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RockIsh Festival: allo sPAZIO211 il rock alternativo italiano

Sono ben sette le band della seconda edizione del RockIsh Festival 2023, tutte in una sola e scoppiettante serata: è il 9 luglio e allo sPAZIO211 l’appuntamento, realizzato in collaborazione con la casa di produzione discografica Pan Music, è finalmente alle porte. Tra il main stage affacciato sul prato – futuro teatro del TOdays a fine agosto – e il side stage collocato sulla sinistra, i presenti fanno la spola in fibrillazione, gasati a buon diritto da una line-up che abbraccia la musica alternativa con un rock, un punk e un metal tutti italiani (soprattutto torinesi, ma non solo). Troviamo in maggioranza un pubblico di giovani e giovanissimi; a disposizione delle band – almeno, delle prime sei – c’è una mezz’ora ciascuno. Si parte alle 20.

Domani Martina. Credits: Lunasoft Video

I Domani Martina aprono le danze sul main stage. Il quintetto si contraddistingue da subito per un suono rock deciso, in cui risaltano i riff di chitarra, protagonisti insieme a un cantautorato degno di merito; i ritmi cadenzati – spesso e volentieri si tratta di groove danzabili in levare – fanno il resto, e lo fanno bene. “Uno come me” racchiude tutte queste caratteristiche, accendendo una platea ancora sparuta ma in vena di saltare a tempo e cantare sotto il palco, stuzzicata inoltre dalla cover di “Charlie fa surf” dei Baustelle: il primo round si conclude spaccando il secondo, con premesse eccellenti per il prosieguo.

Breathe Me In. Credits: Lunasoft Video

Pochi secondi e ci si fionda tutti sotto il gazebo del side stage, dal quale i Breathe Me In chiamano a raccolta i presenti. La band, attiva da 15 anni, propone brani dai tratti aggressivi, nei quali hardcore, metal ed elettronica non scendono a mezzi termini in una commistione vincente (vedasi l’esordio con “Animali Feriti”); la voce è intensa, nel registro acuto, e lo scream ci sta come il cacio sui maccheroni. Quel flirt con il pogo, solo vagheggiato in precedenza, ora diventa un matrimonio che s’ha da fare: complice lo spazio ristretto, il pubblico entra in contatto a più riprese, fomentato dallo stesso cantante. Una gran bella carica.

Tonno. Credits: Lunasoft Video

In uno schiocco di dita si fanno le 21; nel chiarore serale la folla torna sul prato, dove il gruppo toscano dei Tonno si è preso la scena. I riff sono semplici ma mai banali, in un pop rock con manifeste influenze emo. La voce qui graffia, quasi dà forma ai testi; dietro un’apparenza scanzonata, questi suggeriscono un disagio, vago o profondo, che sembra trovare radici nel quotidiano. Stasera, però, nulla ferma la voglia di ballare: “Fettine panate” è una hit indiscussa, perfetta per accompagnare il tramonto, e di certo rimarrà in testa a qualcuno nei giorni a venire («Ci sparavamo quei video / ci guardavamo quei video / delle fettine panate / dopo aver fatto l’amore»).

BRX!T. Credits: Lunasoft Video

Pronti, via, altro giro. Il quarto turno è dei BRX!T (pronunciato “Brexit”), quartetto che manda in estasi gli spettatori più energici. Il loro rock sa essere incisivo, pur lasciando sfogo ad aperture melodiche più pulite: un esempio di questo incrocio è dato da “Notti a caso”, brano lento ma grintoso che tanto si addice a questa serata in periferia, fatta di musica, incontri, afa e zanzare. Anche la sezione ritmica è da applausi, con un basso che sa decisamente il fatto suo e una batteria scatenata tra piatti forati e jam-block. Il pubblico si fa man mano più voluminoso: l’atmosfera è satura e gli spazi vuoti diminuiscono a vista d’occhio.

Madbeat. Credits: Lunasoft Video

Di nuovo il main stage, dove scalpitano i Madbeat, band di stanza tra Torino e Cuneo con dieci anni di attività alle spalle. La loro è un’impronta ben marcata: pop punk, senza se e senza ma. Attraverso strofe serrate e ritornelli esplosivi, il gruppo nei suoi versi racconta di un desiderio di rivalsa, delle fatiche e delle ansie di ogni giorno che costellano gli orizzonti urbani; un riscatto profuso nella freschezza giovanile di altre notti, stavolta proprio le “Notti Punk”, quelle che vengono prima dei giorni «con cui fare a botte». Altri due artisti si accompagnano al gruppo in due featuring: sono il rapper torinese Mauràs e il cantante Fabio Valente degli Arsenico. Si continua.

THE UNIKORNI. Credits: Lunasoft Video

Sesto round, un quarto d’ora dopo le 22. Nel side stage si presenta un duo, composto da una batterista e un cantante/chitarrista, se si esclude il peluche di un animale fantastico posizionato sulla cassa: THE UNIKORNI è il nome del progetto. La spinta è molto forte, con un grunge dai suoni ruvidi, dagli stacchi potenti e una vocalità spesso filtrata, che vola alta sulle ottave. Le tematiche sono più che attuali: la libertà di fare scelte sul proprio corpo, il successo degli influencer e le aspettative della società verso un individuo che non può permettersi di mostrarsi debole o avere paura. Di questo in particolare parla “CREPO/VIVO”, pezzo abrasivo e originale; lo sPAZIO è ora al completo.

