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Glocal Sound 2025: rivelazioni sonore all’Hiroshima Mon Amour

Quest’anno la collaborazione tra due importanti realtà torinesi, Glocal Sound e Reset Festival, ha portato una ventata di freschezza all’Hiroshima Mon Amour. Tra il 9 e l’11 ottobre il club ha ospitato una serie di progetti musicali davvero interessanti. Particolare merito va al Glocal Sound: è riuscito a riunire sul palco artisti innovativi provenienti da tutta Italia, che con le loro performance hanno piacevolmente stupito il pubblico in sala. L’ultima giornata ha ospitato cinque progetti molto diversi fra loro.

Ad aprire la serata, i Ra di Spina, dalla Campania, con un sound che fonde tradizione popolare e ricerca sonora contemporanea. Le voci di Laura Cuomo e Alexsandra Ida Mauro si intrecciano in armonie originali e suggestive, mentre chitarre ed elettronica costruiscono un tappeto sonoro di grande raffinatezza. La musica mescola antico e moderno in modo sorprendente, dando vita a un’esperienza d’ascolto immersiva e a tratti ipnotica.

La seconda a salire sul palco è Alice Caronna, cantautrice proveniente dal Lazio, che conquista il pubblico con un’esibizione essenziale ma profondamente intensa. Accompagnandosi unicamente con la chitarra, Caronna è interprete di un cantautorato intimo e autentico, capace di alternare momenti di dolcezza a una sorprendente forza espressiva.

Dombre, cantautore vicentino, si presenta invece in duo con un tastierista che gestisce anche drum machine e laptop. La chitarra e la voce si fondono con le seconde voci e i tappeti ambient, creando una commistione affascinante tra cantautorato e sperimentazione elettronica.

L’atmosfera cambia con il quarto progetto della serata: gli Amore Audio. Il duo elettronico piemontese propone basi ritmate e sperimentali, costruite su un mix di diversi generi musicali come techno e jungle, mantenendo però sempre un linguaggio fortemente pop.

A chiudere l’evento (prima del Reset, il festival con cui ha collaborato il Glocal) ci pensano i Morama, duo lombardo composto da voce/violoncello e tastiera. Il loro sound fonde con equilibrio electro-pop e cantautorato italiano. La performance è una vera altalena emotiva in cui le atmosfere da club si intrecciano con la malinconia dei dischi più intimi di Luigi Tenco e Fabrizio De André, dando vita a un finale intenso e sorprendentemente coerente. 

Alessandro Ciffo

Chromogen: la camera oscura del suono

Da Bologna sul palco dell’Hiroshima Mon Amour, i Chromogen, un trio strumentale con l’omonimo EP d’esordio, i cui titoli dei brani richiamano sostanze chimiche usate nello sviluppo fotografico analogico. Si esibiscono dopo i Tendha in occasione di Glocal Sound, la vetrina che illumina nuovi talenti all’interno del Reset Festival.

Il chromogen, in chimica fotografica, è il reagente che trasforma lentamente un’immagine da bianco e nero al colore. Ed è proprio questa trasformazione lenta, che guida l’ascolto della loro musica: si parte da strutture quasi monocromatiche, per arrivare a composizioni sonore stratificate, in cui ogni suono e timbro agisce, come un reagente, sul successivo.

Basso elettrico, sax tenore e batteria: una formazione essenziale, ma tutt’altro che minimalista.  Il live è segnato da un imprevisto non da poco: il batterista ufficiale è sostituito all’ultimo minuto per motivi di salute. L’alchimia del trio non ne risente. Anzi: il set è rimasto coeso e in sintonia. Una tensione chimica, potremmo dire, dove ogni elemento sonoro trova il suo equilibrio.

Il basso, trattato con effetti e pedali, copre più registri, muovendosi tra ruoli armonici, melodici e ritmici. Scolpisce lo spazio, crea ponti, guida e suggerisce traiettorie, lavorando come collante armonico e tessitore di atmosfere. La batteria, insieme al basso, gestisce la macchina ritmica. Lavora a incastro, sostiene i tempi spezzati, crea e interrompe il flusso. Il sax tenore è la voce solista. Non accompagna, narra. Il suo fraseggio è fluido, espressivo, spesso malinconico. Dialoga, interrompe, riparte.

Il progetto si muove tra jazz contemporaneo, funk e post-rock dalle tinte post-punk. Le influenze si sentono, ma non sovrastano mai l’identità del gruppo, che lavora su una ricerca timbrica costante, con un’attenzione particolare agli spazi, ai vuoti, alla dinamica.

Il set alterna momenti dal ritmo incalzante, con groove trascinanti, ad altri più sospesi, in cui la musica si fa psichedelica. In questi passaggi, il trio costruisce ambienti sonori che sembrano muoversi in uno spazio onirico, quasi fuori dal tempo.
Non è solo una questione di effetti: è un uso consapevole della dinamica e della densità timbrica. L’alchimia è centrale: la struttura è complessa, ma mai rigida e lascia spazio all’improvvisazione. Tutto resta in equilibrio, con una direzione chiara che tiene insieme gli elementi.

Singolo dell’LP, la cover di “In Bloom” dei Nirvana, portata anche sul palco. Non è un omaggio meccanico: viene reinterpretata secondo la lente fotografica del trio. Non è grunge per nostalgia, ma una rielaborazione che la dissolve, la sfuma, la reinventa. Tra i brani c’è anche “Bleach, un titolo che richiama sia il reagente chimico sia, forse, un altro omaggio silenzioso al grunge e ai Nirvana.

Il progetto dimostra come anche una formazione essenziale, di soli tre strumenti, può creare un mondo sonoro complesso, coerente e ricco di sfumature. Come nelle vecchie camere oscure, ciò che all’inizio sembra indefinito può trasformarsi, lentamente, in un’immagine piena di colore. 

