Regio nei confronti delle nuove generazioni con sconti per gli Under30, la creazione di una Card Under16 e la prosecuzione della campagna “Il Regio è di tutti”.
Tra le iniziative al Piccolo Regio figurano Hänsel e Gretel, Pierino e il Lupo, Brundibàr, Il Piccolo Principe e la riduzione di La Cenerentola, proposta con una drammaturgia ad hoc per avvicinare bambini, giovani e adulti al mondo del teatro operistico.

La stagione 2025-2026 preannuncia un anno intenso, capace di emozionare e incantare il pubblico.

Ottavia Salvadori

La dama di picche: il destino in tre carte

Seduzione, ossessione e un destino ineluttabile. La dama di picche. Capolavoro di Pëtr Il’ič Čajkovskij su libretto del fratello Modest, tratto dall’omonimo racconto di Puškin. L’opera, composta nel 1890, segna uno dei vertici espressivi del teatro musicale russo. Il compositore, in uno dei momenti più tormentati della sua vita, infonde nella partitura un’intensità drammatica e anche cinematografica, avvicinandosi alla tragica ossessione del protagonista Hermann, consumato dal gioco d’azzardo e dalla misteriosa formula segreta delle tre carte. Questo tormento prende forma nell’aria “Che cos’è la nostra vita? Un gioco!”, in cui il protagonista ripete ossessivamente il suo pensiero fisso.

La dama di picche è in scena al Teatro Regio di Torino in un nuovo allestimento prodotto dalla Deutsche Oper di Berlino, firmato dal regista Sam Brown, che raccoglie e sviluppa la visione del compianto Graham Vick. La direzione musicale è affidata a Valentin Uryupin, specialista del repertorio russo, mentre il cast vede protagonisti Mikhail Pirogov nel ruolo di Hermann, Zarina Abaeva in quello di Lisa e Jennifer Larmore nei panni della Contessa. Completano la compagnia Elchin Azizov (Tomskij), Vladimir Stoyanov (Eleckij) e Deniz Uzun (Polina).

foto da cartella stampa, di Marcus Lieberenz

La regia di Sam Brown presenta Hermann come un uomo qualunque, intrappolato in una realtà soffocante e monocorde. La sua esistenza, confinata in un dormitorio militare, è lo specchio di un desiderio frustrato di riscatto sociale. Lisa, il suo amore impossibile, incarna il contrasto tra il mondo del privilegio e la disperazione del protagonista, che cerca una via d’uscita nel segreto della Contessa. L’opera si trasforma così in un dramma psicologico in cui sogno e realtà si sovrappongono, portando Hermann verso un destino segnato dall’illusione e dalla follia. Lo spettatore col dubbio su cosa fosse reale.

L’allestimento si distingue per alcuni elementi visivi di grande impatto. Il coro, attraverso un gioco di ombre, si trasforma in una folla minacciosa, amplificando la paranoia e il senso di accerchiamento. Un ulteriore livello narrativo è dato dalla la proiezione di spezzoni del film La dama di picche del 1916, che dialogano con la messinscena come un secondo piano narrativo. A completare questa dimensione visiva, sopra il sipario utilizzato per i cambi scenografici appaiono dei veri e propri cartigli, in stile cinema muto, che forniscono  un contesto alla scena o indicavano il luogo in cui si svolgeva l’azione.

foto da cartella stampa, di Marcus Lieberenz

In molti di questi cartigli comparivano anche citazioni da Dostoevskij, che aprivano ulteriori riflessioni. Lo spettatore più attento poteva così interrogarsi su ciò che vedeva: era tutto reale? O solo una proiezione dell’inconscio di Hermann? Era solo la caduta di un uomo nell’ossessione, o una riflessione più ampia sulla libertà individuale, la colpa, la coscienza? La presenza di Dostoevskij da lo spunto per guidare lo spettatore in un percorso parallelo, rendendolo forse più partecipe e consapevole di ciò che vede.

Scenografica la chiusura dell’opera. Hermann, ormai consumato dal pensiero ossessivo delle tre carte, si presenta al tavolo da gioco. Sebbene non sia un giocatore abituale, possiede esattamente tre carte, come predetto dalla dama di picche. Le prime due gli fanno vincere somme enormi, ma l’avidità – o forse il desiderio disperato di vedere la profezia compiersi fino in fondo – lo spinge a giocare anche la terza. A quel punto entra il principe Eleckij, l’unico disposto a sfidarlo. Ma nel momento decisivo, Hermann scopre che la sua ultima carta non è l’asso, bensì proprio la dama di picche. Ha perso tutto. E si toglie la vita.

Piccola nota di cronaca: durante il primo atto un semplice cambio di scenografia ha dato a molti spettatori l’illusione dell’intervallo, con tanto di esodo verso il foyer sventato dalla solerzia delle maschere. Tutto comprensibile vista la scarsa conoscenza di un titolo, che tuttavia è stato molto apprezzato a fine serata.