Punkreas. Credits: Lunasoft Video

Gli headliner della serata sono i Punkreas, storica formazione proveniente dall’hinterland milanese e dal lontano – ormai lontanissimo – 1989. È soprattutto qui, com’era ovvio, che si palesano diversi fan di vecchia data, a variegare la composizione generazionale del pubblico. La musica della band (nomen omen), declinata in diverse fogge dall’hardcore allo ska punk, definisce uno stile mantenuto con coerenza in più di trent’anni; tanti i brani più iconici, tra cui “Il vicino”, “La canzone del bosco” e “Sotto esame”, mentre da Electric Déjà-Vu, ultimo album uscito lo scorso marzo, sono tratti pezzi come “Mani in alto” e “Tempi distorti”. Come prima e più di prima, si poga fortissimo, in un tripudio di polvere e corpi sudati sul prato, con qualcuno che fa addirittura crowd-surfing; tra ironie pungenti, stoccate al Dalai Lama e numerosi botta e risposta con la folla, un’ora abbondante passa veloce. Non prima di concludere con il selfie di rito post-concerto e una freddura dal sapore altopadano rivolta ai presenti: «Sembravate di Villarboit» (comune a nord di Vercelli da cui l’omonima area di servizio lungo l’A4, n.d.r.).

Il dj-set finale. Credits: Lunasoft Video

È quasi mezzanotte quando il RockIsh termina, lasciando spazio a un dj-set (ancora: pop punk) per chi non è stanco di muoversi, nemmeno in una torrida domenica sera di luglio; un evento divertente e ben organizzato, con ospiti di qualità e un’offerta eterogenea ma assortita nel migliore dei modi. Lo sPAZIO211 si conferma punto di riferimento assoluto per il panorama musicale, locale e non: una realtà che sa valorizzarsi e farsi apprezzare in ogni occasione.

A cura di Carlo Cerrato

Stupinigi Sonic Park: gli Interpol alle OGR di Torino

Officine Grandi Riparazioni, un’afosa serata di inizio estate: il 26 giugno, a Torino, suonano gli Interpol, band newyorkese attiva da ben 25 anni, che inaugura l’edizione 2023 dello Stupinigi Sonic Park. Un pubblico nutrito, formato da persone di ogni età, varca i cancelli alle 20:15 per riversarsi nella Sala Fucine, dove l’aria condizionata dona grande refrigerio: l’occasione ha attirato i fan del complesso, che qui, a differenza di altri eventi – come il 24 giugno agli I-Days di Milano, dove aveva aperto il concerto di Paolo Nutini – è headliner della serata.

Petrol. Da sinistra: Nino Azzarà, Valerio Alessio (batteria), Franz Goria, Dan Solo. Foto: Elisabetta Ghignone

Alle 20:30 sul palco salgono i Petrol, gruppo torinese che torna live dopo ben 12 anni dall’ultimo concerto. La band propone una breve scaletta di brani tratti dal primo album, “Dal fondo” (2007), e da “L’amore è un cane” (2009): il suono è quello di un energico rock alternativo italiano, orientato verso il grunge, attento alla qualità dei testi e alla potenza quasi oscura delle musiche. Alla voce troviamo Franz Goria, già membro dei Fluxus; al basso c’è invece Dan Solo, ex musicista dei Marlene Kuntz. Completano il quadro Valerio Alessio alla batteria e Nino Azzarà alla chitarra. I Petrol si fanno apprezzare sia da chi già li conosce e li segue dagli esordi, sia da chi li scopre questa sera: da segnalare il brano d’apertura, “Nel buio”, e soprattutto “Il nostro battito del cuore”, dove i versi di denuncia sociale incontrano una parete sonora melodica e al tempo stesso poderosa. Per loro, un ritorno efficace sulla scena e un concerto davvero meritevole, per quanto breve.

Il frontman degli Interpol, Paul Banks. Foto: Elisabetta Ghignone

È ancora presto: sono le 21 in punto quando la band libera il palco, inaugurando un’attesa di più di mezz’ora per gli Interpol. Quando le luci finalmente si spengono, Paul Banks e i suoi fanno il loro ingresso; il cantante, occhiali scuri e capelli pettinati all’indietro, porge un rapidissimo saluto alla folla («Ciao! Grazie!»), prima che il chitarrista Daniel Kessler, adattato al piano per il primo brano, attacchi l’intro di “Toni”, tratta dall’ultimo album “The Other Side of Make-Believe” (2022). Il gruppo introduce subito un’atmosfera cupa, peculiare del suo stile: spesso l’illuminazione posteriore – dove a dominare è il colore rosso – risalta la silhouette dei musicisti, che suonano con una freddezza e un’eleganza ricercate. Il secondo brano è “Obstacle 1”, tratto dal primo e celebratissimo lavoro “Turn On the Bright Lights” (2002), ed è qui che la serata sembra promettere un crescendo. Promessa mantenuta?

Da sinistra: Brandon Curtis, Paul Banks, Brad Truax. Foto: Elisabetta Ghignone

La musica, naturalmente, è espressa nella sua qualità dagli interpreti: oltre alle chitarre (divise tra lo stesso Banks e un concentrato Kessler, che gli ruba la scena), sono notevoli i riff quasi solistici del basso suonato da Brad Truax. Le parti strumentali sanno essere a tratti incisive, come nelle coppie di note della drammatica “Pioneer to the Falls” o come nell’intro di “Narc”, a tratti ancorate a intrecci più elaborati, come in “Fables” o “Leif Erikson”; a completare la sezione melodica, le tastiere di Brandon Curtis. Nonostante le premesse e il calore dei presenti, scatenati soprattutto su pezzi di vecchia data tra cui “Evil”, “C’mere” o “Rest My Chemistry”, il concerto non decolla del tutto e quasi pare che manchi qualcosa. È un po’ come se il mood austero degli Interpol avesse soggiogato anche la platea: di certo la loro produzione nasce per un ascolto impegnato – come testimoniano, tra le altre cose, i complessi testi ad opera di Banks – eppure, a prescindere dal buon livello dell’esibizione, si avverte tra il pubblico un vago sentore di pesantezza.

Il batterista Sam Fogarino. Foto: Elisabetta Ghignone

Una postilla a parte merita il batterista, Sam Fogarino. Nulla da dire, se non di positivo, rispetto al talento e alla creatività dell’artista (specie con i tempi dispari e il groove articolato di “Into the Night”); impossibile però non notare le pericolose oscillazioni metronomiche in cui ogni tanto incappa. Si sa, la musica dal vivo è tutt’altra cosa rispetto a quella registrata in studio (e va benissimo così), ma qui la mancanza di equilibrio risulta evidente e alcune canzoni ne escono di molto velocizzate – è il caso di “Stella was a diver and she was always down”, sulla quale qualcuno addirittura riesce a pogare – oppure in bilico tra rallentamenti e accelerazioni improvvise. Le quali, se non altro, rendono più umano un live dominato da una compostezza indomita, che sembra non potersi e non volersi sciogliere.