Linda Signoretto

La partita sonora dei Tendha: Glocal Sound

Chiunque sia cresciuto con una console tra le mani ricorderà sicuramente almeno una delle colonne sonore 8-bit: quelle melodie digitali codificate che accompagnavano i videogiochi dell’epoca. Possiamo affermare che sono a pieno diritto parte della memoria collettiva sonora, molto più di certi tormentoni estivi e jingle.
Queste musiche venivano generate in tempo reale dal chip audio integrato nella console, imponendo limiti tecnici molto rigidi.
I compositori dovevano programmare matematicamente il suono, nota per nota, con una manciata di frequenze, ritmi e timbri sintetici (soprattutto beep e toni squadrati) e con arpeggi rapidi che assomigliano ad accordi. Eppure, nonostante i confini strettissimi, sono riusciti a creare melodie memorabili, riconoscibili e, soprattutto, piacevoli anche dopo ore attaccati allo schermo.

È proprio dentro i limiti rigidi dei chip sonori che la band, scelta per il primo appuntamento di Glocal Sound, si muove con consapevolezza e inventiva. Siamo nel vivo di una rassegna che, nella cornice del Reset Festival, presenta, sotto i riflettori dell’Hiroshima Mon Amour alcuni tra i più interessanti progetti emergenti della scena musicale italiana.
Sul monitor scorrono pixel e frammenti video tratti da storici videogiochi 8-bit, mentre sul palco suona il trio milanese Tendha (per appassionati e curiosi: il nome è un omaggio al rifugio del videogioco Final Fantasy).
L’atmosfera e la musica riescono a teletrasportarsi nel passato, recuperando il suono dell’infanzia digitale e di molte generazioni.

Il concerto prende vita attorno al loro album di debutto Soap doesn’t exist because it can’t be told. Ma non è solo un album, e nemmeno solo un’esibizione: è un concetto, un mondo sonoro che parte dal passato e guarda avanti, costruendo un insieme di suoni attraverso il layering di loop in evoluzione sovrapposti e manipolati in tempo reale.

La vera sorpresa è il clarinetto basso dotato di setup elettrico. Uno strumento classico che, grazie all’elaborazione elettronica, si reinventa e acquisisce nuove sfumature timbriche. 

Un duo di voci, maschile e femminile, svincolate da parole e testi convenzionali, esplorano fonemi, suoni articolati, sillabe isolate che ripetute, distorte e trasformate, assumono una consistenza sonora propria. Le linee vocali si rincorrono, si scontrano, si fondono, esplodono e mutano tonalità, dando vita a un intreccio dinamico e imprevedibile. Diventano strumenti, parte integrante della trama musicale, intrecciandosi con naturalezza in un dialogo continuo con le pulsazioni della batteria e il timbro del clarinetto basso. Tastiera, sintetizzatori ed effetti elettronici lavorano dietro le quinte per elaborare loop e layering.

Voci e clarinetto si muovono entro confini e registri ben precisi, ma si divertono a giocare con ritmi spezzati e sincopati, creando un senso di sorpresa e movimento continuo. Questi sbalzi ritmici richiamano cambi di scena tipici dei videogiochi, dando vita a una performance mai scontata.

Nonostante i limiti imposti dall’estetica sonora 8-bit riescono comunque a modulare il suono con grande espressività. Sfuggono, di tanto in tanto, alla meccanicità del loop, spezzando la rigidità robotica e restituendo all’ascolto un’improvvisa autentica presenza umana.

Dopo questo viaggio tra pixel e loop, Tendha dimostra come i limiti tecnici possano stimolare la creatività. La partita è stata salvata lasciando aperta la curiosità per i prossimi livelli del loro percorso artistico.

Linda Signoretto

Musidams consiglia: i 10 migliori singoli di settembre

In questo settembre confuso e dal tempo ballerino proponiamo un mix che include: rifacimenti di antichi successi, nuove star emergenti e cantanti che non fanno altro che darci certezze inconfutabili. 

Buon ascolto! 

“La stagione della noia”- Absenthee

La band torinese, nata a inizio settembre 2023, esordisce con il suo primo ep Dove pensi di star andando? Il loro stile ibrida l’indie rock con influenze varie tra funky, progressive rock e jazz. “La stagione della noia”, su un ritmo di bossa nova, ci sussurra speranze e illusioni della giovinezza che sul finale vengono spezzate dall’idea di maturare al passaggio con l’età adulta. L’ultimo brano del disco esprime un sentimento che fa da ponte in tutte le canzoni dell’ep: l’inadeguatezza e l’alienazione mascherati da una finta spensieratezza. Ciò che attrae maggiormente degli Absenthee è la scrittura puntuale ed evocativa di sensazioni così vicine al vissuto giovanile, tra le quali gioca un ruolo chiave lo smarrimento.

Voto: 28/30

“Fosse Vero” – Avincola 

Simone Avincola, in arte Avincola, è un cantautore e polistrumentista romano. Con l’album Avincola Canta Carella ha attinto ai migliori brani di un grandissimo cantautore italiano, Enzo Carella. Al disco partecipano anche Anna Castiglia, Ciliari, Dente e MILLE. Tutto l’album ha un arrangiamento che modernizza lo stile di Carella, già all’avanguardia per i suoi tempi. “Fosse Vero” è il primissimo brano del cantautore, apparso prima come singolo nel 1976 e poi nell’album Vocazione nel 1977. Memorabile è la collaborazione con il paroliere Pasquale Panella, evidente nel suo stile surreale, evocativo e ricco di giochi di parole, doppi sensi e nonsense, qui e in tutti i successivi album. Il brano nello specifico è un’ottima occasione per rispolverare almeno un pezzo del primo album del cantautore, non presente sulle piattaforme di streaming musicale. 

Voto: 30/30

“Le temps de l’amour – Version alternative” Françoise Hardy 

Sempre in tema con i grandi cantanti del passato, su Spotify è uscita una raccolta di canzoni della celebre Françoise Hardy, cantautrice francese venuta a mancare lo scorso anno. L’album Le premier bonheur du jour (Legacy Edition) contiene grandi successi come l’omonima canzone , “L’amour d’un garçon” e “Comme tant d’autres”. “Le temps de l’amour – Version alternative” è leggermente diversa dall’arrangiamento storico del pezzo: ci trasporta indietro nel tempo in un what if alternativo, nel quale questa versione sarebbe potuta essere la canzone definitiva. L’influenza musicale della cantautrice vive ancora tra noi: citata e celebrata in tutto il mondo. 

