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Terza giornata MiTo Settembre Musica

Prosegue con slancio la programmazione di Mito Settembre Musica nell’ambito del progetto Mitjia e gli altri, dedicato all’universo musicale di Šostakovič.
Dopo il sold out al Teatro alla Scala il 4 settembre, il giorno seguente il pianista Seong-Jin Cho e la London Symphony Orchestra, diretta da Sir Antonio Pappano, sono saliti sul palco del Lingotto, accolti da un pubblico trepidante di attesa e meraviglia.

Il programma ha tracciato un arco musicale ricco di contrasti: dall’eleganza della “Overture” tratta da Semiramide di Rossini, alla poesia romantica del Concerto n° 2 di Chopin. Protagonista della seconda parte del concerto è stata la Sinfonia n° 9 di Šostakovič, anticonvenzionale e specchio di una rivoluzione novecentesca; infine, un inno impetuoso e giovanile in forma di poema sinfonico: Juventus di Victor de Sabata.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Appena varcata la soglia della sala, la presenza imponente dei violini, disposti simmetricamente ai lati del direttore d’orchestra, ha stupito il pubblico. Un impatto visivo potente che si è presto trasformato in un’esperienza sonora coinvolgente.

Si potrebbe dire che il crescendo sia stato il filo conduttore di tutto il concerto, non solo nella “Overture” di Rossini, ma come principio che ha attraversato ogni brano. La London Symphony Orchestra, diretta dall’espressività di Pappano, ha creato uno slancio orchestrale raro: ogni composizione ha rivelato al suo interno una progressiva espansione sonora. Ma ciò che ha colpito è stata la trasformazione complessiva dell’orchestra lungo l’intero concerto: dall’attacco brillante del primo brano sino all’impeto finale di Juventus, l’orchestra ha mostrato una crescita di potenza e compattezza sonora, come se ogni pezzo avesse alimentato il successivo in un progressivo accumulo di energia. La forza espressiva dell’orchestra ha pian piano raggiunto il suo apice, avvolgendo interamente il pubblico.

La “Overture” è iniziata con un crescendo rapido, presto culminato in tre accordi in ff che hanno concluso con energia la prima sezione. Con una melodia sognante, solenne, i corni hanno dato voce alla cantabilità dell’Andantino, esaltando la padronanza dell’orchestra anche per le sezioni melodiche. Come un piccolo concentrato dei temi principali della Semiramide, la “Overture” ha dipinto un quadro vivido, drammatico ma energico e gioioso. Dalla direzione di Pappano è trasparito con forza il suo profondo legame con l’opera italiana, un amore che si traduce in una lettura capace di travolgere con energia e allo stesso tempo di commuovere l’ascoltatore.

È poi arrivato il momento del giovane pianista Seong-Jin Cho: classe 1994, nel 2015 ha vinto il Concorso Internazionale Chopin di Varsavia e ha poi collaborato con diverse orchestre in tutto il mondo consolidando la propria fama internazionale.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

I Concerti chopiniani sono stati, in passato, oggetto di critiche da parte di musicisti e studiosi che hanno evidenziato una certa trascuratezza nell’orchestrazione. L’orchestra, infatti, assume prevalentemente il ruolo di sostegno, fungendo da cornice sonora al protagonista: il pianoforte.

La tecnica impeccabile e il controllo assoluto di Seong-Jin Cho hanno rivelato, tra le pieghe della perfezione formale, una sottile assenza: quella della vibrazione emotiva capace di raggiungere le corde più profonde dell’ascoltatore. Nonostante questo, Cho si è mosso con naturalezza sulla tastiera, generando un vortice infinito di note, come un fiume impetuoso che scorre senza tregua. Orchestra e pianoforte sono diventati l’uno l’estensione dell’altro: dove l’orchestra non riusciva ad arrivare, giungeva il pianoforte; dove il pianoforte si fermava, l’orchestra prendeva il testimone e proseguiva il discorso musicale. Erano due organismi complementari che non potevano fare a meno l’uno dell’altro. E così, ciò che un tempo veniva considerato un limite dell’orchestrazione chopiniana si è trasformato in una risorsa che ha creato equilibri. Da semplice sfondo sonoro, la London Symphony Orchestra è diventata voce attiva nel dialogo ora dolce e malinconico, ora frenetico ed energico.