La band in rosso e nero. Sulla sinistra il chitarrista Daniel Kessler. Foto: Elisabetta Ghignone

Dopo una breve pausa, il gruppo torna sul palco con gli ultimi tre pezzi: a chiudere la serata, intorno alle 23, è “Slow Hands”, altro celebre brano dal secondo album “Antics” (2004). Solo sul finale la folla dà l’impressione di accendersi, chi saltando, chi muovendo le mani a tempo, a manifestare la propria partecipazione e rendere omaggio a una band di caratura internazionale e di indiscusso valore. Nel complesso, si può parlare di uno show piacevole, di un’opportunità da non perdere per incontrare gli Interpol e godere di persona della loro opera: opportunità che i numerosi presenti hanno colto con gioia, anche se forse non tutti sono usciti con addosso la stessa soddisfazione. Il prossimo appuntamento con Stupinigi Sonic Park è segnato al 4 luglio, quando alla Palazzina di Caccia suoneranno i Simply Red.

A cura di Carlo Cerrato

Premio Buscaglione, finale: Torino celebra la musica emergente italiana

La finale della settima edizione del Premio Buscaglione è arrivata: dopo essere stati allo sPAZIO211 e all’Off Topic, il 6 maggio siamo sulle sponde del Po, al CAP10100, in una sera fresca ma gradevole. Il concorso ha visto arrivare a Torino diverse band da tutta Italia (sei gli artisti per ciascuna serata, e questa non fa certo eccezione), a contendersi il plauso della critica e a mostrarsi ai presenti, affamati di musica nuova di zecca; è giunto il momento di decretare quale, tra le tante proposte, conquisterà la prestigiosa posta in palio.

Quest’anno i presentatori sono la speaker radiofonica Claudia Losini e l’autore televisivo Sebastiano Pucciarelli, che introducono la serata con un programma leggermente diverso dalle precedenti: se in queste, infatti, le band emergenti a esibirsi erano cinque, seguite da un ospite (Post Nebbia il 4 maggio e Yosh Whale il 5), nella finale si sfidano le due band selezionate in ciascuna serata, per un totale di quattro progetti emergenti. A chiudere l’evento, fuori concorso, ci saranno il cantautore emiliano Dente e i corregionali Gazebo Penguins.

UFO BLU. Foto: Elisabetta Ghignone

I primi a salire sul palco sono i bergamaschi UFO BLU, originale quartetto caratterizzato da un sound ibrido, che fonde elementi di rock e funk, con qualche richiamo più o meno esplicito al dream pop. Il frontman si muove sul palco scanzonato, e canta i suoi versi con tono ironico ed autoironico, avvolto nel suo look anni ’70 (impossibile non menzionare la sua canotta bianca e soprattutto quei baffi). I musicisti, tutti giovani studenti di ingegneria, ottengono l’apprezzamento e le simpatie dei presenti; come da prassi, reinterpretano inoltre un brano dell’artista cui il premio è dedicato, ovvero “Una sigaretta”. Tra gli inediti, è di sicuro da segnalare il primo brano “Cresci bambino”; l’esibizione, complice la breve durata dei pezzi, termina rapidamente, ma lascia il segno per la carica trasmessa in apertura dell’evento.

Hey!Himalaya. Foto: Elisabetta Ghignone

È poi il turno degli Hey!Himalaya, un gruppo di ragazzi lecchesi ritrovatisi a Bologna, i quali propongono un intreccio musicale eterogeneo. I loro pezzi si muovono tra il folk rock e l’elettronica – anche qui sono presenti suggestioni dream pop – marcando subito una cifra stilistica propria, oltre a evidenziare una certa maturità artistica ed esecutiva. Anche l’immagine fa la sua parte: il cantante sfida le temperature indossando un dolcevita; il tastierista ci tiene invece a suonare rigorosamente a piedi scalzi. Il finale, con le atmosfere cangianti della loro “Cantilena violenta”, corona l’esibizione nel migliore dei modi; la cover di Buscaglione in questo caso è “Lontano da te”, che viene resa quasi irriconoscibile, a testimonianza della grande inventiva dei musicisti.

Miglio. Foto: Elisabetta Ghignone

Ad andare in scena è in seguito la bresciana Miglio, e subito le vibrazioni della serata slittano verso il pop e l’elettronica vera e propria, che assume spesso sfumature più cupe; la cantautrice si presenta in duo con un polistrumentista, il quale alterna i sintetizzatori e il basso, occupandosi anche delle basi dei pezzi. Il punto di forza dell’artista, oltre che nella qualità dell’interpretazione e della voce, risiede nei testi, dove si percepisce un’autorialità ben delineata: la sua scrittura, come peraltro riferito da Losini nella breve intervista post-esibizione, combina infatti serie di immagini a tratti evocative, a tratti vivide e sensuali (l’esempio perfetto è “Techno Pastorale”). Il brano di Buscaglione stavolta è “Buonasera signorina”, con sola voce e chitarra; una performance di livello, condotta con grande personalità e consapevolezza dei propri mezzi lirici e musicali.

Candra. Foto: Elisabetta Ghignone

Ultimo finalista è Candra, artista proveniente da Livorno, che riporta la piega dello show nella sfera del rock. Con una vocalità graffiante, il cantautore alterna brani più distesi, in cui chitarra elettrica e piano sono spesso gli unici strumenti accompagnatori, a una cover dal piglio quasi sognante (“Che bella cosa sei”), per poi arrivare al gran finale, con “Zitti”. Il pezzo inizia quasi in sordina, per poi liberare le sue sembianze punk nel potente e orecchiabile ritornello, uno di quelli che rimangono in testa per davvero. Candra si distingue per il modo genuino e convincente col quale mette in musica tematiche delicate, trattate con testi che colgono nel segno e ne evidenziano il peso e la portata personale.