Questo allestimento di La dama di picche si è rivelato una produzione di grande impatto visivo, moderna ed emotiva. La regia di Brown ha offerto una prospettiva che mette in luce l’attualità del dramma umano di Hermann, sempre sospeso tra desiderio e autodistruzione.

Joy Santandrea

“Rigoletto” va in carcere

Questa stagione del Teatro Regio è all’insegna del teatro per tutti. Un principio che si concretizza con un progetto straordinario: portare l’opera all’interno della Casa Circondariale “Lorusso e Cutugno” di Torino, dove il 10 marzo 2025 andrà in scena una speciale rappresentazione di Rigoletto.

L’iniziativa, curata da Vittorio Sabadin, nasce con l’obiettivo di contribuire alla formazione e riformazione dei ragazzi della struttura, offrendo loro un’esperienza nuova e rigenerante. Non si tratta solo di uno spettacolo, ma di un percorso formativo che ha coinvolto attivamente la comunità carceraria: i detenuti hanno collaborato alla realizzazione delle scenografie, costruendo praticabili, sgabelli, pedane e dipingendo i periacti: unendo così arte e partecipazione attiva.

Durante la conferenza stampa, è stato ribadito quanto possa essere emozionante sentire le arie e le musiche del Rigoletto risuonare nei corridoi della struttura, un momento in cui la bellezza dell’opera si fa ponte tra “dentro” e “fuori”, tra il carcere e la città. Un progetto pilota che il Teatro Regio, in collaborazione con la Fondazione Compagnia di San Paolo e il Teatro Stabile di Torino, auspica possa consolidarsi e crescere nel tempo.

Il sindaco di Torino e Presidente della Fondazione Teatro Regio, Stefano Lo Russo, ha sottolineato come questa iniziativa incarni l’idea di una città dove la cultura è accessibile a tutti, ribadendo il ruolo educativo e riabilitativo che il carcere dovrebbe avere, oltre alla sua funzione punitiva.

Un’occasione, quindi, non solo per portare l’opera in un contesto inedito, ma per offrire un’opportunità di crescita e riscatto personale ai partecipanti. Il teatro diventa così strumento di dialogo e formazione, testimoniando ancora una volta la sua forza trasformativa.

A cura di Joy Santandrea

Un mondo deforme: “Rigoletto” di Leo Muscato

Il Teatro Regio continua ad attirare molto pubblico con una nuova produzione sold out fino all’11 marzo. Con l’anteprima giovani, il 27 febbraio viene inaugurato il nuovo allestimento di Rigoletto firmato da Leo Muscato. Reduce dal successo di Agnese di Paër, nel 2019, Muscato torna al Teatro Regio di Torino insieme alla scenografa Federica Parolini e alla costumista Silvia Aymonino. La carriera di Muscato è costellata di collaborazioni con teatri d’opera prestigiosi e importanti premi quali il Premio Abbiati come Miglior Regista d’Opera (2012), l’International Opera Awards (2016) e il Premio Internazionale Ivo Chiesa come Miglior Regista d’Opera (2023).

A dirigere l’orchestra c’è Nicola Luisotti, ex direttore dell’Opera di San Francisco insignito della San Francisco Opera Medal per i suoi meriti artistici e riconosciuto come uno specialista del repertorio verdiano. Con Verdi torna a Torino dopo otto anni per presentare un’opera che ha segnato la storia del melodramma, la prima delle tre opere della trilogia popolare del compositore composta nel 1851.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino, foto di Mattia Gaido e Daniele Ratti

Siamo persone con identità fragili che si nascondono dietro maschere ingannevoli e tutto il mondo intorno a noi è deforme. Questa è l’epoca in cui viviamo, dove apparenza e finzione spesso prevalgono sulla realtà, ma è anche il tema in cui un’opera come Rigoletto trova le sue radici. Non è facile attualizzare opere del passato per raccontarle in maniera trasversale – ha sottolineato Muscato durante la conferenza stampa – ma la messa in scena di Rigoletto sul palco del Teatro Regio è riuscita magistralmente a rendere l’opera vicina al sentire contemporaneo.

La deformità di Rigoletto è frutto dell’ambiente che lo circonda e della società corrotta primo novecentesca che danza tra le due guerre. Il preludio iniziale introduce una scena dominata da una struttura muraria ondulata, realizzata con superfici riflettenti e deformanti, che trasforma il palco in un mondo precario e straniante.
Solo sul palco, Rigoletto, il giullare dal naso rosso, contempla la sua immagine nell’unico specchio reale che gli mostra la sua vera essenza: è un uomo solitario e triste, con la gobba e l’alopecia, costretto a nascondersi dietro una maschera per sopravvivere a corte.
Nasce probabilmente da qui l’idea di giocare con una scena fissa ma girevole: l’allestimento scenografico diventa un protagonista che sussurra l’ambiguità dei personaggi e la fragilità di un mondo in disfacimento. La scenografia di Parolini svela e nasconde: i personaggi sentono ma non vengono visti, il pubblico vede ma costruisce nella propria immaginazione gli spazi in cui si svolgono le azioni. Improvvisamente le mura cittadine ruotano svelando la festa in corso all’interno del palazzo ducale, presentata da un tableau vivant di personaggi aristocratici. Nasi e maschere da suino deturpano i volti di alcuni personaggi accentuando il grottesco e la decadenza che permea ogni angolo.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino, foto di Mattia Gaido e Daniele Ratti

