Il Flauto Magico in un allestimento che strizza l’occhio all’impressionismo cinematografico in scena al Regio

Die Zauberflöte, IlFlauto magico, Singspiel di Mozart su libretto di Emanuel Schikaneder, è tra le dieci opere più rappresentate al mondo e dal 31 marzo (dal 30 con anteprima giovani) al 14 aprile, sarà in scena al Teatro Regio di Torino, con regia di Tobias Ribitzki, animazioni di Paul Barritt ideate da «1927», la squadra supervisionata da Suzanne Andrade e dallo stesso Paul Barritt. Alla direzione d’orchestra Sesto Quatrini e Andrea Secchi alla guida del coro, completando i nomi dietro questa produzione.

La trama, ambientata in un favoloso Egitto, racconta la storia d’amore tra Tamino (interpretato da Joel Prieto e Giovanni Sala) e Pamina (Ekaterina Bakanova e Gabriela Legun) e il viaggio dell’eroe che lui deve intraprendere per liberare l’amata aiutato dal fedele Papageno, anch’esso alla ricerca di “ein Mädchen oder Weibchen” (una ragazza o una donna). 

In realtà, parlare in questo modo dell’intreccio alla base del Flauto magico è molto riduttivo: l’opera è eclettica, contraddittoria, ricca di significati e forse, proprio per tale motivo, tanto apprezzata dal pubblico. Il rischio che si corre per questo genere di messinscena è di raccontare la vicenda in modo razionale non risultando all’altezza di un racconto che ha il surrealismo come caratteristica principale: le menti creatrici dell’allestimento hanno compreso molto bene questo aspetto. Lasciandosi ispirare dal cinema muto (in particolare quello impressionista), dai fumetti e da altre numerose influenze, hanno ideato una scenografia che sembra prendere vite grazie alle animazioni proiettate sulle quinte del palco.

In un flusso di immagini animate che dialogano costantemente con gli attori sul palco, lo spettatore si ritrova all’interno di un’esperienza immersiva e deve fare i conti con una nuova concezione di opera. Proprio questa necessità di rivalutazione sembra turbare il pubblico dei giovani torinesi presenti all’anteprima. Così come molti alla fine dello spettacolo sembrano entusiasti di vedere finalmente la ricerca di uno “svecchiamento”, molti altri sembrano sbigottiti. Tra i commenti più sostenuti c’è il fatto che un’opera classica debba rimanere tale anche nell’apparato scenico e che un allestimento del genere risulti addirittura troppo azzardato per il maestro del classicismo viennese. 

Ma lo spettacolo, nato a Berlino nel 2012, ha già festeggiato il suo decennale riscuotendo successo tra Europa, Usa e Cina nonostante la sua peculiarità provocatoria. Motivo per cui questo allestimento è sintomatico di tantissimo coraggio da parte di coloro che hanno deciso di sfidare le convenzioni sociali: già solo per questo merita una possibilità.

Come dopo ogni anteprima lo spettacolo si è spostato nel foyer del teatro per la rassegna Contrasti. La scelta per questa data è ricaduta su Napoleone (cantautore di origini campane, ormai stabile a Torino) è stato presentato sui social del format come portatore di magia grazie al dialetto campano e la tradizione del funk partenopeo. L’artista già noto ai più grazie a un duetto con Guè, durante la sua esibizione ha presentato in anteprima il suo nuovo singolo “Il giardino di Maddalena”, insieme a Kaze, in uscita a mezzanotte. A differenza del Flauto magico il cantautore ha ottenuto il consenso di tutte le persone presenti, concludendo degnamente uno spettacolo che lascerà parlare ancora molti.

A cura di Alessia Sabetta

MUSIDAMS CONSIGLIA: i migliori 10 singoli di marzo

Un altro mese è appena passato e questo significa solo una cosa: Top 10! Ecco la classifica del Musidams per il mese di marzo.

Dimmi che c’è – thasup ft Tedua

Sembra che thasup riesca sempre a centrare il bersaglio. Con il nuovo singolo non si scosta dai brani presenti nel suo ultimo album, Carattere speciale, probabile segno che la sua cifra stilistica si sta consolidando. Una produzione molto fresca (come ci si potrebbe aspettare dall’artista). Scavando più in fondo attraverso la lettura del testo, l’artista parla di smarrimento, abbraccia tutte le persone che si sentono in uno stato confusionale e hanno bisogno di comprensione e sostegno. Nel videoclip sottolinea questo aspetto utilizzando l’espediente di un ragazzo che arriva dalla luna e si ritrova isolato da tutti.

Voto: 28/30

Astronave giradisco – Lucio Corsi

L’uscita del doppio singolo “Astronave giradisco/ La bocca della verità” segna il ritorno del cantautore che ad aprile, dopo 3 anni, uscirà con un nuovo album.  Con “Astronave giradisco”, Corsi ci fa entrare sempre di più nel suo mondo magico citando Lou Reed e Battiato. Racconta il brano come «un lento da ballare in due, tu e la tua ombra», e chi siamo noi per non dargli retta?