Dente. Foto: Elisabetta Ghignone

È ora la volta del primo dei due artisti fuori gara: Losini, Pucciarelli e Gigi Giancursi, ex membro dei Perturbazione, introducono sul palco Dente, cui viene consegnata la Targa Gran Torino, destinata a un autore che abbia, citando Pucciarelli, «incarnato la natura migliore del cantautorato italiano». L’artista originario di Fidenza si esibisce in solitaria con la sua chitarra acustica: il primo pezzo suonato è “Saldati”, ormai di lunga data, mentre “Allegria del tempo che passa” è una nuova e frizzante uscita. Tra le canzoni, tutte ammantate di una piacevole leggerezza, scappa qualche fugace scambio di battute col pubblico; l’omaggio a Buscaglione non lo salta neppure lui, e la sua versione di “Guarda che luna” – tra le più celebri ballads dello showman torinese – conquista tutti i presenti, forse anche per la spontaneità informale restituita.

Gazebo Penguins. Foto: Elisabetta Ghignone

Ospiti d’eccezione, a chiudere questa lunga traversata, i Gazebo Penguins. Il quartetto di Correggio si presenta al culmine dell’attesa dei numerosi fan: adesso è il momento di scatenarsi. La musica spazia tra l’emo, il punk e soprattutto l’hardcore, anche se non mancano nemmeno qui i sentori elettronici; la scaletta è naturalmente più estesa delle precedenti, e il pubblico più caldo coglie l’occasione per darsi a un pogo forsennato durante la maggior parte dei brani (come in “Soffrire non è utile” o “Cpr14”, per citarne qualcuna). I riff aggressivi, le parti vocali cantate in coppia e il muro sonoro, generato anche grazie a un’importante quantità di amplificatori, caratterizzano un concerto grintoso, che chiude sulle note di una delle canzoni più conosciute del gruppo: “Senza di te”.

La premiazione ha così luogo dopo una sostanziosa scorpacciata musicale: a vincere la settima edizione del Premio Buscaglione sono gli Hey!Himalaya, i quali si aggiudicano il titolo di Next Big Thing italiana. Loro anche il Premio Booster; a Miglio vanno invece il Premio della Critica, il Premio Sold-Out e il Premio Riflettori. È la degna conclusione di una rassegna scoppiettante, piena zeppa di talenti che hanno saputo mettersi in mostra, farsi conoscere e soprattutto divertirsi, illuminando per tre serate consecutive la scena torinese e tagliando l’ennesimo nastro della nuova musica italiana.

A cura di Carlo Cerrato

Reinhold Release Party: Gli Alberi al Magazzino sul Po tra le arti e l’alpinismo

Il 17 dicembre la band torinese Gli Alberi ha presentato il suo ultimo disco, intitolato Reinhold, al Magazzino sul Po. Il titolo è una dedica a Reinhold Messner, e rimanda al toccante racconto della spedizione in cui l’alpinista, nel 1970, vide morire il fratello minore Gunther, durante una scalata sulle pendici del Nanga Parbat, in Pakistan. La storia si dipana lungo le tracce del concept album, ma non solo: l’evento è infatti una felice commistione di momenti di incontro e versanti artistici differenti.

Verticalife. Credits: Luca Maccario

In apertura prendono la parola diverse personalità legate al mondo dell’alpinismo: il primo è Enrico Ferrero, accompagnatore di escursionismo presso il CAI, il quale riporta testimonianze e aneddoti, seguito da tre rappresentanti del tour operator Verticalife, che raccontano i modi di vivere la loro passione. È poi il turno dell’illustratore Simone Mostacci, i cui suggestivi dipinti – ad acquerello e digitalizzati, esposti alle pareti – costituiscono le grafiche del disco.

Simone Mostacci. Credits: Luca Maccario

Ha così inizio la parte musicale della serata. Il duo Corazzata Jazz della Morte, costituito da Federico Pianciola – produttore di Reinhold – e Jacopo Acquafresca, attiva le frequenze di un’elettronica immersiva: i bordoni iniziali si addensano in un crescendo di stridori e rumori concreti, quasi materici, che rievocano le sperimentazioni avanguardistiche del secolo scorso. Il risultato è una sonorità inquietante e distorta, propedeutica al prosieguo della serata.

Corazzata Jazz della Morte. Da sinistra: Federico Pianciola e Jacopo Acquafresca. Credits: Luca Maccario

I membri del complesso prendono dunque posto. Da subito emerge la carica di Davide Quinto, bassista letteralmente scatenato nel cavalcare il fervore del pubblico, oltre a tenere i brani sui binari giusti e ad accompagnare la voce principale con growl e scream taglienti, come perfetto contraltare della cantante Arianna Prette. Le corde di quest’ultima rappresentano la parte più delicata del sound ricercato dagli Alberi, che si esprime soprattutto durante gli arpeggi de “La danza pallida”.

Gli Alberi. Da sinistra: Davide Quinto, Arianna Prette, Daniele Varlonga, Matteo Candeliere, Giovanni Bersani. Credits: Luca Maccario

La vicenda si articola anche in brevi intermezzi narrativi, raccontati da Mattia Macrì, già voce della band Post-Kruger. Non si tratta dell’unico ospite: per “Noialtri” è Narratore Urbano a prendere il microfono, apportando alla musica il suo stile cantautorale, in un testo colmo di concitazione. La scaletta prosegue rapida e i presenti calcano gli accenti del ritmo saltando, muovendo la testa e il corpo: il tutto dettato, oltre che dal basso, dalla batteria di Daniele Varlonga, ricca di inventiva, sulla quale il chitarrista Matteo Candeliere ricama i suoi riff incisivi.