Voto: 26/30

“Giornata perfetta” – Colombre e Maria Antonietta 

Giovanni Imparato e Letizia Cesarini, in arte Colombre e Maria Antonietta, sono due cantautori che nell’album Luna di miele si uniscono per creare una rilettura dell’amore quotidiano: definito dagli istanti luminosi ma non privi di zone d’ombra. La normalità guida i due a sperimentare sia le sensazioni positive che quelle negative con leggerezza e accettazione. Nel brano “Giornata perfetta” viene esaltata la gioia della dimensione presente senza pensare al futuro, ma semplicemente vivendo il momento. Il loro stile si ibrida tra il pop d’autore con accenni retrò, che evocano una sospensione del tempo in una tiepida sera d’estate. Colombre e Maria Antonietta, insieme anche nella vita reale, ci regalano una visione pura dell’amore che non si scalfisce con l’abitudine e non si usura con il passare del tempo, ma rimane visibilmente acceso.

Voto: 27/30

“Le tue mani, la tua moto” – Gioia Lucia

Gioia Vitale, in arte Gioia Lucia, è una cantautrice brillante che sa tenere il pubblico agganciato grazie alle sue melodie funky con testi freschi e mai noiosi.  “Le tue mani, la tua moto” si va ad aggiungere all’album Forse un giorno uscito nel maggio 2025, disco che unisce egregiamente momenti riflessivi, come la canzone “Parole Vuote”, a puri momenti di ballo con “Morta d’amore”, non a caso il brano più apprezzato dai fan. Il nuovo brano descrive in modo divertente e leggero la difficoltà di lasciar andare una persona, o meglio l’idea di questa persona, resa tridimensionale non dalla descrizione della sua personalità bensì da caratteristiche fisiche, come le mani, le spalle e poi ovviamente la sua moto. Con un ritmo avvolgente, la cantautrice ci porta nella sua uscita serale, in cui spavalda fronteggia il vero ‘lui’, finalmente cercando di superarne l’idea ormai tramontata.

Voto: 28/30

Maria Scaletta

“NIENTE DA DIRE” – Levante 

Nel video ufficiale, Levante danza sullo sfondo suggestivo dei Murazzi e del Po, immersa nella città che l’ha vista nascere e poi brillare: Torino. Per quanto il brano abbia un’impronta chiaramente commerciale, Levante dimostra ancora una volta di saper restare al passo con i tempi, senza perdere autenticità. Con la sua voce e il suo stile, riesce a parlare al cuore di chi la ascolta, intrecciando immagini semplici ma sempre orecchiabili, capaci di evocare emozioni sincere.

Voto: 27/30

“RITRATTI” – Mecna

Mecna è una certezza. Pur attraversando un’evoluzione sonora album dopo album, resta fedele a sé stesso: autentico, riconoscibile e profondamente coerente. È uno dei pochi artisti, forse l’unico, che non tradisce mai le aspettative del suo pubblico, offrendo sempre il meglio di sé, con una cura per i testi e le atmosfere. Il nuovo brano è un viaggio emotivo, ricco di richiami ai suoi progetti precedenti, come se volesse tessere un filo invisibile tra passato e presente. Oltre alla produzione di Fudasca, che si conferma tra i migliori nel panorama discografico italiano, il pezzo regala una vera chicca nell’outro: il campione di “Fantasmi pt.2” di Ghemon, mentore di Mecna e, insieme a lui, uno dei rapper più forti e raffinati della scena italiana. Con l’uscita del nuovo album, prevista per il 24 ottobre, si preannuncia un autunno carico di malinconia e lacrime amare per i fan più affezionati. Prepariamoci: Mecna è pronto a colpire ancora.

Voto: 29/30

“La Vida Serà” – José Ramón Caraballo Armas 

Durante la prima puntata della nuova stagione di Propaganda Live, il programma televisivo condotto da Diego Bianchi, la Propaganda Orchestra ha regalato al pubblico un momento di profonda intensità emotiva eseguendo un brano inedito dedicato alla memoria di due musicisti scomparsi durante l’estate: il trombettista Giovanni Di Cosimo e la violinista Valentina Del Re. Nel corso dell’esecuzione, il cantante José Ramón è stato sopraffatto dall’emozione: le lacrime lo hanno costretto a interrompere il canto, mentre sullo schermo scorrevano le immagini dei membri dell’orchestra, tutti visibilmente commossi. Un momento di televisione raro, autentico, in cui l’umanità ha preso il sopravvento sulla scaletta. La canzone, intensa e delicata, parla di vita, di amore, ma soprattutto di speranza. E se l’impatto emotivo della diretta è difficilmente replicabile nella versione streaming, vale comunque la pena ascoltarla: è un tributo sincero, che lascia il segno.

Voto: 30/30

“WHERE IS MY HUSBAND!” – Raye

La canzone, ormai diventata un vero e proprio tormentone sui social, ha fatto il suo debutto al Glastonbury Festival 2025, segnando un ulteriore traguardo nella brillante ascesa di Raye. Con la sua eleganza magnetica e un fascino che travalica generazioni riesce a catturare l’attenzione di ascoltatori di ogni età. Pur essendo orecchiabile, il brano incarna pienamente lo stile e la personalità dell’artista, che riesce a coniugare modernità sonora e una sensibilità artistica raffinata.

Voto: 28/30 

“So Easy (To Fall In Love)” – Olivia Dean 

Olivia Dean ha consolidato la sua presenza nel panorama musicale internazionale nell’ultimo anno, grazie a un uso strategico e autentico dei social media come vetrina espressiva. Questo mese ha pubblicato il suo secondo album, The Art of Loving, un progetto maturo e raffinato che esplora le sfumature dell’amore in tutte le sue forme. In particolare, il brano, grazie anche alla produzione, curata da Zach Nahome, intreccia sonorità neo soul, pop orchestrale, incarnando tutta la dolcezza e la grazia vocale di Olivia Dean che la rendono una delle voci più promettenti e sofisticate del nuovo soul britannico.