Voto: 27/30

Idem – Gazzelle

Gazzelle pubblica un pezzo esemplificativo di quello che ci si aspetta da lui: chitarra acustica in apertura, base musicale minimal, narrazione intima e quel pessimismo cosmico contro cui Leopardi non reggerebbe il confronto. Ma in questo viaggio così disfattista, anche Gazzelle vede la luce in fondo al tunnel e ci racconta la capacità di ritrovarsi.  E come sempre, ringraziamo il nostro Flavio perché non ci fa sentire mai soli.

Voto: 25/30

La parte del torto – Vinicio Capossela

La parte musicale richiama una tipica scena cinematografica ambientata nel far west, in cui i due pistoleri sono pronti per il duello all’ultimo sangue. Così come per il penultimo singolo “La crociata dei bambini”, anche in questo caso Capossela cita Bertolt Brecht. Il brano è una denuncia sociale nei confronti di una collettività che sembra stia appiattendo tutti i valori: «è un suono di frontiera, ma l’unica frontiera che qui si infrange è quella morale». Il singolo farà parte dell’album Tredici canzoni urgenti.

Voto: 25/30

Milano è la metafora dell’amore – Baustelle

Cari Baustelle, abbiamo dovuto aspettare anni per la vostra riapparizione. A Sanremo non è andata molto bene e questo singolo era il vostro riscatto. Occasione sprecata. Ma tanto vi si vuole sempre bene e finiremo per ascoltare questa canzone nei giorni più bui, perché in fondo la canticchiamo già dal primo ascolto. Speriamo in tempi migliori. Cordialmente.

Voto: 18 politico/30 e tanto amore

A cura di Alessia Sabetta

Moonlight – Kali Uchis

Kali Uchis, fluttuando tra versi in inglese e in spagnolo, canta il piacere di stare con qualcuno che si ama e con cui ci si sente completamente a proprio agio. “Moonlight” è il suo ultimo singolo, tratto dal suo nuovo album Red Moon in Venus, si basa sulla credenza secondo cui la “luna di sangue” smuove le emozioni. Con un testo che lascia ben intendere, la cantante statunitense regala un nuovo brano estremamente sensuale.

Voto: 30/30

Talkback – 6LACK

6LACK è un rapper americano noto per il suo sound R&B/soul e i suoi testi introspettivi. Il brano si apre con un pianoforte che dà il tono al resto della traccia; quando il ritmo entra nel vivo, 6LACK inizia a cantare, mettendo in mostra un notevole talento. Il brano parla di una relazione fallita e del dolore che può causare. Assolutamente consigliato agli ascoltatori di R&B e soul.

Voto: 30/30

Dogtooth – Tyler, the Creator

Il nuovo singolo di Tyler, the Creator è arrivato insieme all’annuncio della versione deluxe di Call Me If You Get Lost. Musicalmente in linea con la tracklist del suo ultimo lavoro discografico, il brano parla di relazioni disinteressate, quelle da cui non aspettarsi nulla in cambio. Nel testo il rapper muove una critica a coloro che si sentono autorizzati a dire alle donne come dovrebbero apparire o comportarsi.

Voto: 28/30

What You Wanna Try – Masego

Masego è un cantante e produttore discografico statunitense, diventato famoso grazie al suo singolo “Tadow”, del 2018. Ha da poco pubblicato Masego, il suo secondo album, da cui “What You Wanna Try” è emerso come il singolo preferito dai fan dell’artista. Nelle sue tipiche sonorità, combina influenze jazz, R&B e hip-hop. Ascoltandolo ritroverete il sample di due canzoni: “Tom’s Diner” di Suzanne Vega e “What’s Your Flava?” di Craig David.

Voto: 27/30

Red Ruby Da Sleeze – Nicki Minaj

Nicki Minaj è ufficialmente tornata e con lei il suo alter ego Chun-Li, ispirato all’omonimo personaggio di Street Fighter. Con questo singolo a sorpresa, presentato solo un giorno prima dell’uscita effettiva, ha chiamato a raccolta tutti i suoi fan e non: in “Red Ruby Da Sleeze” osanna la sua carriera e la sua bravura, paragonandosi alle sue colleghe. Fa anche riferimento al periodo in cui è stata in silenzio radiofonico, alludendo al fatto che molte di queste abbiano approfittato dell’assenza della Queen. Il brano cattura al primo ascolto, e ti porta a riascoltarlo come se non avessi niente di meglio da fare, complice anche il sample di “Never Leave You” di Lumidee.

