Prima o poi bisognerà scrivere una guida estiva per sopravvivere al caldo della città. Tra i suggerimenti andrebbe inserito il Flowers Festival di Collegno organizzato da Hiroshima Mon Amour – quale evento rigenerante e lontano dal caos – che in dieci anni di attività è diventato un riferimento per molte persone sia per la programmazione densa di artisti che per il semplice piacere di ascoltare musica dal vivo all’aperto.
Tra i primi appuntamenti di quest’anno siamo stati al doppio concerto del 27 giugno con protagonisti Joan Thiele e Franco126. Due coetanei, appena trentenni, attivi in musica da ormai dieci anni con percorsi musicali differenti, ma dallo stile che risuona per il modo di mescolare influenze del passato (R&B, rap, cantautorato) in nuove forme ibride.
La musica inizia presto, ancora prima del calar del sole sale sul palco Lorenzza, giovane rapper nata in Brasile e cresciuta a Pisa, che ha presentato i brani del suo primo EP A LORENZZA. Chi pensa si tratti solo di un prodotto delle case discografiche che per stare al passo coi tempi lanciano nuove artiste fotocopie dei colleghi uomini, beh… si sbaglia. Lorenzza, come tante altre rapper emergenti, ha voglia di rivalsa e una buona dose di consapevolezza che la rendono originale e la distaccano dalle figurine bidimensionali dell’onda dei giovani rapper drill e trap.

Al tramonto, salgono sul palco Joan Thiele e la sua band, tutti vestiti di bianco. Il fulcro del concerto è Joanita, il suo primo album in italiano uscito subito dopo la partecipazione a Sanremo. I primi brani sono fluttuanti e pieni di riverberi, quasi da film western, Joan canta fissa davanti al microfono così da svettare come un vertice piramidale sul palco. L’intensità aumenta non appena l’artista imbraccia la sua chitarra elettrica ed esegue i brani più arrabbiati e istintivi muovendosi per tutto il palco. La sua voce limpida e delicata è in piena simbiosi con i riff infuocati della chitarra e i suoni leggeri della tastiera. Altro aspetto notevole è l’utilizzo delle colonne sonore di Piero Umiliani, che la band suona dal vivo con un risultato diverso dai campioni in sottofondo presenti nel disco. La sua esibizione non può che concludersi con “Eco”, in una versione quasi progressive e psichedelica.

Nella pausa necessaria al cambio palco, ci accompagna la playlist pre esibizione di Franco126, con brani di Sergio Caputo, Pino D’Angiò e Neffa, artisti affini al cantante romano, oltre che sue probabili fonti d’ispirazione. La scenografia è quella di un salotto da indovino (figura già presente fin dall’annuncio del nuovo disco via social): tende rosse, una palla luminosa al centro, lampade ad arco e luci calde. Il mago che risolve dubbi e incertezze è Zoltar, il cui volto digitale è dentro lo schermo della cabina 126. Franco interagisce con l’avatar per provare a indovinare i futuri possibili, tra risate e battute in romanesco. La band composta da sei musicisti ha dato nuova veste ai brani recenti ma soprattutto a quelli passati. La presenza di un sassofonista permette delle variazioni malinconiche da jazz notturno, mentre alcuni brani ripresi in chiave latino-americana sorprendono per la loro frenesia. Lo show scorre tutto d’un fiato: i medley sfruttati a dovere potenziano l’effetto nostalgia delle canzoni degli esordi mentre i brani più popolari uniscono tutto il pubblico in un karaoke. Franco, nascosto dietro i suoi occhiali neri e sempre col bicchiere in mano, si diverte a giocare con il campionatore mentre sussurra al microfono ricordi, pensieri, dialoghi estratti dal suo mondo in cui relazioni, passatempi e routine giornaliere si incrociano con le singole storie di ognuno. Tra il pubblico c’è chi piange e si emoziona, chi si abbraccia e si bacia: chi sogna questi momenti dal 2016 non può che tornare a casa con sollievo.

Entrambi i concerti hanno unito con gusto passato e presente, trovato il giusto ponte di comunicazione con il pubblico e resa più leggera e sopportabile una serata calda altrimenti insostenibile.
Alessandro Camiolo