Voto: 26/30

Sofia De March

L’esplosivo release delle Irossa con Stasi a sPAZIO211

A un mese dall’uscita dell’album, si è tenuto il 20 settembre il tanto atteso release party delle irossa a sPAZIO211 andato sold out.  L’album La mia stella aggressiva si nasconde nelle virgole e nei punti, con delicatezza e ritmi ipnotici, spazia tra la necessità di trovare un senso e il desiderio della scoperta di sé stessi. Ne parliamo in maniera più approfondita nell’intervista alle irossa

Ad aprire l’evento è il cantante Elia Arduino, in arte Stasi, con il suo producer Egor. La sua voce sussurrata e il suo stile pop-elettrico raffinato attira il pubblico come un canto ammaliante: con “Nubi sparse” e “Domani (Yakamoz)” Stasi fa scatenare gli spettatori tra momenti riflessivi e puri istanti di balli sfrenati. 

Foto di Sofia Grosso

Il cantante, tra un brano e un altro, fa un appello di ringraziamento a chi si sta impegnando per la causa palestinese, con riferimenti alla manifestazione torinese di quello stesso giorno, allo sciopero generale del 22 settembre 2025 e alla Global Sumud Flotilla. Termina con “TU TU TU!” con la partecipazione del cantante Iang Vic: l’atmosfera è calda ed è pronta per l’arrivo delle irossa ma non prima di una breve pausa.

L’aria vibra di attese: le irossa, salgono sul palco. L’esibizione comincia con “Fango”, prima canzone del nuovo disco che mette in hype tutti: il pubblico non vede l’ora di sentire nella sua interezza il tanto atteso album per la prima volta live. La platea, con i brani più movimentati come “Potomac” e “Non conosco” non riesce più a stare composta e si scatena.

Si passa poi a pezzi dell’album d’esordio Satura, con “Onde in aprile”, che ci porta in una dimensione spensierata e malinconica, per continuare con “Secchio d’acqua”, una dolce rincorsa ad un passato ormai irraggiungibile cantata da Margherita Ferracini, mentre la celebre “Dove è lei” viene intonata dal cantante Jacopo Sulis, seguito a squarciagola dal pubblico.

Foto di Sofia Grosso

Con “Falso nueve”, il bassista, Simone Ravigliono, ruba il posto del cantante, che si riposa facendo un giro sulla folla, gettandosi sul pubblico, che lo solleva e lo trasporta per la sala.

Richiesto dalle irossa, ritorna sul palco Stasi per accompagnarle nella cover de “L’estate sta finendo” dei Righeira, con cui nostalgicamente ripensiamo l’estate appena passata, ricordo amplificato dai 30 e passa gradi dell’interno del locale.

Foto di Sofia Grosso

Quando arriviamo a “Fiori, fiori”, uscito nel maggio di quest’anno, il pubblico è ormai carico: tra un pogo e un altro, più di 5 persone vengono sollevate e trasportate facendo surf sulla folla in un clima di euforia generale.  

Quando le irossa si dileguano verso il backstage, la serata sembra volgere al termine, ma è solo un atto preparatorio per preparare il gran finale. 

Il palco rimane vuoto finché non sale Sofia Rodi, fan sfegatata della band, che comincia a recitare una poesia: è il momento del brano “Storia di un corpo che cade”. Gradualmente ritornano sul palco i sei membri delle irossa per accompagnare la poesia.

L’ultima canzone della scaletta è “La mia stella aggressiva”, ovvero il brano posto come chiusura dell’album. Alla performance di una canzone così cara alla band si unisce il loro producer Claudio Lo Russo, cantante degli Atlante, che le accompagna alla chitarra. Il pubblico, seppure stanco e accaldato, non si dà per vinto e per l’ultima volta si accende trasformandosi in un pogo sfrenato.

Foto di Sofia Grosso

La serata si conclude con la rapida uscita del pubblico all’aria aperta e con l’esigenza vitale di abbeverarsi dopo una fremente esibizione che non solo ha soddisfatto le nostre aspettative, ma le ha addirittura superate. 

Che dire, non vediamo l’ora di scatenarci di nuovo con le irossa e Stasi!

Maria Scaletta

irossa: il suono di ciò che si nasconde tra le virgole e i punti

Il 22 agosto è uscito il nuovo album delle irossa: La mia stella aggressiva si nasconde nelle virgole e nei punti (L.M.S.A.) scritto e arrangiato da Gabriele Chiara (sax tenore e contralto, clarinetto), Margherita Ferracini (voce, chitarra elettrica, synth, cembalo), Guglielmo Ferroni (chitarra elettrica, sax contralto, synth), Simone Ravigliono (basso, voce), Valerio Ravigliono (batteria, percussioni), Jacopo Sulis (voce, chitarra acustica, synth).

A differenza del primo album, Satura, che ruotava attorno alla ricerca di “lei”, una figura onirica e sfuggente che non corrispondeva a una persona reale, ma incarnava il desiderio di autenticità e di amore assoluto, questa volta è una stella ad essere inseguita: misteriosa, lontana, invisibile agli occhi ma viva dentro ognuno di noi. Non è una meta da raggiungere in fretta, ma una dimora interiore da costruire con pazienza, mattone dopo mattone. Richiede tempo, ascolto, cura. È il sogno di scoprire chi si è davvero, attraversando le fasi della vita e superando i mille ostacoli che segnano questa età incerta e luminosa.

Questo lavoro si rivela come una rappresentazione lucida e delicata della fragilità dei vent’anni – un’età sospesa tra la ricerca di senso, il bisogno di rapporti autentici e il desiderio di capire chi si è davvero. Tra immagini di aule universitarie percepite come estranee, interrogativi sull’identità, sul futuro, e racconti di relazioni sentimentali alla deriva, la band torinese dà forma ad un universo narrativo e musicale che invita non solo all’ascolto e alla riflessione, ma anche ad un possibile riconoscimento: quello di sé, nascosto tra le virgole e i punti, dove qualcosa di luminoso e inquieto continua a sfuggire e a rivelarsi, proprio come una stella che non smette di cercare il suo posto.