Gli Alberi feat. Narratore Urbano. Credits: Luca Maccario

Eccezion fatta per “Hiems”, pezzo dalle tinte intimiste per voce e piano – suonato da Giovanni Bersani, che si spende anche in chitarra ritmica, percussioni, cori – e per l’interessantissima “Vuoto alle spalle”, le cui melodie abbracciano scale dal sentore esotico, l’album resta fedele al genere metal, anche se con declinazioni eterogenee. Da menzionare “Aspettami”, canzone dalle atmosfere alterne con finale a cappella, mentre “Sindrome del terzo uomo” è citabile per l’energia cupa e prorompente.

Le due chitarre, Matteo e Giovanni. Credits: Luca Maccario

La conclusione si consuma in un acclamato bis, nel quale Gli Alberi ripropongono un loro classico di lunga data: “River God”. Saluti e ringraziamenti finali sigillano una serata piacevole; l’originalissimo format ha dato vita a un riuscito evento crossmediale, con il Natale torinese alle porte, sulle sponde del Po e di una fredda notte di nebbia.

A cura di Carlo Cerrato

Nella nicchia: VOLA live a Milano

Ogni fanbase ha dei gusti in comune. Nulla di più vero per i patiti del progressive metal: una nicchia – sì – ma che si presenta puntuale per i propri beniamini, trasformando i concerti in raduni, dove le facce sono ricorrenti. Non stupisce, infatti, che il pubblico approdato sabato 17 settembre al Legend Club di Milano per i VOLA sia lo stesso degli ultimi live dei Leprous, Haken (dove la band faceva da supporto) o dei TesseracT.  Quartetto danese, i VOLA si sono ritagliati in poco tempo un posto d’onore della comunità prog, forti di passaggi radiofonici anche in Italia (alcuni brani sono in rotazione su Radiofreccia e affini). Il tour attuale è incentrato su Witness, disco uscito lo scorso anno, per molti il loro lavoro migliore.

I VOLA si esibiscono sul palco del Legend Club di Milano (foto: Mattia Caporrella)

Oltre ai VOLA è prevista l’esibizione di altri due gruppi: primi in scaletta i Four Stroke Baron, band americana a cavallo tra Devin Townsend e Tears for Fears. Nonostante le canzoni ripetitive, il gruppo riesce a intrattenere grazie al bassista, che tra piroette e headbanging cattura l’attenzione del pubblico. Seguono gli australiani Voyager: il loro progressive metal di matrice synth-pop fa scatenare il parterre del Legend. La band racconta della loro mancata partecipazione all’Eurovision Song Contest di quest’anno con “Dreamer”, un brano dance pop, ma con chitarre distorte a sette corde. Sono loro la sorpresa della serata: il set è festaiolo e spiritoso, fra cori dedicati a Piero Pelù (data la somiglianza del vocalist Daniel Estrin al cantante toscano) e a Roberto Giacobbo, presentatore, appunto, di Voyager su Rai 2.

I Voyager all’opera. No, non è Piero Pelù. (foto: Dario Vignudini)

Il palco si fa blu: i VOLA entrano sulle note di “24 Light Years”. Si nota subito il batterista Adam Janzi, che si esibisce con grande intensità. La scaletta è una montagna russa: la partenza in crescendo culmina con “Stray The Skies”, un brano piuttosto aggressivo, dove il pubblico, fra moshpit e pogo, si fa sentire. Tuttavia questi durano poco, forse per la stessa natura della band: i VOLA sono specializzati nell’alternare riff di chitarra baritona sincopati che ricordano i Meshuggah, a ritornelli in pieno stile new-wave: Asger Mygind, come vocalist, viene spesso paragonato a Dave Gahan dei Depeche Mode. La band prosegue nel segno di questa dialettica, riuscendo a trasporre dal vivo il proprio sound in maniera ineccepibile. Particolare anche il light show, caratterizzato da neon e LED sincronizzati con la ritmica dei riff.

Il batterista Adam Janzi e il particolare light show al neon dei VOLA. (foto: Dennis Radaelli)

Si chiude con “Inside Your Fur”: ormai il Legend sta esplodendo di calore. Poco dopo si creano code per il merch, dove le band accolgono i fan tra saluti e foto. La serata finisce così: tanta stanchezza per lo show intenso, ma tanta ammirazione per i musicisti. I fan escono dal locale consci di poter ritrovare lo stesso ambiente al prossimo concerto “di nicchia”, sempre contenti di essere pochi, ma buoni.

Immagine in evidenza: Mattia Caporrella

A cura di Mattia Caporrella


TOdays Festival – Day Three, atto finale: l’indie rock anglosassone saluta Torino

Torino, domenica 28 agosto: la terza e ultima giornata del TOdays Festival si accende tra il fermento generale, per una serata che si preannuncia densa di musica interessante. La line-up accosta sapientemente le diverse sfumature di un indie rock tutto diviso tra il Regno Unito e gli USA: esordio e chiusura arrivano dalla Scozia, con gli Arab Strap ad aprire e il gran finale con i Primal Scream; i newyorkesi DIIV e gli inglesi Yard Act, nell’ordine, si spartiscono il ripieno dello show.

La golden hour è alle porte: quello che era un piccolo capannello in transenna, nel giro di poco si è trasformato in una folla nutrita ed effervescente. Che l’evento abbia inizio.

Arab Strap: il frontman Aidan Moffat. Credits: Martina Caratozzolo

La band di Aidan Moffat si presenta sui colpi serrati di un ritmo elettronico: è “The Turning of Our Bones”, che prende forma dal suo minimale riff di chitarra. Il frontman, look a dir poco coraggioso – camicia nera e jeans bermuda – attacca con un testo dalla metrica concitata, perfetto per una voce a tinte fosche come la sua. I suoni di chitarra, generalmente puliti, si mantengono su queste coordinate per tutto lo show, mentre il gruppo sfoggia una presenza poderosa nel suo stile caratteristico. I ritmi si infiammano con gli influssi dance in tempo dispari di “Compersion Pt. 1”, per poi distendersi drammaticamente con “New Birds” e riaccendere tutto nel finale, nell’elettronica forsennata di “The First Big Weekend”. Moffat si destreggia anche su un sintetizzatore e su un pad elettronico. Grande performance, contrassegnata in larga misura da mood musicali e testuali vagamente – nettamente, in alcuni casi – sinistri.