L’illuminazione di Alessandro Verazzi gioca un ruolo cruciale nel rafforzare il senso di straniamento. Il gioco di luci rapisce lo sguardo di tutti e scuote gli animi trasformando il palcoscenico in un labirinto di emozioni, personalità e di ambienti. Ogni fascio di luce, calibrato al millimetro, genera riflessi o ombre tragiche sulla struttura muraria rivelando verità taciute e crea dei veri e propri quadri dando vita ad un ulteriore livello di lettura dello spettacolo. Durante la tempesta del terzo atto, il pubblico, abbagliato da luci intermittenti, diventa parte integrante del dramma, condividendo paure ed emozioni con i personaggi. Un’intuizione registica che ha creato un’esperienza sensoriale partecipativa.

Muscato ci regala un Rigoletto che si allontana in alcuni punti dalla fedeltà al libretto originale, arricchendo e sfaccettando il dramma non solo dal punto di vista scenografico ma anche dal punto di vista narrativo. Monterone, dopo aver lanciato la sua maledizione, muore per poi riapparire, in altri quadri, come un fantasma vestito di bianco e illuminato da una luce fredda e intensa, un costante promemoria del destino che incombe su Rigoletto.
Gilda viene presentata come una giovane ragazza affidata alle cure di un convento o di un convitto, un’anima pura e innocente in un mondo corrotto.
Nell’atto finale, la drammaturgia si discosta ulteriormente dal libretto di Piave con l’ambientazione della scena in un postribolo, una fumeria d’oppio. La forte carica teatrale è amplificata dall’uso di luci e fumo che dividono il palco in tre sezioni: una luce blu a sinistra per la scena di “La donna è mobile”, una luce viola per il postribolo al centro, e una luce più calda per Gilda e Rigoletto che, esterni, osservano la scena. Improvvisamente un taglio di luce tragico, in gusto noir, attraversa i volti di Gilda e Rigoletto, sopraffatti dalla visione e ascolto del cantabile “Bella figlia dell’amore”.

Foto da cartella stampa Teatro Regio di Torino, foto di Mattia Gaido e Daniele Ratti

L’inizio del primo atto è risultato musicalmente sottotono, con una certa difficoltà nel percepire le voci e le parole di alcuni interpreti i quali, probabilmente nel tentativo di preservare la propria voce per le repliche, hanno optato per un’esecuzione a mezza voce. Tuttavia, dalla conclusione del primo atto, l’orchestra e i cantanti hanno espresso il loro pieno potenziale emotivo e vocale, con passaggi dinamici di notevole impatto. Nicola Luisotti ha diretto le sfumature musicali con maestria, mantenendo la fedeltà al tema centrale dell’opera e arricchendolo di nuove sfaccettature emotive. Un plauso speciale va al Coro del Regio, guidato da Ulisse Trabacchin, che ha saputo trasformare i momenti corali in autentiche manifestazioni di espressività.

Un piccolo ma significativo gesto è stato quello di Luisotti che, al termine della rappresentazione, è rimasto sul suo podio, seminascosto, per applaudire l’intero cast, dimostrando grande rispetto e apprezzamento per il lavoro di tutti.
La rappresentazione di Rigoletto, come preannunciato durante la conferenza stampa, è stata frutto di un lavoro di squadra eccezionale che ha dato vita ad una fusione armoniosa di talenti artistici e legami umani.

A cura di Ottavia Salvadori

Conferenza stampa all’insegna dell’amicizia: “Rigoletto” al Teatro Regio

Quante volte abbiamo partecipato a conferenze stampa che sembravano interminabili successioni di formalità e discorsi tediosi?
Fortunatamente, l’appuntamento del 24 febbraio al Teatro Regio ha decisamente cambiato registro, offrendo un’atmosfera amichevole, serena, divertente ma con contenuti interessanti e stimolanti. La conferenza stampa del Rigoletto preannuncia una messa in scena accattivante e avvincente.

A fare gli onori di casa, Luigi Lana, presidente di Reale Mutua e Michele Coppola, vicepresidente del Teatro Regio, i cui interventi si concentrano sul tema della collettività. Ma i veri protagonisti sono coloro che, dietro le quinte o in prima linea, danno vita allo spettacolo. Tra questi, a presentare Rigoletto nella Sala del Caminetto, ci sono: Cristiano Sandri – direttore artistico, Nicola Luisotti – direttore d’orchestra, Leo Muscato – regista, Federica Parolini – scenografa, Silvia Aymonino – costumista, Giuliana Gianfaldoni – interprete di Gilda, George Petean – interprete di Rigoletto.

Foto di Ottavia Salvadori

Rigoletto, in scena dal 28 febbraio all’11 marzo (con l’anteprima giovani il 27 febbraio) è frutto di un percorso creativo intenso e appassionato che, come afferma Luisotti, nasce da “collisioni” che si trasformano in “fusioni”, per poi diventare “armonia” e dare finalmente vita all’opera che vedremo sul palco.