Voto: 26/30

A cura di Erika Musarò


Quando la musica si trasforma da gioco a talento. Porrovecchio e Consonni al Conservatorio di Torino

I grandi virtuosi dell’Ottocento riuscivano ad incantare le platee con il loro modo di stare sul palco. Oggi, 13 marzo 2023, a stregare il pubblico sul palco del Conservatorio «Verdi» di Torino non sono i grandi del passato ma due giovani musicisti che sin da piccoli hanno abbracciato la strada della musica come bambini-prodigio: Riccardo Porrovecchio e Martina Consonni, un violinista ed una pianista poco più che ventenni che si esibiscono per la De Sono con un repertorio intenso e di ardua esecuzione.

Porrovecchio ha tenuto in mano il suo primo strumento musicale a soli quattro anni, un violino giocattolo ma che presto si è trasformato in un violino Guadagnini del 1849. Il gioco trasformatosi in una vera passione, lo ha portato a studiare in molte città europee. Musicista acclamato in festival e in rassegne internazionali nonché vincitore di numerosi concorsi, si esibisce come solista e in formazioni cameristiche. 
Consonni, invece, si è avvicinata al pianoforte in maniera naturale all’età di sei anni diventando la più giovane vincitrice al concorso Premio Venezia, tappa e sogno di molti giovani pianisti. Ha suonato in tutto il mondo, ma continua a perfezionarsi a Berlino e a Kronberg.

Passando da un virtuosismo espressivo ed energico come quello di Paganini fino al virtuosismo più intimo di Chopin, il duo ha dimostrato la sua grande capacità di alternare momenti decisi ad altri più intimi e delicati, rimanendo sempre affiatati l’uno con l’altro. 
Con grande scioltezza e naturalezza Porrovecchio è riuscito a gestire i cambi di ritmo e di tecniche di produzione del suono passando da pizzicati con la mano destra a pizzicati con la mano sinistra, da un colpo d’arco legato ad uno saltellato, da un glissando ad uno staccato. Una grande abilità tecnica che il “diabolus in musica” Paganini richiede.

Foto di Francesca Cirilli

Paganini, Chopin e Liszt: tre musicisti capaci di trasformare i virtuosismi in emozioni, in sentimenti o in ritratti dettagliati di personaggi operistici. Esempio ne è la Parafrasi sul Rigoletto che ha dato conferma della grande abilità di Consonni di gestire fiumi di note, e di immedesimarsi nel personaggio divertendosi con esso.

Nel Gran duo concertant sur “Le marin” di Liszt, la corsa concertante tra violino e pianoforte ha creato continui giochi musicali lasciando a bocca aperta tutti gli spettatori che non riuscivano a togliere lo sguardo dai fluidi movimenti del duo. Attraverso un dialogo equilibrato tra i due strumenti, il tema principale si è trasformato in variazioni che hanno messo in evidenza l’energia lisztiana.

Consonni è riuscita ad entrare nei brani e ad immedesimarsi nei vari sentimenti espressi dalle melodie. Energica ma allo stesso tempo leggera, ha suonato muovendosi velocemente nell’ampio registro sonoro.
Entrambi, con semplicità, hanno suonato gli strumenti “ai limiti dell’umanamente possibile” proprio come l’estetica del virtuosismo romantico richiedeva.

Foto di Francesca Cirilli

Allontanandoci dalle città dei grandi musicisti, con un brano di Pablo De Sarasate il concerto ha assunto un tocco di esotismo. Il pubblico, trasportato in un mondo spagnoleggiante, ha ascoltato temi popolari fusi ad un virtuosismo spettacolare che il Duo ha dimostrato poter essere ricco di sentimento.

Come ha affermato la pianista Consonni durante la lezione concerto tenuta all’Università di Torino la mattina del concerto «Le accademie di perfezionamento italiane sono tutte private. Anche all’estero ci sono numerosi costi da sostenere». La De Sono, in questo senso, sta dando un grande supporto a molti giovani musicisti che vogliono studiare e vivere per e di musica. Per ringraziare l’impegno dell’Associazione, i due giovani talenti hanno concluso il concerto dedicando a Francesca Camerana, fondatrice della De Sono, un brano intimo e dolcissimo ma di grande potenza evocativa: l’Intermezzo dalla Cavalleria Rusticana.

A cura di Ottavia Salvadori

Tra scandali, frivolezze e cipria: Powder Her Face per la prima volta a Torino

L’opera permette di raccontare storie che ancora oggi possono essere attuali. A dimostrarcelo è uno spettacolo inconsueto che con soli cinque interpreti e più di diciassette personaggi, per la prima volta a Torino, va in scena al Piccolo Regio Puccini il 10 marzo 2023: Powder Her Face. Prima opera lirica di Thomas Adès, compositore classe 1971, direttore e pianista della nuova generazione che spazia dalla musica da camera al teatro musicale cantato, dall’atonalità alla musica barocca, dal blues alla musica per cinema. Un artista poliedrico la cui musica viene eseguita in tutto il mondo.