DIIV: da sinistra, Colin Caulfield e Andrew Bailey. Credits: Martina Caratozzolo

È poi il turno dei DIIV, che si presentano ostentando un distacco solo di facciata. Zachary Cole Smith prende posto sul palco e presenta con poche parole la band: comincia così “Loose Ends”. La qualità live è ottima e incorpora le peculiarità della produzione musicale del gruppo: protagonisti assoluti gli intrecci melodici tra chitarre effettate, con echi onirici tra lo shoegaze e il dream pop. A prendersi la scena è il chitarrista Andrew Bailey, immerso con lo strumento in un mondo tutto suo, a partire dai capelli annodati in due trecce sulle spalle e dalle smorfie istrioniche che ne fanno un personaggio. Picchi di adrenalina durante “Under the Sun”, scandita a gran voce dai presenti, gli stessi che pogano sfrenati a partire dalla potentissima “Doused”, tratta dall’album d’esordio Oshin (di cui si festeggia il decennale), e fino alla fine della scaletta. Chiusura degna con “Blankenship”; merita una menzione anche la componente ritmica, con la devastante batteria di Ben Newman ed il basso di Colin Caulfield.

Yard Act: il frontman James Smith. Credits: pagina Facebook TOdays festival

Gli Yard Act, band più giovane della serata (formatasi 3 anni fa, con album d’esordio lo scorso gennaio), salgono sul palco con personalità: il cantante James Smith si contraddistingue prontamente per il suo fare loquace, prima di immergersi a capofitto nel groove deciso e scanzonato di “Dark Days”. Il batterista Jay Russell e il bassista Ryan Needham compongono un duo tagliente, ed è proprio lungo le coordinate del ritmo che la band inglese si muove, ritmo cui i pungenti riff chitarristici di Sam Shjipstone – apprezzabili e apprezzati – cedono in generale il passo. Molto orecchiabile “Land of the blind”, molto incisiva la title track “The Overload”, molto accattivante “Rich”: il complesso mostra grande grinta, unita ad un atteggiamento spregiudicato di ispirazione quasi punk (o meglio, post-punk). Smith ama raccontarsi e raccontare le storie dietro ai brani, e la folla gli dà tutta la soddisfazione che merita la sua presenza scenica.

Primal Scream: il frontman Bobby Gillespie. Credits: pagina Facebook TOdays festival

Dulcis in fundo, i Primal Scream: le premesse sono ottime, specie se aggiungiamo l’hype generato intorno all’annunciata esecuzione di Screamadelica. La partenza sicuramente ha molta elettronica, con “Swastika Eyes”: Bobby Gillespie ha addosso i colori e il disegno del loro disco più famoso, suona le maracas, e naturalmente accentua il suo ruolo di leader. Anche con “Pills” e “Deep Hit of Morning Sun” – dedicata al compianto Mark Lanegan –la linea continua; a metà dell’esibizione, però, la rotta cambia improvvisamente, abbandonando le sonorità da rave per atmosfere più intime, come in “English Town”, oppure più classicamente rock, come nella celebre “Movin’ on Up” (primo pezzo tratto da Screamadelica) o in “Country Girl”. Morale della favola, i brani dello storico album sono soltanto due, tra cui “Loaded”, suonata in chiusura dopo aver fatto credere a tutti che il concerto fosse finito. Purtroppo, per quanto riguarda i Primal Scream sembra mancare qualcosa: lo si è percepito anche da una certa stanchezza (forse mista a delusione) aleggiante tra il pubblico. Evidente il gap tra le aspettative e l’offerta della band, che ha comunque regalato momenti divertenti e altri di vigore ed esaltazione.

Una timida pioggia ha iniziato a scendere proprio verso il termine dell’evento; nel complesso, una grande serata e una conclusione in bello stile per questa edizione del TOdays, che ha regalato spunti di rara bellezza dall’immenso patrimonio della musica indipendente. I quali, si spera, saranno fonte di ispirazione per migliaia di musicisti, e non solo a Torino.

A cura di Carlo Cerrato

Take care, take care, take care: la musica torinese in festa per il Sermig

Domenica 12 giugno. L’estate, alle porte della Falchera, viene inaugurata con una fervida serata all’insegna della musica, ospiti ben quattro complessi torinesi. Al Barrio va in scena Take care, take care, take care, un vero e proprio festival di beneficenza di ispirazione post-rock, i cui proventi sono stati destinati per intero al Sermig di Torino. L’atmosfera calza a pennello con le alte temperature: i musicisti, già conosciuti e ben affermati nel panorama cittadino, accendono un pubblico di età abbastanza variegata, tutt’uno nella voglia di divertirsi e godere dell’evento all’interno del locale.

Narratore Urbano sul palco del Barrio. All credits: Martina Caratozzolo

Intorno alle 21 apre le danze il Narratore Urbano, lasciando da subito la sua impronta personale, indicata con la calzante definizione di cantautorap. La poderosa carica del suo gruppo – assolutamente da segnalare la base ritmica – sposa testi densi e graffianti, tra immagini tenere dal fondo amaro (come in “Granchietti”) e la schietta denuncia sociale di “Sei, in un paese meraviglioso”. Una voce che urla al mondo, ottima tenuta di palco, presenti scatenati.

Post-Kruger.

Subito dopo è il turno dei Post-Kruger, che nell’affiatamento generale raccolgono il testimone con grande grinta. Le sonorità, spesso vagamente elettroniche, si snodano attraverso riff incisivi: dal tiro ribollente di “Kintsugi”, singolo fresco di uscita che mette voglia di saltare a tempo, all’accattivante passo di “Acufene”, un rock ricco di sfumature eterogenee valorizza testi impregnati di immagini oniriche, a volte crude, e una voce che non ha paura di osare su registri alti.

Gli Alberi.