L’équipe è di altissimo livello e già dalla conferenza stampa esprime sinergia, coesione e amicizia tra gli artisti. A fare da collante è la stima reciproca, a partire da Leo Muscato e Nicola Luisotti che scherzano sul loro amore corrisposto, una coppia di “fidanzati” che si versa l’acqua nel bicchiere nonostante le sedute distanti.

A rubare la scena è proprio Luisotti, un direttore d’orchestra dirompente e anticonvenzionale, capace di negare il proprio ruolo con un’ironia irresistibile. «Che cosa fa un direttore d’orchestra? Non fa niente!», ha esordito, e per dimostrarlo ha parodiato se stesso, riducendo la direzione d’orchestra a movimenti delle mani e ad una mimica facciale intensa. Cosa rende quindi il gesto del direttore d’orchestra un elemento significativo? Come ha spiegato Luisotti, il senso del suo gesto «apparentemente inutile» è possibile solo grazie alla collaborazione con musicisti, cantanti, attori e tutti coloro che contribuiscono a realizzare l’idea musicale. Il direttore d’orchestra fa suonare la stessa cosa a tutti, non solo a orchestra e cantanti ma anche al direttore artistico. Un’opera d’arte non nasce sola: ha bisogno degli artisti, di tutta la troupe, del pubblico, della stampa e del mondo intero. Solo attraverso questa sinergia si crea una serata magica.

Foto di Ottavia Salvadori

Il regista Leo Muscato aggiunge: «Uno spettacolo è il risultato di un percorso condiviso da diverse persone. Un’opera può prendere forme diverse a seconda di chi lo realizza»; e per questo si spinge ad affermare che Luisotti oltre ad essere un grande direttore d’orchestra e poeta dell’esistenza, potrebbe essere un bravissimo regista.

A differenza del dramma di Hugo, testo di natura politica censurato per cinquant’anni, Rigoletto di Verdi di focalizza sull’umanità, sulle fragilità e sui sentimenti umani. La regia di Muscato vuole proprio porre l’attenzione sul problema dell’identità: tutti i personaggi, ad eccezione di Gilda, non hanno nomi propri. Rigoletto è probabilmente la maschera di un uomo-giocattolo, il Duca ad ogni atto cambia identità passando da aristocratico a studente fino a trasformarsi in militare. Quello di Rigoletto è, dunque, un mondo deforme, che influenza tutti. La scelta scenografica di inserire specchi che distorcono le immagini diventa metafora di una società in cui l’identità è frammentata e mutevole, ispirata alla pittura espressionista che, con i suoi colori accesi, mette in scena punti di vista discontinui.

Foto di Ottavia Salvadori

Rigoletto è un’opera che parla di fragilità, di emozioni, di miseria, di conflitti e, come afferma Giuliana Gianfaldoni, è una storia che può rivelare alcuni lati personali. Il soprano ogni volta che interpreta Gilda, figlia di Rigoletto, riscopre alcuni aspetti del suo rapporto personale con il padre. Dimostrare l’amore è difficile e Rigoletto è l’emblema di questo amore complesso che riesce ad esprimere solo in maniera ossessiva e possessiva.

Dalle prime parole della conferenza stampa era chiaro: questo Rigoletto è frutto di un lavoro di squadra appassionato e il sold out di tutte le date lo presagisce. Non ci resta che attendere l’anteprima giovani del 27 febbraio e scoprire come i valori dell’amicizia e dell’armonia si traducano in emozione pura.

A cura di Ottavia Salvadori

L’elisir d’amore e qualcosa in più

In programma dal 28 gennaio al 5 febbraio 2025, il Teatro Regio di Torino ospiterà L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti in un nuovo allestimento firmato da Daniele Menghini.

L’opera, su libretto di Felice Romani, debuttò a Milano nel 1832. Nemorino, un giovane contadino, tenta di conquistare Adina, la donna amata, con l’aiuto di un elisir d’amore in realtà vino rosso venduto dal ciarlatano Dulcamara. Dopo una serie di equivoci e peripezie, l’amore sincero di Nemorino e la gelosia di Adina trionfano.

Con la regia di Menghini si ha qualcosa in più. Il riflesso del mondo del protagonista è quello dei burattini: Menghini trasforma Nemorino in un Geppetto contemporaneo che, fragile e sensibile, si rifugia in un mondo di marionette. La sua ricerca d’amore vero è raccontata come una fiaba. Nemorino costruisce un “mondo di legno” in cui tutti i personaggi sono scolpiti dalla sua immaginazione, divenendo demiurgo della sua storia, passando però dall’essere libero burattinaio a succube della storia che sta creando. Con l’integrazione di questo pensiero, il plot dell’opera diventa più approfondito. Un approccio che esplora la fragilità e il sogno giovanile. Il cast vede Valerio Borgioni nel ruolo di Nemorino, Enkelada Kamani come Adina, Lodovico Filippi Ravizza nel ruolo del sergente Belcore e Simone Alberghini interpreta Dulcamara.