Attraverso il gioco erotico, il gioco di ruoli e un climax di tensioni, Powder Her Face racconta la storia di una donna paladina della libertà ma vittima della sua stessa società: Margaret Campbell, la cui vita fece scalpore nell’Inghilterra degli anni Sessanta a causa dei suoi comportamenti sessuali disinibiti, vede il suo matrimonio e la sua vita andare lentamente in rovina.
Una storia raccontata attraverso flashback: artificio temporale particolarmente difficile da mettere in scena a teatro ma che la regia di Paolo Vettori è riuscita a rendere in modo molto efficace con cambi a vista di cartelli riportanti l’anno della vicenda.

Foto di Andrea Macchia

Musica e canto sembrano essere indipendenti l’una dall’altro ma, in realtà, si fondono in un unico grande spettacolo che trasporta il pubblico in una storia inusuale ma estremamente coinvolgente.

L’ensemble del Regio, costituito da quindici esecutori, è riuscito con grande abilità a sfruttare tutte le capacità degli strumenti. Tra i timbri più inconsueti lo swanee whistle (flauto a pistone), il mulinello di una canna da pesca, rottami di ferro o l’uso di microfoni che sfregano la membrana del rullante o l’archetto che viene fatto rimbalzare sulle corde. Questi colori insoliti hanno suscitato grande curiosità nel pubblico che faticava a cogliere l’origine dei suoni. Un’orchestra impeccabile che è riuscita a modulare in maniera raffinata anche le dinamiche: suoni leggerissimi e quasi impercettibili si sono contrapposti a sonorità sempre più energiche.
Impossibile non lodare il giovanissimo direttore d’orchestra, il ventiduenne Riccardo Bisatti, le cui abilità sono state confermate da questo spettacolo che propone enormi sfide tecniche. Una partitura che sembra essere un luogo in cui nulla è proibito: tango, swing, jazz, sonorità contemporanee e le deformazioni di temi romantici creano una massa strumentale attraverso intrecci di timbri e colori mutevoli.

Non solo la ricerca di una sonorità pregnante ma anche un lavoro sulla timbrica vocale dei quattro interpreti attraverso un continuo alternarsi di momenti di lirismo a momenti di canto parlato, in stile Sprechgesang, e una sostanziale attenzione per i cambi di registro. Particolarmente esteso è il registro di Lorenzo Mazzucchelli, nelle vesti del Direttore dell’hotel, la cui voce risuonava potente in tutta la sala.
Irina Bodganova, soprano che già ottenne un grande successo al Regio nei panni di Berta nel Barbiere di Siviglia, questa volta ha ricoperto il ruolo principale della Duchessa. Unico personaggio sempre al centro dell’azione e che resta sé stessa fino all’ultimo; al contrario, gli altri interpreti, mutano e si spogliano dei loro abiti per entrare in vesti altrui.

Foto di Andrea Macchia

Mescolando lo stile camp – che rimanda a un carattere grottesco – al tema tragico della Duchessa di Argyll, l’opera risulta molto contemporanea: oltre a raccontarci di una società borghese della quale ci si può fare beffe, ci fa assistere ad una rappresentazione attuale della nostra società dimostrandoci la falla che c’è in essa: l’incapacità di resistere alla tentazione di «spiare dal buco della serratura» – come afferma il regista Vettori – e di giudicare l’altro.

L’erotismo, realizzato dalla regia con grande maestria, non è mai risultato volgare. Anche le scene più scabrose sono apparse eleganti e spiritose, e hanno generato spesso una risata negli spettatori. Con un omaggio alle polaroid di Mollino, perfino le fotografie della moglie del Duca in pose seducenti, esibite nel finale del primo atto sulle pareti grigie, si sono integrate perfettamente nella scenografia.
Lo spazio scenico ricordava un manicomio ma in stile déco, con oggetti di una vita ricca e prosperosa. Un allestimento dunque equilibrato, semplice e d’effetto. Il letto in posizione centrale è diventato l’elemento privilegiato: luogo in cui si consumano le scene erotiche della Duchessa, ma anche luogo del giudizio (un tribunale). L’oggetto della passione è finito dunque per rivelarsi anche l’inizio della sua rovina sociale e finanziaria.

Foto di Andrea Macchia

Al contrario del Don Giovanni che può sfoggiare il suo “catalogo”, la Duchessa viene punita dalla società per i suoi comportamenti. Al centro della storia, dunque, c’è una donna emancipata e ribelle la cui vita viene osservata e giudicata senza pietà.

A cura di Ottavia Salvadori

Premio Nebbiolo: un premio tra musica e amicizia

Al premio Nebbiolo si conoscono veramente tutti, tanto da sembrare una riunione di famiglia piuttosto che una serata dedicata ad un premio. Artisti, musicisti e amanti della musica popolano il Cap10100, legati da un amico in comune: Gwydion Destefanis. Il premio è dedicato al cantautore, scomparso nel 2020 all’età di 29 anni.