Abbiamo deciso di entrare in questo mondo e di intervistarli, per capire meglio cosa si cela dietro le loro parole e melodie.

Foto di Nicolò Canestrelli

Come vi siete conosciuti e quando avete capito che volevate creare qualcosa insieme?

R: Ci siamo conosciuti durante un corso di chitarra bluegrass (sì, fa sempre un po’ strano dirlo) alla House of Rock, la scuola di musica di Rhobbo Bovolenta, nostro maestro e mentore, dove quasi tutti noi suonavamo già da anni, anche se in gruppi diversi. Da quel corso è nata un’affinità, poi la voglia di scrivere pezzi nuovi insieme, e infine i primi concerti tra Torino e provincia…

Qual è il significato del nome del vostro gruppo?

R: Come abbiamo già raccontato in qualche intervista, ci sono due versioni della storia. La verità? Eravamo alla disperata ricerca di un nome. Una sera, mentre bevevamo una birra bionda (c’è chi giura fosse una limonata, ma io non ci credo), qualcuno ha detto: “Chiamiamoci i Bionda.” Silenzio. “No, è orrendo.” “Allora facciamo irossa.” E così è rimasto.

Col tempo, però, abbiamo scoperto che in una poesia di Rimbaud, “Les Voyelles”, ad ogni vocale viene associato un colore, e la “i” è, per l’appunto, rossa. Questa è la versione che usiamo quando vogliamo fare i seri… o i fighi.

Parliamo di L.M.S.A., «Il secondo album è sempre il più difficile/ Nella carriera di un artista», diceva Caparezza, voi come lo avete vissuto?

R: Il secondo album è sempre una sfida, ma scriverlo e registrarlo è stato davvero bello. Abbiamo iniziato a comporre nuovi pezzi in un periodo di transizione: da poco era uscita dal gruppo la nostra ex sassofonista, Caterina Graniti, ed era entrato Gabriele Chiara, che ha preso il suo posto ai fiati. Con Gabri abbiamo cominciato a sperimentare una scrittura più coesa, in costante dialogo tra di noi. Ma, soprattutto, abbiamo dato sfogo a una forte necessità di creare. Alla fine, tra agosto 2024 e aprile 2025, abbiamo chiuso le dieci tracce che compongono questo nuovo album.

In quali circostanze è nato?

R: Decisamente varie, e in luoghi che spaziano dalla sala prove di Fede (che ringraziamo di cuore) a una residenza artistica in Friuli, al Mushroom Studio, dove abbiamo avuto la possibilità di fermarci qualche giorno. Lì, circondati dai monti, dal vino e da persone splendide, abbiamo lavorato ai nuovi pezzi per due giorni di fila, dalla mattina fino a notte fonda. È stata un’esperienza fondamentale.

Quali sono gli ascolti che più vi hanno accompagnato mentre registravate le canzoni?

R: Veramente tanti… giusto per citarne alcuni: Black Country, New Road, Fontaines D.C., Shame, Murder Capital, Deadletter, Headache, IDLES… Di musica italiana, dobbiamo ammetterlo, ne ascoltiamo poca.

Cosa è cambiato nel vostro modo di lavorare rispetto alle primissime demo?

R: Ci sentiamo decisamente più maturi e consapevoli di ciò che facciamo, anche se ci piace continuare a sperimentare e non ci sentiamo arrivati a un sound “definitivo”. Le intenzioni di scrittura sono sicuramente più chiare, sia per quanto riguarda la parte strumentale che per i testi. L’aiuto di Claudio Lo Russo (Atlante) nelle registrazioni, produzioni e mix ci ha permesso di raggiungere una qualità decisamente superiore.

Ricordate il momento preciso in cui avete capito che l’album era finito?

R: Probabilmente è stato proprio in Friuli, a febbraio, che abbiamo capito che il disco era, almeno nelle intenzioni, finito. È successo nel momento in cui abbiamo trovato il titolo dell’album. Una sera, dopo molto (troppo) vino, abbiamo giocato al cadavre exquis – un gioco surrealista che consigliamo vivamente, in cui ogni partecipante scrive alcune parole senza sapere cosa hanno scritto gli altri – ed è venuta fuori la frase: “La mia stella aggressiva raggiunge la pelle secca con prepotenza.” L’abbiamo manipolata in vari modi, e alla fine siamo arrivati al titolo definitivo: La mia stella aggressiva si nasconde nelle virgole e nei punti. Una frase e un concetto che hanno avuto in noi una risonanza profonda fin da subito. Da lì in poi, il grosso del lavoro concettuale era fatto… anche se per concludere le registrazioni e la scrittura di alcuni brani ci sono voluti ancora tre o quattro mesi.

Foto di Nicolò Canestrelli

Cosa avete provato la prima volta che avete ascoltato il disco tutti insieme? C’è qualche aneddoto che volete raccontarci?

R: Una grande, grandissima soddisfazione, anche se inizialmente mascherata dalle infinite discussioni sull’ordine più funzionale dei brani. Registrarlo è stato un processo lungo e faticoso, ma anche molto divertente. Ricordiamo con affetto una gigantesca pasta alle vongole mangiata con Claudio e Raffa tra una registrazione e l’altra (ancora ci chiediamo come nessuno di noi si sia beccato un’intossicazione, visto che le vongole del supermercato non promettevano nulla di buono).

Comunque, è già almeno un mese che, ogni volta che ci becchiamo la sera, brindiamo al nuovo album… che non è nemmeno ancora uscito. Chissà cosa succederà quando sarà fuori. Nel dubbio, stiamo già preparando il Moment per il mal di testa del giorno dopo.

Qual è il momento e il luogo migliore in cui si dovrebbe ascoltare questo album?