Affascinante e suggestiva. Come si imparerà seguendo la vicenda, si sono cercate forti connessioni tra Pinocchio di Collodi e l’opera di Donizetti.

Foto da cartella stampa del Teatro Regio di Torino.

Ecco che comincia l’ouverture e già si vede qualcosa di diverso dal “tradizionale”. Mentre Fabrizio Maria Carminati dirige l’orchestra, Nemorino fa il suo ingresso dalla platea. Vestito in maniera contemporanea, con giaccone e felpa rossa, si dirige verso il palco e si prepara a lavorare sul burattino di Adina. I costumi per il coro di burattini sono ben pensati. Rimandano a manichini di legno con vestiti d’epoca creando un forte distacco iniziale tra protagonista e chi lo circonda. Inoltre anche la recitazione degli attori-burattini non è lasciata al caso, ricordando proprio i movimenti dei pupi.

Sul palco, oltre agli attori in carne ed ossa, ci sono anche protagonisti in legno e tessuto. In più punti dell’opera compaiono vere marionette e burattini mossi dagli attori; recitano affiancando il personaggio che rappresentano, come per Dulcamara e la sua marionetta nell’aria “Voglio dire, lo stupendo elisir”. Oppure sono usate per raccontare visivamente le storie che vengono citate: come quella di Isotta o nel momento della “Barcaruola a due voci”. La presenza di due tessuti teatrali in scena ci rende spettatori di un teatro nel teatro. A fornire questi “attori” d’eccezione è stata la storica famiglia di burattinai Grilli.

La scenografia è visivamente semplice, ma ben studiata. Una falegnameria con un palco di burattini da piazza: con ciocchi di legno, pezzi di marionette e… un mini frigo. Scenografia che in qualche modo si trasformerà seguendo il percorso del protagonista.

Foto da cartella stampa del Teatro Regio di Torino.

L’apparizione di Dulcamara, nella Scena II dell’Atto I, ha subito un richiamo, per costumi ed atteggiamento, alla figura di Mangiafuoco. Durante l’aria “Udite, udite, o rustici”, dà prova di ciò, ammaliando la folla di attori-burattini. Già il personaggio nella versione originale grazie al suo carisma ingannevole, fa riflettere lo spettatore sulla fragilità di credere a soluzioni facili; il fatto che i suoi “spettatori”, in questa versione, siano burattini, aumenta la percezione della manipolazione. Il personaggio del ciarlatano “comico” di Dulcamara si trasforma così in una critica sociale.

L’unione con i personaggi della fiaba di Collodi diventa sempre più chiara quando, alla fine del primo Atto, emerge, da una bara, portata sul palco da due conigli in abito nero, proprio il burattino di Pinocchio, che durante le danze quasi tribali degli attori-burattino, viene smontato e privato del cuore. Ora Nemorino viene vestito proprio con il costume che caratterizza il personaggio collodiano: cappello a cono e naso lungo. Il burattinaio è diventato burattino.

Il momento più sospirato dell’opera è stata l’aria “Una furtiva lagrima” di Nemorino, dove Valerio Borgioni ha saputo regalarci una commistione di leggerezza e introspezione. Se prima il palcoscenico era spartito su più vicende e personaggi, ora c’è solo lui e tutti ci raccogliamo attorno a quel ragazzo diventato soldato che canta d’amore. Una scenografia svuotata, mangiata dalle termiti… lui in piedi sul bancone da falegname, sotto a una grande mano che tiene i fili di Nemorino ormai burattino.

L’inizio e la fine dell’opera sono speculari. Non solo per il ritorno del protagonista alla sua soggettività: l’amore vero lo sveste dai panni di soldato e lo riveste con il suo giaccone e felpa rossa. Ma anche riprendendo l’espediente scenico dell’ouverture: scende dal palco per uscire dalla platea assieme alla sua amata Adina.

Con un cast che ha particolarmente superato le già alte aspettative e una regia che ha saputo dare una nuova “mano di vernice” all’opera donizettiana, come forse allusivamente richiamato dai gesti dei burattini in alcune scene, l’anteprima giovani è stata ben recepita dal pubblico. Una geniale rilettura ricompensata con sonanti applausi conclusivi e decisamente apprezzata anche da chi si sarebbe aspettato qualcosa di più tradizionale.

A cura di Joy Santandrea

Le Nozze di Figaro: un inizio frizzante, giocoso ed emozionante per la stagione 24/25 del Teatro Regio

Cosa meglio di Le Nozze di Figaro per aprire la stagione 2024-2025 del Teatro Regio: un’opera giocosa, divertente e ricca di sfumature che incarna perfettamente il leitmotiv di questo cartellone. Una gioventù spensierata, umana, ironica che dà vita ad una vicenda turbinosa in cui l’amore e l’inganno diventano motori dell’azione.