Chi era Nebbiolo?

Gwydon è cresciuto nel Monferrato e si fa chiamare Nebbiolo, un nome legato alle sue origini.

“Nebbiolo perché sono nato a fine ottobre in Monferrato quando si vendemmia il Nebbiolo appunto. È il mio vino preferito e c’è la parola nebbia dentro di cui sono amante”.

Prima di lanciarsi nel suo progetto musicale passò quattro anni in giro per l’Europa a bordo di un camioncino, suonando per racimolare qualche soldo. Tornato a Torino, nel 2018, pubblicò prima l’ep “Pezzi d’uomo” e, nel marzo dell’anno successivo, il suo album “Un classico”. Prima della sua scomparsa iniziò il percorso formativo presso il Centro Europeo di Toscolano di Mogol, che si era aggiudicato grazie alla vittoria del premio per miglior testo al Bologna Musica d’Autore del 2019 con la canzone “Più ci penso”.

Nebbiolo – foto di @giofemi

Cos’è il premio Nebbiolo

Il “Premio Nebbiolo” è un contest per giovani cantautori e cantautrici under 30 nato nel 2022. Tutto è partito dall’iniziativa di Alessandro Burbank, poeta e amico di Nebbiolo, in collaborazione con Yalmar Destefanis, videomaker e fratello di Gwydion. Il desiderio era quello di ricordare un amico, un fratello e di far ancora echeggiare la sua musica.

La call è indirizzata agli artisti provenienti da tutta Italia. Una parte viene poi selezionata tramite voto online, arrivando infine ad una rosa di 3 finalisti. Il vincitore del contest riceve un premio in denaro e la possibilità di produrre un brano da zero con Sberdia Live, studio di produzione torinese.

I tre progetti artistici arrivati alla finale di quest’anno sono Francamente, Stasi e Nube. A fare da giuria artisti come Willie Peyote e Eugenio Cesaro (Eugenio in via di gioia), ma anche addetti ai lavori come Valentina Gallo (direttrice artistica Cap10100) e Libellula Music.

Ad aprire l’evento finale ci pensano Burbank e Federica Buzzi (in arte Clelia Delia), i due presentatori della serata, che lasciano poco dopo il microfono alla Funky* Club Orchestra, la band resident. Da questo momento in poi è tutto un susseguirsi live e sketch di cabaret, che vede tra i protagonisti anche i tantissimi ospiti invitati ad omaggiare Nebbiolo con la loro musica.

Alessandro Burbank e Federica Buzzi, Premio Nebbiolo – foto di Stefano (Bobo) Giunipero

La serata scorre velocemente, regalandoci anche momenti di ilarità nati da alcuni problemi tecnici. Ogni esibizione regala qualcosa, complice anche l’atmosfera particolarmente fraterna che si respira all’interno del locale. Il pubblico è entusiasta, rispondendo anche attivamente a quanto succede sul palco.

A vincere il premio è Stasi (nome d’arte di Elia Arduino), nato a Pistoia ma residente a Torino. Il cantautore ha iniziato a scrivere fin da ragazzino e ha studiato vari strumenti, come la chitarra classica e il pianoforte. Grazie ad un suo brano, ha iniziato a collaborare con il producer torinese Frank Sativa. A gennaio ha pubblicato il suo ultimo singolo ” Per niente“. Un artista assolutamente da tenere sott’occhio, perché sono sicura che ne risentiremo a parlare molto presto.

Stasi vince il premio Nebbiolo
Stasi vince il Premio Nebbiolo – foto di Stefano (Bobo) Giunipero

A cura di Erika Musarò

MUSIDAMS CONSIGLIA: i 10 migliori singoli di febbraio

Ed ecco la top 10 del mese di febbraio secondo MusiDams!

Die For You (Remix) – The Weeknd & Ariana Grande

Dopo più di sei anni dall’uscita della canzone originale, The Weeknd chiama a rapporto la sua frequente collaboratrice Ariana Grande per restituire nuova linfa al brano, che sta godendo di un aumento della popolarità grazie a TikTok: sempre un piacere sentirli insieme, ma sarebbe stato meglio e più organico se Grande non sparisse completamente a metà della canzone.

Voto: Aspettando la prossima collaborazione/30

Boy’s a liar Pt. 2 – PinkPantheress & Ice Spice

La cantante britannica PinkPantheress recluta la nuova sensazione del rap Ice Spice per il remix del suo singolo, altro pezzo che ha ottenuto l’attenzione delle classifiche grazie al fattore TikTok: gli ingredienti per un brano virale ci sono tutti, dal ritornello martellante alla collaborazione inaspettata tra due dei nomi più in vista del panorama Gen Z.