Il concerto è poi proseguito con la Sinfonia n° 9 di Šostakovič. Quando la compose, Šostakovič sovvertì le aspettative del regime sovietico che si prefigurava un’opera celebrativa e patriottica a completamento della “Trilogia bellica” (inaugurata con la Settima sinfonia e proseguita con l’Ottava). Il compositore, tuttavia,compose una sinfonia che di monumentale ha ben poco, se non nella finezza della scrittura. Costruita su un umorismo sarcastico, la Sinfonia sembra deridere il conformismo borghese, e forse lo stesso regime.

Il carattere ironico e leggero è stato ben espresso nel primo dei cinque movimenti (Allegro): l’ottavino, che si è ritagliato uno spazio ampio e sembrava commentare con sarcasmo la scena, ha suonato una melodia vivace, brillante e quasi caricaturale, basata su note brevi e sincopate che ricordavano la musica da circo. A questo intervento sono seguiti colpi secchi del rullante, quasi militareschi, e due note del trombone nel registro grave.
La melodia nel corso del primo movimento è stata ripresa e trasformata dall’orchestra: il tema è passato in un registro più grave e l’atmosfera è cambiata, diventando cupa e a tratti tragica. La London Symphony Orchestra è riuscita ad esprimere al meglio questi cambi repentini di umore e toni, controllando timbri e dinamiche alla perfezione e permettendo agli interventi solistici (dei fiati) di emergere in tutta la loro potenza espressiva.

Foto di Alessio Riso per Colibrì Vision

Il secondo movimento, dal tono più lirico e meditativo, ha sorpreso lo spettatore con un’improvvisa immersione in una melodia delicata, malinconica e introspettiva. Il clarinetto solo ha aperto il movimento con un canto sospeso, trasformato poi dal flauto traverso in una melodia dal carattere misterioso e interrogativo. Gli archi, con frasi brevi e ascendenti, hanno amplificato questa tensione, come alla ricerca di qualcosa di irraggiungibile.
La carica energica, frenetica e brillante è tornata ben presto nel terzo e nel quinto movimento. Solo il Largo (quarto movimento) ha introdotto una pausa di riflessione che sembrava evocare le ferite della guerra. Il carattere drammatico, funebre, si è trasformato poi in un Allegretto vivace che con un crescendo giocoso ha chiuso la sinfonia.

A concludere il concerto è stato Juventus, un poema sinfonico che intreccia la brillantezza della “gioventù” con temi romantici e pensosi. L’energia non è mai venuta meno: la potenza sonora dell’orchestra ha travolto con forza il pubblico.
Come inatteso omaggio, il pubblico torinese ha ricevuto infine un «piccolissimo regalo» da Sir Antonio Pappano e dalla London Symphony Orchestra: la “Prima danza ungherese” di Brahms, eseguita con leggerezza ed entusiasmo.

A differenza del concerto inaugurale del Festival, Pappano ha deciso di offrire al pubblico un’esperienza senza silenzi contemplativi, ma ricca di vibrazioni. La musica ha parlato senza interruzioni e con intensità.

Ottavia Salvadori

In missione per conto di Chopin

Un pianoforte, un compositore e tre interpreti per quattro concerti.

La rassegna, organizzata da Unione Musicale, si intitola Festival Chopin, ed è ovviamente dedicata al compositore polacco. A interpretare le sue pagine sono tre giovani musicisti: Matteo Buonanoce, Maria José Palla, David Irimescu, tutti formati presso il Conservatorio di Torino. Siamo stati al Teatro Vittoria per il concerto pomeridiano del 28 maggio per sentire questi talenti nascenti confrontarsi con un repertorio variegato e complesso. 