Gli Alberi sono il terzo gruppo della serata. La voce femminile, delicata e melodica, e la controparte maschile, potente e a tratti abrasiva nel suo growl, la fanno da padrone. Sono pezzi che, pur sviluppando la traccia post-rock con interessanti tematiche ambientali, si addentrano volentieri in meandri dal sapore metal: non per nulla il nome del loro progetto venturo sarà Now Heavier. Pubblico sospeso tra l’incanto e il pogo sfrenato, colto inoltre di sorpresa da un featuring con lo stesso Narratore Urbano.

CIJAN.

A chiudere l’evento sono i CIJAN. Il loro repertorio forse meglio ricalca l’accezione più dura e pura del genere portante, combinata con elementi di forte originalità sonora e compositiva. Spazio limitato per le voci, sapiente cocktail di momenti immersivi e saturazioni strumentali: la scena la tiene quasi tutta la musica. Degni di nota “Mercurial” e “Homecoming”, tanto per citarne un paio. L’atmosfera di un sogno ad occhi aperti regala ai presenti il miglior modo di concludere una serata ben organizzata e con musica di alto livello.

Impossibile, dulcis in fundo, non citare Giovanni Bersani, organizzatore della serata e denominatore comune di tutte e quattro le band. Il polistrumentista si destreggia magistralmente tra tastiere, percussioni e chitarre: un eclettico tuttofare, capace di suonare praticamente senza soluzione di continuità per tutta la durata dell’evento. Una serata di quelle che verranno ricordate a lungo sulla scena di Torino.

A cura di Carlo Cerrato

Yungblud al Carroponte: Life On Mars Tour

Dopo tre anni di assenza in Italia, mercoledì 18 maggio Yungblud è tornato a cantare a Milano, questa volta riempiendo il Carroponte di Sesto San Giovanni nell’unica data italiana del Life On Mars Tour.

Dopo neanche un giorno dall’annuncio di Yungblud – terzo album del cantante la cui uscita è prevista per il 2 settembre prossimo –, il ventiquattrenne inglese Dominic Harrison ha avuto finalmente l’occasione di suonare dal vivo anche nel nostro Paese i brani di weird! (2020)

Il sole non è ancora scomparso dietro al muro di amplificatori al centro del palco quando arrivano le Nova Twins, duo rock londinese composto dalla cantante Amy Love e dalla bassista Georgia South. Scelta a dir poco perfetta per aprire il concerto: non siamo ancora al ritornello del primo brano che il pubblico – a maggioranza under 25 e rigorosamente vestito in stile punk rock – si sta già muovendo a ritmo.

Sono invece da poco passate le 21 quando tutte le luci si spengono e dopo un video introduttivo risuonano le note iniziali di “Strawberry Lipstick”: Yungblud corre sul palco ed incita subito tutti a saltare con lui. La sua energia coinvolge in pochi secondi i presenti: è praticamente impossibile non ballare con il cantante che ti obbliga a farlo.

Credits: https://www.instagram.com/carroponteofficial/

In pochi minuti volano birre e plettri. Yungblud canta uno dei suoi ultimi singoli, “The Funeral”. I fan intonano con lui il brano, che parla di amare sé stessi e accettarsi così come si è. Il concerto non è iniziato neanche da una ventina di minuti e il cantante appare già sinceramente commosso, forse sorpreso di trovare fan così affezionati, che non sbagliano neanche una parola dei suoi testi. Anche durante i pezzi più lenti come “mars” – una ballata che racconta la storia di una fan transgender, ma più in generale la storia di chi si è sempre sentito diverso – non viene mai meno la sua energica presenza scenica.

Credits: https://www.instagram.com/carroponteofficial/

Oltre i brani del secondo album, la scaletta prevede anche alcuni pezzi dal primo e vari singoli più recenti, ad esempio “Memories” realizzata in collaborazione con Willow e “Fleabag”, sempre dai toni pop-punk.  Con il proseguire della serata – e il diminuire dei capi di vestiario addosso a Yungblud, che per gli ultimi brani rimane in pantaloncini e bretelle – aumentano le interazioni con il pubblico: prima una proposta di matrimonio, poi il coming out di un fan. Si è creata un’atmosfera quasi intima, forse difficile da credere pensando alla quantità di gente presente. 

Yungblud elogia l’accoglienza italiana, «Ho trovato una famiglia qui a Milano» e aggiunge «Ho speso diciannove anni della mia vita sentendomi giudicato per essere diverso, ma volete sapere come riesco a essere su questo palco oggi ed essere chi voglio? È grazie ad ognuno di voi». E nel caso in cui qualcuno avesse ancora dubbi riguardo il suo affetto nei confronti dei fan, ad un certo punto inizia a indicare ogni presente nelle prime file ripetendo «Ti amo, ti amo, ti amo».

Il live si chiude con “Machine Gun (F**k the NRA)”, un brano che denuncia la facile accessibilità alle armi negli USA. Ma sono i cori di “Loner” intonati dal pubblico a fare da sottofondo mentre lentamente il Carroponte si svuota.

Racconti dalla scena chierese: i Limeoni

È opinione diffusa che da un po’ di tempo a questa parte il rock sia un genere piuttosto bistrattato in Italia, eccezion fatta per i gruppi storici che entrano nella categoria degli artisti ritenuti intoccabili. Ai Limeoni (pronunciato “làimoni”) questo sembra però non importare, e “rock” è l’unico termine che può descrivere la loro anima musicale.

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PASQUETTA CON MUSIDAMS: LA NOSTRA TOP 20

È un fatto universalmente riconosciuto che la festa più attesa dopo Capodanno sia quella di Pasquetta, da sempre simbolo dell’inizio della primavera e di spensieratezza. Noi di MUSIDAMS abbiamo perciò deciso di creare una playlist che rappresentasse appieno questo spirito. Non preoccupatevi: ce n’è per tutti i gusti.

Sweetest Pie – Megan Thee Stallion e Dua Lipa

Megan, la rapper rivelazione del 2021, incontra la reginetta del pop Dua Lipa. Dopo aver entrambe pubblicato numerosi successi, le due artiste hanno deciso di unire le forze per regalarci un brano che certamente vi farà cantare e ballare. Ottimo per dare un pizzico di girl power alla festa.