Sul podio, il 21 novembre, per la sua prima direzione d’orchestra al Regio, Leonardo Sini: giovane direttore vincitore del Premio Assoluto nel Concorso «Maestro Solti» e il cui debutto professionale risale al 2019 a Budapest. L’approccio di Sini appare fresco: una direzione molto animata ma che mantiene un equilibrio perfetto tra l’esuberanza drammatica e la profondità dell’opera di Mozart.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

La regia di Emilio Sagi si è concentrata sulla fluidità narrativa, sfruttando scenografie semplici ma efficaci che hanno valorizzato l’intimità dei momenti più lirici e l’ironia delle situazioni comiche.
L’allestimento scenico è tradizionale ma con un tocco scenico davvero originale: durante l’ouverture, un sipario semitrasparente ha introdotto il pubblico alla storia in modo graduale, svelando scorci di vita quotidiana di Figaro e del castello prima che la scena si aprisse del tutto. Una scelta che non solo ha creato un effetto visivo affascinante, sfruttato anche successivamente in altri punti dell’opera per regalare l’effetto “vedo non vedo”, ma ha anche incarnato l’essenza del pensiero mozartiano, in cui lo spettatore si immerge in una “tranche de vie” già avviata, spiando un mondo già in movimento.
Una scenografia minimal, sui toni del grigio, ma sempre elegante e di grande efficacia espressiva. L’allestimento del Teatro Reale di Madrid, come affermato durante la conferenza stampa, era in completa armonia con il clima sivigliano settecentesco.

Gli interpreti sul palco sono stati degni di nota: Giulia Semenzato (Susanna) ha offerto una performance di grande musicalità e sensibilità drammatica; Ruzan Mantashyan (Contessa) ha emozionato con la sua voce calda e vellutata, particolarmente toccante nell’aria Dove sono; José Maria Lo Monaco, nel ruolo di Cherubino, ha saputo restituire la vivacità adolescenziale del personaggio e il turbamento d’amore in “Non so più, cosa son, cosa faccio”. Un cast che ha emozionato, fatto sorridere e ridere gli spettatori catapultandoli in una vicenda ricca di inseguimenti, di gag e di travestimenti: la recitazione dei cantanti e le scelte registiche hanno messo in luce alcuni aspetti tipici della commedia, enfatizzando quell’effetto “slapstick” basato sulla fisicità e il movimento.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

Tra gli episodi più vivaci e originali spicca il ballo con le nacchere, durante i festeggiamenti delle nozze, che aggiunge un tocco di colore e dinamismo all’opera. Ideato dalla coreografa Nuria Castejón, questo momento richiama l’atmosfera solare dell’Andalusia. Il ballo non solo arricchisce l’azione scenica, ma riesce in parte ad integrarsi nella scrittura musicale mozartiana.

L’opera ha ricevuto una calorosa accoglienza dal pubblico under 30, con applausi scroscianti per il cast e la direzione musicale. Questo allestimento rappresenta un esempio brillante di come un classico del repertorio operistico possa essere presentato anche ad un pubblico più giovane e contemporaneo senza perdere la sua essenza.

Foto da cartella stampa Teatro Regio – Mattia Gaido

Le nozze di Figaro resterà in cartellone fino al 1° dicembre 2024, un’occasione imperdibile per gli amanti di Mozart, della Musica e del Divertimento… la maiuscola è dovuta!

A cura di Joy Santandrea e Ottavia Salvadori

Le Nozze di Figaro aprono la stagione del Teatro Regio

Il 18 novembre si è tenuta la conferenza stampa che ha annunciato l’inaugurazione della stagione 2024/25 del Teatro Regio di Torino con Le Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart. Un appuntamento che, oltre a svelare i dettagli della produzione, ha raccontato la vivacità di una città in fermento e l’energia di un progetto artistico ambizioso.

Un grande momento per Torino

Il sindaco ha aperto l’incontro con parole entusiaste, ricordando come Torino stia vivendo una settimana straordinaria. Con i 200 anni del Museo Egizio, il Torino Film Festival, l’Assemblea Nazionale dei Comuni Italiani e perfino la partita Italia-Nuova Zelanda, la città è un palcoscenico vivo e pulsante. «Questa produzione di altissimo livello – ha sottolineato – non poteva arrivare in un momento migliore per la nostra comunità».

Non sono mancati i ringraziamenti a chi rende possibile tutto questo: lo staff, gli artisti e i partner, tra cui Italgas, che sostiene il progetto.

Foto di Joy Santandrea

La meglio gioventù sulle note di Mozart

Il direttore artistico ha spiegato il filo conduttore della stagione, “La meglio gioventù” e come Le Nozze di Figaro possano aprire perfettamente questo percorso. «Gli interpreti di questa produzione – ha raccontato – sono giovani e talentuosi. Anche il direttore d’orchestra, pur promettente, debutta sia con quest’opera che sul palco del Regio».

Una curiosità in più: l’allestimento arriva dal Teatro Reale di Madrid ed è alla sua prima rappresentazione italiana. La regia, firmata da Emilio Sagi, restituisce pienamente l’atmosfera solare e vivace della Siviglia di Mozart, spesso trascurata in altre produzioni.