Voto: 26/30

un bosco – Francesca Michielin

Terzo singolo estratto dall’album Cani sciolti, pubblicato il 24 febbraio: nel brano, dominato dal pianoforte, Michielin sembra rimpiangere il passato aggrappandosi all’idea di poterlo parzialmente recuperare attraverso una conversazione con quella che sembrerebbe essere una vecchia fiamma. Nulla di particolarmente originale, ma l’ascolto in un momento di vulnerabilità potrebbe dare il via a pericolosi viaggi mentali sulla strada dei rimorsi sentimentali.

Voto: 25/30

Die 4 Me – Halsey

Halsey aveva già accennato all’esistenza di un rifacimento solista della sua collaborazione con Post Malone e Future, che ha ora reso finalmente disponibile. Ancora non è chiaro se il brano sarà inserito in un futuro progetto, ma per il momento ci gustiamo questa chicca.

Voto: 26/30

Lottery – Latto feat. LU KALA

La rapper statunitense ritorna con un singolo ricco di influenze disco e un ritornello immediato che prende vita con la voce di LU KALA. L’atmosfera del pezzo ricorda molto “Say So” di Doja Cat: questo brano porterà a Latto la stessa fortuna che il suddetto singolo portò qualche anno fa alla collega?

Voto: 27/30

A cura di Giulia Barge

Welcome to my island – Caroline Polacheck

Da un paio di album Caroline Polacheck non ne sbaglia una. Una psichedelia elettronica scritta con cognizione di causa e il consueto gusto raffinato.

Voto: 28/30

A&W – Lana del Rey

La regina dei melodrammi soft pop ha ascoltato un sacco di Thom Yorke. Si sente e piacevolmente si piange, come al solito.

Voto: 28/30

Oil – Gorillaz feat. Stevie Nicks

I Gorillaz si riaffacciano sulle scene con un album tutto sommato fedele alla linea, ma con qualche doccia fredda (vedi la collaborazione con Bad Bunny). Qui vanno sul sicuro: drums anni ’80 e Stevie Nicks.

Voto: 26/30

Porno – Finley feat. Naska

Il ritorno del pop punk ha fatto danni. Tipo riesumare i Finley scongelati direttamente dal 2008, come se niente fosse cambiato. Gli emo kids tornano dall’aldilà come i guanti a rete.

Voto: 3m0/30

Padova può ucciderti più di Milano – Francesca Michelin

Ah ma non è un album di Elisa del 2004?

Voto: 24/30

A cura di Clarissa Missarelli

TORINO JAZZ FESTIVAL 2023

Presentati i main events dell’XI edizione

Dopo cinque anni, il Torino Jazz Festival torna sotto la direzione artistica di Stefano Zenni, uno dei massimi esponenti italiani della divulgazione jazzistica. È proprio per questo che si respira una certa curiosità nella sala del Municipio di Torino dove il 3 marzo alle 11.00 è prevista la conferenza.

Dopo i vari ringraziamenti, Zenni freme dalla voglia di raccontare cosa il Festival abbia in serbo per la città. Dopo il teaser preparato per l’occasione, il direttore può finalmente raccontare il programma del Festival, che avrà luogo dal 22 al 30 aprile, facendo notare che non è un caso che l’ultima data corrisponda alla Giornata Internazionale del Jazz promossa dall’UNESCO.

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Lo strano DNA dei Leprous: il concerto a Milano per l’Aphelion Tour

Rintracciare il DNA di un gruppo non è sempre un’impresa semplice. É il caso dei norvegesi Leprous, cui discografia, avviata nel 2009 con Tall Poppy Syndrome, è passata dal metal avanguardistico con influenze black (complice la vicinanza della band a Ihsahn, leader degli Emperor), al progressive metal di The Congregation, fino agli ultimi sforzi di stampo più pop e sinfonico, come Aphelion, oggetto dell’attuale tour che li vede protagonisti in ben 40 date consecutive. Per l’Italia c’è Milano: è il 27 febbraio, il Fabrique ospita 5000 fan che – come il gruppo – sono di vario genere: da metallari, a bimbi accompagnati dai genitori.

I Leprous durante l’energetico ritornello di “From the Flame” (foto di Mattia Caporrella)

L’apertura è riservata a due gruppi: primi i Kalandra, conterranei degli headliner, che immergono il club in atmosfere eteree e nordiche. Capitanati dalla vocalist Katrine Stenbekk, la band convince il pubblico con una sequenza di brani tratti dal loro debutto The Line, utilizzando strumenti poco convenzionali come archi per chitarra elettrica o corna animali. A seguire gli inglesi Monuments: il pubblico del Fabrique si scatena grazie al loro metalcore di livello, fra circle pit e pogo, incantato dalle abilità vocali di Andy Cizek, che passa dalle melodie agli scream con una facilità disarmante.

