Sono trascorsi sette anni dall’ultimo lavoro davvero ‘tradizionale’ di Mac DeMarco. Oggi il cantautore canadese ritorna con un album più compatto e maturo, senza però rinunciare alla sua vena anticonvenzionale: Guitar.
Gli ultimi lavori – in gran parte esperimenti strumentali come Five Easy Hot Dogs e One Wayne G – hanno messo in evidenza il cambiamento nello stile dell’artista, che dall’eccentricità indie dei primi dischi ha scelto di orientarsi verso sonorità più acustiche e distese.
Guitar è esattamente questo: un disco breve e pacato, che riflette una personalità più matura e la decisione definitiva di lasciarsi alle spalle una vita sregolata, raggiunta la metà dei trent’anni. Un netto distacco dal Mac che più di dieci anni fa cantava «Cause oh, honey, I’ll smoke you ‘til I’m dying», celebrando la sua marca di sigarette preferita.
Lo stile è ridotto all’osso: niente sintetizzatori, pochissime chitarre elettriche, solo un essenziale scheletro formato da batteria, basso e chitarra acustica. La voce, dolce e delicata, si intreccia con testi intrisi di malinconia, tra il senso di fallimento e la riflessione sul passato. Tracce come “Sweeter” e “Home” mostrano un uomo adulto che guarda alla sua passata giovinezza con una dolce malinconia e un po’ di rancore.
Con questo disco Mac DeMarco non mostra soltanto la maturità di un artista capace di creare brani interessanti con mezzi essenziali, ma anche un atteggiamento profondamente anarchico che ci permette di considerarlo un moderno Bob Dylan: un musicista arrivato a una tale fama da potersi permettere di seguire esclusivamente la propria visione, ignorando aspettative dei fan e le logiche del mercato.
Nonostante però l’album si distingua per una forte coerenza e maturità sia dal punto di vista produttivo che di scrittura, soffre di un limite evidente: la monotonia. La scelta di mantenere sempre lo stesso registro sonoro, senza variazioni significative di ritmo o atmosfera, finisce per appesantire l’ascolto.
Voto 7/10