Parole dal cuore degli artisti

L’emozione è stata palpabile anche nelle parole del direttore d’orchestra, Leonardo Sini, che ha descritto l’opera come «un gioiello di freschezza e vivacità». Con un doppio cast pronto a salire sul palco, ha confessato di puntare a trasmettere l’energia della musica al pubblico in sala.

Gli interpreti, uno dopo l’altro, hanno dato vita ai personaggi già durante la conferenza. Figaro è stato descritto come un personaggio energico e a tratti ingenuo, ma con una freschezza senza tempo. Cherubino, invece, incarna la gioventù stessa: un paggio in equilibrio tra spensieratezza e scoperta dell’amore. Susanna? Una donna pratica e moderna, con una profondità umana che la rende sorprendentemente attuale. E il Conte, il cui conflitto interiore riflette la difficoltà di accettare il passare del tempo, si muove tra gelosie, tentazioni e un desiderio di redenzione sincero.

Foto di Joy Santandrea

Un’opera contemporanea e senza giudizio

Il sovrintendente, Mathieu Jouvin, ha definito Le Nozze di Figaro un paradosso senza tempo, capace di esplorare i rapporti generazionali e umani senza mai giudicarli. «Mozart – ha spiegato – riesce a mettere in scena i sentimenti e le dinamiche umane in modo universale, lasciando che sia lo spettatore a trarre le proprie conclusioni». È questa capacità di analizzare l’animo umano con leggerezza e profondità insieme che rende l’opera sempre attuale.

Un’energia che unisce

La conferenza si è conclusa con un messaggio di unità e collaborazione.
«Il Regio – ha detto – è un simbolo di eccellenza per Torino, un faro culturale che ci unisce tutti».

E con questa premessa, la stagione 2024/25 è pronta a partire, promettendo di regalare al pubblico emozioni indimenticabili.

A cura di Joy Santandrea e Ottavia Salvadori

Dall’oscurità alla luce: il Trittico di Puccini

Dopo la presentazione del 12 giugno tenuta da Susanna Franchi al Piccolo Regio, il Trittico è andato in scena il 18 giugno per l’Anteprima Giovani. L’opera è formata da tre atti unici: Il Tabarro, Suor Angelica e Gianni Schicchi composte da Giacomo Puccini (su libretto di Giacomo Adami per Suor Angelica e Il Tabarro mentre il testo di Gianni Schicchi e di Giovacchino Forzano) tra il 1913 al 1918. La prima rappresentazione è avvenuta il 14 dicembre del 1918 al Metropolitan Opera di New York.

Le vicende nel Tabarro narrano un dramma ambientato su di una chiatta sulla Senna a Parigi. Racconta la storia di gelosia e omicidio del triangolo amoroso tra Michele, Giorgetta e l’amante Luigi.
Suor Angelica porta in scena un soggetto con tono lirico e drammatico ambientato in un convento. La trama segue la storia della protagonista Suor Angelica, la quale è stata costretta a prendere i voti dopo aver avuto un figlio illegittimo. Dopo la scoperta della morte del figlio, la donna compie un atto disperato di suicidio, seguito da una visione di redenzione. Gianni Schicchi è una commedia vivace basata su un episodio dell’Inferno di Dante Alighieri. Racconta le vicende del protagonista Gianni Schicchi, uno scaltro popolano che inganna una famiglia per assicurarsi l’eredità di un ricco defunto a favore della figlia e del suo amante.

L’ouverture viene eseguita a sipario chiuso per introdurre i principali temi musicali preparando il pubblico all’esperienza narrativa che seguirà.
Il regista Tobias Kratzer e lo scenografo Rainer Sellmaier propongono nel Tabarro un allestimento dalle tonalità scure ed ombrose.
Sono presenti quattro quadranti in rimando all’impaginazione dei fumetti, in cui si svolgono le vicende dei protagonisti accompagnati dai cantanti del coro: il primo quadrante in alto a destra presenta la struttura della chiatta con sfondo rosso di immagini di grattacieli, il secondo in basso a destra raffigura la stiva con sfondo bianco, il terzo in alto a sinistra rappresenta una cabina con un letto e una televisione con sfondo arancio e nel quarto quadrante in basso a sinistra abbiamo il boccaporto in cui si staglia la visione della chiatta nel mare con sfondo azzurro. Ed infine sul lato destro abbiamo incorporata nella struttura scenografica una televisione, che trasmette al pubblico una sitcom che è vista dallo stesso Michele nel Tabarro, che fa da filo conduttore in rimando a Gianni Schicchi con la morte di Buoso Donati.

Il Tabarro

Per Suor Angelica la scelta scenografica è ricaduta sull’utilizzo di un video in bianco e nero con qualche accento di colore rosso delle immagini: sullo sfondo un cortometraggio della vita monastica condotta dalle suore; che viene scandita in ogni ora del giorno. Intanto le cantanti primarie e il coro femminile si trovano sedute in scena, in rimando al giardino del convento. Il video viene frammentato dall’arrivo di un giornalino proibito che viene consultato da una suora (oggetto del peccato che rimanda alle vicende scabrose che si sono susseguite precedentemente nel Tabarro) e dal desiderio compiuto di un’altra suora nel voler mangiare cibo non consentito come la cioccolata (evidente il rimando al terzo cerchio dei golosi dell’Inferno di Dante Alighieri nella Divina Commedia).