Il primo ad esibirsi è Matteo Buonanoce, torinese classe 2005, che propone i Due notturni op. 48. La sua esecuzione è coinvolgente, il pianista si muove sulla panca, si avvicina col busto alla tastiera o alza lentamente le spalle alla ricerca continua di una precisa espressività. Soprattutto nei momenti di maggior frammentazione del dettato, in cui si susseguono cellule melodiche diverse, Buonanoce riesce a dare una visione intensa della musica di Chopin.

Foto da cartella stampa di Unione Musicale

Dopo è il turno di Maria José Palla, che esegue Quattro mazurke op. 30 e il Valzer op. 64 n° 3, due composizioni caratterizzate da raffinatezza e rimandi alla musica popolare polacca. La pianista ondeggia dolcemente, il suo tocco sulla tastiera è sempre costante, senza esitazioni, dimostrando buona capacità interpretativa e anche comprensione emotiva di una musica energica e appassionata ma anche nostalgica ed evocativa. Nel Valzer si insegue uno stato di gioia, non frivola, ma cosciente delle ansie e dei tormenti: la pianista lo esegue con lucidità, senza eccedere in superflui compiacimenti malinconici.

Foto di Marco Carino

Conclude David Irimescu, pianista italo-rumeno, con il Notturno op. 37 n° 1, i Valzer op. 34 nn. 2-3 e la Ballata n° 2 op. 38, che costituiscono la seconda metà del concerto. Il musicista entra in sala con passo deciso e si prende il tempo di trovare la giusta concentrazione prima di iniziare. L’aspetto interpretativo è ancora più rilevante, qui, trattandosi di brani dai caratteri diversi. David cambia stile con agilità: nel primo brano dilata il lento come a voler cullare chi ascolta, ma sottolineando molto gli abbellimenti, mentre negli altri due è molto più vivace, facendo emergere i forti contrasti ad esempio tra i due temi della Ballata, che vengono contrapposti in modo efficace e con attenzione alla dinamica. 

Foto di Luigi De Palma

Il pubblico applaude con entusiasmo i tre artisti, che alla fine del concerto si inchinano tutti insieme. Tre visioni personali e originali di un compositore la cui musica oggi è molto nota e presente a tutti, ma che spesso diventa un sottofondo o una posa intellettuale, invece sentire un’esecuzione dal vivo può essere un’esperienza più significativa. Tutta l’iniziativa ha avuto un buon riscontro di pubblico che, attratto in primo luogo dal repertorio in programma, ha avuto modo di scoprire e apprezzare nuovi interpreti.

Alessandro Camiolo

Quando la musica si trasforma da gioco a talento. Porrovecchio e Consonni al Conservatorio di Torino

I grandi virtuosi dell’Ottocento riuscivano ad incantare le platee con il loro modo di stare sul palco. Oggi, 13 marzo 2023, a stregare il pubblico sul palco del Conservatorio «Verdi» di Torino non sono i grandi del passato ma due giovani musicisti che sin da piccoli hanno abbracciato la strada della musica come bambini-prodigio: Riccardo Porrovecchio e Martina Consonni, un violinista ed una pianista poco più che ventenni che si esibiscono per la De Sono con un repertorio intenso e di ardua esecuzione.

Porrovecchio ha tenuto in mano il suo primo strumento musicale a soli quattro anni, un violino giocattolo ma che presto si è trasformato in un violino Guadagnini del 1849. Il gioco trasformatosi in una vera passione, lo ha portato a studiare in molte città europee. Musicista acclamato in festival e in rassegne internazionali nonché vincitore di numerosi concorsi, si esibisce come solista e in formazioni cameristiche. 
Consonni, invece, si è avvicinata al pianoforte in maniera naturale all’età di sei anni diventando la più giovane vincitrice al concorso Premio Venezia, tappa e sogno di molti giovani pianisti. Ha suonato in tutto il mondo, ma continua a perfezionarsi a Berlino e a Kronberg.