Il vocalist dei Monuments Andy Cizek si abbandona al pubblico durante il loro set (Foto di: Mattia Caporrella)

Una potente nota di basso sintetizzato emerge dalle casse: è l’inizio del set dei Leprous, che accolgono i fan con una doppietta terzinata: “Have You Ever” e “The Price”, accompagnate da cori a seguire i classici riff sincopati del gruppo. I Leprous si dimostrano fin da subito a loro agio, interagendo tra di loro e scambiandosi di ruolo continuamente fra tastiere, percussioni e voci.

I Leprous nei momenti finali del concerto (Foto di: Mattia Caporrella)

Continua lo showcase di vocalist fenomenali: Einar Solberg, compositore principale del gruppo, dimostra non solo un controllo vocale precisissimo (la sua ampia estensione vocale è da sempre protagonista dei brani dei Leprous), ma anche un’inedita scioltezza da showman: Solberg si rivolge al pubblico con fare sarcastico quando annuncia che il concerto sta per terminare: «Questa è un’informazione che non richiede reazioni, è un dato di fatto!» sottolinea il vocalist dopo le tipiche proteste. Dopo toccanti dediche all’Ucraina (“Castaway Angels”), tuffi nel passato del gruppo (“Slave” e la rara “Acquired Taste”, sorpresa della serata), e persino un brano eseguito dopo un sondaggio (“The Cloak”), i Leprous salutano il Fabrique bagnandolo di rosso: “The Sky Is Red” surriscalda la folla con la frenetica prima metà, per poi salutarlo con un crescendo finale dalle atmosfere apocalittiche: 11 minuti di intensità, sottolineate da un light-show stroboscopico. Dopo questa serata, resta difficile rintracciare il DNA artistico di gruppi così eclettici, eppure nel tris di gruppi c’è un fil rouge, che parte dalle terre scandinave dei Kalandra, passa per il metal tecnico dei Monuments, e arriva ai Leprous, che in qualche modo, brillano in ogni loro forma. 

A cura di Mattia Caporrella (Foto in evidenza: Mattia Caporrella)

SEEYOUSOUND 2023: Miucha – The Voice of Bossa Nova

Oltre a ripercorrere la storia della bossa nova, il documentario Miucha. The Voice of Bossa Nova, uscito nel 2022, riesce a raccontare una tematica – quella di genere – senza cadere nel mainstream e nel melodrammatico. Tutto è profondamente radicato nelle parole di Miucha – nome d’arte della cantante e compositrice brasiliana Heloisa Maria Buarque de Hollanda – e nella complessa realtà che visse.

Tra le proposte del Festival di cinema ad argomento musicale Seeyousound di Torino, alla sua nona edizione, Miucha. The Voice of Bossa Nova, riesce in 98 minuti di film a offrire uno scorcio inedito sulla vita privata di Miucha, musicista che ha vissuto la nascita della bossa nova e di cui è stata interprete tutta la vita. Liliane Mutti, sceneggiatrice e co-regista, e Daniel Zarvos, regista e produttore, riescono a ricostruire con grande equilibrio, sensibilità e un tocco di ironia, le vicende e le dinamiche della vita della cantante tramite lettere personali, diari registrati come audio su cassette e acquarelli realizzati dalla stessa Miucha. Da questa raccolta di materiale emerge con forza come il percorso che la portò ad affermarsi come cantante solista sia stato lungo e tortuoso: per molto tempo Miucha restò ai margini della storia della bossa nova, oscurata dai grandi nomi già noti. Lei stessa dichiara «Pensavo mi fosse proibito stare sul palco. Non mi consideravo una cantante. Era come una favola, che può succedere o meno. Non pensavo che potesse succedere a me.»

Miucha e Tom Jobim – Immagine dal film

Fin dall’infanzia Miucha visse in ambienti dove erano quasi esclusivamente gli uomini a cantare e suonare sui palchi, fino a temere che la carriera artistica fosse una cosa riservata al genere maschile e tenendo così nascosta per diverso tempo la sua vocazione. Nel 1965 sposò João Gilberto, uno dei massimi esponenti della bossa nova, di cui divenne anche la corista. I due si traferirono in breve tempo a New York e nel 1966 nacque la loro prima figlia, Bebel Gilberto. Il matrimonio inizialmente idilliaco andò peggiorando con il trascorrere del tempo, rivelandosi opprimente e doloroso.