Suor Angelica

In Gianni Schicchi la scenografia è costituita del pubblico seduto sulle
gradinate in scena, che osserva da “voyeur” la storia della famiglia come se fosse in uno studio televisivo. In scena vengono inseriti oggetti per simulare la casa del morente Buoso Donati: un mobile smontabile in più parti, vettovagliamento, asciugamani, un giradischi e un frigorifero colmo di bottiglie di vino. Il cast dei cantanti inizia a smontare la scena alla ricerca del testamento nascosto da Buoso Donati nella busta del disco di Suor Angelica e intanto arriva Gianni Schicchi per la risoluzione dei problemi; il quale sposta il cadavere del morto tra il pubblico fingendosi egli stesso il malato per poter mettere su carta le ultime volontà testamentarie a favore della figlia e del suo amante. Il finale si conclude con l’arrivo in scena dall’alto di una lussuosa vasca idromassaggio in cui i due amanti amoreggiano divertiti.

Gianni Schicci

Bern Purkrabek, alla luminotecnica, è stato in grado di far immergere lo spettatore grazie al contrasto tra il buio delle scene e i giochi di luci colorate all’interno dei blocchi nel Tabarro, l’utilizzo di luci bianche fredde in Suor Angelica per esaltare il video sullo sfondo e per ricreare una dimensione intima e castigata in rimando alla vita di clausura delle suore, mentre in Schicchi le luci sono tutte puntate sui cantanti per esaltare la frenesia e la concitazione delle scene.

Grande lavoro è stato svolto dal Coro del Teatro Regio con la direzione di Ulisse Trabacchin e dalle Voci Bianche dirette da Claudio Fenoglio: pur non essendo così compresenti in scena, hanno saputo esaltare la dicotomia dei sentimenti contrastanti “del bene e del male” dei protagonisti in tutte le sfaccettature e hanno saputo dar voce ad ogni singola emozione provata.
Giorgetta insoddisfatta della vita di coppia (interpretata dal soprano Elena Stikhina) moglie di Michele, proprietario della chiatta (interpretato dal baritono Roberto Frontali) il quale teme che la moglie lo tradisca con il giovane scaricatore Luigi (interpretato dal tenore Samuele Simoncini).
Suor Angelica è la protagonista, una giovane suora dal passato doloroso (interpretata dal soprano Elena Stikhina) avrà un duro scontro con la Zia Principessa (interpretata dal contralto Anna Maria Chiuri) ricevendo conforto dalla suora amica Genovieffa (interpretata dal soprano Lucrezia Drei).

Suor Angelica

Gianni Schicchi popolano fiorentino (interpretato dal baritono Roberto Frontali) che ha abilità nel risolvere con astuzia i problemi, viene chiamato dalla famiglia Donati per modificare il testamento del defunto Buoso Donati e destinando tutti gli averi alla giovane figlia Lauretta (interpretata dal soprano Lucrezia Drei) innamorata di Rinuccio nipote del Buoso (interpretato dal tenore Matteo Mezzaro).
I cast dei cantanti nel Trittico hanno saputo rendere giustizia alle tre opere messe in scena grazie alla grande abilità vocali e interpretative. Particolare nota al soprano Elena Stikhina nel Tabarro e in Suor Angelica per il bellissimo timbro vocale, alla significativa morbidezza nell’emissione dei suoni e all’abilità nei filati, in Gianni Schicchi al soprano Lucrezia Drei per il raffinato registro centrale, alla grande facilità di emissione degli acuti e nell’emissione dei pianissimi ed infine al baritono Roberto Frontali per la grande esperienza maturata in carriera sia vocalmente parlando che per la grande presenza scenica.

Gianni Schicci

La direzione orchestrale è stata affidata alle mani sapienti del direttore d’orchestra Pinchas Steinberg, ha espresso una da una profonda comprensione delle dinamiche orchestrali e dai giochi di colore tra le opere mantenendo una coesione stilistica complessiva: nel Tabarro ha saputo definire un’atmosfera cupa attraverso la gestione degli archi e degli ottoni, in Suor Angelica ha creato una dimensione lirica e contemplativa grazie all’impiego dei legni e degli archi ed infine in Gianni Schicchi ha ottenuto un suono brillante grazie agli strumenti a fiato per sottolineare i momenti ironici e di scherno.
Nel Trittico, vengono trattati temi unificanti e disgreganti come l’amore, la passione, la morte e la redenzione: l’amore coniugale in crisi nel Tabarro che si conclude con un omicidio, l’amore materno e il desiderio di redenzione in Suor Angelica che si conclude con un suicidio sperato nella redenzione, o l’amore giovane e spensierato tra Lauretta e Rinuccio in Gianni Schicchi con la morte di Buoso Donati attorno a cui ruotano gli inganni.

A cura di Angelica Paparella