R: Corriamo il rischio di essere banali, ma lo diciamo lo stesso: durante un viaggio in macchina, di notte, da soli, mentre si torna verso casa. Quando ciò che è successo sta già diventando un po’ opaco e l’arrivo ha il sapore di coperte calde e calzini da mettere a lavare.

Com’è essere ventenni oggi rispetto a come immaginavate da piccoli?

R: Non è facile. Da piccoli, tutto sembra insipido rispetto al mondo dei grandi. Poi, in un attimo, grande lo sei diventato davvero, e il mondo dei piccoli ti appare sempre un po’ più bello, più vivido. Per fortuna siamo ancora in un momento in cui possiamo permetterci di essere spensierati, senza troppe ripercussioni… speriamo di riuscire a godercelo finché possiamo.

Che sogno vi motiva oggi?

R: Riuscire a vivere con la nostra musica sarebbe qualcosa di incredibile, una vera ragione di vita. Più persone incontriamo, più ci rendiamo conto che non è affatto facile. Ma l’unica cosa da fare è provarci e crederci fino in fondo, altrimenti si finisce per convivere con il rimorso… e il rimorso, diciamolo, non è granché.

Se doveste scegliere il pezzo che più vi somiglia quale sarebbe?

R: “Io odio il governo” di Tony2Milli. Non rispondiamo a ulteriori domande. 

Dove vi vedete tra 5 anni?

R: Cinque anni… Abbiamo il sospetto che tante cose saranno successe e cambiate, e che magari sarà il momento giusto per tirare le somme di ciò che abbiamo fatto. Probabilmente, però, ci ritroveremo davanti a un kebab in Santa Giulia, dopo la solita nottata passata a parlare, magari a dirci: «Eh, se solo avessimo deciso di chiamarci iBionda…»

Dove possiamo sentirvi dal vivo? 

R: Il 20 settembre 2025 presenteremo “La mia stella aggressiva si nasconde nelle virgole e nei punti” a sPAZIO211, insieme a Stasi, che è un nostro grande amico. Dopo quella data, stiamo cercando di chiudere qualche altro appuntamento in giro per l’Italia: passeremo per Milano, Bologna, Genova, Viareggio… e, se possibile, anche più giù.

Speriamo di potervi dare informazioni più precise molto presto!

Sofia De March

Oltre la concorrenza: Underdog Fest, la ribellione musicale della provincia

Tra “Cigarettes & Alcohol”, dischi che girano sul piatto e musica dal vivo, domenica 1° giugno l’Open Factory di Nichelino ha ospitato Underdog, il primo festival targato The Vinyl Club. Un evento che celebra la riscoperta del vinile e il piacere dell’ascolto collettivo, portando nuova energia nella scena musicale della provincia torinese.

Prima dei concerti degli artisti emergenti, il pubblico ha potuto partecipare a Vinyl On the Sofà, un talk curato da Polvere, Duedischi e Backdoor, incentrato sull’ascolto collettivo di una selezione di dischi.

Particolarmente interessante è stata la scelta di coinvolgere Sun 16 Zine ed Eterogenesi, due fanzine indipendenti torinesi che raccontano e valorizzano la scena musicale locale, offrendone una prospettiva genuina.

PIT COCCATO: “When my loneliness is through/ Won’t you sit on the throne beside me?”

Vinile consigliato dall’artista: Songs:Ohia, Jason Molina- Magnolia Electric Co.

Pit Coccato, cantautore di Novara, sale sul palco interpretando alcuni brani di Tales of Lonely Night, un album accompagnato da un progetto originale: un fumetto, disegnato da giovani illustratori, che traduce ogni traccia del disco in immagini. Un’idea creativa che aggiunge una dimensione visiva alla sua musica.

Foto di Joy Santandrea

L’EP, intimo e avvolgente, si muove tra sonorità folk e rock, costruendo atmosfere malinconiche che cullano l’ascoltatore. Durante il live, Pit ha regalato anche alcuni inediti in italiano, che non vediamo l’ora di ascoltare in loop appena usciranno.

BEST BEFORE: “Giorni persi per ricordi che non ho”

Vinile consigliato dalla band: Egyptian Blue – A Living Commodity, da cui abbiamo ascoltato “Nylon Wire”.

Se Ian Curtis fosse ancora vivo e cantasse in italiano, probabilmente sarebbe il frontman dei Best Before. La loro musica è un’esplosione di tensione e urgenza, con una vocalità tesa, ossessiva, quasi rituale, capace di catturare e inquietare.

Foto di Joy Santandrea

Il gruppo non si limita a suonare, ma sputa emozioni senza filtri. Le chitarre taglienti dai toni metallici si intrecciano con un basso cupo e pulsante, perfettamente in linea con le atmosfere crank wave.

La sezione ritmica martella senza tregua, alternando momenti di frenesia claustrofobica a pause che aumentano la tensione. La combinazione tra ritmi, atmosfere alienanti e testi intensi rende il live magnetico. Impossibile restare immobili: chi sta sotto il palco resta completamente incollato alla band, incapace di distogliere lo sguardo.

I Best Before riescono a coniugare rabbia e lucidità, incanalando il caos in un suono che non è semplicemente un grido generazionale, ma una vera e propria esperienza sensoriale.

BRX!T: “Notti a caso sporcano questa città e adesso/ portami via di qua

Vinile consigliato dalla band: Soundtrack from Twin Peaks, da cui abbiamo ascoltato “Twin Peaks Theme”.

I BRX!T, da veri padroni di casa, hanno coinvolto il pubblico con un pogo sottopalco esplosivo, partendo da brani carichi di energia come “Salta l’intro” e “Notti a caso”, tra rock alternativo e influenze pop oscure.

Foto di Joy Santandrea

La band ha poi regalato un’anteprima: “Voyager”, il nuovo inedito in uscita a settembre, che segna l’inizio di un nuovo percorso sonoro destinato a lasciare il segno questo autunno. L’energia sul palco è stata contagiosa, con la band sempre in movimento e Dave, bassista e cantante, che ha persino raggiunto il pubblico nel pogo finale, amplificando l’adrenalina del live.