La scrittura, la musica e le altre modalità di espressione artistica sono state necessarie alla cantante per reagire a ciò che la circondava e a ruoli sociali prestabiliti in cui non si ritrovava, come quello di moglie, madre, sorgente di forza e ispirazione per il marito, nonché risolutrice in casa di ogni problema. Con fermezza e desiderio, Miucha riuscirà ad andare via e cambiare vita, trovando nuove possibilità per vivere una vita felice, nuovi spazi dove potersi esprimere liberamente e trovare una propria identità musicale. Nel corso degli anni Miucha incise moltissimi album fra cui Getz/Gilberto, pubblicato nel 1964 e uno degli album di bossa nova più famosi nella storia. Nonostante questo, raramente le vennero accreditati i diritti e il suo nome rimase lontano dalle copertine dei dischi. Solamente a quarant’anni riuscì finalmente a incidere il suo primo album inedito, Miucha, uscito nel 1980. Fondamentale fu l’incontro con Antonio Carlos Jobim: tra i due iniziò una grande collaborazione musicale da cui nacquero gli album Miúcha & Antonio Carlos Jobim – vol. 1 e il successivo Miucha & Tom Jobim – vol. II, pubblicati rispettivamente nel 1977 e nel 1979.

Il documentario ha visto la sua anteprima italiana il 26 febbraio 2023 e, per chi se lo fosse perso, vedrà una seconda proiezione mercoledì 1 marzo alle ore 18 al Cinema Massimo.

Trailer del film Miucha – The voice of Bossa Nova

A cura di Stefania Morra

Né zitti né buoni: i Måneskin conquistano il Pala Alpitour

Era il 30 marzo 2018 quando i Måneskin suonavano per la prima volta a Torino. Freschi del secondo posto ad X Factor avevano presentato al pubblico dell’Hiroshima Mon Amour due brani inediti (“Chosen” e “Recovery”) in un repertorio di sole cover. Chi usciva da quel live – compresa la sottoscritta – si accorse dell’impatto scenico del gruppo romano, ma le incertezze riguardanti il loro futuro erano tante. Un mero prodotto commerciale? Una band per ragazzine? Sono abbastanza rock? Tutte queste domande sono state spazzate via dalla loro clamorosa ascesa internazionale post-vittoria dell’Eurovision 2021. Sabato 25 febbraio i Kool Kids romani sono tornati a Torino da trionfatori. Al Pala Alpitour hanno presentato uno show impeccabile, che ha messo tutti d’accordo nel considerarli mostri da palcoscenico a tutti gli effetti.

Le sorprese non sono di certo mancate: un tendone rosso a mo’ di sipario proietta le loro ombre mentre suonano “DON’T WANNA SLEEP” per poi crollare a terra e dare inizio allo show. “Buonasera signore e signori” direbbero loro, “il rock’n’roll è servito”.

Credits foto: Elena Di Vincenzo

I brani del loro ultimo album Rush si susseguono in scaletta a ritmo forsennato, intervallati da momenti strumentali che mettono in mostra il talento di Victoria De Angelis al basso, di Ethan Torchio alla batteria e del chitarrista Thomas Raggi, che a furia di assoli consuma la sua Telecaster. Il frontman Damiano David interviene poco, ma quando lo fa è tagliente e ironico. Annuncia con stizza “Beggin’”, la cover che ha conquistato il pubblico internazionale, “un brano che ha stancato sia voi che noi”, per poi invitare i fan a togliere i telefoni e godersi lo spettacolo vis à vis.

Dopo un’ora di brani dal groove elettrico che fanno scatenare il pubblico, lo show si sposta al fondo del palazzetto. Un piccolo palco ospita la band tra i fan per il momento acustico della serata. Il Pala Alpitour si illumina con migliaia di lucine durante “Torna a casa”, “Vent’anni” e “Amandoti”.

Credits foto: Elena Di Vincenzo

Tornati sul main stage succede di tutto: dal fuoco sul palco durante “GASOLINE” agli stage diving continui tra il pubblico. I Måneskin annunciano l’ultimo brano in scaletta e fanno salire sul palco una quindicina di fan, che impazziscono e si dimenano durante “KOOL KIDS” – brano che ricorda il post-punk degli Idles–. Ringraziamenti e sparizione dietro le quinte. Ma non è ancora il gran finale. Mancano ancora “THE LONELIEST” e il bis di “I WANNA BE YOUR SLAVE”. Applausi scroscianti e sensazione di aver assistito ad un qualcosa di grande.

La vittoria dell’Eurovision e il conseguente successo mondiale ha spinto la band a premere sull’acceleratore per migliorare a livello tecnico. Il salto di qualità è evidente, complici anche le migliaia di chilometri macinati in tour oltreoceano negli ultimi mesi. La produzione musicale potrà pur strizzare gli occhi al mercato americano, ma il loro talento è innegabile. I Måneskin da sempre attraggono paradossi: da chi li considera l’anti-rock a chi troppo rock. Non ci sono vie di mezzo, come per le grandi rockstars. O li ami o li odi. Da amanti della musica rimanere indifferenti a tale impatto è un grave spreco, così come non assistere ad un loro concerto almeno una volta nella vita. Provare per credere.

A cura di Martina Caratozzolo

La webzine musicale del DAMS di Torino