Passando da un virtuosismo espressivo ed energico come quello di Paganini fino al virtuosismo più intimo di Chopin, il duo ha dimostrato la sua grande capacità di alternare momenti decisi ad altri più intimi e delicati, rimanendo sempre affiatati l’uno con l’altro. 
Con grande scioltezza e naturalezza Porrovecchio è riuscito a gestire i cambi di ritmo e di tecniche di produzione del suono passando da pizzicati con la mano destra a pizzicati con la mano sinistra, da un colpo d’arco legato ad uno saltellato, da un glissando ad uno staccato. Una grande abilità tecnica che il “diabolus in musica” Paganini richiede.

Foto di Francesca Cirilli

Paganini, Chopin e Liszt: tre musicisti capaci di trasformare i virtuosismi in emozioni, in sentimenti o in ritratti dettagliati di personaggi operistici. Esempio ne è la Parafrasi sul Rigoletto che ha dato conferma della grande abilità di Consonni di gestire fiumi di note, e di immedesimarsi nel personaggio divertendosi con esso.

Nel Gran duo concertant sur “Le marin” di Liszt, la corsa concertante tra violino e pianoforte ha creato continui giochi musicali lasciando a bocca aperta tutti gli spettatori che non riuscivano a togliere lo sguardo dai fluidi movimenti del duo. Attraverso un dialogo equilibrato tra i due strumenti, il tema principale si è trasformato in variazioni che hanno messo in evidenza l’energia lisztiana.

Consonni è riuscita ad entrare nei brani e ad immedesimarsi nei vari sentimenti espressi dalle melodie. Energica ma allo stesso tempo leggera, ha suonato muovendosi velocemente nell’ampio registro sonoro.
Entrambi, con semplicità, hanno suonato gli strumenti “ai limiti dell’umanamente possibile” proprio come l’estetica del virtuosismo romantico richiedeva.

Foto di Francesca Cirilli

Allontanandoci dalle città dei grandi musicisti, con un brano di Pablo De Sarasate il concerto ha assunto un tocco di esotismo. Il pubblico, trasportato in un mondo spagnoleggiante, ha ascoltato temi popolari fusi ad un virtuosismo spettacolare che il Duo ha dimostrato poter essere ricco di sentimento.

Come ha affermato la pianista Consonni durante la lezione concerto tenuta all’Università di Torino la mattina del concerto «Le accademie di perfezionamento italiane sono tutte private. Anche all’estero ci sono numerosi costi da sostenere». La De Sono, in questo senso, sta dando un grande supporto a molti giovani musicisti che vogliono studiare e vivere per e di musica. Per ringraziare l’impegno dell’Associazione, i due giovani talenti hanno concluso il concerto dedicando a Francesca Camerana, fondatrice della De Sono, un brano intimo e dolcissimo ma di grande potenza evocativa: l’Intermezzo dalla Cavalleria Rusticana.

A cura di Ottavia Salvadori

#PLAYITSAM : “Empire of the Sun” di Steven Spielberg

The ceremony of innocence is drowned (W. B. Yeats)

Se c’è un compositore che più di tutti è stato il cantore del sentimento della nostalgia, questo sicuramente è Fryderyk Chopin. Il cinema ne ha fatto un uso pressoché costante lungo tutta la sua storia, ma uno dei film che ha saputo cogliere con maggiore felicità le possibilità espressive offerte dall’universo musicale del compositore polacco è stato Empire of the Sun (1987) di Steven Spielberg.

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Ivo Pogorelich all’Unione Musicale

Il 27 novembre si è esibito a Torino Ivo Pogorelich, provocando nel più sabaudo di tutti i Conservatori un rimestìo di interesse per il grande evento, corredato di sala stracolma, facce note di critici e musicologi insigni e ingresso stipato di appassionati che tentavano di accaparrarsi un posto all’ultimo minuto. Il programma copriva tre secoli di storia della musica: il Settecento con la Suite Inglese n. 3 di Bach; l’Ottocento con la Sonata op. 22 di Beethoven, la Barcarolle e il Preludio in do diesis minore op. 45 di Chopin; il Novecento con Gaspard de la nuit di Ravel.

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