A chiudere la serata, un finale perfetto: “Song For the Dead” dei Queen of the Stone Age, un pezzo iconico che ha scatenato l’ultima ondata di salti e urla lasciando il pubblico soddisfatto, chiudendo il festival con entusiasmo.

Underdog: il palco dove la musica indipendente si fa sentire

In un’industria dominata dalla concorrenza feroce, Underdog è una boccata d’aria fresca, un palco dove le nuove proposte possono esibirsi e trovare il proprio spazio. Molte band meriterebbero più attenzione, e un festival come questo offre uno spazio essenziale per scoprire nuovi suoni, creare connessioni e portare avanti la realtà musicale torinese indipendente.

Non è stata solo una serata di musica e pogo sottopalco: Underdog ha acceso i riflettori sulla musica italiana, ricordandoci che esiste, resiste e sa farsi sentire.

Sofia De March

BRX!T senza filtri: tra musica, rivoluzioni e ansia

Per il loro nuovo singolo Ansia, abbiamo fatto un’ intervistare ai BRX!T, gruppo piemontese composto da Davide Barbieri/ Dave (basso e voce), Alessio Ferrara/ Ale (batteria) e Gabriele Ferrara/ Gabe (chitarra), scoprendo le ispirazioni dietro al brano, il loro processo creativo e cosa riserva il futuro per loro.

L’ultima volta era il 2022, cos’è successo in questi anni?

Gabe: Sono cambiate un bel po’ di cose…l’ultima volta eravamo in quattro ora siamo in tre. 

(sorride, ndr). Abbiamo cambiato formazione e il modo di scrivere: siamo felici di aprire una nuova fase della nostra vita musicale.

Per chi non vi conosce, chi siete?

B: Siamo i BRX!T e veniamo da Nichelino. Fino a cinque anni fa ci conoscevate come Fratellislip, ma nel 2021 abbiamo deciso di cambiare nome. BRX!T era il titolo del nostro doppio EP, che avrebbe dovuto uscire nel 2020 ma è stato bloccato dalla pandemia. Quando abbiamo scelto di modificare genere e lingua, volevamo comunque restare fedeli alle nostre radici, ed è per questo che abbiamo deciso di chiamarci così… nonostante la grande rivoluzione che stavamo vivendo—una delle tante che abbiamo affrontato! (ridono, ndr)

Perché suonate e cosa vi ha spinto a far parte di una band?

Ale: Nel mio caso e in quello di mio fratello (Gabe), è stato nostro padre, da sempre appassionato di musica, a trasmetterci questa passione. Ricordo un Natale, o forse un compleanno, quando avevo otto anni: ci regalarono Guitar Hero, e da quel momento abbiamo preso in mano gli strumenti senza mai più abbandonarli.

Dave: io dovevo fare qualcosa e non mi piaceva il calcio, allora ho iniziato a suonare.

Se doveste descrivervi con tre parole, quali sarebbero?

Per descriverci, useremo HEAVY-POP, il genere in cui cerchiamo di identificarci oggi. Non crediamo molto nella categorizzazione musicale, ma se dovessimo sceglierne una, sarebbe questa.

Il 30 aprile è uscito il vostro ultimo singolo Ansia, com’è nata questa canzone? Avete un metodo preciso per scrivere i brani o, nasce tutto in modo spontaneo?

Dave: Non abbiamo un metodo fisso per scrivere: a volte lavoriamo individualmente, altre volte in gruppo. Ma la maggior parte delle volte componiamo jammando, lasciando che la musica nasca spontaneamente.

Ansia è nata dalla necessità di esprimere un sentimento che tutti e tre proviamo, seppur in forme diverse. Io non la sento sul palco, ma nella vita quotidiana.

L’idea del testo è scaturita da un periodo di circa sei mesi in cui mi sono ritrovato a fare visite inutili, per poi scoprire che era “solo” ansia—quella che stringe il petto e ti fa sentire senza via d’uscita.

Quest’ansia che stringe la gola

Non prendermi, lasciami ora 

Foto di Elisabetta Ghignone dal profilo Facebook dell’artista

L’ansia è un’emozione di cui si parla molto spesso, forse è anche uno dei temi che più accomuna la nostra generazione. Viene spontaneo chiedervi quale sia il vostro rapporto con lei?

Ale: L’ansia per me? Ogni secondo in cui respiro essenzialmente (sorride, ndr) …ogni istante della mia vita è soverchiato, occupato dall’ansia.

Dave: Per me è guidare fino a Torino. (ridono,ndr)

Gabe: È uno stato d’animo che provo quando mi sento sopraffatto da troppe cose. Quando mi sento pieno, l’ansia diventa intensa. La sfogo in modi diversi, ma in generale la percepisco come un peso che mi opprime.

Dave: Poi, secondo me, è un tema che accomuna tutti, qualsiasi persona e quindi ci sentivamo di scrivere qualcosa per noi e per tutti.

Qual è il vostro obiettivo come band? Quali sono i vostri progetti futuri e dove vi vedete tra 5 anni?

 B: Conquistare il mondo vale come obiettivo? In realtà, il nostro sogno nel cassetto è vivere di questo.

Vederci tra cinque anni è molto difficile, non ci aspettavamo nemmeno che ci saremmo trovati in tre a fare musica ancora perché molti mollano per diversi motivi. È difficile vedersi ma saremo sicuramente sul palco.

Qual è il vostro featuring dei sogni?

Gabe: Abbiamo un sogno, si chiama Antonino Cannavacciuolo, è un feat difficile ma ci proviamo.

Lele adani è diventato un cantante, si può fare tutto. (ridono, ndr)

Dove possiamo venire a sentirvi suonare dal vivo?

B: Il primo giugno all’ Underdog Fest, un festival organizzato da noi, e il 12 luglio a Caselle.

Abbiamo pochi live estivi ma ci riscaldiamo per l’autunno quando usciranno gli altri singoli. 

L’ultima domanda: se doveste creare un manifesto che rappresenti la vostra filosofia di vita e la vostra musica cosa ci scrivereste?