Neon Peach – Snoh Aalegra feat. Tyler The Creator

Tyler è il compagno perfetto per qualsiasi tipo di festa. Snoh è la ragazza pacata che aspetta queste occasioni per dare il meglio di sé. Un ottimo brano per accompagnare le numerose attività all’aria aperta. Altamente consigliato se nella vostra pasquetta non deve mancare un pizzico di rap.

10% – Kaytranada feat Kali Uchis

Kali Uchis non ha sicuramente bisogno di presentazioni, mentre Kaytranada è ancora un po’ sconosciuto qui in Italia, quindi consigliamo fermamente di ascoltare Booba (album da cui è stato preso questo brano). La collaborazione tra il dj/producer canadese e la cantante statunitense regala un pezzo che vi farà sicuramente alzare dalla sedia.

Charmander – Aminé

Scelta un po’ strana dato il testo molto personale, ma era impossibile non inserirla. Un brano musicalmente allegro, che sin dal primo ascolto porta a ballare in modo frenetico. Ottimo per digerire.

On My Mind – Jorja Smith x Preditah

Una delle canzoni più famose di Jorja, che vede la collaborazione con il producer Preditah. Ne viene fuori un brano adattabile a qualsiasi situazione, dal controllo brace al momento di relax. Ideale se siete amanti delle belle voci.

A cura di Erika Musarò

Ouverture, da Il Barbiere di Siviglia – G. Rossini

Se Gioacchino Rossini fosse nato ai giorni nostri sarebbe stato sicuramente un grandissimo estimatore delle grigliate di Pasquetta. Nelle quali, tra l’altro, i factotum e la musica felice sono sempre ben accetti.

Celtic Concerto, I. Jig a Jig – C. Finch

Il Celtic Concerto di Catrin Finch è la colonna sonora ideale per Pasquette intime e allegre, trascorse tra chiacchiere e giochi da tavolo: l’arpa e l’orchestra d’archi, assieme al ritmo brioso del primo movimento, vi assicureranno un’atmosfera serena e distesa.

Frühlingsglaube – F. Schubert

Un altro grande appassionato di feste e divertimenti era Franz Schubert: infatti le sue “schubertiadi”, antesignane ottocentesche delle jam session, sono passate alla storia. Questo è il suo modo di salutare i colori e l’aria di novità che l’arrivo della primavera porta con sé.


 Royal Fireworks Music Suite, 1. Ouverture – G. F. Handel

Nell’aprile 1749 è stata eseguita per la prima volta la Suite per i reali fuochi d’artificio di Georg Friedrich Handel. Il ciclo di musiche è stato composto per essere eseguito all’aperto e per attirare una grande massa di gente: perfetto dunque per le feste più grandi e rumorose.

Venite pure avanti, da Don Giovanni – W. A. Mozart

Come non lasciarsi emozionare dal brindisi del protagonista del Don Giovanni mozartiano, quando a fine I atto esclama «Viva la libertà»? Che sia con un bicchiere di vino o di spritz, dopo questi due anni e mezzo di pandemia e lockdown a mesi alterni, una bevuta allegra e in compagnia ce la meritiamo proprio tutti.

A cura di Carlotta Rubatto

È sempre bello – Coez

«Oggi voglio andare al mare/anche se non è bello». Con questo brano Coez rappresenta appieno la voglia di rilassarsi e passare una giornata all’aperto insieme agli amici anche quando il meteo non è dalla tua parte, e si sa che a Pasquetta non lo sarà mai.

I Will Survive – Gloria Gaynor

Perché il momento karaoke ubriaco arriva, e questo è un must a cui non si può rinunciare. Una birra in più va a quelli che lo urlano a squarciagola contro l’ex che li ha appena lasciati. Sicuramente molto appagante.

 Guacamole – Evandro

Un brano fresco e leggero per una giornata senza pensieri, all’insegna delle risate e della compagnia reciproca. La voce di Evandro è perfetta per accompagnare i momenti di spensieratezza.

Baby Goddamn – Tananai

Di solito insieme al karaoke ubriaco arrivano anche i balletti imbarazzanti, e questa canzone è la perfetta colonna sonora per improvvisare una gara di break dance in stile Step Up. Cercate solo di non farvi male.

Duecentomila ore – Ana Mena

Pasquetta bisogna godersela, e anche se Ana Mena a Sanremo è stata un flop, Ana Mena che accompagna le grigliate è sempre la scelta migliore. Chi dice il contrario fa parte della peggior specie di negazionista.

A cura di Ramona Bustiuc

Empty TankardTankard

Lo scanzonato trash metal tedesco ad alta gradazione alcolica di questo quartetto festaiolo non può mancare assolutamente in una colonna sonora a tema grigliata. In alto i boccali e che la festa cominci!

 Rebellion (The Clans Are Marching) – Grave Digger

I Grave Digger, con i loro riff quadrati e i cori da stadio studiati ad arte, rappresentano al meglio lo spirito goliardico da “birra e salsicce”. Giusto il tempo che gli abbondanti trigliceridi post-pasto entrino in circolo e vi ritroverete a cantare il ritornello a squarciagola.

18 & Life Skid Row 

Questa power ballad è un vero classico generazionale. Romantica ed elegante nella sua melodia portante, ma anche graffiante quanto basta grazie alla potentissima voce di Sebastian Bach in stato di grazia, questo è un lento adatto a tutte le occasioni.

The Art of Partying Municipal Waste 

Crossover thrash a rotta di collo che non si prende troppo sul serio e punta tutto sull’ironia, l’umorismo goliardico, sull’horror di serie z, pizze surgelate e birre da discount.

Zick ZackRammstein 

Classico brano squadrato e dalla ritmica tellurica in piena continuità con il trademark della band. Tutto molto divertente, catchy e ballabile, ma il video e il testo non risparmiano un tagliente sarcasmo nei confronti della chirurgia estetica e di chi ne fa abuso divenendo nel tempo un mostro di silicone e botulino.

A cura di Stefano Paparesta

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