B: Fate quello che volete, fate ciò che vi rende felici e seguite quello che vi fa stare bene. Finché si è giovani, felici e spensierati, nulla peserà davvero. Non ponetevi confini.

Guardate anche la video – intervista sul nostro profilo Instagram

di Sofia De March e Joy Santandrea

Il nuovo singolo di La Posa Bulb: “Fine del mondo”

La Posa Bulb, band emergente di Civitavecchia, debutta sulla scena musicale italiana il 21 marzo 2025 con il singolo “Fine del mondo” che anticipa l’uscita del loro primo album. Il nome della band richiama una tecnica fotografica che cattura il soggetto in movimento mantenendo lo sfondo fisso, un concetto che si riflette perfettamente nella loro musica.

Il gruppo è composto da Lorenzo Ceccarelli, Diego Tranquilli e Fabrizio Campogiani: personalità differenti che arricchiscono il progetto con influenze che spaziano dal rock all’indie, riuscendo a creare un sound originale.

Il singolo non racconta di una fine catastrofica, ma propone una riflessione sulla consapevolezza della realtà. Sebbene il titolo evochi l’idea di un epilogo, in realtà è una «presa di coscienza» di fronte ad un presente incerto, come la definiscono gli stessi membri della band. 

Nel verso «E anche se domani tutto finirà, no non sarà per colpa tua» emerge il tema della disillusione e dello smarrimento vissuto da molti giovani. La struttura musicale caratterizzata da un inizio delicato che sfocia in un crescendo, rappresenta un viaggio nell’emotività umana, simboleggiando il confronto con la realtà.

“Fine del mondo” è solo un assaggio del loro primo album, ma già mette in luce una band capace di esplorare temi profondi. Chi si avvicina a loro troverà una voce distintiva nella scena musicale italiana.

Benedetta Vergnano

Stefano Bollani e Valentina Cenni: ospiti speciali per la serata finale del Premio Gianmaria Testa

Il 9 marzo 2025, al Teatro Fonderie Limone di Moncalieri, la musica d’autore ha trovato il suo palcoscenico ideale con la serata finale della Quinta edizione del Premio Testa – Parole e Musica. Un evento intenso e ricco di emozioni, che ha visto giovani talenti omaggiare l’indimenticabile cantautore Gianmaria Testa, attraverso esibizioni originali e reinterpretazioni vibranti, sotto lo sguardo attento di una giuria prestigiosa e accompagnati da ospiti d’eccezione: Stefano Bollani e Valentina Cenni.
La serata prevedeva la consegna di due premi: il premio Testa per la miglior canzone inedita e il premio per la miglior esecuzione di un brano di Testa selezionata da una giuria autorevole diretta da Eugenio Bennato.

A dare inizio alle esibizioni è stato Manuel Apice, cantautore ligure già vincitore di premi come il Fabrizio De André o il Bindi. Per inaugurare la serata ci presenta prima una cover del brano “Biancaluna” di Testa che dà il via alle esibizioni.
A seguire Alessandro Sipolo, artista lombardo spesso in viaggio per il mondo, fa riemergere uno stile musicale che ci trasporta nel continente americano da nord a sud: un vero e proprio viaggio musicale estremamente coinvolgente.
ll terzo cantautore presentato è Fabio Schember, classe ‘98, ci presenta delle interpretazioni tipicamente Mediterranee. Con l’uso di strumenti come l’oud turco o i tamburi muti propone una fusione tra la musica delle sponde nord del mediterraneo con quelle del sud-est, ricreando sonorità veramente interessanti.
Alessio Alì, cantautore calabrese, è il più giovane tra i candidati e predilige la semplicità rispetto alla ricerca musicale presente nei cantautori precedenti, caratteristica che lo accomuna con l’ultimo candidato: Mizio Vilardi, unico artista ad esibirsi senza band, accompagnato solo dalla sua chitarra. Omaggia le sue origini pugliesi cantando metà in italiano e metà in dialetto molfettese.

Foto dal profilo Instagram @premiogianmariatesta , foto di Elisabetta Canavero

Dopo le esibizioni dei finalisti, la giuria si è riunita per decretare i vincitori, mentre il pubblico attendeva con trepidazione. A intrattenere gli spettatori è arrivato Stefano Bollani (che ha collaborato con Gianmaria Testa nel celebre spettacolo Guarda che luna) accompagnato dalla sua compagna Valentina Cenni. La loro performance ha preso avvio riprendendo lo stile della trasmissione Via dei matti n. 0, presentando reinterpretazioni di canzoni di Testa e altri brani internazionali, tutti legati alla sua vita.
Le esibizioni di Bollani, intervallate da momenti di pura improvvisazione pianistica jazz, hanno messo in luce la sua straordinaria abilità al pianoforte, permettendo al musicista di esprimersi liberamente. Per concludere, Bollani e Cenni hanno omaggiato le origini piemontesi di Gianmaria Testa con “La mia mama a veul ch’i fila”, una canzone ironica che ha suscitato ilarità e applausi entusiasti dal pubblico.

La serata finale del Premio Testa si è conclusa in un’atmosfera di festa e celebrazione, con i vincitori che hanno portato a casa il riconoscimento per il loro talento e la loro creatività. Mizio Vilardi, con la sua originale interpretazione di “Nuovo” tradotta per metà in dialetto molfettese, ha conquistato il premio per la miglior cover, mentre Alessio Alì ha brillato con la sua canzone inedita, “Paura di cambiare”, aggiudicandosi il premio principale.

Foto dal profilo Instagram @premiogianmariatesta , foto di Elisabetta Canavero


Il presidente di giuria, Eugenio Bennato, ha chiuso l’evento con due brani che hanno riempito il teatro di energia e ritmo con “Il mondo corre” e il celeberrimo “Ritmo di contrabbando”, salutando il pubblico a ritmo di taranta.
Questa edizione del Premio Gianmaria Testa non solo ha messo in luce nuovi talenti, ma ha anche reso omaggio a un grande artista che continua a ispirare generazioni. La serata si è rivelata un successo, promettendo un futuro luminoso per la musica d’autore italiana.

A cura di Marta Miron